CIRCOLARE NAZIONALE DICEMBRE 2016 – RETE DEL TRENTINO

UTOPIA E RESPONSABILITÀ

Bisogna coltivare ogni giorno l’utopia e ispirarsi all’utopia in ogni azione quotidiana. Ma ci sono alcuni momenti nella vita in cui su tutto, anche sull’utopia, dovrebbe prevalere il principio di responsabilità.

Non è la massima di qualche filosofo, è una regola personale che mi sono costruito un po’ alla volta, riflettendo sull’impegno sociale e politico che anima anche noi della Rete, e che vorrei condividere con voi, anche se probabilmente non tutti saranno d’accordo con me. Ma è sempre utile confrontarsi. Approfitto della richiesta che mi è stata fatta, un po’ in extremis, di scrivere la circolare di dicembre, per esprimere alcune mie riflessioni personali anziché riferire su cose concrete come quelle raccontate dagli amici di Castelfranco Veneto nella bellissima circolare di novembre.

Anche noi come Rete trentina stiamo portando avanti iniziative concrete, con grande impegno e fatica, per dare il nostro contributo ai progetti di accoglienza dei tanti profughi e richiedenti asilo che arrivano ogni giorno. In questi anni di lavoro, in cui abbiamo incontrato tante difficoltà, burocrazia, ostilità, indifferenza e delusioni, se non fossimo stati mossi dall’utopia probabilmente ci saremmo arresi. E questo vale in generale per tutta la Rete, che da oltre 50 anni continua ostinatamente nella sua utopia nonostante sconfitte, fallimenti, senso di impotenza.

Perché nella mia riflessione iniziale contrappongo l’utopia al principio di responsabilità? Perché l’esperienza dimostra che ci sono momenti in cui si tratta di scegliere tra mali minori e mali peggiori. Il principio di responsabilità, cardine del pensiero del filosofo Hans Jonas, tedesco di origine ebraica, naturalizzato americano, riguarda soprattutto il rapporto tra l’uomo e l’ambiente naturale e si può sintetizzare nella massima: “Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la sopravvivenza di un’autentica vita umana sulla terra”.

Ma questo principio si adatta a tutte le attività umane e in particolare alla politica. Negli ultimi tempi abbiamo assistito a comportamenti elettorali (Trump, Brexit …) in cui si intuisce che l’elemento determinante per la scelta degli elettori è stata la rabbia, un’emozione negativa che sta sostituendo motivazioni che in passato orientavano il voto, come l’idealismo, l’ideologia, il bene comune, o anche semplicemente motivi più terra terra, come l’interesse privato o il tornaconto personale. La democrazia sta attraversando una fase di stanchezza pericolosa: molte persone ritengono che andare a votare non sia poi così importante, che tanto le cose non cambiano mai, che votare l’uno o l’altro sia la stessa cosa. E’ proprio in questa apatia che si inseriscono gli avventurieri e i demagoghi. Si presentano come il pifferaio magico della fiaba, che promette mari e monti ma che alla fine porta tutti alla rovina. La storia è ricca di derive simili: basti pensare all’ascesa al potere di Hitler in Germania e di Mussolini in Italia. Spesso ci chiediamo come sia stato possibile e ci illudiamo che non possa più capitare. La delusione, il rancore, il risentimento si innestano sulla crisi economica, sull’ aumento delle disuguaglianze, sulle frustrazioni personali e sociali. La rabbia è un’emozione che oscura la razionalità. Quanto più il pifferaio urla, tanto più trova seguito in chi è arrabbiato. Tanto più esagerate sono le sue promesse, tanto più gli si crede. Per Grillo le elezioni americane sono state “un vaffa… generale”, un modo divertente per mandare tutto a catafascio. “Dare un calcio al sistema – scriveva tempo fa Ezio Mauro su Repubblica – risponde a un istinto di sovversione e di antagonismo più che a una domanda di politica e tantomeno di governo … Il voto è un rifugio di disagio,di rancore, di pretese più che di diritti, uno sfogo piuttosto che una scelta. Intanto diamo un calcio al tavolo del comando. Cosa ci sarà dopo il calcio? Nessuno se lo chiede. Le proposte del pifferaio non sono mantenibili, la rabbia fatica a trasformarsi in governo. Ma intanto rovesciamo il tavolo e godiamoci lo spettacolo, poi si vedrà”.

