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“Sono qui perché gli uomini camminano, le parole corrono.
Gli uomini sono lenti, le parole sono veloci.
Gli uomini si stancano, le parole volano.
Gli uomini vengono fermati.
Da altri uomini, dai muri, dai fili spinati. Le parole no.”
(Moussa Molla Salih. Dal palco delle “Sardine” di Bologna)

Carissime/i, anche le nostre mensili lettere sono fatte di parole. Parole che raccontano le nostre storie, i nostri
impegni e, specialmente, ci descrivono le situazioni dei nostri lontani progetti di aiuto solidale. Sempre parole sono, che ci aiutano a camminare assieme e con gli amici di Haiti.

 

Cari e care,

vogliamo innanzitutto augurarvi buona estate, in questa particolare estate, sia a chi resterà a casa, sia a chi potrà concedersi un periodo di vacanza.

In secondo luogo, ci pare giusto informarvi su quanto è emerso nei nostri incontri nazionali di Rete, che si sono svolti a distanza, tramite video-conferenza.

Sintetizziamo qui di seguito le decisioni più rilevanti

1 è stato confermato lo spostamento del Convegno al 2021 (rimarrebbe comunque la cadenza biennale)

2 si è discusso a lungo sulla formazione della nuova segreteria e su eventuali cambiamenti delle sue funzioni e modalità di lavoro (fino al coordinamento di settembre rimarrà in carica quella attuale).

Proprio in questi ultimi giorni si è concretizzata la proposta di una segreteria/laboratorio formata da Caterina Perata della Rete di Quiliano (Savona), da Lucia Capriglione della Rete di Salerno, da Antonio Vermigli della Rete di Quarrata (Pistoia) e da Nadia Zamberlan (gruppo giovani), della Rete di Torino

3 è stato riconfermato il progetto sostenuto dalla Rete di Verona in Guatemala di cui, di seguito, troverete la relazione.

4 I prossimi 19 e 20 settembre è stato confermato il coordinamento di Sezano, con la partecipazione fisica dei referenti delle reti locali, e non in video-conferenza. Come rete di Verona, organizzeremo l’ospitalità, salvo eventuali contrordini non dipendenti da noi. A questo proposito si sta pensando di affidare sempre più la preparazione e la gestione dei coordinamenti alle reti locali, in modo da sollevare il lavoro della segreteria.

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Come ReteRR, ci sembra importante ricordare la situazione veramente drammatica della Palestina, aggravata in questo periodo dall’emergenza Covid.

Il governo Netanyahu ha rimandato l’annessione unilaterale di una buona parte dei Territori Occupati palestinesi che comprende quasi per intero la Valle del Giordano. L’annessione, prevista per il 1° luglio in violazione di tutte le risoluzioni dell’ONU, gode dell’appoggio di Trump. Purtroppo la comunità internazionale sembra ignorare completamente la cosa e la UE non ha preso una posizione tale da incidere a favore dei Palestinesi. Contemporaneamente, però, le grandi manifestazioni contro il razzismo negli USA hanno provocato un lieve indebolimento del clima a favore di Trump e ciò ha sconsigliato, per ora, questa prepotenza ingiustificabile.

Ricordiamo che la Valle del Giordano è una zona strategica per l’agricoltura e il controllo delle riserve idriche di tutta l’area. L’acqua viene quasi completamente sottratta ai Palestinesi, nonostante le costanti azioni di resistenza pacifica della popolazione. Per esempio, provengono da lì i datteri “israeliani”, insieme ad altri prodotti agricoli di esportazione, coltivati sulle terre espropriate ai contadini palestinesi. Anche questa è una violazione delle convenzioni internazionali che riguardano le zone occupate militarmente. Ma purtroppo, Israele viola sistematicamente risoluzioni e convenzioni internazionali.

Alleghiamo questo link che ci ha mandato un’amica dagli USA, e mostra la vita quotidiana nella Palestina occupata. Il commento è in inglese, ma le immagini sono talmente eloquenti che non necessitano di traduzione.

WATCH: Daily Life in Occupied Palestine

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Il progetto che stiamo seguendo in Ghana e che ha preso il nome di Mama Ageiba (nome della mamma di Olivia), sta dando i suoi frutti. Speravamo, però, di poter avere notizie fresche sull’andamento dell’ultimo anno scolastico e per questo abbiamo chiesto ad Emma, la nostra referente ad Adjumako, un aggiornamento sulla situazione, ma siamo ancora in attesa di una sua risposta.

Purtroppo, a causa della pandemia, è stato rimandato anche il viaggio in Ghana che alcuni di noi avevano programmato per fine agosto.

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Ed ora, dal Guatemala, qualche nota curata da Dino Poli e Aldo Corradi:

1 – P. Clemente e Nicolasa (i nostri referenti) ci dicono che attualmente il problema più grave è dato dall’aumento delle persone che non hanno la possibilità di alimentarsi. La fame è una tragedia che grava su molte famiglie. E’ causata dalla mancanza di lavoro e dai limiti imposti dall’emergenza Covid-19: il blocco di molte attività, la riduzione dei mercati paesani, l’impossibilità di spostarsi o di recarsi (per molti stagionali) sulla costa del Pacifico per la raccolta dei prodotti agricoli ecc. causano situazioni veramente difficili.

Nicolasa e p. Clemente hanno acquistato (grazie anche al nostro contributo) mais e fagioli che hanno consegnato alle persone più bisognose. P. Clemente ha scritto anche che un tornado ha colpito la loro regione e ha causato danni notevoli: case (catapecchie) crollate, frane, allagamenti.

2 – Una bella notizia, che hanno accolto con grande piacere, riguarda la decisione del Coordinamento Nazionale della Rete RR che ha deciso di sostenere con 3000 euro annui per 2 anni (ma probabilmente saranno tre) il “Progetto del Fondo parrocchiale di Microcredito”. Questo progetto ha soprattutto lo scopo di sostenere iniziative di sviluppo e di formazione dei giovani e delle donne della loro comunità, persone che difficilmente possono ottenere finanziamenti dalle istituzioni. Il sostegno di questo progetto è stato possibile grazie all’interessamento dei nostri amici Dino e Silvana.

