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Circolare Nazionale Rete Radiè Resch

Dicembre 2015

La Rete ha compiuto i suoi 50 anni, e sono già tanti. Si è avviata a proseguire, a volte persino stupita di essere arrivata fin qui; e naturalmente incrociata da varie domande nuove, poste in specie negli incontri di coordinamento o in alcune mail nel corso degli ultimi due anni: pareri, spunti di riflessione. Anche severi. Di grande peso. Ad esempio su come la Rete è, come si è gradualmente trasformata, come dovrebbe essere. Chi faceva un confronto di carattere storico sulla fisionomia della Rete nei primi tempi e ai tempi d’oggi osservava anche che gli aderenti alla Rete più giovani sono consapevoli di non aver vissuto i primi tempi brucianti e di non conoscerli abbastanza. Realtà e generazioni sono cambiate, oggi “abbiamo meno speranze”, – dicevano. È vero che gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso hanno presentato subito per noi, appena nati come gruppo, un impatto col mondo imprevisto e in parte sconcertante e pieno di insegnamenti: da un lato per esempio, le provocazioni anticipatrici di Paul Gauthier che, fin da principio, senza tanti problemi, con l’autorità di chi dentro i fatti viveva, ci scolpiva quella frase che ci richiamiamo sempre: ” Importante è che, mentre noi la’ viviamo tra gli operai, voi qui agiate sulle strutture sociali. Voi non potete dare parte della vostra intelligenza, preghiera, denaro per aiutare i poveri se nello stesso tempo non lottate con tutte le vostre forze per sopprimere le strutture che fabbricano i poveri.” Così si apriva la prima interpretazione politica di fatti che normalmente vengono vissuti solo come ” beneficenza “. E su questo Ettore Masina per anni ha scavato. Era una lettura anticipatrice, evidentemente. Stiamo cominciando oggi, in quanto società, con grande fatica a tentar di realizzare qualcosa in questa direzione, affrontare ” le cause “; e chissà quanto tempo ci impiegheremo! Quando poi la Rete è finita nello sconosciuto Brasile, con grande timidezza, mossa solo dalla notizia di mille povertà presenti anche lì, siamo piombati in pieno clima di dittatura militare e ci è stato chiesto inaspettatamente di essere presenti da lontano, ma con la forza in parte nuova di una relazione tra popoli. La fisionomia politica del fatto era stavolta ancora più chiara ed è durata a lungo. Sì, è stato istintivo partecipare, ma anche traumatico. E poi, come succede spesso per le cose difficili, è diventata un’esperienza piena di fascino e di insegnamenti di cui siamo riconoscenti. Da lì negli anni testimoni come Luisella Ancis, la sarda ormai divenuta brasiliana, nei suoi fiumi di lettere a Masina, che finivano in parte nelle circolari, descriveva quale fosse la situazione sociale ed economica di quel paese, cosa volesse dire lottare per il posto di lavoro, difendersi dagli abusi del potere, dover correre a difendere i compagni (nascondendoli, nella fretta, magari in una cabina telefonica …) durante una manifestazione. Scriveva della classe media, la più colpita in tempi di crisi, e noi vedevamo poi l’onda arrivare da noi, e oggi brutalmente. Scriveva delle prime multinazionali, comprese le italiane, che cominciavano a introdursi in silenzio. Prime avvisaglie. Tra molti altri amici e testimoni, davvero tanti, Giovanni Baroni il veneto ormai brasiliano anche lui, ci faceva sapere fra mille cose affascinanti come dopo tante lotte i lavoratori erano riusciti a ottenere nelle grandi fabbriche le 40 ore settimanali di lavoro. E noi qui le avevamo contrattate da poco. Senza ancora saperlo vedevamo spuntare primi aspetti di globalizzazione. Intanto si costruivano, tra qualche puntino sulla carta