HomeNews

Mostra fotografica: PER STRADA. IL LAVORO DOVE PASSI Marzo ’24

Promossa da Rete Radie’ Resch di Lecco mostra fotografica di Gian Maria Zapelli
PER STRADA: IL LAVORO DOVE PASSI

Dal 16 marzo al 7 aprile – Torre Viscontea, Piazza XX Settembre, Lecco
ORARI: giovedì: 10:00 -13:00 / venerdì e sabato: 14:00 – 18:00 / domenica: 10:00 – 18:00

PERCHE’ PROPONIAMO QUESTA MOSTRA

Per la Rete Radié Resch la solidarietà è prima di ogni cosa vicinanza con chi lotta contro l’oppressione e l’impoverimento. La mostra ci avvicina a realtà marginali di donne e uomini che, attraverso il lavoro sulla strada, resistono quotidianamente, con tenacia, a una vita di precarietà.

Quaranta fotografie, scattate in venti cittadine del mondo, che raccontano la strada, dove vi è un’economia dell’esiguo reso abbastanza da sopravvivere, dove il marciapiede si fa spazio esistenziale e il lavoro resistenza, con il poco di una pentola logora o di un pesce appena pescato.

Da Haiti a Italia

Buongiorno a Voi, è con allegria che io, Jean, rappresentante FDDPA, scrivo ai miei amici italiani. Voglio cominciare augurando a tutti un buon anno, sperando che questo 2024 porti sorrisi al mondo e che ci sia più giustizia, uguaglianza e fraternità.

Ringraziamo la Rete per la continua solidarietà verso Fddpa, una solidarietà che ha più di 20anni e che ha permesso a Fddpa di arrivare a fare molto lavoro sociale tra i contadini, a livello di salute, agricoltura ed educazione.

Non smetteremo mai di ringraziarvi per questo perché anche oggi stiamo attraversando molti momenti difficili e la presente situazione del paese continua a degradare; ciò nonostante noi continuiamo a lottare e credere nel cambiamento della vita delle masse popolari.

La situazione sociale vede un imperare delle gang che hanno occupato molti quartieri della capitale, le strade nazionali rimangono sempre pericolose per la presenza di gruppi armati che derubano i passeggeri. È una situazione molto complicata quella viviamo ormai da 4 anni.

La comunità internazionale niente può fare per risolvere la situazione o aiutare Haiti in questo catastrofico momento. È un tempo di fallimento della società e la gente non sa più cosa fare.

Ieri sono ricominciate le lezioni scolastiche, le scuole di campagna comprese quelle di Fddpa sono aperte mentre nelle città il clima di insicurezza non garantisce ai genitori l’incolumità dei propri figli. Con Willot vi spiegavamo durante la videochiamata che ci sono problemi per acquistare qualsiasi cosa, sia cibo che medicine e con la frontiera chiusa al commercio le cose peggiorano sempre più; gli ospedali non funzionano a dovere e inoltre molti medici e professionisti, vista la situazione, sono emigrati È un paese che sta perdendo valori e risorse umane; Stati Uniti e Canada aprono le loro porte agli haitiani ma ne approfittano.

A livello politico, nessuno immagina per quanto tempo ancora avremo un primo ministro de facto, il 7 febbraio è solitamente la data per turnarsi nella scena politica ma infelicemente non abbiamo un parlamento che controlli il potere esecutivo, probabilmente continueranno nel potere fino a che potranno. Per terminare, dico che nonostante questa situazione di caos noi vi assicuriamo che grazie a Dio Fddpa continua a funzionare. Le strade non sono sicure e non possiamo circolare liberamente e questo ci impedisce di incontrare i membri contadini di Fddpa, è una situazione che ci sembra impossibile, ma è così, la vita va avanti lo stesso. In campagna come in tutto il paese il costo della vita è carissimo perché mancano i prodotti di prima necessità; abbiamo pagato i salari dei professori mediante un trasferimento elettronico, esiste un servizio offerto dalle compagnie telefoniche che lo permette, non sempre funziona, è costoso e comunque è meglio avere questa possibilità piuttosto che niente.

Un forte abbraccio a Voi, alla grande famiglia della Rete e specialmente a quella di Padova. Auguro ancora che il nuovo anno porti con sé il meglio per quelli che qui soffrono di ingiustizia e discriminazione sociale.

Jean e Martine vi salutano con amore. Invieremo il rapporto annuale molto presto. Grazie e ciao.

Il 7 agosto si è spento Mario Tronti, filosofo e politico che nel 2008 partecipò ad un Convegno Nazionale della Rete. Per ricordarlo vi proponiamo il suo intervento di allora a Rimini, introdotto da Maria Teresa Gavazza.

CONVEGNO NAZIONALE RETE RADIE’ RESCH – RIMINI 11-13 APRILE 2008

Incontro con Mario Tronti

Introduzione di Maria Teresa Gavazza, rete di Quargnento/Alessandria

La scheda biografica di Mario Tronti è allegata al testo del programma del convegno (13), questo mi esime dal soffermarmi su una vita ricca e complessa, metafora del secolo breve: sarà Mario stesso a raccontarsi.