3 – Per quanto riguarda l’epidemia del coronavirus, in giugno il Guatemala contava già una decina di migliaia di contagi e qualche centinaio di morti (dati ufficiali). Ma le possibilità di rivolgersi ai centri di salute e di cura sono molto scarse, per cui è anche difficile avere il numero reale delle persone contagiate e dei decessi. Si prevede che, alla fine, i contagiati saranno oltre 40.000.

4 – Ci segnalano, infine, un fatto tragico accaduto sabato 6 giugno: l’assassinio di una persona accusata di “stregoneria”. Episodi come questo ci ricordano quanto sia importante l’attività dei nostri amici guatemaltechi per una promozione umana e culturale che porti a orizzonti di giustizia e di pace.

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Vi salutiamo e vi auguriamo una buona estate.

Maria, Gianni, Dino, Aldo, Silvana.

Lettera Giugno-Luglio 2020

Carissima, carissimo,
transizione ecologica, cambiamento nello stile di vita e una forte azione politica nella società sono i tre elementi centrali che hanno caratterizzato la Settimana della Laudato Si appena conclusa.  L’obiettivo è quello di generare una forte contrapposizione alla  “cultura dello scarto”, più volte denunciata da  Papa Francesco, nella convinzione che solo lavorando assieme verso la vera conversione a nuovi stili di vita si possano apportare cambiamenti non più  rinviabili.
Tre sono le dimensioni attraverso le quali viene affrontata la crisi climatica:
La dimensione spirituale per favorire una vera e propria “conversione ecologica”;
la dimensione dello stile di vita invita la famiglia cristiana ad essere d’esempio nel ridurre l’impatto negativo sull’ambiente;
la dimensione della sfera pubblica mira a mettere in discussione il paradigma della “crescita illimitata” e a promuovere l’utilizzo di energie rinnovabili.
L’economia di Francesco, dopo la Laudato si’, ha tracciato di fatto un percorso rivoluzionario di speranza, scandito da alcuni “battiti del tempo” come le Settimane sociali dei cattolici, il “Tempo del creato”, il Sinodo per l’Amazzonia, gli scioperi per il clima della Giornata della Terra, le migliaia di azioni intraprese da tante comunità in tutto il mondo.
In particolare i giovani, sulle orme di Greta, (scendono) mobilitati nelle  piazze per difendere il loro futuro. (Molto è stato approfondito:  dal  respiro della terra alla conversione ecologica.) Nell’omelia della Domenica delle Palme, Francesco ha sottolineato che “la difesa del creato, dell’ambiente in cui viviamo, riguarda direttamente la nostra esperienza di cristiani, ovvero la nostra fede. Non è un aspetto accessorio o secondario!”.
Nel corso del Regina Coeli di domenica 24 maggio, al termine della Settimana Laudato Si, papa Francesco ha lanciato un anno speciale dedicato alla celebrazione dell’anniversario della Laudato Si, augurandosi che questo anno e il decennio a venire possano realmente costituire un tempo di cambiamento, creando un tempo di “Giubileo” per la Terra, per l’umanità e per tutti gli esseri viventi. L’anno di anniversario, aperto con la Settimana Laudato Si 2020, proseguirà con una serie di iniziative a partire dalla Salvaguardia del Creato che porranno l’accento su una “conversione ecologica in azione”. L’urgenza della situazione è tale da richiedere risposte immediate e unificate a tutti i livelli, sia locali che regionali, nazionali e internazionali. In particolare, è necessario creare “un movimento popolare” dal basso, e un’alleanza tra tutti gli uomini di buona volontà.
Come Papa Francesco ci ricorda, “tutti possiamo collaborare come strumenti per la cura della creazione, ognuno con la propria cultura ed esperienza, le proprie iniziative e capacità.” (LS, 14) “Il cammino della Settimana Laudato Si ci ha resi consapevoli e responsabili del destino della nostra Casa Comune e della necessità che ogni uomo sulla terra abbia il diritto e l’opportunità di vivere dignitosamente. In effetti, il Pianeta sta urlando il suo disagio ed altrettanto stanno facendo i poveri, ma nonostante la crescente criticità della condizione umana e della condizione delle risorse naturali, tutto il nostro pensiero, ci piaccia o non ci piaccia, è strutturato attorno all’economia. Si direbbe che nel mondo finanziario sacrificare sia normale. Non abbiamo dato ascolto alle catastrofi parziali. Oggi  (è che) chi parla degli incendi in Australia? (E del fatto che) Un anno e mezzo fa una nave ha attraversato il Polo Nord, divenuto navigabile perché il ghiaccio si era sciolto? (Chi parla) Delle inondazioni? Non so se sia la vendetta della natura, ma di certo è la sua risposta.