geografica del nord del mondo e qualche altro puntino al sud, legami di fiducia; assolutamente alternativi, e semplici. Ce n’è uno proprio speciale, passeggero, permettiamoci di farlo rivivere per un momento. È poesia pura: con le sue atmosfere, l’intensità tranquilla, i tanti significati. Viveva in quei tempi a Roma un ragazzo, di nome Carlo. Ben presto la vita lo aveva privato del padre a cui era legatissimo, e di seguito praticamente di tutte le possibilità economiche. Anche del suo pianoforte, grande risorsa per la sua povera persona provata. Ed era comparsa la droga. Ettore sapeva che se si fosse potuto ricomprare un pianoforte sarebbe stata probabilmente la salvezza. Ma i soldi della Rete erano tutti impegnati nelle operazioni. Decise di chiedere a una comunità di amici contadini del Nordest del Brasile: se raccoglieremo altri soldi per voi possiamo provvisoriamente usarli per acquistare un piano che possa ridare a Carlo la voglia di vivere? Arriva la risposta: – Quando abbiamo letto la tua domanda ci siamo seduti e per prima cosa ci siamo chiesti cosa fosse un pianoforte. Per saperlo abbiamo mandato due compagni in città. Sono tornati e ci hanno spiegato che si tratta di uno strumento musicale. Noi siamo, come sai, molto poveri, ma ciascuno di noi ha una chitarra o un flauto e sappiamo quanto la musica ci aiuti nel momento del dolore. Compra dunque un pianoforte a Carlo. E digli che i poveri hanno fiducia in lui… – Alla lettera una donna aggiunge: vuoi che la nostra gente non sia d’accordo? Si sono stupiti che tu che hai tutto in mano abbia chiesto a loro questo permesso. Sono così poco abituati al fatto che qualcuno gli chieda il permesso … Carlo riuscì a dimenticare la droga. Sì certo, esperienze come tutte queste e molte altre in diversi paesi lasciano il segno e chi non le ha vissute può rammaricarsene. Ma ci sono altre osservazioni e richieste emerse durante gli ultimi due anni rispetto al modo di essere della Rete. Torna con più forza la questione sul cercare ” le cause” delle ingiustizie. E poi, netta e esigentissima, tipica di oggi, quella del non accettare di fare coi nostri interventi solo qualcosa che ” aiuti a rendere più tollerabili ” le ingiustizie, lasciando intatti i meccanismi che le generano. Per questo la Rete ha deciso ad esempio di affrontare il tema della Finanza internazionale speculativa e i suoi crimini. Ha fatto bene. Oggi i temi sono più gelidi di un tempo e si è riprivatizzata la compagine sociale. Ma essendo temi che rappresentano cause centrali dello star male oggi e domani di miliardi di persone è necessario affrontarli, in tanti insieme, con competenza, per metterli a nudo anzitutto. Siccome sono costretti dai fatti, persino alcuni “poteri forti ” di malavoglia iniziano a parlarne; e a volte questo rende più vicina qualche soluzione. E ancora altre domande sono state proposte a un esame su aspetti ancor più interni alla vita della Rete: la spinta iniziale dei fondatori oggi è affievolita? Oggi abbiamo meno speranze, realtà cambiate, nemici più sconosciuti, situazioni impalpabili. La Rete rischia di svuotarsi? Le reti locali sono un po’ ferme, un po’ abitudinarie? A volte ognuna troppo affezionata al proprio progetto e poco coinvolta in tutti gli altri? Questioni troppo importanti per non discuterne. E l’elenco, come sappiamo, non è neanche finito. Sappiamo di avere le nostre criticità, e il metterle a fuoco serve. Inoltre i diversi ambiti che nel frattempo si sono aperti in Occidente nel rapporto nord- sud, come il problema stesso delle migrazioni, vengono a richiedere nuove forze e sintonie.

Buon Natale e buon Anno nuovo a tutti e tutte voi.

Carla Grandi

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