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28 luglio 2023

L’associazione di solidarietà internazionale Rete Radié Resch, che don Luigi Ciotti ben conosce grazie alla sua lunga amicizia con Antonio Vermigli di Quarrata, che ci ha appena lasciati, desidera esprimergli solidarietà e stima. Ci indigna e ci preoccupa che un ministro della nostra Repubblica lo offenda con parole ingiuriose e palesemente infondate, dimostrando di non avere la più pallida idea di quanto don Luigi ami il nostro Sud, i suoi e le sue abitanti, i suoi e le sue giovani e dedichi generosamente e coraggiosamente le sue forze al loro riscatto insieme ai tanti volontari e alle tante volontarie del Gruppo Abele e di Libera.

Per la segreteria nazionale

Paolo Guglielminetti e Francesca Gonzato

Quando in Centrafrica “la Wagner ci passò sui piedi”.

Marzo 2019 camminavamo sulle strade di Bangui, Repubblica Centrafricana, quando “la Wagner” passò a pochi centimetri da nostri piedi, parte dell’imponente corteo di scorta del presidente Touaderà.

la Russia arriva ufficialmente in Repubblica Centrafricana nel 2017 quando il consiglio di sicurezza dell’ONU autorizza ufficialmente Putin a fornire armi ed addestramento militare alle truppe del governo locale […]

Nel febbraio 2019, il governo russo media l’accordo di pace raggiunto con 14 gruppi ribelli […]

Presto appare nel Paese anche il gruppo Wagner […] Prigozin, imprenditore russo vicino a Putin noto all’FBI per aver finanziato la Internet Research Agency accusata di aver interferito nella campagna elettorale delle presidenziali del 2016 […].

Il 31 luglio 2018, vengono scoperti i cadaveri di tre giornalisti russi […] stavano indagando sul gruppo Wagner e sugli interessi russi nell’estrazione dell’oro, dell’uranio e dei diamanti.” (”La strada di SE”, People, pp117,118,119)

A pochi centimetri dai piedi Wagner appare surreale, ricorda un video gioco, ragazzini drogati con volti coperti da maschere da supereroi che urlano imbracciando kalashnikov.

E come supereroi saranno descritti da:

l’emittente radiofonica Lengo Songo di loro proprietà con raggio di trasmissione superiore a quello della radio nazionale

il cartone animato con video disponibile su Youtube: youtu.be/NCZ0YSyWVhk.

Il film “TOURISTE”

il monumento loro dedicato dopo la seconda vittoria di Touaderà alle presidenziali del 2020

i riconoscimenti ufficiali del presidente

la campagna di arruolamento nelle loro file/fila dei giovani centrafricani chiamati “i russi neri”.

Le nostre erano due paia di piedi bianchi e curiosi, accanto c’erano quelli di G., centrafricano ben consapevole del potente cocktail che il suo Paese stava già assaporando: dittatura africana sostenuta da dittatura russa con la benedizione e protezione di ONU e NATO, che nel corteo in questione schieravano i loro mezzi pesanti orgogliosamente griffati UN ed EUTM.

G. ed i suoi amici da allora ci mandano foto e notizie che potrebbero costare la loro pelle e che ci vergogniamo un po’ a “retribuire” con 20€ al pezzo.

Il libro “ La strada di SE” ed il video “La nascita di Zoukpana” fino al 24 febbraio 2022 potevano sembrare il frutto di una ricerca su un’esperienza passata ed il reportage di uno dei tanti viaggi che freelance amatoriali compiono in terre sconosciute e pericolose.

Dopo il 24 febbraio 2022 la geopolitica mondiale creò nuove assonanze.

L’esercito nazionale centrafricano FACA annunciò di essere pronto a mandare uomini a sostenere la sorella Russia nell’impresa di sconfiggere i nazisti ucraini, la Repubblica Centrafricana riconosce il Donbass, il dittatore “democraticamente eletto” Touaderàorganizzerà sfilate di sostegno a Putin.

