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Circolare Nazionale Rete Radiè Resch

Aprile 2014

A cura della Rete di Trento

Care amiche e cari amici,

si avvicina a grandi passi il convegno del 50esimo compleanno della Rete Radie’ Resch. Avremmo voluto avere con noi parecchi amici e testimoni che anche con noi hanno attraversato questi anni, ruggenti, intensi, oggi forse più sconsolati. Ma non è facile ristabilire contatti con quelli che avevamo conosciuto tanto tempo fa. Alcuni ci hanno lasciato. Noi speriamo almeno che tutti gli altri stiano bene, abbiano potuto chiudere ferite tremende, proseguire le loro vite in serenità. Comunque al convegno potremo forse avere qualche bella sorpresa. Tratteremo molti temi. Alcuni in particolare, relativi alla vita della Rete, hanno catturato l’attenzione e il dibattito negli ultimi mesi: durante gli incontri di coordinamento e a volte anche nelle varie reti locali. Ci siamo di nuovo proposti, ad esempio,  un interrogativo che riteniamo fondamentale: stiamo  forse facendo pericolosamente,  un po’ automaticamente, beneficenza?! Nonostante la nostra storia che ci ha sempre spinto con decisione non alla beneficenza ma a “cercare le cause delle ingiustizie “? Da Paul Gauthier a Ettore Masina ai tanti “testimoni” nei nostri  convegni che, da qualunque angolo del mondo venissero, ci  hanno sempre ripetuto: se volete che possiamo cambiare noi dovete cambiare voi qui. E noi abbiamo cercato di capire. I titoli dei nostri convegni lo dicevano spesso: “Cambiare per liberare – Liberarci per cambiare” (1988 ) “La resistenza degli esclusi” ( 1996 ); quando Susan Georg, già tanti anni fa, ci portava a riflettere su “I meccanismi dell’ esclusione”. “Tra Sud e Nord nuovi percorsi di politica” ( 2006 ); quando veniva dall’Argentina l’operaio della fabbrica ex Zanon a dirci cos’era quell’autogestione di una impresa abbandonata dal proprietario che, con terrore e coraggio, essi avevano tentato di salvare. E molti altri li avevano seguiti. Tanto  che l’esperienza dell’Argentina ha fatto il giro del mondo. Intanto dai grandi contadini Sem Terra del Brasile arrivavano spesso i messaggi: ” abbiamo compreso che è impossibile lottare per la Riforma Agraria senza combattere il modello economico che si impone..”. Abbiamo “compreso”! E Ettore Masina scavava su questo terreno ogni  mese con le sue lettere. E molti altri negli anni riflettevano ( anche sul Notiziario della Rete ) sui rapporti economici tra nord e sud del mondo. E ogni volta che aprivamo una operazione – progetto presso qualche popolazione “povera” scoprivamo che non sarebbe stata povera se qualcuno non l’avesse “impoverita”. Però è probabile che strada facendo,  adagiandoci nell’abitudine della sottoscrizione mensile, abbiamo un po’ impallidito questi tratti fondamentali. A volte da qualche rete si è chiesta infatti “più presenza critica”. E durante  una delle recenti riunioni di coordinamento  è rispuntato l’interrogativo, netto: noi e i nostri referenti facciamo forse azioni palliative? quelle che tendono a rendere più sopportabile, e perciò stabile, la situazione negativa in cui si vive, invece di cercare di cambiarla? Allora noi che siamo nati per i rapporti col sud del mondo facciamo bene a interessarci così ampiamente, come da qualche anno stiamo facendo anche nei convegni, alla attuale terribile crisi che è venuta addosso specialmente  al primo mondo ex-ricco? e ne cerchiamo la fisionomia vera,   le  cause, i modi per liberarcene? Facciamo bene a chiamare ai convegni esperti di economia, o di finanza internazionale perché ci chiariscano questa crisi? Cosa lega oggi nord e sud che stanno cambiando così vistosamente? Sicuramente le risposte a questi interrogativi ci accompagneranno nel prossimo  futuro. Prima di chiudere,  un’ informazione che ci è parsa molto importante. La prendiamo da una circolare locale della rete di qualche mese fa in cui Fulvio ci riferiva di  una piattaforma web “Ushahidi ” nata in Kenya. ” Il termine ” Ushahidi” nella lingua africana swahili significa “testimone”. Il fenomeno è nato  in occasione delle elezioni politiche del 2007 per iniziativa di Ory Okolloh, avvocata, attivista politica e blogger. Prima e dopo le elezioni si scatenarono gravissime violenze in tutto il paese africano, tanto che i leader politici sono ora sotto processo presso la Corte Penale Internazionale. L’attivista  aveva potuto raccogliere testimonianze da tutto il Kenya, anche via sms dalle zone più periferiche, aggregarle per località, creare mappe digitali e far conoscere in tutto il mondo quello che succedeva nel suo paese. Ciò permise alle Ong di tutto il mondo di intervenire e soccorrere   le persone  colpite.  Da questo momento il governo Keniota non poté più sottrarsi alle sue responsabilità e a nulla più valse la censura. Il successo di Ushahidi ha permesso alla piattaforma di espandersi ad altre aree di crisi in tutto il mondo per raccogliere e mappare le informazioni dirette raccolte via sms: ad esempio per documentare violenze in Repubblica Democratica del  Congo, per segnalare e prevenire brogli elettorali in Messico e India, per seguire il percorso e la destinazione di scorte alimentari e mediche in Paesi dell’Africa orientale e per localizzare i feriti dopo i terremoti ad Haiti e in Cile.”. Fin qui la notizia. Non è un sistema geniale? che potrebbe servirci forse anche per il tormentato Centrafrica e non solo? Negli anni ’80 del Novecento alcune indimenticabili donne dell’ Inghilterra meridionale partecipanti ad un gruppo popolare di rifiuto delle armi nucleari, dovendo una notte segnalare in modo riservato un passaggio segreto di materiale nucleare sul loro territorio boscoso, usarono …un linguaggio prestabilito dal gruppo e imprevedibile ai militari: tesero dei fili da un albero all’altro lungo il percorso dei missili fino all’arrivo. Così resero pubblica l’informazione.   Oggi grazie alle intuizioni dell’ avvocata e blogger keniota i SOS arrivano via sms. W! A voi tutti e tutte  una buona Pasqua e arrivederci a Rimini, ormai fra poche settimane, per il nostro grande convegno!

