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RRR Circolare nazionale dicembre 2023

Ci hanno detto che è consuetudine che la segreteria scriva la circolare dopo il Convegno Nazionale e se a novembre, ancora provati dall’impegno organizzativo per Assisi, abbiamo preferito lasciare la parola ad una significativa riflessione sul dramma mediorientale, ora in dicembre rispettiamo la tradizione. Ci piace comunque aprire con parole non nostre, perché pensiamo che esprimano molto bene il significato del Convegno. Sono le parole dell’ospite venuto “dalla fine del mondo”, per dirla con papa Francesco, l’amico mapuche José Nain, che ci ha scritto una lunga e intensa lettera di ringraziamento per il suo viaggio ad Assisi e in Italia:

Il Convegno della ReteRR nella Città di Assisi è stato per noi straordinario. I temi affrontati ci hanno fatto riflettere collettivamente sull’impegno verso Madre Natura, ma anche rivedere il comportamento del mondo, dei governanti e del potere industriale che, senza dubbio non hanno modificato i loro comportamenti distruttivi nei confronti della biodiversità. Il legame illimitato delle Comunità Mapuche con la natura conferma che non si tratta solo di un modello e di uno stile di vita, ma di una filosofia di vita in cui l’essere umano passa in secondo piano e la Madre Terra riconquista il ruolo fondamentale.

L’attaccamento alla natura è una manifestazione di fondamentale rispetto per evitare che gli effetti del cambiamento climatico avanzino pericolosamente verso la distruzione definitiva. Si avverte un clima di cordialità, di fraternità senza confini, che ci fa pensare e riflettere sulle speranze che il mondo ci apre per ricreare un ambiente diverso, dove la diversità culturale e spirituale sia il meccanismo che ci rende persone migliori e migliori come società, dato che le generazioni future non meritano di ereditare l’egoismo e l’ambizione di pochi rispetto ai milioni di persone che sognano e desiderano un mondo migliore.

Il mondo, senza dubbio, è entrato in una catarsi e in una crisi quasi irreversibile. Le invasioni militari, le guerre, le migrazioni, i cambiamenti climatici, per citarne alcuni, stanno causando la massiccia autodistruzione del pianeta. Il potere degli Stati e dei loro Governanti, aggiunti agli accordi economici e militari multilaterali, rendono la situazione ogni giorno più pericolosa. Stiamo eleggendo persone che governano il mondo senza criteri o senza controllo su sé stessi. Eleggiamo spesso governanti assetati di sangue, che vivono di guerre, del sangue dei popoli oppressi, dei popoli che soffrono e che nessuno difende dai massacri e dalle atrocità. Migliaia di bambini muoiono nelle strade del mondo per fame e malattie, ma anche migliaia di bambini muoiono in mezzo a carri armati, fucili e granate di guerra. Interessi economici meschini di impresari corrotti che sono capaci di uccidere ed eliminare vite umane in cambio di denaro.

Con la forza della terra, della natura e la forza spirituale, dobbiamo combattere la meschinità, l’egoismo, la miseria umana. In questo contesto raccolgo le parole e i sentimenti emersi ad Assisi, per continuare a innalzare la bandiera della giustizia, della vita e della pace, così che il mondo possa impostare il suo corso per il bene delle generazioni future.

Noi non siamo solo contenti di aver avuto tra i nostri relatori questa voce così illuminata, siamo anche molto orgogliosi di scoprire che ciò che ci siamo detti nel nostro Convegno Qui è in profonda sintonia col sentire delle comunità amiche del Là.