E poi, e poi accadimenti quasi sussurrati, ne citiamo alcuni:

dicembre 2022 l’esercito francese lascia definitivamente Bangui lasciando nelle mani dei russi il compito di “formare” l’esercito nazionale

dicembre 2022 a seguito di un presunto attentato ad un russo un rogo distrugge la sede dell’unione Europea a Bangui

primavera 2023 presidente Touaderà annuncia di voler modificare la costituzione tramite “referendum” per assicurarsi ulteriori mandati (data prevista 30 Luglio p.v.)

aprile 2023 Wagner inizia a richiamare truppe dall’Africa in rinforzo all’Ucraina.

MINUSCA ed EUTM missioni militari rispettivamente di ONU ed Unione Europea rimangono a Bangui in compagnia dei discreti, efficienti ed inarrestabili cinesi in “soft power”.

Il 27 giugno 2023 Prigozin e la Wagner marciano su Mosca.

La stampa ha coperto l’evento in diretta, si sono moltiplicati i commenti, le analisi i reportage ed anche le stronzate scritte e dette sull’Africa e sul Centrafrica da lingue rinsecchite da anni ed anni di silenzio.

Intanto, intanto accadimenti quasi sussurrati:

in Centrafrica l’opposizione a Touaderà che fa capo alla Coalizione Patrioti per il Cambiamento, gruppi armati guidati dall’ex presidente Bosize, invita ad impugnare le armi (Bosize fu storico amico della Francia…adesso?)

Il 22 Luglio 2023, a meno di dieci giorni dal referendum costituzionale la Francia ha nominato ufficialmente il nuovo ambasciatore a Bangui, Bruno Foucher, uomo di “alto rango per aprire una nuova stagione di collaborazione a tutti i livelli tra i due paesi” (Corbeau News Centrafrique, sito oscurato in territorio centrafricano).

Quando Wagner passò a pochi centimetri dai nostri piedi provammo la sensazione di sprofondare, completamente paralizzati.

Era Marzo 2019, lo ripetiamo.

Tornammo a Febbraio 2020.

Torneremo a Settembre 2023, se riceveremo i visti…

Chi continua a scriverci da laggiù merita un abbraccio stretto, una birra in un locale pubblico, la nostra faccia accanto, chi continua a scriverci vive là, ogni giorno.

Quliano, 25 Luglio 2023

Collettivo SE

Speranza: presente e futuro

Nelle ultime 30 ore, le forze di occupazione e di apartheid israeliane hanno invaso la città di Jenin, compreso il campo profughi di Jenin. Hanno raso al suolo strade e infrastrutture elettriche e idriche. Hanno impedito l’accesso alle ambulanze e  hanno attaccato la stampa. Migliaia di persone sono state costrette a lasciare le loro case. Una seconda pulizia etnica per loro. Al nostro popolo viene rifiutata la protezione internazionale e, come in passato, le atrocità israeliane sono compiute con la complicità del mondo occidentale e arabo.

Le poche “dichiarazioni” rilasciate da alcuni governi per esprimere “preoccupazione” sono soddisfacenti per gli oppressori israeliani. Mentre le potenze occidentali danno ipocritamente miliardi di aiuti all’Ucraina contro la Russia per l’occupazione di parte del suo territorio, le stesse potenze appoggiano gli occupanti della Palestina. Sostengono l’apartheid e la pulizia etnica.