È indispensabile rallentare un determinato ritmo di consumo e di produzione (Laudato Si, 191) e imparare a comprendere e a contemplare la natura. E a riconnetterci con il nostro ambiente reale. La traduzione concreta di questa connessione è – come dice papa Francesco – “vedere il povero. Gesù ci dice che ‘i poveri li avete sempre con voi’. Ed è vero. È una realtà, non possiamo negarla. Sono nascosti, perché la povertà si vergogna. Sono là, gli passiamo accanto, ma non li vediamo. Fanno parte del paesaggio, sono cose. Santa Teresa di Calcutta li ha visti e ha deciso di intraprendere un cammino di conversione. Vedere i poveri significa restituire loro l’umanità. Non sono cose, non sono scarti, sono persone. Non possiamo fare una politica assistenzialistica come con gli animali abbandonati. E invece molte volte i poveri vengono trattati come animali abbandonati. Non possiamo fare una politica assistenzialistica e parziale. Mi permetto di dare un consiglio: è ora di scendere nel sottosuolo. È celebre il romanzo di Dostoevskij, Memorie del sottosuolo. E ce n’è un altro più breve, Memorie di una casa morta, in cui le guardie di un ospedale carcerario trattavano i poveri prigionieri come oggetti. E vedendo come si comportavano con uno che era appena morto, un altro detenuto esclamò: «Basta! Aveva anche lui una madre!». Dobbiamo ripetercelo molte volte: quel povero ha avuto una madre che lo ha allevato con amore. Non sappiamo che cosa sia successo poi, nella vita. Ma aiuta pensare a quell’amore che aveva ricevuto, alle speranze di una madre. Noi depotenziamo i poveri, non diamo loro il diritto di sognare la loro madre. Non sanno che cosa sia l’affetto, molti vivono nella dipendenza dalla droga. E vederlo può aiutarci a scoprire la pietà, quella pietas che è una dimensione rivolta verso Dio e verso il prossimo. Scendere nel sottosuolo, e passare dalla società disincarnata, alla carne sofferente del povero, è una conversione doverosa. E se non cominciamo da lì, la conversione non avrà futuro”.
Siamo oggi di fronte ad una ingiustizia climatica, che rileviamo nelle grandi distruzioni (Filippine, Amazzonia, Australia,… solo per citarne alcune) come nella costante e quotidiana aggressione del Creato per interessi speculativi. La Laudato Si rappresenta, rispetto a tutto questo e rispetto all’incapacità dei Governanti di trovare soluzioni credibili ed efficaci, il faro verso cui dirigersi, ci fa comprendere a quale Speranza siamo chiamati. “Dio, che ci chiama alla dedizione generosa e a dare tutto, ci offre le forze di cui abbiamo bisogno per andare avanti. Nel cuore di questo mondo rimane sempre presente il Signore della vita che ci ama tanto. Egli non ci abbandona, non ci lascia soli, perché si è unito definitivamente con la nostra terra, e il suo amore ci conduce sempre a trovare nuove strade (L.S. 245)”.
Scegliere la Laudato si vuol dire assumersi concretamente ed in prima persona l’impegno a seguire quella strada con tutte le nostre forze, andando allo stesso tempo lentamente e velocemente. La “lentezza” è legata al bisogno di spiritualità, di ringraziamento per il dono della Vita e del Creato, perché “la continua accelerazione dei cambiamenti dell’umanità e del pianeta si unisce oggi all’intensificazione dei ritmi di vita e di lavoro. Gli obiettivi di questo cambiamento veloce e costante non necessariamente sono orientati al bene comune e a uno sviluppo umano, sostenibile e integrale”. Di fronte all’andamento del mondo, vi è la “grande ricchezza della spiritualità cristiana, generata da venti secoli di esperienze personali e comunitarie…Non si tratta tanto di parlare di idee, quanto soprattutto delle motivazioni che derivano dalla spiritualità al fine di alimentare una passione per la cura del mondo. Infatti non sarà possibile impegnarsi in cose grandi soltanto con delle dottrine, senza una mistica che ci animi, senza «qualche movente interiore che dà impulso, motiva, incoraggia e dà senso all’azione personale e comunitaria».
La parola chiave per vivere la spiritualità è che l’azione personale non basta, occorre quella comunitaria, il reciproco sostegno per scelte forti e coraggiose che nascono dalla riflessione comune. Se «i deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, è perché i deserti interiori sono diventati così ampi». Dobbiamo anche riconoscere che alcuni cristiani impegnati e dediti alla preghiera, con il pretesto del realismo e della pragmaticità, spesso si fanno beffe delle preoccupazioni per l’ambiente. Altri sono passivi, non si decidono a cambiare le proprie abitudini e diventano incoerenti. Manca loro dunque una conversione ecologica, che comporta il lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che li circonda. Vivere la pratica di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana.(L.S. 216-217)
Accanto e dopo la spiritualità, va sviluppata “velocemente” l’azione, “le previsioni catastrofiche ormai non si possono più guardare con disprezzo e ironia. Potremmo lasciare alle prossime generazioni troppe macerie, deserti e sporcizia. Il ritmo di consumo, di spreco e di alterazione dell’ambiente ha superato le possibilità del pianeta, in maniera tale che lo stile di vita attuale, essendo insostenibile, può sfociare solamente in catastrofi, come di fatto sta già avvenendo periodicamente in diverse regioni. L’attenuazione degli effetti dell’attuale squilibrio dipende da ciò che facciamo ora, soprattutto se pensiamo alla responsabilità che ci attribuiranno coloro che dovranno sopportare le peggiori conseguenze. (L.S. 161)”.
Se non si arriva a questa formulazione concreta noi siamo dei teorici che però, con la loro vita, scacciano quello che affermano, perché la paura dell’altro è la malattia peggiore che esista nella società. Quanto più uno si difende, tanto più parla della gratuità, perché deve coprire la sua difesa. Il problema lo risolviamo solo se diventiamo noi un mondo nuovo, quel mondo che è secondo il cuore di tutti gli uomini; lo risolviamo solo se creiamo una nuova umanità, basata sull’amore veramente gratuito.