L’impostazione data da Antonietta Potente ha scompaginato le mie riflessioni e i quesiti che avrei voluto porre al relatore, come richiesto dal Coordinamento nazionale. Mi sembra così riduttivo interrogarsi semplicemente sulla crisi della rappresentanza, proprio oggi che sono in corso le elezioni politiche tra le più significative della storia repubblicana (la vignetta di Vauro sul Manifesto di oggi, 13 aprile, bene ne esprime il senso); si restringerebbe infatti uno spazio mentale e spirituale che Antonietta ci ha suggerito di esplorare. Rimaniamo su un piano filosofico per scoprire la mistica della politica, lasciamoci guidare dall’amore della sapienza e raccogliamo le suggestioni di un convegno diverso dai precedenti, risultato di un lungo lavoro fatto dalla Rete Radié Resch nei seminari locali e nelle comunità in cui opera.

Partirei da chi non c’è: donne e uomini, forse più donne, che sono state impedite dal partecipare perché figlie o madri impegnate in responsabilità famigliari cui non potevano sottrarsi, oppure per cause diverse. Occasioni di incontri affettuosi perduti, relazioni non tessute come avremmo voluto. Penso invece a Luisa Alfaro, giovane testimone dell’Argentina, e al suo racconto: la comunità le ha consentito di partire prendendosi cura del suo bimbo ed aiutandola ad affrontare un viaggio così lungo e difficile. Vorremmo anche da noi “tessere reti” per difenderci dalla solitudine, dal peso del lavoro di cura quotidiana: farsi carico di chi non può, per consentire occasioni di gioia.

Le brevi uscite lungo il mare di Rimini mi hanno colpita per il contrasto tra la natura e il vuoto delle case: negozi, alberghi, ristoranti serrati e muti. Imponenti costruzioni senza vita, pronte a rianimarsi al comando del denaro, del consumo. Ho sentito forte il senso di non luogo: nelle civiltà della ricchezza vi sono interi spazi che ben rappresentano l’assurdità di una società dell’immagine, senza radici. Il confronto con la Patagonia è suggestivo: aree sterminate da percorrere a piedi o a cavallo, senza elettricità, ma pulsanti di vita. Luoghi dove la madre terra crea legami con la comunità umana, intrecciandosi secondo ritmi millenari. E poi, per analogia, il non luogo della politica: è come uno zombie che si risveglia solo in certe occasioni, ad esempio durante le elezioni, evento mediatico e fasullo. Nessuna relazione, nessuna passione, rimozione delle radici, mancanza della partecipazione: è il non luogo per eccellenza.

Come “ricostruire” un luogo comune, una comunità? Ho pensato al racconto di Eufrosine, del “No Dal Molin” di Vicenza o a Dadoue di Haiti, esempi di Politica femminile leggera, non di potenza. Per gli haitiani la scuola rappresenta la conquista dell’eternità: i figli sopravvivono ai genitori, che ben conoscono la precarietà della vita, se potranno istruirsi e diventare colti. La società opulenta invece svaluta la conoscenza, spinge i giovani a cercare il denaro facile con la complicità dei genitori: nell’associazione GAPA di Catania, altro ponte verso il nostro Sud della Rete Radié Resch, si combatte l’abbandono scolastico lavorando nelle strade con gli adolescenti. “Resistere” all’assedio, ricercando il disubbidiente, il diverso: “Noi siamo liberi dentro una prigione”, sono parole di Tronti.

I soggetti storici nascosti dettano il ritmo della Storia, la resistenza è un grido: la microstoria emerge dalla grande Storia, per creare e inventare nuove soluzioni, nuove reti affettuose. Ancora Tronti ci spinge a riflettere sul rapporto tra politica e spiritualità “intesa come l’ultima frontiera della resistenza, l’ultima forma dell’antagonismo rispetto all’ordine esistente”.

INTERVENTO DI MARIO TRONTI

Vi ringrazio per questo invito, che è stato molto gradito. Mi ha permesso di entrare in contatto “fisico” con la vostra realtà. Quando Ettore Masina mi ha proposto questo intervento, ero un po’ preoccupato, perché non conosco molto la vostra realtà. Ho visto che siete una grande famiglia. Ho pensato ai verbi “restituire, ricostruire, resistere”; Antonietta Potente ha aggiunto poi il “riconoscere”, che mi sembra molto importante. Questi verbi mi sembrano anche indicazioni di lotta. Credo che la vostra realtà abbia una forte concretezza, intervenendo in luoghi ben caratterizzati e significativi.

Dal femminismo ho imparato l’importanza del “partire da sé”, che vedo però come un “partire da noi”, cioè all’interno di un movimento. Io vengo dal popolo comunista romano; ora lo ritroviamo con difficoltà: è stato sradicato. Ho scoperto la fabbrica e la classe operaia nell’epoca della grande produzione di massa fordista e taylorista. Mi dichiaro un intellettuale organico di partito e di classe sociale: una volta era una nobile figura perché metteva il suo impegno a servizio di una causa collettiva, ora è una figura demonizzata e si preferisce l’intellettuale che fa cultura per sé e per la sua carriera. Nel partito la mia posizione non era eretica, perché rimaneva dentro il partito, ma era non-ortodossa.