Per la Rete di Trento

Carla Grandi

Circolare Nazionale Rete Radiè Resch

Marzo 2014

A cura della Rete di Trento

Care amiche e cari amici,

manca ormai poco al Convegno nazionale del 25-27 aprile, in cui festeggeremo i 50 anni della nostra Rete e ci interrogheremo sul “presente della solidarietà tra memoria e futuro”, come recita il titolo del Convegno stesso. Queste circolari che ci avvicinano e ci accompagnano all’appuntamento cercano di riflettere proprio sul significato di solidarietà, partendo dalle origini della Rete, dall’intuizione di Ettore e Clotilde Masina su ispirazione di Paul Gauthier, fino alla nostra situazione attuale di cittadini di un mondo globalizzato, dove la globalizzazione riguarda solo i capitali e i profitti ma non i diritti degli uomini e delle donne.

Ho avuto occasione di leggere le bozze del nuovo libro di Ercole Ongaro sui 50 anni della Rete, che sarà pronto per il Convegno. E’ un libro che consiglio vivamente a tutti, perché rappresenta una sintesi magistrale di una storia in cui tutti noi siamo co-protagonisti insieme ai tanti testimoni con cui siamo entrati in relazione in questi lunghi anni. Ed è proprio dal libro di Ongaro che vorrei anche in questa occasione trarre qualche spunto di riflessione sul nostro essere Rete.

Comincio ricordando qualche citazione con cui Ettore Masina fin dall’inizio, nelle sue circolari, definì lo spirito della Rete e della solidarietà: “Considerare il superfluo con la misura delle necessità altrui” (Giovanni XXIII); “la giustizia è la misura minima della carità” (Paolo VI); “la povertà dei più è oltraggiata dalla ricchezza di una minoranza” (cardinal Giacomo Lercaro). Da queste frasi si ricava che la linfa che alimenta la Rete proviene dalla scelta di rispondere alla domanda di giustizia dei poveri con un impegno personale. Le caratteristiche della Rete, secondo Masina, si riassumono nell’essere un gruppo cui si aderisce per “un atto di amore” a seguito di una presa di coscienza dell’ingiustizia sociale e della volontà di avviare un cambiamento partendo dalle proprie scelte di vita;  in secondo luogo la condivisione del proprio denaro con i poveri non è saltuaria ma costante; in terzo luogo la Rete ha rifiutato di darsi una struttura, per agire invece solo su base volontaria, mantenendo la configurazione di movimento non di istituzione. Essere “cellule di amicizia”, moltiplicarsi ma non ingrandirsi, per non perdere la ricchezza della reciproca conoscenza e della relazione: questa l’ idea delle origini, in base alla quale Masina ipotizzava che in una città avrebbero potuto formarsi più reti, dimensionate su una media di una quindicina di aderenti.