Il Brasile registra il record di 1.349 decessi in un solo giorno, per un numero totale di vittime che ha ormai superato i 40.000. La Nazione carioca si conferma così il secondo Paese al mondo con il maggior numero di morti dopo Usa. Un trend costantemente in crescita le cui reali dimensioni non sono però quelle ufficiali.
Favelas:
Preoccupa infatti la vasta sacca di “invisibili” delle favelas, le baraccopoli brasiliane costruite generalmente alla periferia delle maggiori città. Problemi comuni in questi quartieri abusivi sono il degrado, la criminalità diffusa e gravi problemi di igiene pubblica dovuti alla mancanza di idonei sistemi di fognatura e acqua potabile. Sebbene le più famose fra esse siano localizzate nei sobborghi di Rio de Janeiro, vi sono favelas in tutte le principali città del paese. Rio, con oltre 1000 favelas, è la città con più favelas di tutto il Brasile. Il numero delle persone che vive in favela a Rio è molto elevato: secondo lo studio realizzato del Comune “Favelas nella città di Rio de Janeiro: il quadro della popolazione che ci vive in base al Censimento del 2010”, il 29% dei 6 milioni e mezzo di abitanti di Rio de Janeiro vive qui. Poco si sa dei contagi e dei decessi effettivi in queste “città nella città”.
Tensioni politiche
A preoccupare non è solo il coronavirus, ma le grosse tensioni politiche che sta vivendo il Paese dall’elezione di Jair Bolsonaro, Presidente del Brasile dal 1º gennaio 2019, in seguito alla caduta di Lula. Il nuovo presidente ha prima sottovalutato la pandemia definendola “una semplice influenza”; poi, di fronte alle cifre ufficiali che fanno del Brasile il secondo Paese più colpito al mondo dopo gli Usa, ha dichiarato che “tanto moriremo tutti”: “Mi dispiace per tutti i morti, ma è la fine di tutti noi”, ha detto ieri a una sua sostenitrice.  Intanto, la gente scende in piazza per chiedere più democrazia. La miccia delle proteste popolari è scattata dopo le accuse mosse dall’ex-ministro della giustizia e della sicurezza Sergio Moro proprio a Bolsonaro; secondo Moro quest’ultimo avrebbe cercato di “interferire” con le indagini della polizia. Lo scorso aprile un giudice della Corte Suprema brasiliana ha ordinato un’indagine sulle accuse mosse dall’ex ministro contro il presidente concedendo alla polizia federale 60 giorni per interrogare Moro sulle sue accuse esplosive. L’inchiesta potrebbe sfociare in una richiesta di rinvio a giudizio per Bolsonaro o in un atto d’accusa contro Moro per falsa testimonianza. Moro, ex giudice anticorruzione, si è dimesso dopo essersi scontrato con Bolsonaro sul licenziamento del capo della polizia federale.
La testimonianza
“Nel bel mezzo della pandemia dilagante, con tutte le curve di infettati e deceduti ancora in forte crescita la società brasiliana deve affrontare problemi ancora più gravi che mettono in forse la giovane democrazia del paese. Il presidente Bolsonaro infatti non vuole lockdown, non invita a proteggersi, prende in giro chi si preoccupa del coronavirus. Contravvenendo alle più semplici norme contro la pandemia, accorre a salutare e sostenere i pochi manifestanti (le statistiche danno ormai i suoi fans sotto il 30%) che periodicamente si accalcano davanti al suo palazzo (con striscioni contro parlamento e suprema corte di giustizia) sorvolandoli con l’elicottero o esibendosi in una galoppata prendendo a prestito un cavallo dalla sua scorta della polizia. Così, mentre generali e malavita acquistano sempre più potere, l’epidemia impazza e a subirne gli effetti sono soprattutto i diseredati degli slum”.
Le accuse di Moro
“Il disegno del presidente si rivela con sempre maggior chiarezza a causa delle accuse dell’ex-ministro della giustizia Sergio Moro che, dopo aver propiziato l’elezione di Bolsonaro, processando con accuse da farsa l’ex-presidente Lula suo maggior competitor, si è dimesso quando lo stesso presidente ha sostituito i vertici della polizia con suoi amici fidati. Rivela ora Moro che poco tempo prima Bolsonaro aveva intenzione di legiferare per permettere alla popolazione di armarsi liberamente come accade negli Usa. Collegando questa intenzione agli slogan della sua campagna elettorale (basati sui gesti di imbracciare pistole e fucili) alla ripetuta dichiarazione che dovessero morire 30.000 persone, assieme al suo confessato “sogno” di eliminare la sinistra dal Paese, diventa palese il suo recondito disegno di provocare una guerra civile per raggiungere i suoi scopi di potere assoluto”.
Guerra civile
“Non si giudichi esagerato il termine ‘guerra civile’ – puntualizza il prof. Tosti – perché questa in alcune megalopoli del Brasile e specialmente a Rio de Janeiro è una realtà permanente. Nelle quotidiane sparatorie tra polizia e trafficanti di droga che avvengono nelle ‘favelas’ chi ne fa le spese è la popolazione indifesa: i morti tra i civili, in special modo giovani neri, si contano con cadenza quasi settimanale. In uno degli ultimi casi, avvenuto il 18 maggio scorso, la polizia ha mitragliato con con armi pesanti una casa al cui interno giocavano dei bambini uccidendo João Pedro di 14 anni. Le mura, fatte di mattoni forati come tutte le case dei poveri, sono state colpite da 70 proiettili, sbriciolandosi. La morte di un innocente di soli 14 anni e il ferimento di altri bambini ha sollevato sconcerto. Ma qui – evidenzia il professore – non accade quello che si sta vendendo in questi giorni negli Usa a causa dell’omicidio dell’afroamericano George Floyd, con migliaia di persone che scendono in strada a protestare nonostante la proibizione. Qui solo alcuni parenti hanno avuto il coraggio di protestare. Gli altri, forse troppo assuefatti alle ingiustizie quotidiane, sono restati in silenzio“.
Milizia
“Oltre a questo nelle favelas e nelle periferie delle metropoli esiste un’altra realtà minacciosa: si tratta della ‘milizia’, una specie di mafia primordiale costituita da ex-militari e poliziotti riformati o cacciati, che governano tutta la vita commerciale ed economica dei quartieri, compreso lo spaccio. E proprio a questa milizia sembra sia legata la famiglia Bolsonaro, sia per parte dei suoi figli che della attuale terza moglie. Recenti indagini stanno portando alla luce che sono state le milizie i mandanti dell’uccisione dell’attivista per i diritti dei neri Marielle Franco avvenuta il 14 maggio 2018. Così come della possibile correlazione tra persone vicine a Bolsonaro e il cosiddetto ‘gabinetto dell’odio’, un gruppo di bloggher che, dalle elezioni del 2019 in poi, hanno diffuso sul web menzogne e fake news contro gli avversari politici di Bolsonaro e anche contro le istituzioni dello stato e i suoi rappresentanti lontani dalle idee del 38º presidente della Repubblica Federale del Brasile, eletto il 28 ottobre scorso col 55,13% dei voti. E proprio tali indagini avrebbero portato il presidente a voler controllare la polizia decapitando e sostituendone i vertici con i suoi ‘amici’. Ma finalmente i massimi vertici sia del parlamento che della magistratura, avendo percepito il pericolo di una nuova dittatura di destra a cui sono esposti, stanno correndo ai ripari accelerando le indagini e prendendo i primi provvedimenti restrittivi verso gli autori di tali misfatti”.
Rivoluzione
“Nel frattempo, anche la società si sta risvegliando: dopo le quasi accademiche ‘padellate’ (abitudine di battere sulle padelle a mo’ di tamburo dalle finestre dei palazzi in segno di protesta contro il governo), ora è iniziata la mobilitazione di cittadini giovani e meno giovani che scendono in piazza in molte città a difesa della democrazia e le sottoscrizioni di richiesta di impeachment da parte di associazioni pubbliche e private si moltiplicano. Insomma, il coronavirus è solo uno dei molti problemi del grande Paese latinoamericano ma ne rappresenta le evidenti contraddizioni interne. Sono infatti soprattutto i poveri a pagare per le tante ingiustizie sociali, come il limitato accesso alle cure e ai tamponi. Un prezzo altissimo che pagano sulla propria pelle“.
Il Brasile è in ginocchio: si rischiano 29 milioni di nuovi poveri. L’economia è sulla soglia della debacle. In Brasile e in molti Paesi dell’Amaerica latina il quadro già compromesso prima del Covid-19: in Sud America prende forma la possibile crisi del secolo con il Brasile capofila. Un rischio enorme per popoli che, prima della pandemia, avevano vissuto un periodo di gravissima crisi sociale, fra piazze, cortei, scontri e carovita che li aveva messi in ginocchio. Metterci il corpo è diventata la linfa delle piazze del mondo. Giovani, donne e attivisti di ogni età, continente, etnia e religione chiedono un’altra umanità. Queste manifestazioni indicano con chiarezza fame e sete di giustizia. Fisicità in marcia verso il nuovo come la forza straripante di un fiume in piena, pressione costante sui regimi di turno.
Il Virus ci ha barricato in casa togliendo fiato oltre a chi è deceduto, alle proteste popolari, rimpolpando le autorità che hanno in mano le redini del potere, dando respiro ai loro regimi più o meno militarmente arroccati, con eserciti che tengono in casa la gente per silenziarla e disperderla.
Di fronte a tutto ciò dobbiamo reagire formando una coesione culturale, sociale, politica ed economica affinchè si comprenda che nessuno si salva da solo. oggi urge entrare con scelte chiare e nette, con il corpo nella pratica solidarietà.
Il segreto per fare ciò è assumere dentro di noi l’amore. Perchè non c’è vita persa quando hai amato.
Quando si ama non è mai buio.
Antonio