La storia del movimento operaio inizia alla fine del ‘700 con la rivoluzione industriale: è una storia lunga e dobbiamo prenderne l’eredità e portarla avanti. La lascerei ora però sullo sfondo per confrontarmi col vostro modo di agire e di stare dentro la realtà. Mi hanno colpito le due figure fondanti della vostra Rete, Ettore Masina e Paul Gauthier, con questo scambio vitale nelle convergenze e nelle divergenze. Vedo che la vostra storia è sempre discussa e in movimento. Arturo Paoli ha parlato di una linea mistica e di una politica; per lui la figura del cristiano è di sintesi.

Per Paoli una fede viva deve essere “intrinsecamente politica”. Anche Antonietta Potente mi sembra che cerchi questa sintesi: il suo ultimo libro del 2008 si intitola “Per una mistica politica”.

Si parla ora di crisi politica. Io però do una connotazione positiva al concetto di “crisi” come momento di “messa in discussione” dello stato delle cose. Tutti parlano di “uscire dalla crisi”, a me sembra meglio “entrare nella crisi”, che consente modifiche e trasformazioni, cambiamenti; mi sembra invece negativo il concetto di “ordine”.

Noi contrapponiamo società civile e classe politica. Io penso invece che nell’Occidente la società civile produca una classe politica a sua immagine e somiglianza.

Antonietta Potente parla del percorso da teologia missionaria a teologia contestuale, per adattare la teologia al luogo in cui si opera. La teologia si trasforma quando entra in certi luoghi, perché entra la sapienza degli altri popoli: si modificano le forme e i contenuti. Bisogna lasciare che i grandi silenzi prendano la parola. Anche Dossetti si muoveva tra le due grandi dimensioni del silenzio e della parola. Benedetto Calati, un grande monaco dei nostri tempi, ora scomparso, diceva: “La Scrittura cresce con chi la legge”. Più che dire la Parola di Dio bisogna lasciarla dire, restituendo la nostra vita nelle mani degli altri.

Nelle lotte operaie si voleva che i padroni restituissero il plus-lavoro che creava profitto. Marx da giovane diceva anche che l’operaio veniva alienato: metteva parte della sua attività nel prodotto, che poi gli veniva tolta dal padrone capitalista. È chiaro che non siamo di fronte a questa forma di “restituzione”.

Il tema dell’attesa comporta il “resistere”, il “restare in attesa” facendo sì che alcune cose “non passino”, il “no pasarán” della guerra di Spagna verso il fascismo. Anche dopo la sconfitta del movimento operaio, parliamo ad esempio di resistenza al capitalismo.

Il moderno non si trattiene, ma nel moderno c’è da “trattenere” qualcosa. Trovo in voi un certo ottimismo sulla natura umana, sia individuale che collettiva. Noi però in Occidente abbiamo alle spalle il fallimento del più grande tentativo di liberazione umana messo in campo. Visto dal Sud del mondo, viene avanti la speranza; visto dal Nord viene avanti la disperazione. Ad esempio adesso, con queste elezioni, c’è data la scelta tra due sventure: dovremo scegliere la minore. C’è sempre meno la possibilità di mobilitazione.

Ricostruire” secondo me ha da noi molto a che fare con il ricostruire la fede, una coscienza di sé stessi. Quale fede? Come fare perché il “tempo nuovo” sia nuovo per tutti? Lontano da qui, nelle situazioni narrate, c’è una sorgività, una creatività, pur essendo presenti grandi tradizioni. Da noi c’è la retorica del nuovo, quando spesso c’è falsità in questo: ad esempio cambiano le forme della società capitalistica, ma la sostanza capitalistica rimane.

Dobbiamo guardare ai rapporti sociali e ai rapporti politici, riconoscendo i rapporti di forza tra chi lavora e chi sfrutta il lavoro e tra chi comanda e chi ubbidisce: se non si rovesciano questi rapporti di forza, è veramente possibile un tempo nuovo?

Antonietta Potente ha detto di non credere che ci sia una grande differenza tra il vero asceta e il vero rivoluzionario. È vero. Questo ci impegna a cambiare le forme della lotta e dell’organizzazione, ed anche ad assumere l’ascesi come contemplazione attiva; sapere che non tutto è nelle nostre mani, che c’è un mistero più grande entro cui si svolge la storia umana.

Questo è importante per la politica per cambiare il mondo. Non più avanguardie che guidano, non più direzione dall’alto, ma “orientare seguendo”, “camminare condividendo”.

Noi occidentali siamo la “terra del tramonto”; ma l’altro continua ad essere il nostro destino, che può allargare la nostra visione. Appartengo ad una generazione segnata da una lotta grande e terribile, la speranza è che le nuove generazioni, libere dal ‘900, trovino un’altra misura nella lotta, con una passione per il mondo.

Vi ringrazio per quello che fate e soprattutto per come lo fate.

