A cura della rete di Udine

Grado (GO), 16 ottobre 2017. Trecento cittadini in Consiglio comunale si ribellano di fronte alla Giunta comunale: rifiutano l’accoglienza di 18 migranti nella frazione di Fossalon, 18 migranti su una popolazione residente di 8.251 unità (dati 2016). Quando si parla di migrazione sulla stampa, in dibattiti televisivi, nelle aule della politica il termine “invasione” sembra ormai d’obbligo, corroborato da immagini e filmati. Ma cosa sono 18 persone su 8.251? Grado, la cosiddetta “isola d’oro”, è stata “invasa” da 18 migranti? Nel solo primo semestre 2017, Grado ha visto incrementare le presenze di turisti fino a 425.442 unità (+24.3%): di fronte a queste capacità ricettive, benché stagionali ovviamente, ci si spaventa per 18 migranti? In Italia nel 2016 hanno ottenuto il permesso di soggiorno per asilo politico o protezione umanitaria 155.177 persone e gli arrivi in totale sono stati 181.000. La popolazione italiana nello stesso anno ammontava a 60,7 milioni. Siamo stati “invasi” da 155.177 persone? Siamo stati invasi da 181.000 persone? Accogliere questi esseri umani solitamente sprovvisti di tutto ciò che consente la sopravvivenza è un problema che va affrontato seriamente, ma la distorta percezione del fenomeno apre la strada ad egoismi, violenze, manifestazioni razziste che rivelano anche l’indifferenza nei confronti delle sofferenze di queste persone e la mancanza di conoscenza delle situazioni da cui cercano disperatamente di fuggire. Quanti si preoccupano di cercare informazioni sui loro paesi di provenienza e su ciò che in essi accade, di conoscerne le vicende, come facciamo abitualmente con i nostri parenti (che poi, da un punto di vista puramente biologico, lo sono veramente)? La crisi economica ha sicuramente segnato anche ampie fasce della nostra popolazione. Ma pare che nell’immaginario collettivo stia scomparendo l’esperienza diretta o indiretta delle sofferenze della guerra, della fame, delle persecuzioni. La mancanza di esperienza o di qualcuno che ce la racconti fa la differenza. Quando hai vissuto, visto o sentito, il rapporto con l’altro si modifica. Quando hai sentito il racconto delle loro fughe rocambolesche nascosti sotto i camion, stipati in navi che spesso affondano consegnando al mare i loro corpi, delle botte, delle sevizie, degli abusi sessuali, forse, a quel punto, il termine “invasione” suona solo come una parola ridicola, nemmeno confortata dai numeri.

L’esperienza fa la differenza.

Studenti di età da 16 a 19 anni di alcuni istituti scolastici di 4 comuni friulani da settembre 2017 a settembre 2018 sono impegnati nel progetto CROSSROADS. Il progetto mira a diffondere la cultura dell’accoglienza partendo dalla storia locale come trampolino per acquisire un punto di vista ampio e la capacità di entrare in empatia con il diverso. Il progetto promuove i valori di appartenenza alla Comunità Europea, creando le basi per l’acquisizione di una cittadinanza attiva attraverso la conoscenza del vissuto dei cittadini di ieri, oggi e domani. Gli obiettivi specifici sono:
– creare, attraverso la simulazione, le condizioni affinché i partecipanti sperimentino il vissuto di chi scappa da condizioni di guerra e povertà;
– comprendere come gli atteggiamenti davanti a situazioni di pericolo e difficoltà siano comuni a tutti gli esseri umani;
– capire attraverso le storie raccontate da immigrati attualmente residenti sul nostro territorio quali sono state le paure e i pericoli che hanno corso per arrivare nel nostro paese;
– avere uno sguardo più ampio sul nostro passato e presente di emigranti raccogliendo le storie di chi ha abbandonato la propria terra;
– realizzare come sogni, paure e speranze uniscano le persone che a fatica lasciano la propria terra.
Il progetto CROSSROADS si sviluppa in 4 fasi e vede impegnati studenti e migranti supportati da volontari, insegnanti e psicologhe esperte. La 1^ fase è stata già realizzata e consisteva in una simulazione che ha visto impegnati studenti e migranti a ruolo invertito. I ragazzi sapevano che avrebbero fatto un’esperienza con dei migranti o sui migranti, ma non sapevano che sarebbero stati protagonisti della refugees simulation, mentre le famiglie erano state avvertite. Gli studenti nel ruolo di migranti hanno attuato una improvvisa fuga all’alba da un paese in guerra. Hanno affrontato l’inizio di un viaggio che li ha coinvolti come gruppo e come singoli in scelte e difficoltà da superare per arrivare in un luogo sicuro. Hanno sperimentato ostacoli e fatiche nel trovarsi improvvisamente a contrattare con persone senza scrupoli (ruolo svolto dai migranti) per attraversare un confine o per avere un pasto caldo, vivendo lo sforzo e la paura del non comprendere la lingua di chi sta contrattando sulla loro vita. Hanno toccato con mano, seppur per breve tempo, la fatica fisica e la solidarietà (o meno) all’interno del proprio gruppo e l’importanza del contatto umano con persone incontrate durante il cammino. Gli effetti della simulazione sono stati eclatanti e drammatici per l’intensità delle emozioni vissute dai partecipanti: chi ha ringraziato, chi ha affermato che gli è stata cambiata la vita, chi ha detto che finalmente ha capito, chi è scoppiato in lacrime … Ovviamente quanto vissuto è stato elaborato con il supporto delle psicologhe coinvolte nel progetto nel corso di due giornate di debriefing. Il progetto continuerà per la realizzazione delle altre fasi. Siamo convinti che dopo un’esperienza di questo tipo i migranti non verranno più visti come esseri pericolosi ma semplicemente per quello che sono: persone che affrontano grandi difficoltà, grandi sofferenze e grandi paure.