Altra caratteristica della Rete è sempre stata quella dell’agire contemporaneamente “qui e là”. Gauthier diceva: “Ciò che è importante è che mentre noi là viviamo tra gli operai, voi qui agiate sulle strutture sociali per impedire che si fabbrichino ancora dei poveri. Ciascuno di noi deve dare il suo contributo non soltanto aiutando i poveri a combattere la loro povertà ma anche individuando e combattendo le cause della povertà”.

La solidarietà, quindi, non si esaurisce nell’autotassazione, ma deve farsi anche controinformazione, denuncia, grido di indignazione. Questo è avvenuto in molte occasioni, ad esempio con il Tribunale Russell II che si proponeva di denunciare la violenta repressione del regime militare brasiliano. Era il completamento dell’azione solidale che la Rete stava svolgendo accanto ai prigionieri politici e alle loro famiglie. Dove c’erano gruppi della Rete si formarono comitati di appoggio, composti a prescindere da appartenenze ideologiche. E con questo spirito la Rete ha partecipato negli anni a decine di “campagne”, come quella per i 500 anni della conquista dell’America (1992) o quella per un Giubileo della Liberazione (2000), quelle per far conoscere le tragedie dei desaparecidos cileni e argentini e le battaglie delle Madri di Plaza de Mayo, le stragi nei campi profughi palestinesi, i massacri delle dittature centro-americane, i tentativi di ‘pulizia etnica’ a Gerusalemme Est, la partecipazione alle campagne contro il “Millenium Round”, l’adesione alla costituzione della Rete di Lilliput, che si proponeva di coordinare tutto l’associazionismo contrario all’economia neoliberista.

Come ricordò Masina al convegno dei 30 anni della Rete, nel 1994, quando annunciò l’intenzione di lasciare la sua “creatura”, la Rete è “qualcosa di molto più intimo e delicato e grande di un’associazione”: era stata ed era “un circuito di affetti profondissimi, un circuito d’amore”, “una specie di assemblea permanente mobilitata al servizio dei poveri ai quali vengono negate giustizia e libertà [ma] che a questa negazione non si arrendono”. Aver aperto gli occhi sulla povertà di massa aveva indotto alla conversione; questa aveva comportato la condivisione di una parte del proprio reddito, ma soprattutto l’ascolto del mondo dei poveri, il farsi compagni di chi lottava per un mondo migliore. La Rete doveva restare fedele a una cultura conviviale e di controinformazione: prediligere il contatto con testimoni e profeti, con comunità di base e consigli dei favelados, con leghe “campesine” e centri di coscientizzazione; farsi “ricercatrice di verità, pellegrina di verità, avendo come bussola non già gli acquietanti rapporti degli esperti ma la voce degli oppressi”. Per mantenere questo orientamento era necessario non lasciarsi persuadere della definitiva vittoria del capitalismo, coltivare invece la passione utopica per un sistema alternativo: senza utopie, cioè “senza grandi ideali al servizio dell’idea stessa di uomo, non esiste dignità vera, tanto meno esiste felicità”. L’ammonimento degli oppressi chiedeva alla Rete di rendere credibile la solidarietà verso i poveri del Sud attraverso “l’impegno politico contro i centri di potere che qui, nell’impero del Nord-Ovest del benessere, progettano le proprie politiche, organizzano le proprie strategie, incassano i proventi dello sfruttamento o della emarginazione di miliardi di esseri umani”. Secondo Masina, la Rete aveva maturato questa lucidità di giudizio e doveva continuare ad essere “una scomodissima forza di opposizione”, di resistenza contro ogni potere che opprime.