Vorrei fare qui una riflessione personale. Ho 66 anni e ho trascorso tutta la mia vita adulta lavorando per la causa della libertà, e per una visione di comunità umane e naturali sostenibili. La speranza è indispensabile perché non possiamo permetterci la disperazione. L’empowerment è molto più impegnativo perché implica un lavoro di convinzione. Per noi la sfida più ardua è formare un numero sufficiente di persone rese consapevoli e capaci di realizzare il cambiamento necessario. Tali persone poi si impegnano e utilizzano i metodi che ritengono più efficaci per ottenere i risultati desiderati. Io ho presentato centinaia di metodi utilizzati, la maggior parte dei quali non armati, nel mio libro “La resistenza popolare in Palestina: Una storia di speranza e di emancipazione”. Mi sono anche impegnato in decine di metodi di resistenza popolare. Negli ultimi 9 anni io e mia moglie abbiamo fatto volontariato a tempo pieno (e 7 giorni su 7) per costruire da zero un “Istituto Palestinese per la Biodiversità e la Sostenibilità”. Si tratta di un’oasi di speranza e di sanità mentale nel mezzo del caos. È una candela nell’oscurità. Non voglio che abbiate l’illusione che siamo sicuri al 100% della nostra strada. Dubbi e incertezza abbondano, soprattutto in tempi difficili, che affrontiamo spesso, e in tempi di crisi come questo di Jenin. Per esempio, quanto siamo sicuri (a livello personale) che la nostra strada sia quella giusta quando il regime israeliano che ci bombarda da 75 anni ha causato 8 milioni di rifugiati o sfollati? Aveva ragione John F. Kennedy a dire: “Coloro che rendono impossibile una rivoluzione pacifica renderanno inevitabile la rivoluzione violenta”? Esiste una sopravvivenza dei più meschini e dei più malvagi in questo pazzo mondo? La maggior parte dei palestinesi è infettata da una colonizzazione mentale che li immobilizza (ho scritto un capitolo su questo in un libro sul post-colonialismo)? Quanti hanno disciplina, etica del lavoro e impegno per rendere questo mondo migliore? Quante persone hanno un “interesse personale illuminato” <http://qumsiyeh.org/onenlightenedselfinterest/> piuttosto che un interesse personale ristretto e sciocco?  Le mie aspettative nei confronti di me stesso e di coloro che mi circondano sono più alte o più basse di quanto dovrebbero essere? La scorsa notte, mentre riflettevo su queste e altre domande in una notte insonne, mi sono reso conto di non avere molte risposte e che le risposte che ho possono valere solo per me (in fondo, possiamo cambiare solo noi stessi in realtà).

Vent’anni fa, nel mio libro “Condividere la Terra di Canaan”

<http://qumsiyeh.org/sharingthelandofcanaan/> ho articolato ciò che considero il modo razionale per fermare l’assalto alle persone e alla natura nella Palestina storica. Ora sotto lo stivale di Canaan, aggiungo una citazione di Howard Zinn relativa alla speranza che ho usato in quel libro per ricordare a me stesso:

“C’è la tendenza a pensare che ciò che vediamo nel momento presente continueremo a vederlo. Dimentichiamo quanto spesso in questo secolo siamo stati stupiti dall’improvviso sgretolarsi delle istituzioni, da straordinari cambiamenti nei pensieri della gente, da inaspettate esplosioni di ribellione contro le tirannie, dal rapido crollo di sistemi di potere che sembravano invincibili. Essere fiduciosi in tempi difficili non è solo scioccamente romantico. Si basa sul fatto che la storia umana è una storia non solo di crudeltà, ma anche di compassione, di sacrificio, di coraggio e di gentilezza. Ciò che scegliamo di enfatizzare in questa storia complessa determinerà la nostra vita. Se vediamo solo il peggio, questo distrugge la nostra capacità di fare qualcosa. Se ricordiamo quei luoghi e tempi – e ce ne sono tanti – in cui le persone si sono comportate magnificamente, questo ci dà l’energia per agire, e almeno la possibilità di mandare questa trottola di mondo in una direzione diversa. E se agiamo, anche se in piccolo, non dobbiamo aspettarci un grande futuro utopico. Il futuro è una successione infinita di presenti e vivere adesso come pensiamo che gli esseri umani debbano vivere, sfidando tutto ciò che di brutto ci circonda, è di per sé una meravigliosa vittoria.