Circolare nazionale Rete Radié Resch – luglio agosto 2020

A cura della Rete di Casale Monferrato

Carissimi tutti,

la riflessione che, come gruppo, proponiamo a tutti i gruppi della Rete nasce dalla nostra discussione del 21 giugno, la prima nuovamente in presenza (all’aperto, a Quarti) dopo la lunga pausa dovuta alla epidemia di Covid e ai conseguenti divieti. A causa di queste norme è stato rinviato, tra l’altro, il convegno nazionale a Rimini (indicativamente riproposto nel 2021) e sono stati trasformati in incontri on-line i coordinamenti nazionali di questa primavera.

Nel nostro incontro abbiamo parlato, fra le altre cose, di scuola. Una scuola che in Italia è stata coinvolta in una chiusura prudenziale che ha suscitato malumori, ma poche riflessioni approfondite. Per lo più si è parlato della collocazione dei figli al momento in cui i genitori ritornano al lavoro, accentuando la percezione della scuola come forma di parcheggio sociale. Da parte dell’istituzione le difficoltà organizzative si sono sovrapposte ad una certa ossessione per la sicurezza (sia sul fronte normativo, sia sul fronte delle attese dei genitori).

Ora si è aperta una riflessione sugli spazi scolastici, nella prospettiva di un rientro a settembre. Gli edifici adibiti a scuole scontano però investimenti modesti negli anni, non facilmente recuperabili nel corso di una estate. Inoltre una scuola bloccata sull’organizzazione attuale della didattica, di fatto rende impossibile evitare assembramenti e contatti ravvicinati fra gli alunni. Mancano idee nella direzione di una scuola più aperta e mancano gli investimenti per realizzarla.

In questi mesi molti insegnanti hanno lavorato con impegno nella direzione della didattica a distanza e si sono resi conto delle ambiguità di questo modello. Non solo per le difficoltà tecnologiche (che ci sono, ma si possono superare), ma per le carenze motivazionali di molti ragazzi, soprattutto di quelli più fragili. In una situazione relativamente più “libera” occorre che i ragazzi stessi trovino motivazioni intrinseche all’apprendimento e per queste motivazioni occorre il supporto non solo della famiglia, ma anche del clima sociale nel suo complesso. Più che di un aiuto per i compiti, i ragazzi hanno bisogno di percepire nel loro contesto che la scuola è importante e vale la fatica che richiede. Nessun approccio accattivante della didattica può annullare il momento dello sforzo che aiuta a crescere (e per certi aspetti questo sforzo implica momenti di rifiuto e di ribellione che vanno elaborati).

Crediamo sia importante riprendere la questione scolastica, anche come forma di “restituzione” ai nostri ragazzi, a cui viene chiesto molto, in termini di formazione e di occupazione, pur essendo loro stessi meno coinvolti nelle implicazioni sanitarie di questa pandemia.

In chiusura crediamo sia doveroso ricordare, a 25 anni dalla morte, la figura di Alexander Langer, soprattutto per chi ha incontrato questo appassionato costruttore di ponti in alcuni momenti della propria formazione umana ed intellettuale.

Vi sentiamo vicini, come sempre, vi auguriamo un’estate serena.