NOTA BIOGRAFICA:

Mario Tronti (1931-2023) è stato un filosofo e un uomo politico, uno dei fondatori dell’operaismo teorico degli anni ‘60. Militante del Partito Comunista negli anni ‘50, fu co-fondatore della rivista “Quaderni rossi” e poi di “Classe operaia”, di cui fu direttore. L’esperienza dell’operaismo si caratterizzava per il fatto di mettere in discussione le tradizionali organizzazioni (partito e sindacato) e di collegarsi direttamente, senza intermediazioni, alla classe in sé e alle lotte di fabbrica. Tronti si dedicò come studioso a rinnovare il marxismo trasformandolo per riaprire la strada rivoluzionaria in Occidente. Si riavvicinò al Partito Comunista negli anni ‘70. Ha insegnato filosofia politica all’Università di Siena. Dal 2004 è stato presidente del Centro per la Riforma dello Stato.

Da “in Dialogo” nr. 82 del Dicembre 2008

28 luglio 2023

L’associazione di solidarietà internazionale Rete Radié Resch, che don Luigi Ciotti ben conosce grazie alla sua lunga amicizia con Antonio Vermigli di Quarrata, che ci ha appena lasciati, desidera esprimergli solidarietà e stima. Ci indigna e ci preoccupa che un ministro della nostra Repubblica lo offenda con parole ingiuriose e palesemente infondate, dimostrando di non avere la più pallida idea di quanto don Luigi ami il nostro Sud, i suoi e le sue abitanti, i suoi e le sue giovani e dedichi generosamente e coraggiosamente le sue forze al loro riscatto insieme ai tanti volontari e alle tante volontarie del Gruppo Abele e di Libera.

Per la segreteria nazionale

Paolo Guglielminetti e Francesca Gonzato

Quando in Centrafrica “la Wagner ci passò sui piedi”.

Marzo 2019 camminavamo sulle strade di Bangui, Repubblica Centrafricana, quando “la Wagner” passò a pochi centimetri da nostri piedi, parte dell’imponente corteo di scorta del presidente Touaderà.

la Russia arriva ufficialmente in Repubblica Centrafricana nel 2017 quando il consiglio di sicurezza dell’ONU autorizza ufficialmente Putin a fornire armi ed addestramento militare alle truppe del governo locale […]

Nel febbraio 2019, il governo russo media l’accordo di pace raggiunto con 14 gruppi ribelli […]

Presto appare nel Paese anche il gruppo Wagner […] Prigozin, imprenditore russo vicino a Putin noto all’FBI per aver finanziato la Internet Research Agency accusata di aver interferito nella campagna elettorale delle presidenziali del 2016 […].

Il 31 luglio 2018, vengono scoperti i cadaveri di tre giornalisti russi […] stavano indagando sul gruppo Wagner e sugli interessi russi nell’estrazione dell’oro, dell’uranio e dei diamanti.” (”La strada di SE”, People, pp117,118,119)

A pochi centimetri dai piedi Wagner appare surreale, ricorda un video gioco, ragazzini drogati con volti coperti da maschere da supereroi che urlano imbracciando kalashnikov.

E come supereroi saranno descritti da:

l’emittente radiofonica Lengo Songo di loro proprietà con raggio di trasmissione superiore a quello della radio nazionale

il cartone animato con video disponibile su Youtube: youtu.be/NCZ0YSyWVhk.

Il film “TOURISTE”

il monumento loro dedicato dopo la seconda vittoria di Touaderà alle presidenziali del 2020

i riconoscimenti ufficiali del presidente

la campagna di arruolamento nelle loro file/fila dei giovani centrafricani chiamati “i russi neri”.

Le nostre erano due paia di piedi bianchi e curiosi, accanto c’erano quelli di G., centrafricano ben consapevole del potente cocktail che il suo Paese stava già assaporando: dittatura africana sostenuta da dittatura russa con la benedizione e protezione di ONU e NATO, che nel corteo in questione schieravano i loro mezzi pesanti orgogliosamente griffati UN ed EUTM.

G. ed i suoi amici da allora ci mandano foto e notizie che potrebbero costare la loro pelle e che ci vergogniamo un po’ a “retribuire” con 20€ al pezzo.

Il libro “ La strada di SE” ed il video “La nascita di Zoukpana” fino al 24 febbraio 2022 potevano sembrare il frutto di una ricerca su un’esperienza passata ed il reportage di uno dei tanti viaggi che freelance amatoriali compiono in terre sconosciute e pericolose.

Dopo il 24 febbraio 2022 la geopolitica mondiale creò nuove assonanze.

L’esercito nazionale centrafricano FACA annunciò di essere pronto a mandare uomini a sostenere la sorella Russia nell’impresa di sconfiggere i nazisti ucraini, la Repubblica Centrafricana riconosce il Donbass, il dittatore “democraticamente eletto” Touaderàorganizzerà sfilate di sostegno a Putin.

E poi, e poi accadimenti quasi sussurrati, ne citiamo alcuni:

dicembre 2022 l’esercito francese lascia definitivamente Bangui lasciando nelle mani dei russi il compito di “formare” l’esercito nazionale

dicembre 2022 a seguito di un presunto attentato ad un russo un rogo distrugge la sede dell’unione Europea a Bangui

primavera 2023 presidente Touaderà annuncia di voler modificare la costituzione tramite “referendum” per assicurarsi ulteriori mandati (data prevista 30 Luglio p.v.)

aprile 2023 Wagner inizia a richiamare truppe dall’Africa in rinforzo all’Ucraina.