Con l’aiuto di relatrici e relatori molto competenti abbiamo approfondito tematiche complesse, ci siamo confrontate/i coi problemi sempre più allarmanti che coinvolgono i destini dell’umanità intera, abbiamo ragionato sul nostro stile di vita insostenibile e ci siamo rese/i conto, per dirla con Amitav Ghosh (“La maledizione della noce moscata”), che

la crisi che attanaglia il pianeta è una crisi onnicomprensiva e onnipresente, in cui geopolitica, capitalismo, cambiamento climatico e divisioni razziali, etniche e religiose si intrecciano, alimentandosi e potenziandosi a vicenda…

sebbene sia certamente vero che l’Occidente è il maggior responsabile del riscaldamento globale, ciò non significa che, nella congiuntura attuale, possa affrontare – e tanto meno risolvere – la crisi planetaria senza l’attiva e volenterosa partecipazione della grande maggioranza della popolazione globale. Un necessario primo passo verso una soluzione è una messa a punto di un lessico comune e di una narrazione condivisa – una storia di umiltà attraverso cui gli umani riconoscano la loro interdipendenza, non solo gli uni dagli altri, ma anche dagli animali e dal pianeta stesso.

Ecco, ci pare di averli proprio cercati questo lessico comune e questa narrazione condivisa: come un sindaco del Qui, Finiguerra, ci ha parlato con passione della sua lotta per la salvaguardia del suolo del suo Comune, così un magistrato del Là, Gomez, ci ha coinvolti nella sua coraggiosa lotta ai crimini ambientali che deturpano la sua terra; e come una comunità del Là, “O Bem Viver” con Macione, ci ha mostrato il suo approccio rispettoso e solidale con la terra, così un’associazione del Qui, “Asfodelo” con Maria Chiara, ci ha fatto capire che seguendo lo stesso percorso si può ridare nuova vita a terre e comunità che sembravano destinate all’abbandono…

Ritornando alla Circolare che abbiamo a scritto a settembre, prima del Convegno, ci sembra che le tre parole che avevamo declinato come “centrali” siano state perlomeno perlustrate.

Relazione: tra di noi, innanzitutto, ma anche con i relatori, nei laboratori, nei momenti “conviviali”, non meno importanti di quelli “istituzionali”.

Politica: è la sfida che è risuonata in tutti gli interventi: senza una partecipazione a vari livelli, ma essenzialmente politica, non ci potrà essere un reale cambiamento. Scoprire “vita nelle crepe” è sapersi dotare di una utopia politica che spinge a lottare, a “rialzarsi” nonostante tutto…

Giovani: pensiamo ai ragazzi/e del Centrafrica, ai ragazzi del Niger, agli amici di Asfodelo, all’Associazione di promozione sociale Laudato si’ di Stupinigi, ma anche ai giovani che hanno accettato la sfida di far parte della nuova redazione di “In dialogo”: insomma vediamo semi di speranza.

E poi un commento che, a detta di molti, è risuonato nel Convegno: le tre giornate sono state un’operazione essenzialmente collettiva e questo ci fa dire e affermare con forza che è il “collettivo” che fa sempre la differenza.

Un grazie da parte nostra a tutti coloro che, a titolo diverso, hanno contribuito alla buona riuscita del Convegno.

Gli atti, probabilmente, saranno messi online, così come avevamo preparato la cartellina virtuale, e forse nel prossimo numero della rivista” In dialogo” si potranno riprendere alcune “considerazioni” e “sfide” che il Convegno ha sollevato.

Consentiteci, senza cadere nella retorica, di chiudere questo scritto con un pensiero particolare al martoriato popolo palestinese: a breve partirà un’operazione straordinaria presentataci dal PWWSD (Palestinian Working Woman Society for Development) di accompagnamento psicologico per i traumi subiti e che stanno subendo donne e bambini a Gaza. Abbiamo promesso loro il nostro sostegno, ma ci sembra importante anche accompagnare l’operazione con un evento politico da realizzare, pensiamo, alla fine della raccolta straordinaria. Ci riusciremo?

L’augurio più affettuoso che vogliamo estendere a tutte/i voi per Natale è proprio quello di scoprire nuova vita nelle crepe!

Un abbraccio, care persone

La segreteria

Francesca e Paolo

La guerra scoppiata a Gaza con il criminale e ingiustificabile attacco del 7 ottobre di quest’anno da parte di Hamas non può lasciarci indifferenti, e, soprattutto, non può non metterci in discussione.