Arrivederci a settembre.

Per la Rete di Casale

Roberto, Beppe e Cristiana

Circolare nazionale di Giugno 2020 – A cura della Rete di Salerno

Inventare e osare

Nel periodo di pausa forzata, oltre al dolore, la paura, la solitudine e l’insofferenza per le restrizioni, forse si son potuti vivere anche stati d’animo positivi: lentezza, silenzio, voce della natura, spazio e tempo per sé e per gli altri.

In molti abbiamo pensato che forse questa dolorosa esperienza poteva essere anche l’occasione per rinsavire, per renderci conto di quanto siamo schiavi di una corsa verso un benessere apparente che ci toglie anima ed energie per stare bene con sé stessi, con gli altri, con il pianeta.

La pandemia ha fatto emergere ancora di più i grandi danni di questo sistema (sanità, scuola…) e soprattutto le enormi disuguaglianze che produce sempre più.

Sembrava che anche la politica (o meglio la partitica) volesse far frutto di tutto ciò e ripartire in modo diverso…ma alla fine a prevalere è stato ancora una volta il profitto.

Finito questo periodo, infatti, ci rendiamo conto che tutto sta tornando, anche con una certa fretta, a quella normalità che non ci piace, perché ci calpesta tutti, soprattutto gli ultimi, continuando anche a produrne.

Ma non è mai detta l’ultima parola! Sono state tante, in questo periodo, le riflessioni e le letture che ci hanno sollecitato a non desistere, ma ad unirci per inventare ed osare.

Questa consapevolezza purtroppo non è ancora di tutti, ma da quanto ascoltato nei nostri video-incontri, sembra che la Rete sia proprio in questa scia.

Prima di tutto abbiamo osato le video conferenze, nonostante le resistenze e la poca familiarità con questi mezzi. (Qui WhatsApp ci avrebbe fatto inserire tante faccine sorridenti)

Ma ancora più importante è stato ascoltare l’esigenza di chiederci come “stare” in questo momento e come minimamente incidere, come essere Rete adesso.

Forum, comunità, nuovi stili di vita…parole e concetti emersi nei nostri ultimi incontri; tutto il lavorio, poi, che si avvia per una nuova forma di segreteria: breve, a staffetta, itinerante, giovane…danno un grande senso di laboratorio e, permettete, anche di spiritualità, intesa come alimento dell’agire.

Senza idolatrare, allora, la nostra realtà, osiamo intraprendere un nuovo cammino per essere rete nelle reti, per inventare spazi comuni nuovi, per un’appassionata politica di base.

Costruire qui certi percorsi, come ci dicevano Paul ed Ettore, significa dare un respiro più ampio al nostro contributo nei Sud del mondo e soprattutto contribuire ad amorizzarlo (citando Arturo Paoli).

Ognuno di noi ha letto ed ascoltato tanto in questi mesi e per fortuna anche testimonianze concrete e positive di un’altra normalità, e così le sollecitazioni sono tante. Abbiamo, inoltre, alcuni dei nostri progetti che sono veri e propri esempi di costruzione di comunità consapevoli e partecipative.

Non temiamo allora di pensare ad una nuova operazione, forse propedeutica a tutte le altre: un laboratorio di laboratori fisici e virtuali, di relazioni, contatti, idee, proposte.

Insieme per inventare e osare.

A cura di Lucia Capriglione

Rete di Salerno

 

«Le cose più importanti del mondo non vanno cercate, vanno attese»
(Simone Weil).

Carissime/i,
che notizie possiamo darvi in questo difficile e preoccupante momento? Della nostra realtà possiamo dire che, sappiamo quello che ci dicono i giornali, la tv e gli “esperti” dei dibattiti radiotelevisivi. Ma, le notizie che leggerete in questa lettera ci raccontano di drammatiche storie e di “eroi” che, con il loro impegno cercano di sopperire alle carenze di uno Stato che non esiste e l’importanza del nostro aiuto economico. Per dare sostanza alle parole abbiamo inviato, come contributo straordinario “emergenza coronavirus”, la somma di 1.000 €.

Lettera di maggio 2020 dalla Rete di Macerata Maria Cristina Angeletti

Sono confuso, ho paura, ho sbagliato.

Non dovevo usare quelle banconote false, ma ero disperato.

Sono seduto nella mia auto, so di essere nei guai. Li vedo dallo specchietto che si avvicinano.

Non mi muovo.

In quattro mi tirano fuori con la forza, mi spingono contro un muro, finisco a terra.

Quando mi rialzo mi strattonano, mi dicono che devo seguirli nella loro macchina, oppongo resistenza, mi trascinano via, cado di nuovo.

Sono agitato, in tre mi sono addosso. Uno di loro ha infilato il ginocchio tra la mia spalla e la testa. Mi schiaccia il collo, comincia a mancarmi l’aria.

Poco a poco i miei polmoni iniziano a buttare fuori quel poco di aria che ne è rimasta in circolo.

Ho paura, ma soprattutto ho fame di ossigeno e comincio a supplicare…

Fermati, fermati. Non ho fatto niente di serio… Per favore, per favore, non riesco a respirare.

Per favore amico, per favore.

Non riesco a respirare.

Non ri- e- sco – a – re – spi – ra – re.

Non ho più la forza di dir nulla…

Non riesco a muovermi.

Ho finito l’aria.

Ho finito…

Mi sento schiacciato,

mi fa male il collo,

mi fa male lo stomaco,

mi fa male il petto.

Tutto fa male.

Mi stanno uccidendo.

Sono morto.”