Dopo la Brexit e le elezioni americane, in Europa e in Italia tutti i movimenti populisti, razzisti e xenofobi si stanno preparando al loro momento di gloria: hanno capito che spararle molto grosse fa vincere le elezioni. Non importa se poi a pagare le conseguenze saranno proprio i più poveri e i più deboli, che sono anche i più arrabbiati. Domenica 4 dicembre le elezioni presidenziali in Austria sembrerebbero aver invertito questa tendenza, bocciando il candidato razzista e xenofobo. Ma le previsioni per le elezioni politiche austriache della prossima primavera non sono rosee. E’ proprio in vista di questi appuntamenti elettorali che il principio di responsabilità potrebbe fare la differenza. Ad esempio nelle ultime elezioni regionali in Francia, un accordo tra socialisti e centrodestra ha evitato la vittoria di Marine Le Pen e in Spagna il “sacrificio” dei socialisti che hanno accettato di astenersi sul nuovo governo, ha evitato un terzo pericoloso ricorso alle urne. In quest’ultimo caso si è assistito ad un classico esempio di contrapposizione tra utopia e responsabilità: la componente del partito socialista spagnolo che voleva “resistere” sui propri princìpi, insisteva per non offrire un aiuto al partito popolare, avversario storico, mentre la componente che ha optato per il senso di responsabilità ha preferito guardare all’interesse della nazione. Anche in Italia abbiamo avuto vari esempi di questa contrapposizione, ma il più emblematico penso sia stata la sfiducia al governo Prodi del 1998, caduto per un voto di Rifondazione Comunista, che ha aperto la strada ai governi Berlusconi. Sulle vere motivazioni di quel voto, e soprattutto sui registi occulti, molti sono ancora i misteri, ma i dilemmi di coscienza dei senatori del Prc furono reali: sostenere un governo non all’altezza delle aspettative della sinistra o farlo cadere e lasciare via libera alla destra peggiore?

Naturalmente chi sostiene che l’utopia deve sempre prevalere, contesterà questi ragionamenti. Ad esempio dirà che fra Trump e Clinton non c’era poi così grande differenza e che anche Obama non è stato propriamente un pacifista. Con questi ragionamenti, anche Mussolini andò al potere: i contrasti tra socialisti, popolari e liberali favorirono la sua ascesa e all’inizio quasi tutti si illusero che forse non sarebbe stato poi così male … La storia si incaricò di dimostrare il contrario.

Va da sé che il principio di responsabilità dovrebbe valere soprattutto pensando al bene comune e in particolare ai più deboli. Ad esempio, gli ultimi governi italiani a guida Pd non avranno fatto cose meravigliose in materia di immigrazione, anzi, ma di certo possiamo immaginare che cosa farebbero governi a guida leghista.

È evidente che non è sempre facile individuare quando una scelta politica può avere conseguenze talmente negative da richiedere di sacrificare l’utopia al realismo. Le difficoltà sono aumentate in Italia da quando non c’è più il sistema proporzionale, col quale si poteva votare scegliendo il partito o il candidato che ci sembravano migliori. Era un voto di testimonianza. Da quando c’è il sistema maggioritario si deve spesso scegliere tra chi ci sembra meno peggio. E non è proprio una scelta esaltante. Ma ricordo che anche quando vigeva il proporzionale, c’era una quota di maggioritario al Senato (almeno nelle regioni a statuto speciale): e succedeva sempre che i vari partiti a sinistra del Pci, piuttosto che votare il candidato comunista o socialista che aveva chance di riuscita (da notare che i socialisti a quell’epoca non erano ancora craxiani), preferiva disperdere il voto su candidati di bandiera, che regolarmente perdevano, col risultato di regalare tutti i senatori alla Dc.

Questa tendenza a far prevalere l’ideologia e la frammentazione sull’unità è una costante della sinistra e spesso anche dei vari movimenti che coltivano l’utopia. Ma a volte in vista del bene comune sarebbe più saggio cedere su qualche aspetto e cercare punti di incontro. Se l’utopia serve per continuare a camminare, come diceva Eduardo Galeano, e se è solo l’utopia (il miraggio) a mettere in moto le carovane, qualche volta il senso di responsabilità può far sì che le carovane non si perdano nel deserto.