CIRCOLARE NAZIONALE, APRILE 2017

dalla Rete di Verona

Ripensavo a 2 grandi anniversari che ci hanno coinvolti in questo periodo, il centenario della Prima Guerra Mondiale, la Grande Guerra, che ha segnato profondamente l’Italia e l’Europa, le famiglie dei nostri nonni e padri, che hanno condizionato la nostra educazione e il nostro ieri, quindi anche tutta la nostra mentalità in formazione. Quale speranza si aspettava, dopo Caporetto 17, dopo tanti morti, invalidi, disastri, devastazioni ? Quale ricostruzione era possibile ? Quale solidarietà, verso popoli vicini che erano stati ed erano i nostri nemici ? Un termine che sembra lontanissimo, ma che è ancora usato verso certe persone, che non la pensano come noi, o che sono presentati così.

Il secondo anniversario è più vicino, e si riferisce ai 60 anni dai trattati di Roma, con la nascita dell’Europa unita, prima solo come Comunità economica, poi con l’Unione europea, che traballa fortemente, ma che comunque ci ha portato una pace insperata per decenni, dopo una guerra peggiore della prima, dopo i milioni di morti dei combattimenti, delle deportazioni e della Shoah, Unione che ha abbattuto le frontiere e ha permesso una nuova civiltà in Europa.

La nostra vita è cambiata dopo quelle ricorrenze, ed è stato più facile costruirsi una vita più solida e solidale, che cercasse una giustizia più vera e solida, col riconoscimento dei diritti di tutti, vicini e lontani, con leggi che tutelassero le nostre famiglie e i nostri figli. E quando Ettore Masina ci ha proposto di associarsi in questa piccola associazione (la Rete) a molti di noi è sembrato che fosse possbile realizzare quegli ideali di giustizia e di umanità anche con quelle piccole azioni che Paul Gauthier, e Ettore Masina con lui, proponevano, per essere concreti e non solo teorici, non solo con ragionamenti e ideologie, ma con azioni reali di sostegno, perché chi cercava più diritti per sé e più giustizia per i propri figli non ricevesse belle parole, ma un aiuto concreto di sostegno, e un’azione politica diretta anche nel nostro paese, non sui governi dei paesi lontani, su cui possiamo agire ben poco, in modo da favorire l’azione politica di chi nel suo paese cercava più libertà e diritti.

Quella ricerca di giustizia è passata, e passa ancora, attraverso relazioni e conoscenze, attraverso persone, attraverso discussioni e ascolti, tutti sempre fecondi e istruttivi, che hanno aiutato a costruire la nostra umanità e la nostra vita, non tanto a costruire un fondamento teorico e ideologico alle nostra idee politiche, ma piuttosto ad agire in modo da favorire le possibilità di tutti, non in nome di chi ha ragione, che non interessa, ma di chi possa vivere di più e meglio.

Vorrei indicare tre categorie di persone con le quali è stato possibile, e lo è ancora, anzi è necessario, discutere e confrontarsi, in 3 ambiti diversi e importantissimi. Il primo confronto è con gli amici, con cui ci siamo associati ed abbiamo fondato o aderito a questa associazione di solidarietà, con cui assistiamo a dibattiti, a prese di posizione, a proposte. Ed ogni volta che ci incontriamo con essi, con questi amici, siano del gruppo locale o siano del gruppo più ampio, a dimensione nazionale, come nei Convegni o nei Seminari, o nei Coordinamenti, vediamo negli altri il nostro stesso impegno per una società più giusta, per una famiglia aperta e alla ricerca di una giustizia più grande e profonda, e possiamo confrontarci più o meno alla pari, per capire dove sono arrivati gli altri, quali sono i loro interessi e il loro impegno, con le collette e i progetti di solidarietà, che non sono veri progetti, perché non ci sono obiettivi e controlli di efficienza dell’uso dei soldi.