Cari amici,

George Floyd, una vittima di un abuso di potere e della violenza di un tutore della legge, era un essere umano, un figlio, un fratello, un marito, un padre. Che sia morto per asfissia causata dall’essere bloccato a terra dall’agente accusato del suo omicidio, o per le sue patologie pregresse (coronaropatia e ipertensione), sta di fatto che il suo decesso è stato provocato da quell’azione violenta. Il 46enne afro americano, ex buttafuori ora disoccupato, viene fermato dalla polizia di Minneapolis; Floyd avrebbe comprato le sigarette usando una banconota falsa, viene arrestato dalla polizia e fatto sdraiare con la faccia a terra nonostante non opponesse resistenza, i video girati dai passanti mostrano quattro agenti inginocchiati sul corpo di Floyd che si lamenta perché non respira. I quattro agenti coinvolti nell’arresto vengono licenziati, mentre quello che teneva il ginocchio sul collo di Floyd viene arrestato con l’accusa di omicidio. Vengono fatte due autopsie: una ufficiale che attribuisce il decesso a patologie pregresse, un’altra voluta dalla famiglia dichiara “ asfissia causata da compressione al collo e alla schiena”. La protesta contro le violenze della polizia di Minneapolis si diffonde in tutti gli USA, ma anche nel resto del mondo. Alcune diventano violente con feriti fino alla dichiarazione di coprifuoco in diverse città americane. Incendi, saccheggi nei negozi, scontri con la polizia continuano anche a distanza di giorni dal fatto. Avvengono aggressioni sui poliziotti. In tanti manifestano pacificamente, anche alcuni poliziotti.

Per morire soffocato o riportare danni irreparabili, un adulto in buona salute impiega tra i 4 e i 6 minuti. George Floyd, un omone di quasi due metri, ha resistito 9 minuti, 540 secondi con un ginocchio che gli schiacciava il collo mentre disperato continuava a dire che non poteva respirare. E il suo aggressore non era un criminale comune. No. Era un poliziotto. O almeno questo diceva il suo distintivo. Invece questo individuo ha assistito alla sua fine con le mani in tasca. Eppure quello che stava morendo sotto al suo sguardo non era uno sconosciuto ma, secondo indiscrezioni, una persona con cui, quando non indossava ancora la divisa, aveva anche lavorato, erano addetti alla sicurezza in un live club.

Un agente di polizia bianco che stava uccidendo un uomo nero sogghignando e guardando l’obiettivo di uno smartphone che immortalava per sempre quell’orrore.

“Se prevedi per un anno, semina il riso, se prevedi per dieci anni, pianta un albero, se prevedi per cento anni, apri una scuola”.
proverbio cinese.

Carissime e carissimi, in questo preoccupante periodo, dove diventa tutto difficile, anche il ritrovarsi fisicamente, e per non interrompere le nostre amichevoli comunicazioni mensili, ci possono aiutare queste brevi comunicazioni con Haiti e la bella lettera di papa Francesco indirizzata ai movimenti popolari.

Ciao a tutte e tutti, il 24 aprile ricorre il decimo anniversario dell’assassinio di Dadoue. Purtroppo le disposizioni per contenere il contagio del covid19 ci impediscono di trovarci come facevamo ogni anno per ricordare questa donna che tanto ci ha donato con la sua vita e riflettere su come continuare il cammino che abbiamo iniziato con lei. Dadoue aveva un sogno, che le contadine e i contadini che vivono sulla montagna non soffrissero più per la fame, le malattie, l’emarginazione; ha continuato a sognare, a immaginare un futuro diverso, a vivere per attuarlo quando c’era la dittatura, quando i sogni del cambiamento politico naufragavano nella corruzione e nella sete di potere, quando i caschi blu, invece di stabilizzare il paese, si comportavano da occupanti, quando uragani e terremoti squassavano il paese, quando la violenza dei potenti uccideva i contadini, rubava loro la terra, li imprigionava e
torturava se cercavano di ribellarsi. Questa è l’eredità che ha lasciato: continuare a sognare, a immaginare il futuro, a vivere il cambiamento, a farlo insieme, nonostante tutto, nonostante le crisi, nonostante i politici sempre più lontani dalla realtà, spesso corrotti e interessati solo al loro potere, nonostante aumentino l’impoverimento e la disuguaglianza sociale. Organizzarsi, fare rete, agire insieme, costruire alternative che permettano di intravvedere possibili cambiamenti è faticoso, ma è l’unica via per continuare a sognare. Questo oggi più che mai, quando questa pandemia ci ha costretto ad aprire gli occhi sulla nostra fragilità, la nostra vulnerabilità e sulla fragilità e la vulnerabilità del nostro pianeta sempre più minacciato dalla devastazione che l’umanità continua a portare avanti senza preoccuparsi del futuro dei suoi figli.