Questa settimana ho iniziato il mio lavoro come direttore esecutivo di B’Tselem. Sono sopraffatta da un senso di responsabilità ed eccitazione, e naturalmente sono anche un po’ ansiosa. Voglio condividere un po’ la mia decisione e ciò che mi ha portato a prenderla.

Tra pochi mesi, io e la mia compagna Yaeli diventeremo madri.

Per me è difficile da comprendere, ma arriverà il momento in cui un bambino di questo mondo, una creatura, sarà nostro e dovremo crescerlo e proteggerlo. Purtroppo, so che mio figlio nascerà in una realtà dolorosa e crudele. Mio figlio nascerà per vivere sotto l’apartheid, per essere un occupante. La decisione di far nascere un bambino in questo luogo, in questo mondo e in questa realtà, non era scontata per noi. Credo che non sia un caso che sia arrivata insieme a un’altra decisione: concludere sei anni di ricerche, riflessioni e scritti sulla nostra situazione politica, rimboccarmi le maniche e tornare “sul campo”, cioè mettere tutta me stessa nel fare del mio meglio per trasformare questo luogo nella casa che desidero per mio figlio e per tutti i bambini che vivono tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo: una casa di giustizia e moralità, di valori e libertà, una casa libera dall’oppressione e dalla discriminazione, una casa che guarisca dall’occupazione e dall’apartheid. E non riesco a pensare a nessun gruppo o organizzazione in grado di lavorare per far progredire una tale realtà meglio di B’Tselem.

 Stiamo operando sotto un regime ostile: un regime che è ostile ai diritti umani e alla libertà, alle donne e ai poveri. Ma soprattutto è un regime ostile ai palestinesi. La nostra lotta è una lotta contro il regime israeliano con l’obiettivo di cambiarlo, trasformarlo in una democrazia e infondere in esso valori di dignità, uguaglianza e giustizia. “Negli ultimi anni la comunità israeliana per i diritti umani ha subito una trasformazione. Un processo nel quale sono felice di aver svolto un ruolo modesto, in gran parte dietro le quinte. La nostra attuale comprensione della realtà è molto più profonda e complessa rispetto al passato. Il quadro che abbiamo ora non è più comodo o piacevole, ma è più accurato. Ci rendiamo conto che stiamo operando sotto un regime ostile: un regime ostile ai diritti umani e alla libertà, alle donne e ai poveri. Ma soprattutto è un regime ostile ai palestinesi (sia ai suoi “sudditi” che a quelli che chiama “cittadini”). La nostra lotta è una lotta contro il regime israeliano con l’obiettivo di cambiarlo, trasformarlo in una democrazia e infondere in esso valori di dignità, uguaglianza e giustizia. Questi valori sono incompatibili con le politiche di occupazione e di apartheid. Non c’è democrazia sotto l’occupazione. Non c’è democrazia sotto l’apartheid, né a Hebron, né a Gaza, né a Lod/Lydda, né a Tel Aviv.

 Anche B’Tselem comprende questa verità. Negli ultimi anni, sotto la guida esemplare di Hagai El-Ad, B’Tselem ha intrapreso azioni coraggiose e drammatiche per instillare questa comprensione nelle comunità locali e internazionali. Sono onorato di entrare a far parte di un’organizzazione che innalza con orgoglio la bandiera dei diritti umani anche in condizioni sempre peggiori, un’organizzazione che sa come crescere, come porre domande difficili e come affrontare una realtà difficile e violenta senza vacillare nemmeno per un momento.

 So che il lavoro di B’Tselem non è facile da digerire per gli israeliani. B’Tselem è un’organizzazione che insiste nel mostrare al pubblico ciò che è sgradevole da guardare e, soprattutto, richiede che arriviamo a comprendere parti di noi stessi che non è facile riconoscere. Quando queste due cose accadono – vedere e capire – siamo costretti a immaginare anche un futuro diverso, libero dall’oppressione e dalla supremazia. Questo è il futuro che ci hanno insegnato a temere.