Fulvio Gardumi

Circolare Nazionale Rete Radiè Resch

Gennaio 2016

scrive un gruppo di laici e preti, in dialogo su fatti e problemi del nostro tempo, alla ricerca del bene comune:

OSSERVATORIO SUL FENOMENO MIGRATORIO (novembre 2015)

La diffusa disinformazione di chi non si assume alcuna responsabilità o deforma la realtà per motivi ideologici è un crimine che generando paura sopprime la libertà di comprendere e impedisce alla gente comune di cogliere la dimensione drammatica di tante situazioni umane, favorendo giudizi superficiali e pretestuosi di tipo egoistico. E’ quello che sta accadendo per la straordinaria crisi umanitaria delle migrazioni di massa provenienti soprattutto dal vicino Oriente e dall’Africa sconvolti dalla guerra e dalla povertà e dirette verso l’Europa attraverso il Mediterraneo e i Balcani. Un sondaggio dell’IPSOS, agenzia europea di rilevazione, evidenzia come gli italiani siano fra i peggio informati sul fenomeno migratorio: statistiche infondate, confusione nei numeri fra immigrati in fuga e immigranti stanziali integrati da anni che contribuiscono col loro lavoro alla previdenza sociale e alla ricchezza del paese che li ospita; non conoscenza della provenienza europea dei fondi destinati all’Italia per l’emergenza migratoria, che pertanto non grava sulle casse dello Stato italiano, timori per pericoli inesistenti di epidemie e così via …. Una recente lettera pastorale dei vescovi di Treviso e Vittorio Veneto cerca di “dare una risposta che, partendo dalla considerazione essenziale della dignità dell’uomo, possa far superare preclusioni di principio che generano paura nella gente, e quindi recuperare la libertà interiore di pensare ed agire secondo alcuni valori irrinunciabili”. Dimenticare che il “fenomeno migratorio”, esperienza costante dell’umanità di tutti i tempi, è fatto da uomini in carne ed ossa, con le loro storie drammatiche, le loro speranze, le loro paure e le loro debolezze, significa regredire all’uomo selvatico, chiuso nel proprio egoismo, nemico di tutti, anche di se stesso e tradire la fede in un Padre comune, come hanno ricordato i nostri vescovi. La Fondazione Leone Moressa della CGIA di Mestre monitorando 846 articoli pubblicati nel 2014 dai principali giornali italiani (Il Sole 24 Ore, La Repubblica e il Corriere della Sera) dedicati all’immigrazione, ha evidenziato che essi nell’88% dei casi si dedicano agli aspetti negativi dell’emergenza, ai pericoli sanitari, alle proteste e alla criminalità, e solo nel 12% ai bisogni della persona e agli aspetti positivi del fenomeno: quali la necessità crescente di un rinnovo generazionale che contrasti l’attuale “trend” negativo delle nascite in tutta Europa e soprattutto in Italia, che ci condurrà nel prossimo futuro verso una società di anziani bisognosi di assistenza, il rilevante contributo previdenziale degli immigrati stanziali, che in Italia ammonta a più di 10 miliardi, (fonte INPS 2014) e, non per ultima, la ricchezza dell’incontro vitale fra culture diverse … Qualche Numero: La stessa fondazione Moressa e l’INPS rilevano (nel 2014) che gli immigrati stanziali nel nostro paese (“nuovi italiani”) sono circa 5 milioni, di essi 3,5 milioni lavorano e dichiarano al fisco redditi di lavoro per 45,6 miliardi di euro, pagando 6,8 miliardi di euro di IRPEF, cui si aggiungono 10,3 miliardi di contributi INPS; se calcoliamo che lo stato spende per loro 12,6 miliardi per servizi, scuola, sanità, etc. resta un saldo attivo di 4,5 miliardi indispensabili per pagare la pensione a 625 mila anziani italiani. Non possiamo dimenticare che noi Europei nella Storia, più che l’esperienza dell’incontro e dello scambio con gli altri popoli, abbiamo sempre privilegiato la conquista, di cui il mercato degli schiavi e il colonialismo sono l’esempio più eclatante. Per anni li abbiamo colonizzati spogliandoli della propria libertà e depredandoli delle loro ricchezze sopra e sotto la terra, e continuiamo ancora oggi corrompendo le loro classi dirigenti. Oggi che sono disperati chiedono il nostro aiuto, ma noi glielo neghiamo …. ci fanno paura, quasi per timore che vogliano restituito quanto abbiamo loro rubato … non ci facevano paura quando li strappavamo alle loro case per venderli