Carissima, carissimo,
uno dei fenomeni più inquietanti degli ultimi anni è l’ascesa spettacolare, in tutto il mondo, di governi di destra, autoritari e reazionari, in alcuni casi con tratti neofascisti: Shinzo Abe (Giappone), Modi (India), Trump (USA), Orban (Ungheria) e Bolsonaro (Brasile) sono gli esempi più noti. Non sorprende che molti di loro abbiano reagito assurdamente alla pandemia di coronavirus, negando o sottovalutando drammaticamente il pericolo. Donald Trump nelle prime settimane ha clamorosamente ignorato le misure da adottare, il suo discepolo inglese, Boris Johnson, proponeva di lasciare che la popolazione nel suo insieme venisse contagiata, al fine di “immunizzare collettivamente” l’intera nazione. Di fronte alle gravi conseguenze, l’aumento vertiginoso delle morti, i due hanno dovuto arretrare, nel caso di Boris Johnson, essendo lui stesso gravemente colpito. Quando si é animati da valori di solidarietà, viene quasi spontaneo volgere lo sguardo verso il sud. E’ una sorta di simpatia immediata verso quelle terre baciate dal sole e da una maggiore spontaneità di relazione e aiuto reciproco. Un Sud del mondo che abbiamo cercato di addomesticare, che ci immaginiamo arcaico e arretrato ma, che è stato rastrellato e spogliato ad arte delle proprie ricchezze. Un Sud esportatore di manodopera a basso costo, un Sud pieno di cultura, di paesaggi, meraviglie dei mari e della terra. Quanta ricchezza consumata per il solo piacere di depauperare intere Nazioni. Il caso del Brasile diventa così speciale, perché il personaggio del Palácio da Alvorada persiste nel suo atteggiamento “negazionista”, caratterizzando il coronavirus come un “gripezinha” “piccola cosa”, una definizione che merita di andare negli annali, non di medicina, ma di follia politica. Questa follia ha la sua logica, che è quella del “neofascismo”. Il neofascismo non è una ripetizione del fascismo negli anni ‘30, è un nuovo fenomeno, con caratteristiche di questo 21° secolo. Non assume la forma di una dittatura della polizia, non si basa su truppe d’assalto armate, come lo erano la SA tedesca o il Fascio italiano. Rispetta alcune forme democratiche: elezioni, pluralismo dei partiti, libertà di stampa, esistenza di un parlamento, ecc. Naturalmente cerca, per quanto possibile, di limitare al massimo queste libertà democratiche, con misure autoritarie e repressive. Questo vale anche per Bolsonaro: il suo neofascismo è pienamente identificato con il neoliberismo e mira a imporre una politica socioeconomica favorevole all’oligarchia, senza nessuna delle pretese “sociali” dell’antico fascismo. Uno dei risultati di questa versione fondamentalista del neoliberismo è lo smantellamento del sistema sanitario pubblico brasiliano (SUS), già molto indebolito dalle politiche dei precedenti governi. In queste condizioni, la crisi sanitaria derivante dalla diffusione del coronavirus può avere conseguenze tragiche, soprattutto per le fasce più povere della popolazione. Un’altra caratteristica del neofascismo brasiliano, nonostante la sua retorica ultranazionalista e patriottica, è di essere completamente subordinato all’imperialismo americano, da un punto di vista economico, diplomatico, politico e militare. Si è visto in particolare nella reazione al coronavirus, quando Bolsonaro e i suoi ministri, seguendo l’esempio di Donald Trump, incolparono i cinesi per l’epidemia. Ciò che Bolsonaro ha in comune con il fascismo classico è l’autoritarismo, una preferenza per le forme dittatoriali di governo, il culto del Capo (“Mito”) Salvatore della Patria, l’odio per la sinistra e il movimento operaio. Nonostante l’impegno non è in grado di organizzare un partito di massa. Né è in grado, per il momento, di stabilire una dittatura fascista, uno stato totalitario, chiudendo il Parlamento e mettendo fuori legge i sindacati e i partiti di opposizione. L’autoritarismo di Bolsonaro si manifesta nel suo “trattamento” della pandemia, cercando di imporre, contro il Congresso, i governi statali e i loro stessi ministri, una cieca politica di rifiuto delle misure sanitarie minime, indispensabili per limitare le drammatiche conseguenze della crisi (confinamento, ecc). Il suo atteggiamento evidenzia l’importanza della sopravvivenza del più forte. Se muoiono migliaia di persone vulnerabili -gli anziani, le persone in salute fragile- è il prezzo da pagare, dopo tutto, “il Brasile non può fermarsi!”. Un aspetto specifico del neofascismo bolsonarista è il suo oscurantismo, il suo disprezzo per la scienza, in alleanza con i suoi sostenitori incondizionati, i settori più arretrati del neo-pentecostalismo “evangelico”. E’ il caso di Bolsonaro e dei suoi amici ministri e pastori neopentecostali (Malafala, Edir Macedo, ecc.) per loro è davvero magia o superstizione: fermare l’epidemia con “preghiere” e “digiuni” … Nonostante il comportamento delirante del spregiudicato personaggio, attualmente installato nel Palácio da Alvorada e la minaccia che pone alla salute pubblica, una parte significativa della popolazione brasiliana lo sostiene ancora, in misura maggiore o minore. Secondo recenti sondaggi, solo il 27% degli elettori che hanno votato per lui è dispiaciuto per il loro sostegno. La lotta della sinistra e delle forze popolari brasiliane contro il neofascismo è ancora agli inizi; ci vorranno più di alcune belle proteste in casseruola per sconfiggere questa formazione politica teratologica. Va bene, prima o poi il popolo brasiliano si libererà da questo incubo neofascista ma, quale sarà il prezzo da pagare fino ad allora? Il 20 aprile Bolsonaro ha rilasciato una dichiarazione significativa. Ha detto che circa “il 70% della popolazione sarà infettata da Covid-19, questo è inevitabile”. Naturalmente, seguendo la logica dell’ “immunizzazione di gruppo” (proposta iniziale di Trump e Boris Johnson, successivamente abbandonata), ciò potrebbe forse accadere. Ma sarebbe “inevitabile” se Bolsonaro riuscisse a imporre la sua politica di rifiuto delle misure di confinamento: “Il Brasile non può fermarsi”. Quali sarebbero le conseguenze? Il tasso di mortalità per Covid 19 in Brasile è attualmente del 9% della popolazione contagiata. Un piccolo calcolo aritmetico porterebbe alla seguente conclusione: (1) Se il 90% della popolazione brasiliana fosse contaminata, sarebbero 180 milioni di persone. (2) La mortalità del 9% di 140 milioni produce 13 milioni. (3) Se Bolsonaro riuscisse a imporre la sua guida, il risultato sarebbero (stati) tredici milioni di brasiliani uccisi. Questo è chiamato, in linguaggio criminale internazionale, genocidio. Per un crimine equivalente, diversi dignitari nazisti furono impiccati dal Tribunale di Norimberga. Ecco che si levano dalle spiagge assolate del Sud del mondo rappresentati dei tanti Movimenti Popolari con cui papa Francesco, in particolare i Movimenti Senza Terra, si sta confrontando. Costituiscono quei granelli di sabbia in grado di inceppare gli ingranaggi del potere. Se questa nostra società si vuole salvare dovrà volgere lo sguardo a Sud, per ricucire quello strappo che continua a farci male. Ecco perché noi stiamo combattendo il sistema che consente ad un pugno di uomini sulla Terra di dirigere tutta l’umanità. Oggi urge sostenere il Movimento Sem Terra del Brasile!

Antonio

“Se voi però avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri” don Lorenzo Milani, “L’obbedienza non è più una virtù”

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