 Negli ultimi anni ho dedicato molto tempo alla ricerca su cosa sia l’apartheid e su come funzioni un regime del genere. Una delle cose che ho imparato è che l’apartheid distorce la nostra percezione della realtà. È un regime che fa credere a chi ci vive, soprattutto a chi appartiene al gruppo che beneficia della superiorità, che l’ordine politico esistente sia l’unico possibile. Ci fa credere in una storia che permette di accettare l’oppressione e la violenza come inevitabili. Ci fa vedere le demolizioni di case, la discriminazione istituzionale, la segregazione, i trasferimenti forzati e le uccisioni sistematiche e quotidiane come un destino. L’apartheid ci rende crudeli.

 L’apartheid israeliano sta diventando sempre più forte e radicato. I valori della violenza, del razzismo e della supremazia si impongono sempre più nell’opinione pubblica israeliana. Di conseguenza, sempre più vite palestinesi vengono distrutte, sempre più famiglie perdono ciò che hanno di più caro e, sempre di conseguenza, la nostra capacità di immaginare un futuro diverso si indebolisce di giorno in giorno.

 La mia speranza per questo luogo – e per il suo futuro – risiede in persone come il meraviglioso e professionale team di B’Tselem: persone che si svegliano ogni giorno e fanno tutto il possibile per portare alla luce la verità che il regime israeliano sta cercando di nascondere, che insistono a far parte di una comunità internazionale e che sono determinate a lavorare per un futuro diverso – israeliani e palestinesi che lavorano insieme e resistono alla separazione fondata sulle bugie e sulla paura.

 La mia speranza risiede anche in voi, nella nostra cerchia di sostenitori e partner, che comprendono la necessità di una lotta condivisa per riparare i danni e che desiderano come noi un futuro di giustizia e libertà.  Credo che questi nostri circoli possano espandersi sempre di più. So che il coraggio e la speranza sono contagiosi.

 Sono grato al Consiglio di amministrazione di B’Tselem e al suo presidente, Orly Noy, per la fiducia accordatami nel guidare l’organizzazione nei prossimi anni.

 Possiamo andare avanti insieme verso la caduta dell’apartheid e un futuro di libertà.

A voi,

Yuli Novak

Direttore esecutivo di B’Tselem

Padova Luglio 2023

Perché mi uccidete?”

Ma come! non dimorate dall’altra parte del fiume?

Amico, se dimoraste da questa parte, io sarei un assassino

e sarebbe ingiusto uccidervi in questo modo;

ma dal momento che dimorate dall’altra parte,

io sono un coraggioso e la mia azione è giusta”.

(pensieri di B. Pascal)

Un iniziale “caldo” saluto, a tutte e tutti.

Non possiamo iniziare questa ns mensile comunicazione senza il ricordo per p. Ezechiele Ramin – Lele.

Ezechiele è stato ucciso il 24 luglio 1985 a 32 anni con tanti sogni e speranze: “Ho la passione di chi segue un sogno ( … ) camminare su strade che non hanno arrivo, che non hanno un cielo dove sento soltanto la piccola gioia cavata fuori con una fatica tremenda”.

Faremo memoria di padre Ezechiele con i Comboniani alla parrocchia di san Giuseppe, Padova, lunedì 24 luglio alle 19.00. Chi può venga a cantare il suo ricordo.

Fatica, sogni e speranze anche per Haiti, come ci scrivono Jean e Martine , con le loro ultime e preoccupanti lettere, scritte con costanza e fiducia a Francesco e a suor Gabriella.