MINUSCA ed EUTM missioni militari rispettivamente di ONU ed Unione Europea rimangono a Bangui in compagnia dei discreti, efficienti ed inarrestabili cinesi in “soft power”.

Il 27 giugno 2023 Prigozin e la Wagner marciano su Mosca.

La stampa ha coperto l’evento in diretta, si sono moltiplicati i commenti, le analisi i reportage ed anche le stronzate scritte e dette sull’Africa e sul Centrafrica da lingue rinsecchite da anni ed anni di silenzio.

Intanto, intanto accadimenti quasi sussurrati:

in Centrafrica l’opposizione a Touaderà che fa capo alla Coalizione Patrioti per il Cambiamento, gruppi armati guidati dall’ex presidente Bosize, invita ad impugnare le armi (Bosize fu storico amico della Francia…adesso?)

Il 22 Luglio 2023, a meno di dieci giorni dal referendum costituzionale la Francia ha nominato ufficialmente il nuovo ambasciatore a Bangui, Bruno Foucher, uomo di “alto rango per aprire una nuova stagione di collaborazione a tutti i livelli tra i due paesi” (Corbeau News Centrafrique, sito oscurato in territorio centrafricano).

Quando Wagner passò a pochi centimetri dai nostri piedi provammo la sensazione di sprofondare, completamente paralizzati.

Era Marzo 2019, lo ripetiamo.

Tornammo a Febbraio 2020.

Torneremo a Settembre 2023, se riceveremo i visti…

Chi continua a scriverci da laggiù merita un abbraccio stretto, una birra in un locale pubblico, la nostra faccia accanto, chi continua a scriverci vive là, ogni giorno.

Quliano, 25 Luglio 2023

Collettivo SE

Speranza: presente e futuro

Nelle ultime 30 ore, le forze di occupazione e di apartheid israeliane hanno invaso la città di Jenin, compreso il campo profughi di Jenin. Hanno raso al suolo strade e infrastrutture elettriche e idriche. Hanno impedito l’accesso alle ambulanze e  hanno attaccato la stampa. Migliaia di persone sono state costrette a lasciare le loro case. Una seconda pulizia etnica per loro. Al nostro popolo viene rifiutata la protezione internazionale e, come in passato, le atrocità israeliane sono compiute con la complicità del mondo occidentale e arabo.

Le poche “dichiarazioni” rilasciate da alcuni governi per esprimere “preoccupazione” sono soddisfacenti per gli oppressori israeliani. Mentre le potenze occidentali danno ipocritamente miliardi di aiuti all’Ucraina contro la Russia per l’occupazione di parte del suo territorio, le stesse potenze appoggiano gli occupanti della Palestina. Sostengono l’apartheid e la pulizia etnica.

Vorrei fare qui una riflessione personale. Ho 66 anni e ho trascorso tutta la mia vita adulta lavorando per la causa della libertà, e per una visione di comunità umane e naturali sostenibili. La speranza è indispensabile perché non possiamo permetterci la disperazione. L’empowerment è molto più impegnativo perché implica un lavoro di convinzione. Per noi la sfida più ardua è formare un numero sufficiente di persone rese consapevoli e capaci di realizzare il cambiamento necessario. Tali persone poi si impegnano e utilizzano i metodi che ritengono più efficaci per ottenere i risultati desiderati. Io ho presentato centinaia di metodi utilizzati, la maggior parte dei quali non armati, nel mio libro “La resistenza popolare in Palestina: Una storia di speranza e di emancipazione”. Mi sono anche impegnato in decine di metodi di resistenza popolare. Negli ultimi 9 anni io e mia moglie abbiamo fatto volontariato a tempo pieno (e 7 giorni su 7) per costruire da zero un “Istituto Palestinese per la Biodiversità e la Sostenibilità”. Si tratta di un’oasi di speranza e di sanità mentale nel mezzo del caos. È una candela nell’oscurità. Non voglio che abbiate l’illusione che siamo sicuri al 100% della nostra strada. Dubbi e incertezza abbondano, soprattutto in tempi difficili, che affrontiamo spesso, e in tempi di crisi come questo di Jenin. Per esempio, quanto siamo sicuri (a livello personale) che la nostra strada sia quella giusta quando il regime israeliano che ci bombarda da 75 anni ha causato 8 milioni di rifugiati o sfollati? Aveva ragione John F. Kennedy a dire: “Coloro che rendono impossibile una rivoluzione pacifica renderanno inevitabile la rivoluzione violenta”? Esiste una sopravvivenza dei più meschini e dei più malvagi in questo pazzo mondo? La maggior parte dei palestinesi è infettata da una colonizzazione mentale che li immobilizza (ho scritto un capitolo su questo in un libro sul post-colonialismo)? Quanti hanno disciplina, etica del lavoro e impegno per rendere questo mondo migliore? Quante persone hanno un “interesse personale illuminato” <http://qumsiyeh.org/onenlightenedselfinterest/> piuttosto che un interesse personale ristretto e sciocco?  Le mie aspettative nei confronti di me stesso e di coloro che mi circondano sono più alte o più basse di quanto dovrebbero essere? La scorsa notte, mentre riflettevo su queste e altre domande in una notte insonne, mi sono reso conto di non avere molte risposte e che le risposte che ho possono valere solo per me (in fondo, possiamo cambiare solo noi stessi in realtà).