La seconda categoria di persone con cui abbiamo imparato a confrontarci, sia pure con molti limiti e con pochi aspetti di confronto, è quella che si riferisce ai nostri referenti lontani, a chi ha proposto e gestisce queste piccole iniziative di sostegno in paesi poveri e lontani, a cominciare dalla Palestina, la regione in cui abbiamo iniziato il nostro impegno, per contrastare le enormi ingiustizie e le persecuzioni che hanno sopportato e continuano a sopportare, senza apparente speranza, con questo muro che divide con vergogna, con questi insediamenti che tolgono la terra e la dignità, e le possibilità di autonomia e resistenza. E abbiamo così conosciuto gente dappertutto, o quasi, nel Brasile dei perseguitati politici, nel Cile che cercava una nuova speranza politica, repressa ben presto nel sangue, nell’Argentina dei desaparecidos e di tante altre categorie di poveracci, nel Guatemala degli indios perseguitati e umiliati, nella Haiti della disperazione che una ragazza riesce a illuminare, dando nuove speranze di istruzione e di indipendenza, anche nei disastri del terremoto e della natura, e in tanti altri paesi dell’America Latina, nella Siria dei cristiani isolati e perseguitati, nel Congo, nella Repubblica Centrafricana, nel Ghana ora, e così via in tanti paesi e in tanti luoghi lontani dove qualcuno si è fatto carico di un progetto di nuova umanità che abbiamo sostenuto.

E ognuna di quelle persone che abbiamo conosciuto ci ha mostrato le sue difficoltà, ci ha insegnato la sua geografia, la sua storia, con cosa deve lottare per cercare nuove possibilità di vita e di autonomia, di giustizia, nel suo paese. E ognuno di noi della Rete ha così conosciuto delle persone che faticosamente danno un nuovo senso alla loro vita e al loro paese, con noi che col nostro piccolo aiuto ci mettiamo accanto a loro, per aiutare con la nostra piccola colletta di restituzione quel loro progetto, che faticosamente procede e dà nuove opportunità di umanità e di indipendenza. Sono conoscenze molto importanti, ci hanno segnato la vita, abbiamo aperto le nostre famiglie a nuove logiche e a nuove dimensioni, abbiamo imparato cosa significano certi nomi di luoghi lontani, che abbiamo anche visitato o che abbiamo ascoltato descritti da quei nuovi amici che ci sono venuti a conoscere e ad interpellare.

La terza categoria di persone con cui ci confrontiamo e ci siamo confrontati sono le nuove generazioni, sono i figli e i nipoti, che hanno un’altra mentalità e un’altra umanità, che probabilmente non proseguiranno il nostro impegno nella rete, ma che comunque proseguiranno bene o male il nostro impegno per una società più giusta, per avere loro un lavoro più dignitoso e sicuro, per creare una nuova società, che sarà certamente diversa, come loro saranno diversi.

Ecco perché sono partito dal centenario della grande guerra, per passare dai trattati di Roma e all’Europa degli ideali, dell’utopia, della profezia, come l’hanno proposto i nuovi segretari, Monica, Pier e Angelo, ideali che si sono meglio definiti nel confronto con gli amici e con i rappresentanti di tanti paesi lontani, che potrei descrivere con centinaia di nomi e di persone che ci hanno incontrato nella nostra piccola associazione, tutti con la loro gentilezza, la loro timidezza, e insieme la loro grande dignità e preparazione politica, costruita sulla loro pelle e con grande fatica, perché pochi hanno fatto scuole alte. E tutti ci hanno dato tanto, come esempio.

Vi propongo un paio di ricordi personali particolari, da vecchio della rete: viene a parlarci alla R di Verona un vecchio prete brasiliano, anni 75, bravissimo, della teologia della liberazione, di Sao Paulo, serio e concreto, e quando lo accompagno al mattino al treno, mi chiede a me veronese com’è l’Opera in Arena, e devo cantargli sottovoce il “Va’ pensiero”. Commovente ! O la Rigoberta Menchù, che dorme a casa nostra, non ancora Premio Nobel (90?), e la sera (alle 24) guarda alla nostra televisione un servizio su come la sua azione di denuncia in Guatemala aveva avuto una grande eco, importante, e per questo era stata imprigionata all’aeroporto: era stanchissima, ma si è subito rianimata, ha guardato tutto interessata e sorridendo, e ha chiesto un caffé.

Due piccoli esempi, ma tutti gli amici della Rete che hanno ospitato ospiti lontani hanno goduto questo rapporto previlegiato e fecondo, e possono raccontare episodi pregni e simpatici.

Ora il rapporto nuovo e importante è con le nuove generazioni, con la nuova società, con figli e nipoti, per costruire nel confronto la nuova umanità, una nuova giustizia, per eliminare il male e imparare il bene, come dice papa Francesco, il nostro nuovo profeta, non solo religioso (anche lui viene dalla fine del mondo), e sa insegnarci cose nuove, in questo nuovo mondo che attraversa crisi enormi, il clima e l’ambiente cambiano, cambia la tecnologia che sconvolge tutti e tutto, è globale, la finanza criminale si arricchisce sempre più a scapito dei poveri, che scappano e migrano, per fuggire dalla guerra e cercare una nuova vita. E vengono qui, e chiedono aiuto, aprendo nuovi problemi e scandali.

Un saluto affettuoso e un abbraccio solidale


Dino, R di Verona

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