come schiavi e li trasportavamo come bestie oltre oceano per lavorare le piantagioni del “nuovo mondo” Né possiamo dimenticare quanto l’Italia nella prima metà del ‘900 fu terra di emigrazione e quanto le “risorse” dei nostri migranti furono importanti per uscire dalla miseria; Castelfranco Veneto non fece eccezione e lo dimostra l’apertura nel 1945 del consolato del Canada per facilitare le pratiche di emigrazione, allora così numerose …. ma a differenza di allora emerge sempre più chiaramente che oggi si tratta di “migranti forzati”, come giustamente li definisce la lettera pastorale, poco importa se fuggono da guerre o persecuzioni (profughi con diritto di asilo politico nel paese in cui vengono identificati ) o spinti da cause ambientali ed economiche invivibili (migranti senza diritto di asilo, “clandestini” perseguibili e rimpatriabili se senza lavoro); in ogni caso si tratta di milioni di disperati (definiti complessivamente ”rifugiati” dalla stampa anglosassone) che rischiano tutto, anche la vita, per un futuro possibile. La guerra siriana e l’espansionismo dell’ISI in Medio Oriente e in Africa, responsabili principali dell’ondata migratoria giunta in Europa nel corso dell’estate attraverso la rotta balcanica e mediterranea, hanno già provocato 150.000 morti e 9 milioni di profughi; critica è anche la situazione in Afganistan, lo stesso in Libia e in altri paesi dell’Africa responsabili dei flussi mediterranei diretti soprattutto in Italia ed in Grecia; in Libano i profughi siriani attualmente sono circa 2 milioni, 2 milioni in Giordania, altri 2 milioni in Turchia, altri ancora in Egitto. SECONDO L’UNHCR (AGENZIA DELL’ONU PER I RIFUGIATI) questi “migranti forzati” o “rifugiati” sono oggi nel mondo circa 58 milioni, compresi quelli ospitati nei “campi profughi” ONU: si tratta della più grande crisi umanitaria dalla seconda guerra mondiale. Essi chiedono ai popoli e ai governi dell’Europa il superamento degli accordi di Dublino, fonte di tale artificiosa distinzione, e chiedono maggiore generosità, non solo riguardo al salvataggio e all’accoglienza immediata, quanto piuttosto alla loro integrazione nel tessuto sociale ed economico europeo. L’OCSE (Agenzia Europea per la Cooperazione e lo Sviluppo) prevede per il 2016 un flusso migratorio verso l’Europa di più di un milione di persone, ma al momento in essa, rispetto a questa tragedia epocale, e soprattutto nei paesi dell’Est, si alzano muri e barriere di filo spinato, si mobilita la polizia e l’esercito, ci si scontra sulle quote di ripartizione e si fomenta irresponsabilmente la paura facendo avanzare i partiti xenofobi. E’ chiaro per tutti che la vera soluzione del problema sta nel risolverne le cause che lo hanno generato: guerre, fame, persecuzioni religiose, desertificazione, espropriazione neocolonialista delle risorse, comprese le terre fertili, inquinamento, corruzione, vendita di armi. Papa Francesco nelle sue encicliche e nel suo recente discorso all’ONU ne ha delineato il quadro e ne ha definito le responsabilità. Un’analisi sociopolitica ed economica seria e non ideologica non potrebbe che ribadire il ruolo rilevante del mondo occidentale, cosiddetto ricco e progredito, cioè di noi stessi, nella genesi di questa catastrofe umanitaria e nel trovarne la soluzione: ignorarlo è ipocrisia, prenderne coscienza ed operare per non ipotecare il futuro è un obbligo morale.

Dagli amici della rete di Castelfranco Veneto

Fabio Corletto e Marta

Questo sito web utilizza cookie tecnici e di terze parti. I cookie sono normalmente utilizzati per consentire il corretto funzionamento del sito (cookie tecnici), per generare report sull’utilizzo della navigazione (cookie statistici) e per pubblicizzare adeguatamente i nostri servizi / prodotti (cookie di profilazione). Possiamo utilizzare direttamente i cookie tecnici, ma hai facoltà di scegliere se abilitare o meno i cookie statistici e di profilazione. Abilitando questi cookie, ci aiuti a offrirti un’esperienza migliore. Cliccando sul pulsante di seguito, acconsenti all’utilizzo dei cookie di terze parti utilizzo in conformità alla nostra informativa sulla privacy e cookie policy. Il consenso può essere revocato in qualsiasi momento. Informazioni