Vent’anni fa, nel mio libro “Condividere la Terra di Canaan”

<http://qumsiyeh.org/sharingthelandofcanaan/> ho articolato ciò che considero il modo razionale per fermare l’assalto alle persone e alla natura nella Palestina storica. Ora sotto lo stivale di Canaan, aggiungo una citazione di Howard Zinn relativa alla speranza che ho usato in quel libro per ricordare a me stesso:

“C’è la tendenza a pensare che ciò che vediamo nel momento presente continueremo a vederlo. Dimentichiamo quanto spesso in questo secolo siamo stati stupiti dall’improvviso sgretolarsi delle istituzioni, da straordinari cambiamenti nei pensieri della gente, da inaspettate esplosioni di ribellione contro le tirannie, dal rapido crollo di sistemi di potere che sembravano invincibili. Essere fiduciosi in tempi difficili non è solo scioccamente romantico. Si basa sul fatto che la storia umana è una storia non solo di crudeltà, ma anche di compassione, di sacrificio, di coraggio e di gentilezza. Ciò che scegliamo di enfatizzare in questa storia complessa determinerà la nostra vita. Se vediamo solo il peggio, questo distrugge la nostra capacità di fare qualcosa. Se ricordiamo quei luoghi e tempi – e ce ne sono tanti – in cui le persone si sono comportate magnificamente, questo ci dà l’energia per agire, e almeno la possibilità di mandare questa trottola di mondo in una direzione diversa. E se agiamo, anche se in piccolo, non dobbiamo aspettarci un grande futuro utopico. Il futuro è una successione infinita di presenti e vivere adesso come pensiamo che gli esseri umani debbano vivere, sfidando tutto ciò che di brutto ci circonda, è di per sé una meravigliosa vittoria.

Questa settimana ho iniziato il mio lavoro come direttore esecutivo di B’Tselem. Sono sopraffatta da un senso di responsabilità ed eccitazione, e naturalmente sono anche un po’ ansiosa. Voglio condividere un po’ la mia decisione e ciò che mi ha portato a prenderla.

Tra pochi mesi, io e la mia compagna Yaeli diventeremo madri.

Per me è difficile da comprendere, ma arriverà il momento in cui un bambino di questo mondo, una creatura, sarà nostro e dovremo crescerlo e proteggerlo. Purtroppo, so che mio figlio nascerà in una realtà dolorosa e crudele. Mio figlio nascerà per vivere sotto l’apartheid, per essere un occupante. La decisione di far nascere un bambino in questo luogo, in questo mondo e in questa realtà, non era scontata per noi. Credo che non sia un caso che sia arrivata insieme a un’altra decisione: concludere sei anni di ricerche, riflessioni e scritti sulla nostra situazione politica, rimboccarmi le maniche e tornare “sul campo”, cioè mettere tutta me stessa nel fare del mio meglio per trasformare questo luogo nella casa che desidero per mio figlio e per tutti i bambini che vivono tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo: una casa di giustizia e moralità, di valori e libertà, una casa libera dall’oppressione e dalla discriminazione, una casa che guarisca dall’occupazione e dall’apartheid. E non riesco a pensare a nessun gruppo o organizzazione in grado di lavorare per far progredire una tale realtà meglio di B’Tselem.

 Stiamo operando sotto un regime ostile: un regime che è ostile ai diritti umani e alla libertà, alle donne e ai poveri. Ma soprattutto è un regime ostile ai palestinesi. La nostra lotta è una lotta contro il regime israeliano con l’obiettivo di cambiarlo, trasformarlo in una democrazia e infondere in esso valori di dignità, uguaglianza e giustizia. “Negli ultimi anni la comunità israeliana per i diritti umani ha subito una trasformazione. Un processo nel quale sono felice di aver svolto un ruolo modesto, in gran parte dietro le quinte. La nostra attuale comprensione della realtà è molto più profonda e complessa rispetto al passato. Il quadro che abbiamo ora non è più comodo o piacevole, ma è più accurato. Ci rendiamo conto che stiamo operando sotto un regime ostile: un regime ostile ai diritti umani e alla libertà, alle donne e ai poveri. Ma soprattutto è un regime ostile ai palestinesi (sia ai suoi “sudditi” che a quelli che chiama “cittadini”). La nostra lotta è una lotta contro il regime israeliano con l’obiettivo di cambiarlo, trasformarlo in una democrazia e infondere in esso valori di dignità, uguaglianza e giustizia. Questi valori sono incompatibili con le politiche di occupazione e di apartheid. Non c’è democrazia sotto l’occupazione. Non c’è democrazia sotto l’apartheid, né a Hebron, né a Gaza, né a Lod/Lydda, né a Tel Aviv.

 Anche B’Tselem comprende questa verità. Negli ultimi anni, sotto la guida esemplare di Hagai El-Ad, B’Tselem ha intrapreso azioni coraggiose e drammatiche per instillare questa comprensione nelle comunità locali e internazionali. Sono onorato di entrare a far parte di un’organizzazione che innalza con orgoglio la bandiera dei diritti umani anche in condizioni sempre peggiori, un’organizzazione che sa come crescere, come porre domande difficili e come affrontare una realtà difficile e violenta senza vacillare nemmeno per un momento.