Il ritiro di Masina dalla Rete ha creato notevoli preoccupazioni per la tenuta e la continuità, ma alla fine la forte motivazione degli aderenti e il “circuito d’amore” e di amicizia di cui parlava Ettore  hanno avuto il sopravvento. Il passaggio da una conduzione personale a una collettiva, dopo le inevitabili difficoltà iniziali, ha portato anche qualche vantaggio, che lo stesso Masina aveva previsto. Tra questi un incremento della partecipazione e una maggiore responsabilizzazione  delle reti, che ha portato a sperimentare un processo decisionale condiviso. Positivo è stato aver conservato alla Rete le caratteristiche che la distinguevano: la libertà che viene da una povertà di mezzi consapevolmente assunta, la possibilità di rapportarsi a gruppi di poveri senza inciampi burocratici, la mancanza di gerarchie formali e di statuti, la possibilità di essere sempre allo stato nascente, aperti alle urgenze e alla creatività.

Gli svantaggi consistono nella eccessiva lentezza della discussione, nella debolezza complessiva del momento decisionale, nella difficoltà a lanciare e gestire operazioni straordinarie. Ma questo fa parte del nostro essere e della nostra storia. Ed è, probabilmente, il prezzo della nostra libertà.

Cari saluti a tutte e a tutti

Fulvio Gardumi

Circolare Nazionale Rete Radiè Resch

Febbraio 2014

A cura della Rete di Trento e Rovereto

Care amiche e cari amici, la Circolare del mese scorso ha cercato di fare memoria delle origini della Rete, ricordando l’avventura cominciata esattamente 50 anni fa con l’incontro tra Ettore Masina e Paul Gauthier. Abbiamo visto come alcune caratteristiche fondanti siano più che mai valide anche oggi. Certamente però in mezzo secolo sono cambiate anche molte cose. Ad esempio l’idea di sviluppo e di sottosviluppo: se nel 1964 l’Italia era nel pieno del boom economico, oggi è anch’essa coinvolta in una crisi globale che sta rimescolando le carte e che richiede nuovi modelli interpretativi. Oggi sviluppo e sottosviluppo convivono insieme nei paesi occidentali come in quelli che una volta chiamavamo “Terzo mondo”. Nuovi problemi si sono affacciati nel frattempo, come la coscienza ambientale, che negli anni ’60 era una specie di “lusso” riservato a poche avanguardie intellettuali. In questa lettera desidero proporre alcuni interrogativi che da un po’ di  tempo, anche prima della presente crisi, molti di noi ci ponevamo, ma che con l’aggravarsi della crisi occupazionale nazionale, per non dire mondiale, si fanno sempre più impellenti ed assillanti. Pongo questi quesiti a tutti coloro  che sento vicini nella sensibilità verso le problematiche sociali: lavoro, occupazione, giustizia, pace, non violenza, solidarietà, cooperazione internazionale, sostenibilità ambientale, ecc. Gli interrogativi riguardano le contraddizioni tra le scelte economiche, finanziarie, commerciali attuate dai governi per uscire dalle crisi che attanagliano i rispettivi paesi e quelle che noi auspichiamo necessarie in una visione globale della realtà mondiale. I diversi aspetti della  crisi mondiale (energetica, ambientale, climatica, idrogeologica …) richiederebbero una radicale inversione per quanto riguarda il  modello di sviluppo occidentale, che ormai si è esteso a tutto il  mondo. Negli ultimi decenni sono nate e si sono moltiplicate ovunque  realtà associative, organizzazioni, ong  di cooperazione internazionale, ecologiste, ambientaliste, ecc. che spingono nella direzione della solidarietà, di una riduzione della cementificazione, del trasporto su gomma, dei consumi energetici, Km zero, promozione di una alimentazione sana,  vegetariana e più ridotta nei contenuti energetici, ecc. Tutte queste realtà e sensibilità si trovano però a cozzare contro altre esigenze, anch’esse legittime, come quelle del diritto al lavoro, alla conservazione dei posti di lavoro, possibilmente prossimi ai luoghi di residenza.  Anche i governi più democratici, almeno nelle intenzioni, cercano di ricreare posti di lavoro, realizzando infrastrutture, rilanciando alcuni settori trainanti dell’edilizia, dell’auto, dei trasporti, del turismo di massa. Ma la competitività internazionale e il libero mercato impongono modelli che comportano la violazione dei diritti umani, la trasgressione delle convenzioni internazionali a tutela dei diritti dei lavoratori e della salvaguardia dell’ambiente. In questo contesto, sono molte le persone, anche tra i progressisti, che non riescono a cogliere le connessioni tra scelte di sviluppo e comportamenti personali, o minimizzano le loro conseguenze ambientali sul pianeta e sulla sopravvivenza di  milioni di persone. Qualche esempio di relazione di causa ed effetto di cui non si è sufficientemente consapevoli:

– Tra consumo di carne e un miliardo di persone escluse dal cibo

– Tra acquisto di cellulari e le guerre in Africa per il coltan

– Tra produzione/acquisto di biocarburanti e migrazioni

– Tra acquisto di prodotti usa e getta e inquinamento ambientale

– Tra acquisto di veicoli veloci e potenti e guerre per il petrolio

– Tra turismo esotico e accaparramento di acqua dolce

– Tra termostato oltre i 20°C ed effetto serra

– Tra consumo di sigarette o di alcolici e riduzione della produzione di cibo

– Tra consumi di prodotti alimentari industriali e riduzione della biodiversità

– Tra il perseguire obiettivi competitivi, arrivisti, individualisti e conflitti sociali,

– Tra turismo invernale e l’impronta ecologica superiore 5 volte a quella sostenibile.

La consapevolezza di queste ed altre connessioni dovrebbe sollecitarci ad una inversione radicale, ma allo stesso tempo ci mette in profonda crisi, perché pone in discussione tutte le nostre abitudini personali  e ciò che abbiamo acquisito e per cui abbiamo  lavorato tutta una vita. Capita anche a coloro che ne sono consapevoli, di sentirsi combattuti tra il mantenimento delle proprie abitudini, comodità, consumi di ogni genere per sé o per i propri figli e il sentire necessario un cambiamento di stili di vita. Come resistere alle molteplici opportunità che il mercato, la pubblicità ci propone, prezzi contenuti, saldi, vacanze e viaggi low cost, che questo modello economico produttivo consumistico ci offre? Se sul piano personale ognuno può fare scelte più o meno radicali relative ai propri stili di vita, più profondo diventa il conflitto che si prospetta dentro coloro che hanno responsabilità governative, amministrative, e ruoli nella gestione della cosa pubblica. Infatti oltre alle scelte nell’ambito personale, vi sono anche le responsabilità nell’agire politico, normativo, amministrativo, sindacale e nella gestione del welfare, per i quali si è stati eletti o chiamati a tutelare le esigenze dei cittadini, le conquiste ottenute e gli stili di vita acquisiti. Ma per altro verso il dramma di queste persone è che percepiscono le conseguenze globali nefaste che tutto questo produce per 3/ 4 dell’umanità. In base all’attuale nostra eccessiva impronta ecologica è stimato che il nostro overshoot day, cioè il giorno in cui il nostro Paese ha esaurito le risorse naturali che in un anno è in grado di generare, è l’8 maggio: da quel giorno in poi consumiamo le risorse di altre regioni e popoli.

Le istituzioni finanziarie, i partiti e coloro che si ispirano a ideologie nazionaliste e di destra, i sindacati corporativi, per ignoranza o per bieco egoismo, non si pongono questi problemi e comunque sono disposti a tutto pur di perseguire questo modello di sviluppo e tutelare gli interessi e privilegi di una minoranza. Mi chiedo invece come e perché le connessioni sopra elencate e queste contraddizioni non vengano prese in considerazione da amministratori, dirigenti e militanti dai partiti ed organizzazioni sindacali che si professano di sinistra, che ispirano le proprie scelte nella direzione della giustizia, dell’equità, della fratellanza, non solo regionale, ma anche mondiale. Il problema che mi pongo, come ogni cittadino impegnato e consapevole della sua responsabilità verso il bene comune, è che dietro questi comportamenti personali vi sono scelte politiche ed economiche di promozione del lavoro e del welfare che ciascuno di noi è chiamato a prendere e/o avallare. Perciò mi chiedo come conciliare due esigenze che appaiono contrapposte? Come orientare la produzione/servizi/consumi considerando i diritti, l’etica, e la libertà di scelta dei cittadini e contemporaneamente dimezzare l’impronta ecologica del nostro Paese?