Ciao Cesco, noi a volte in Cabaret, a volte in Arcahaie.
Perché i gruppi armati sono molto vicini al Centro di Cabaret, per questo stiamo molto attenti.
Ma la strada per andare a Port au Prince è controllata dai banditi.
Gli interventi della polizia haitiana sono inefficaci al punto che alcuni settori della società sono del parere per l’intervento di una forza straniera.
Questa situazione rende ancora più difficile la vita ad Haiti, che era già molto complicata. Molte persone lasciano il paese per vivere in Canada e negli Stati Uniti; il programma di Biden offre agli haitiani che vivono negli Stati Uniti l’opportunità di fare domanda per i propri cari ad Haiti.
Martine ed io, per il momento non vogliamo lasciare Haiti, perché il nostro lavoro è molto importante per FDDPA e per le comunità, soprattutto in termini di salute e istruzione.
Quindi, ora stiamo lavorando anche con
Balansè (agronomo e politico di Verrettes, collabora attivamente nella formazione contadina) che combatte contro i gruppi armati nell’Artibonite e stiamo iniziando a vederne i risultati.
Vi farò sapere di più la prossima settimana.
Ciao, ciao… buona giornata

Cara suor Gabriella, siamo molto felici di sentirti.

Questa settimana si riparte timidamente con la scuola, ma la maggior parte dei genitori ha paura di mandare i propri figli, è normale con questo clima di insicurezza che si preoccupino. I nostri figli sono tornati tutti nelle loro scuole.

Sì, il trasporto è sempre più difficile, ma Jean continua ad andare a lavorare con i mezzi pubblici.

Organizziamo una clinica mobile una o due volte al mese a Fondol e la scuola funziona bene tutti i giorni a Fondol.

La scuola di mio fratello ora funziona ma chiuderà i battenti a giugno perché pochi genitori mandano i propri figli. La mia famiglia ti ringrazia per la tua grande gentilezza nei loro confronti, ne avevano un grande bisogno.

Sì, ci stiamo preparando per il campo estivo a Fondol ma sarà molto difficile perché non potremo andare a prendere food for the poor (cibo della ONU) a causa delle bande che occupano le strade. Per questo avremo bisogno di soldi per il cibo dei bambini che saranno un centinaio.

Restiamo a casa di Dubuisson a pregare la nostra sé Dadoue.

Per la festa della mamma abbiamo organizzato cliniche mobili per tutte le donne: è stato un grande successo.

Abbiamo installato un altro laboratorio a Saint Médard, Arcahaie e lavora tutti i giorni, mentre quello di Cabaret lavora al rallentatore data l’insicurezza che vi regna.

Ciao a tutti, un bacione

Guterres: una missione ad Haiti «per scacciare l’incubo ad occhi aperti»

Avvenire – Lucia Capuzzi venerdì 7 luglio 2023

Nella notte tra giovedì e ieri, una ventina di uomini armati ha fatto irruzione nell’ospedale di Medici senza frontiere (Msf) di Tabarre, quartiere di Port-au-Prince. Una volta entrati, si sono introdotti in sala operatoria e hanno portato via il giovane ancora sotto anestesia al termine di un intervento per varie ferite di proiettili, ricoverato il giorno precedente. L’Ong-Premio Nobel è stata costretta a fermare temporaneamente le attività nella clinica. «Come possiamo continuare a curare le persone in un simile contesto?», ha tuonato Mahaman Bachard, responsabile di Msf ad Haiti, dove si simili episodi sono quotidiani. Letteralmente «un incubo ad occhi aperti», come ha detto António Guterres. Dal Palazzo di Vetro, ieri, ha voluto lanciare un ennesimo grido d’allarme per l’isola da cui è appena rientrato. Il segretario generale ha deciso stavolta di muoversi in prima persona per cercare di convincere la recalcitrante comunità internazionale a «creare le condizioni per schierare una forza multinazionale» nel Paese più povero e ormai più violento dell’Occidente. «Non parlo di una missione militare o politica dell’Onu – ha aggiunto, a scanso di equivoci ­–. Ma di un consistente dispiegamento da parte degli Stati membri di forze di sicurezza che lavorino insieme alla polizia nazionale haitiana per smantellare le gang e restaurare la sicurezza». Almeno un minimo.