 So che il lavoro di B’Tselem non è facile da digerire per gli israeliani. B’Tselem è un’organizzazione che insiste nel mostrare al pubblico ciò che è sgradevole da guardare e, soprattutto, richiede che arriviamo a comprendere parti di noi stessi che non è facile riconoscere. Quando queste due cose accadono – vedere e capire – siamo costretti a immaginare anche un futuro diverso, libero dall’oppressione e dalla supremazia. Questo è il futuro che ci hanno insegnato a temere.

 Negli ultimi anni ho dedicato molto tempo alla ricerca su cosa sia l’apartheid e su come funzioni un regime del genere. Una delle cose che ho imparato è che l’apartheid distorce la nostra percezione della realtà. È un regime che fa credere a chi ci vive, soprattutto a chi appartiene al gruppo che beneficia della superiorità, che l’ordine politico esistente sia l’unico possibile. Ci fa credere in una storia che permette di accettare l’oppressione e la violenza come inevitabili. Ci fa vedere le demolizioni di case, la discriminazione istituzionale, la segregazione, i trasferimenti forzati e le uccisioni sistematiche e quotidiane come un destino. L’apartheid ci rende crudeli.

 L’apartheid israeliano sta diventando sempre più forte e radicato. I valori della violenza, del razzismo e della supremazia si impongono sempre più nell’opinione pubblica israeliana. Di conseguenza, sempre più vite palestinesi vengono distrutte, sempre più famiglie perdono ciò che hanno di più caro e, sempre di conseguenza, la nostra capacità di immaginare un futuro diverso si indebolisce di giorno in giorno.

 La mia speranza per questo luogo – e per il suo futuro – risiede in persone come il meraviglioso e professionale team di B’Tselem: persone che si svegliano ogni giorno e fanno tutto il possibile per portare alla luce la verità che il regime israeliano sta cercando di nascondere, che insistono a far parte di una comunità internazionale e che sono determinate a lavorare per un futuro diverso – israeliani e palestinesi che lavorano insieme e resistono alla separazione fondata sulle bugie e sulla paura.

 La mia speranza risiede anche in voi, nella nostra cerchia di sostenitori e partner, che comprendono la necessità di una lotta condivisa per riparare i danni e che desiderano come noi un futuro di giustizia e libertà.  Credo che questi nostri circoli possano espandersi sempre di più. So che il coraggio e la speranza sono contagiosi.

 Sono grato al Consiglio di amministrazione di B’Tselem e al suo presidente, Orly Noy, per la fiducia accordatami nel guidare l’organizzazione nei prossimi anni.

 Possiamo andare avanti insieme verso la caduta dell’apartheid e un futuro di libertà.

A voi,

Yuli Novak

Direttore esecutivo di B’Tselem

Lettera circolare della Rete di solidarietà internazionale
Radiè Resch di Padova Giugno 2023
t

“Chiudere la porta non garantisce la sicurezza, e la storia l’ha dimostrato.
L’unico modo per accrescere la sicurezza non è costruire altri muri,
ma creare spazi aperti nei quali tutti possano dialogare e sentirsi partecipi dello stesso mondo”.
Zygmunt Bauman

*****

Carissimi/e della Rete tutta. Abbiamo titolato questa lettera dei nostri amici con “ … brutte notizie da Haiti”. L’allarmante racconto che segue, aggiunge, alle preoccupazioni che già conoscevamo , l’incertezza per il futuro del Paese. Non aggiungiamo nulla al pensiero di Jean e della Fddpa, purtroppo, della situazione di Haiti non ne parla nessuno. Un’indifferenza politica-economica che fa pensare. Alla fine trovate anche una “Nota” di AlterPresse.