Circolare Nazionale Rete Radiè Resch

Gennaio 2014

A cura della Rete di Trento

Il 1° gennaio 1964 – esattamente 50 anni fa – Ettore Masina si trovava a Gerusalemme, inviato dal quotidiano “Il Giorno” assieme al collega Giorgio Bocca, per seguire un avvenimento eccezionale per l’epoca: il primo viaggio all’estero di un papa dell’era moderna. Papa Paolo VI aveva annunciato il 4 dicembre 1963 ai padri conciliari, “attoniti per la sorpresa”, che aveva deciso di farsi umile pellegrino in Palestina, la terra di Gesù di Nazareth. La stampa internazionale era quindi tutta schierata a Gerusalemme già alcuni giorni prima dell’arrivo del Papa, per “preparare il terreno”, cioè per illustrare ai propri lettori l’ambiente storico, politico e sociale in cui il Papa sarebbe arrivato il 4 gennaio. Quel capodanno 1964 Masina aveva dettato al giornale la sua corrispondenza, in cui parlava di Paul Gauthier:  “Di tutte le persone che ho visto in Terra Santa quella che mi sembra rispecchiare con più precisione e nobiltà l’ideale cristiano è questo prete operaio francese che da 10 anni vive a Nazareth fra i poveri della città. Quasi un mese fa ero con lui a Roma, la mattina del 4 dicembre, quando Paolo VI annunziò al mondo che si sarebbe fatto pellegrino in Palestina. (…) Adesso padre Gauthier mi accoglie sulle impalcature di una casa in costruzione. Mi ci hanno spinto, quasi portato di peso, una dozzina di piccoli arabi che lo adorano, e che lo chiamano ‘padre’ (…). E’ la duecentodiciannovesima casa che Gauthier costruisce per i rifugiati arabi sulle colline di Nazareth, di fronte al Tabor, il monte sul quale il Cristo si trasfigurò”. E’ da questo incontro di Ettore Masina con Paul Gauthier che è nata la Rete Radié Resch. E’ una storia che tutti conosciamo nella Rete, ma ho pensato di riproporre questo inizio per aiutare tutti noi a fare memoria delle nostre origini nell’anno in cui ci apprestiamo a dedicare il Convegno nazionale al ricordo dei primi cinquant’anni della nostra storia, ad un ripensamento del nostro cammino, all’ incontro con alcuni dei testimoni che in questi cinque decenni hanno contribuito a fare la nostra storia e alla commemorazione di tanti amici e amiche che hanno fatto insieme a noi il cammino della Rete e che ora non ci sono più. A cominciare da Paul Gauthier. Per entrare nel clima delle origini ho riletto i libri “Radié Resch. Una storia di solidarietà” scritto da Carla Grandi nel 1992 e “Nel vento della storia” scritto da Ettore Ongaro nel 1994 in occasione dei 30 anni di vita della Rete. Ercole sta ora scrivendo un nuovo libro in vista dei 50 anni: un lavoro certo non facile (ma quanto meritorio!), per impostare il quale si è confrontato con le varie reti presenti al Coordinamento di Sezano nel settembre scorso. La rilettura dei libri di Carla e di Ercole è un ottimo modo per ripercorrere una storia straordinaria e per trarne spunti di riflessione per il futuro. E’ utile per chi è nuovo nella Rete, per chi non la conosce affatto, ma anche per chi ha fatto parte della Rete per un tratto più o meno lungo del suo cammino. Purtroppo i due libri sono esauriti: c’è forse qualche copia qua e là che qualcuno potrebbe mettere a disposizione di chi non ce l’ha. Ercole mi ha detto che ha pensato di inserire nella prima parte del nuovo libro una sintesi del primo, in modo da sopperire all’esaurimento del volume. Il viaggio in Terra Santa era stato per Ettore “il primo impatto con la povertà di massa, con il Sud della Terra e fu uno shock”, scrive Ongaro nel suo libro. Fu così che decise, insieme alla moglie Clotilde, di inviare i propri risparmi a Gauthier, il quale però gli rispose: “Per aiutarci materialmente è meglio che voi costituiate con i vostri amici una rete e inviate ogni mese le offerte raccolte. (…). L’importante è questo: diffondete il desiderio di condivisione dei beni, come agli inizi degli Atti degli Apostoli”. Il che significava occuparsi dei poveri non una tantum, ma con il duplice impegno della condivisione e della continuità.  