Sono trascorsi esattamente due anni – ieri – dall’omicidio mai chiarito di Jovenal Moïse. Un presidente controverso. La sua smania di restare al potere gli ha alienato il consenso di una parte della stessa élite che lo aveva scelto. Soprattutto, però, Moïse ha reso endemico il “tradizionale” ricorso alle bande da parte dei politici per cooptare il consenso. Fino a perderne totalmente il controllo. Ormai ben armate, queste ultime hanno dato vita a un conflitto del tutti contro tutti per accaparrarsi brandelli di Port-au-Prince da cui estrarre risorse – umane, cioè soldati da reclutare con la forza – e materiali, con sequestri ed estorsioni. Oltre l’80 per cento della capitale è nelle loro mani cruente. Il terrore – con massacri, esecuzioni extragiudiziali, stupri di massa – è lo strumento principale con cui ottengono l’obbedienza di quanti non riescono a fuggire, aggiungendosi al fiume già enorme di 128mila sfollati interni nella sola capitale. Abusi documentati fin nei più macabri dettagli dalla missione Onu nel Paese (Binuh), da numerose Ong, dalla Chiesa. Da aprile il contesto si è ulteriormente complicato con la comparsa di milizie di cittadini armati responsabili – secondo la speciale rappresentante Onu per Haiti, María Isabel Salvador – della morte di 265 persone sospettate di essere parte delle gang. Molti di questi sono stati linciati per strada. La guerra, invisibile all’opinione pubblica occidentale quanto reale, ha trasformato l’emergenza umanitaria cronica in catastrofe: 5,2 milioni di abitanti, di cui tre milioni sono bambini, hanno necessità di assistenza per sopravvivere.


A dargliela non può essere lo Stato che si è letteralmente liquefatto dal 2021: nel Paese non c’è più alcun rappresentante eletto, il potere giudiziario è bloccato mentre l’autorità del premier, Ariel Henry – subentrato al presidente assassinato – è poco più che nominale. Il Consiglio di transizione, instaurato alla fine del 2022 su pressione della comunità internazionale, nonostante le buone intenzioni, non riesce a incidere. «È facile capire perché oltre il 90 per cento della popolazione, in questa situazione, sia favorevole a un intervento delle Nazioni Unite, nonostante gli errori del passato», racconta suor Paesie, al secolo Claire Joelle Phillipe, residente ad Haiti dal 1999 dove ha fondato la Famiglia Kizito per la tutela dell’infanzia. Dopo quasi un anno di stallo, dopo il viaggio di Guterres, l’ipotesi della missione sembra riprendere quota. Henry, al ritorno dal vertice di Trinidad e Tobago dove ha incontrato il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, ha parlato di «una soluzione più vicina per la sicurezza». Nel frattempo i combattimenti proseguono, concentrati soprattutto nell’ovest della capitale, a Gran Ravine e Carrefour. Cité Soleil, invece, è incredibilmente pacifica dal 28 giugno, dopo settimane di battaglia.

Per la prima volta dopo oltre un anno, le persone possono perfino passare le “frontiere” tra le aree controllate dalla banda di G9 e quelle “appartenenti” a Gpep. «L’ho fatto anche io e quasi non ci credevo – aggiunge –. Le vedette delle gang sono ancora al loro posto. Ma non sparano». Pierre Esperance, noto attivista per i diritti umani, sostiene che l’artefice della tregua – ben remunerata – sia l’ex presidente ed ex patron di Moïse, Micheal Martelly, nella speranza di vedersi alleggerire le sanzioni comminate nei suoi confronti dal Canada. Una pace cosmetica, dunque, tragicamente precaria. Quella vera deve ancora attendere.

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