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Circolare nazionale Febbraio 2018

Tony ha 32 anni; ha lasciato moglie e figli in Costa d’Avorio. Lamin e Sherifo hanno 18 anni: vengono entrambi dal Gambia e si sono conosciuti in Libia. Eric è nigeriano: proviene dalla zona dei giacimenti petroliferi, dove è in corso la guerra civile. Tutti sono arrivati, attraversando il Mediterraneo, la scorsa primavera. Sono i richiedenti protezione internazionale, ospiti del progetto di accoglienza diffusa che ha avuto inizio da qualche mese presso la parrocchia San Massimiliano Kolbe di Varese. La Rete locale ne è parte integrante. Da anni, la Caritas Ambrosiana ha creato la Cooperativa Sociale “Intrecci”, che si occupa di servizi alla persona. Dopo gli inviti di Papa Francesco alle parrocchie, perché diventassero parte attiva nell’accoglienza dei migranti, si è dedicata anche a questa missione. Ha in carico, affidate dalla Prefettura, molte decine di persone (in maggioranza giovani adulti) che ospita, prevalentemente, in strutture di medie dimensioni. Gestisce lo SPRAR di Varese. Da circa due anni, ha avviato anche progetti di ospitalità diffusa. Il meccanismo è semplice: “Intrecci” gestisce tutti gli aspetti burocratici, amministrativi e sanitari, eroga agli ospiti la quota del finanziamento statale destinata al loro mantenimento ed il cosiddetto “pocket money” e provvede ai corsi base di italiano. Il gruppo di volontari si occupa dell’accoglienza, dell’accompagnamento e dell’integrazione, oltre che del sostegno all’apprendimento della nostra lingua. Recentemente, sono partiti anche piccoli progetti per l’inserimento degli ospiti nelle attività del Centro di Aggregazione Giovanile presente in parrocchia. L’aspetto più qualificante del progetto consiste nel fatto di riunire una quindicina di persone, di provenienza, opinioni politiche e sensibilità molto diverse, che hanno trovato un’occasione di impegno comune nel sostegno di quattro richiedenti asilo. Ciò ha creato un solido legame tra loro ma, soprattutto, ha sviluppato una forte sensibilità al tema delle migrazioni in uomini e donne che, sino a pochi mesi fa, poco ne sapevano. In una parola, un piccolo miracolo. Purtroppo, però, un miracolo circondato dall’indifferenza. Se, fortunatamente, non si è registrato alcun tipo di protesta o contestazione, le iniziative di sensibilizzazione sinora assunte (almeno due volantinaggi, la partecipazione al mercatino parrocchiale, l’inserimento, come si diceva, nel Centro di Aggregazione Giovanile) non hanno suscitato interesse; salvo, forse, nei più sensibili, il malcelato sollievo di sapere che altri si occupino della questione. Anche nel gruppo, per altri versi coeso, non c’è comunanza di vedute sull’opportunità di dare al progetto una valenza politica o, almeno, culturale. Inizia, invece, a serpeggiare la preoccupazione per il “dopo”: nell’arco di circa un anno, infatti, la Commissione Territoriale per il Riconoscimento dello Status di Rifugiato, convocherà gli ospiti e si pronuncerà sulla loro posizione. Se tale status verrà riconosciuto, essi proseguiranno altrove il loro percorso: ciò comporterà un distacco, ma avremo tutti la consapevolezza di averli accompagnati per un tratto della loro strada. Se, invece, la domanda dovesse essere respinta, ed il rigetto confermato dal Tribunale, il loro permesso di soggiorno sarà revocato e perderanno ogni diritto, compreso quello di vivere nella casa. Si troveranno, quindi, di fronte all’alternativa tra lasciare l’Italia o diventare clandestini. Nel frattempo, però, si sarà creato un legame affettivo con noi volontari e forse, con altre persone. Saremo pronti ad abbandonarli a sé stessi? Soprattutto, a quali conseguenze andrà incontro chi deciderà di continuare ad aiutarli? Ciò introduce il tema del nostro Convegno nazionale ( “ La Solidarietà non è reato. Resistiamo umani ” – Trevi 13-14-15 aprile): può un gesto di solidarietà essere punito come reato? Certamente in Italia, a differenza di altri Paesi europei, non potrà mai esistere un “reato di solidarietà”. Lo garantisce l’articolo 2 della nostra Costituzione, che impone a noi cittadini “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. I tempi che stiamo attraversando ci parlano, però, del tentativo, sempre più insistente, di usare norme penali previste ad altri fini, per punire chi si è più esposto nell’aiuto ai migranti: così le iniziative giudiziarie contro varie associazioni impegnate nei salvataggi nel mediterraneo o quelle, più mirate, contro Padre Mussa Zerai, l’ “Angelo dei rifugiati”. Tornando al nostro caso, l’articolo 12 del Decreto Legislativo 25 luglio 1998 n° 286 (cosiddetta “Legge Bossi – Fini”) prevede che “chiunque, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero … favorisce la permanenza di questi nel territorio dello Stato, in violazione delle norme del presente testo unico, è punito con la reclusione fino a quattro anni e con la multa fino ad €. 15.493”. Il reato è stato pensato per punire chi approfitta della condizione del clandestino per offrirgli alloggio a prezzi o condizioni inique (in tal senso si è sempre inteso il richiamo al fine di ingiusto profitto). Così, finora, è stato sempre applicato. E’ pensabile che qualcuno lo tenti di usare per punire chi offre alloggio, aiuto ed assistenza ad un clandestino, per semplice solidarietà?

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