Ecco due elementi presenti ancora oggi. Masina scrisse a numerosi amici, credenti e non credenti. Nacque così la ‘circolare’ mensile, che Ettore scriverà per tantissimi anni e che diventerà il collegamento fra tutti gli amici della Rete, occasione di informazione sui risultati dell’autotassazione e stimolo per riflessioni sull’ingiustizia e sui meccanismi che la provocano. I primi nuclei di quella che ben presto fu chiamata “Rete” si costituirono a Milano, Roma, Varese. I versamenti mensili dei singoli aderenti venivano inviati a Gauthier sotto forma di prestiti, senza interesse e a lunghissima scadenza, destinati a famiglie palestinesi indigenti, che vivevano in baracche o grotte, permettendo loro di accedere alla cooperativa per la casa. Paul accolse con gioia la proposta di Masina di chiamare la Rete sorta in Italia col nome di una bambina di Nazareth, profuga palestinese, che era morta di polmonite in un tugurio senza vetri alle finestre, prima che alla sua famiglia fosse assegnato un appartamento. Nell’agonia Radié – nome che in arabo significa ‘sempre grazie a Dio’ – aveva continuato a ripetere “Io laverò i vetri della nostra casa”. Perciò Paul aveva concluso “Radié è andata in una città migliore e di lassù ci aiuterà a lavare gli occhi di chi non vede la necessità di dividere i suoi beni con i poveri”. Gauthier aveva seguito i lavori del Concilio assieme al vescovo di Nazareth, Georges Hakim, e fu l’ispiratore del documento “Gesù, la Chiesa e i poveri”, attorno al quale si riunirono numerosi vescovi e padri conciliari, provenienti soprattutto dal Sud del mondo, che chiedevano alla Chiesa “un’opzione preferenziale per i poveri”. Durante la sua permanenza a Roma, Paul alloggiava in un convento di suore, dove conobbe una donna delle pulizie, Jole, che aveva un fratello paralizzato fin dall’infanzia, Giulio, che lei assisteva con grande fatica e in solitudine. Paul andò a trovarli in casa e rimase commosso. Ne parlò con Ettore e decisero che “Giulio doveva procurare da vivere a sua sorella perché gli faceva da infermiera”. Da quel giorno la Rete versò mensilmente uno stipendio a Giulio e così Jole non dovette più lavorare  fuori casa ma  si dedicò completamente al fratello. Ecco, queste sono le origini della Rete. Che cosa è cambiato in 50 anni? I poveri, anche allora, c’erano non solo nel Sud del mondo, ma anche qui. E oggi, probabilmente, ancora di più. Nel convegno delle Reti del Nordest del maggio scorso, il relatore Michele Nardelli ci aveva detto, tra l’altro: “dobbiamo interrogarci sul concetto di sviluppo e sottosviluppo. Non esistono più i Paesi sviluppati e i Paesi sottosviluppati. In ogni Paese c’è sviluppo e sottosviluppo, inclusione ed esclusione. Oggi il simbolo della povertà non è tanto la magrezza scheletrica del Sahara, quanto l’obesità dei poveri degli Stati Uniti o del Sudamerica”. Ho chiesto a Ercole Ongaro quale impressione sta ricavando dal lavoro di stesura del nuovo libro su questi 50 anni di storia della Rete. Ecco la sua risposta: “La Rete, pur avendo vissuto una cesura nel passaggio da una conduzione personale a una conduzione collegiale,  ha conservato le sue specificità originali e ha evitato le scorciatoie dell’istituzionalizzarsi e dell’inseguire l’efficienza: ha continuato a preferire la presa di coscienza delle persone rispetto all’abilità nel raccogliere denaro, la relazione di amicizia rispetto all’organizzazione burocratica, le operazioni con basso finanziamento ma con alto valore aggiunto di solidarietà politica. Anche gli scambi di messaggi della mailing list documentano che nella Rete non si è persa la voglia di confrontarsi, di rimettersi in discussione, di disporsi a cambiare per avvicinare il ‘sogno’ di chi 50 anni fa ha intuito che combattere le cause dell’ingiustizia è il livello della sfida a cui la storia chiama gli uomini e le donne di buona volontà”.

Auguro a tutte e a tutti un 2014 ricco di speranza!

Fulvio Gardumi

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