… brutte notizie da Haiti

Buongiorno a tutta la famiglia della Rete, specialmente a quella di Padova. È una grande gioia e piacere scrivervi oggi questa lettera per condividere con voi qualche informazione del nostro Paese. Cominciamo con dirvi che stiamo bene, in salute, ma la situazione diventa ogni giorno di più difficile a causa dei problemi di insicurezza ormai da tre anni a questa parte che si sono aggravati. Le bande armate continuano a dettare legge nel Paese, restano impunite sia dal governo che dalla comunità internazionale che non fa nulla contro questa situazione: sono loro infatti che hanno creato questa situazione di insicurezza che permette loro di mantenersi al potere con facilità. La popolazione non è più in grado di manifestare pubblicamente perché le bande reprimono. È una situazione che provoca molta angoscia e paura a chi vuole cambiare la condizione di vita del Paese. Le bande sembrano più forti e occupano più territori ogni giorno di più.
Molte volte gli abitanti di alcuni quartieri devono lasciare le loro case per vivere altrove. Per esempio, io stesso e tutta la mia famiglia, con tutte le persone che vivono nella casa di Dadoue a Doubisson, saremo obbligati a lasciare la casa per andare altrove perché le bande sono arrivate a Sous-Matla [vedi nota] una comunità a meno di 1 km dal centro della città di Cabaret. Molta gente se ne sta andando.
In questo momento siamo ancora in casa ma non sappiamo per quanto ancora. Siamo quindi isolati dalla capitale e non ci sono strade per arrivarci, solamente con barche poco sicure che non sono attrezzate per portare persone e che a prenderle costituisce un rischio, ma la necessità è tanta che molti le utilizzano.
Nonostante tutto le attività di Fddpa continuano a funzionare, in particolare le scuole. Il problema adesso è che per noi è difficile e pericoloso muoverci da un posto all’altro, anche per la gente di Dofinè è lo stesso se vogliono raggiungerci a Doubisson. Diesseul (responsabile per la comunità di Dofinè) ha dovuto attraversare la montagna da Dofinè a Fondol per poterci incontrare [la via per Verrette è sotto controllo delle bande]. Fabio, credo che tu capisca bene quello che cerco di spiegare e contiamo che troverai parole adatte per far capire ai nostri fratelli e sorelle della Rete la gravità della situazione.
A Cabaret le scuole sono paralizzate e evidentemente i bambini e giovani della casa non possono frequentare.
La banca concede solamente prelievi per 100 o 200 dollari a persona al giorno e siamo obbligati a pagare le spese con assegni; andiamo in banca in due o tre di noi varie volte, soprattutto quando dobbiamo pagare i professori e per urgenze di Fddpa. Il centro di salute [Fondol] non riesce a comprare le medicine, così come accade ad altri centri di salute della nostra zona che ormai hanno le porte chiuse alle necessità della popolazione.
Nessuno circola per le strade in tutta Haiti, gli autobus non viaggiano più e ci si deve arrangiare con altri mezzi per spostarsi. Le bande fanno in modo che il carburante non possa essere distribuito, ciò causa che il costo della vita sia cresciuto enormemente, il prezzo dei beni di prima necessità è 3 volte più caro di prima.
Per non parlare dei problemi politici, della corruzione dilagante nelle amministrazioni pubbliche, del primo ministro che governa con tutto il potere senza legittimazione, senza un parlamento che possa controllare le spese e gli sprechi di questo governo. Non abbiamo nemmeno delle date per le elezioni future e nemmeno aspettative che il primo ministro Ariel Henry lasci il potere.
Così è, ecco quanto vi informiamo da questo Paese e che vi condividiamo.
Ciao e grazie. Jean e Fddpa
*****
Nota

P-au-P., 18 maggio 2023 [AlterPresse] — Il poliziotto nazionale Roberto Charleston è stato assassinato e due mezzi blindati sono stati dati alle fiamme con molotov, in un attacco di banditi armati a Source Matelas (circa 37 km a nord della capitale, Port-au-Prince), nella notte tra mercoledì 17 maggio e giovedì 18 maggio 2023.
L’istituzione di polizia esorta ancora una volta gli agenti di polizia nazionale a serrare i ranghi nella lotta contro le bande armate ea non farsi intimidire. Dichiara di ribadire il suo appello alla franca collaborazione della popolazione, pur riaffermando la sua determinazione nel quadro delle sue operazioni volte allo smantellamento delle bande armate in tutta Haiti.
Titanyen, l’area della Minoterie, Source Matelas (Cabaret), il maggiore agglomerato di Canaan, gran parte del comune di Croix-des-Bouquets e altre aree sono tutte assediate da banditi armati, che uccidono e stuprano molte persone.
A Source Matelas, terza sezione comunale di Cabaret (nord), almeno un centinaio di persone sono state assassinate in attacchi, perpetrati dal 19 aprile 2023, da banditi armati operanti a Canaan e Titanyen, guidati rispettivamente dai capi delle bande Jeff Larose e Jean Auguste Chérismé alias Generale Bogi, ha rivelato la Rete Nazionale per la Difesa dei Diritti Umani (Rnddh), molti di loro sono stati imprigionati nelle case, in cui questi banditi armati avevano appiccato il fuoco. Anche decine di persone sono rimaste ferite dai proiettili.
Inoltre, 84 agenti di polizia nazionale sono stati uccisi, dal luglio 2021 all’aprile 2023, in 21 mesi di governo de facto di Ariel Henry, ha affermato in un rapporto l’organizzazione per i diritti umani Fondasyon je klere (Fjkl). “In media, vengono uccisi 4 poliziotti al mese. Alcuni in condizioni atroci e orribili. I video dell’esecuzione delle forze dell’ordine vengono postati sui social dai teppisti nella totale impunità”, ha ricordato il Fjkl, nel documento “Situazione di terrore ad Haiti, le figure nere del governo di Ariel Henry”.
*****

Questo sito web utilizza cookie tecnici e di terze parti. I cookie sono normalmente utilizzati per consentire il corretto funzionamento del sito (cookie tecnici), per generare report sull’utilizzo della navigazione (cookie statistici) e per pubblicizzare adeguatamente i nostri servizi / prodotti (cookie di profilazione). Possiamo utilizzare direttamente i cookie tecnici, ma hai facoltà di scegliere se abilitare o meno i cookie statistici e di profilazione. Abilitando questi cookie, ci aiuti a offrirti un’esperienza migliore. Cliccando sul pulsante di seguito, acconsenti all’utilizzo dei cookie di terze parti utilizzo in conformità alla nostra informativa sulla privacy e cookie policy. Il consenso può essere revocato in qualsiasi momento. Informazioni