Questo perché la nostra Rete è nata proprio in Palestina, dalla visita di Ettore Masina a Paul Gauthier a Nazareth, dove i Compagnons et les compagnes del Jésus charpentier operavano a fianco e con gli ultimi. Questo è importante: non erano lì per un progetto di cooperazione o di assistenza a favore dei palestinesi più poveri, ma per condividere la vita con loro.

Le operazioni della rete fin dall’inizio sono state un affiancare e accompagnare, anche se a distanza, chi si muoveva per cambiare la realtà in cui operava, per costruire nuovi percorsi di liberazione e di giustizia. Noi non abbiamo progetti ideati da noi e gestiti da noi. Le nostre cosiddette operazioni nascono in quelli che, usando una felice espressione di frei Betto, sono i “sotterranei della storia”.

Un tentativo di mettersi dal punto di vista e dalla parte degli altri, in particolare degli ultimi.

Ovviamente tutto questo in modo critico, eventualmente dissentendo. Ma sempre in modo empatico.

Questa capacità di (o forse semplicemente, disponibilità a) mettersi veramente dal punto di vista degli altri è proprio ciò che, almeno apparentemente, più manca in queste settimane che hanno seguito l’attacco del 7 ottobre. Manca ai governi occidentali che, allineati al governo israeliano e al suo presunto “diritto di difendersi”, si limitano a deboli richieste: qualche limitata tregua umanitaria, ma guai a chiedere un “cessate il fuoco”. E purtroppo su questa linea troviamo anche la maggioranza della stampa e dei media. Nessuno, a livello di governi, osserva che l’azione militare di Israele a Gaza assomiglia più a una vendetta che a una difesa. Il fatto che si sia ormai arrivati a oltre 10 donne e bambini palestinesi uccisi per ogni per ogni donna e bambino israeliano ucciso da Hamas il 7 ottobre dovrebbe farci riflettere, almeno in Italia. Non possiamo dimenticare che 1 a 10 è stato il rapporto applicato dall’esercito tedesco per la rappresaglia dopo l’attentato di via Rasella.

E di fronte alla cautela del governo americano nel criticare Israele per i bombardamenti sulla popolazione civile a Gaza è difficile non ricordare i bombardamenti americani di Hiroshima e Nagasaki. Allora fu presa di mira proprio e deliberatamente la popolazione civile, con l’obiettivo esplicito di imporre una resa senza condizioni a un paese già cosciente della sconfitta e disponibile a trattare le condizioni per la resa.

Questa incapacità di mettersi dal punto di vista dell’altro la troviamo anche in Israele, dove cresce la violenza nei riguardi della popolazione araba e, soprattutto, nei territori occupati dove, approfittando della crisi in corso, aumentano le occupazioni di terre da parte dei coloni, e le aggressioni nei riguardi della popolazione palestinese da parte dei suprematisti ebrei. Eppure, mettersi dal punto di vista dell’altro, entrare dentro di lui, è una componente fondamentale della spiritualità ebraica a partire da Isaia. Come scrive Emmanuel Lévinas, filosofo/teologo ebreo, molto amato da Fratel Arturo Paoli, grande amico della Rete, “Il Messia è il giusto che soffre, che ha preso su di sé la sofferenza degli altri. … Ognuno deve agire come se fosse il Messia.” Al centro del suo pensiero c’è proprio l’idea che la libertà del soggetto non è definita dall’affermazione del proprio io in opposizione ad altri soggetti, ma piuttosto dalla “responsabilità”, dalla capacità di farsi carico dell’altro. Il sionismo, sia quello laico che quello religioso, sta nei fatti tradendo lo stesso ebraismo, confermando l’insensatezza della equivalenza fra antisemitismo e antisionismo, che si sta sostenendo anche in questi giorni per delegittimare le critiche a Israele.

Naturalmente i sionisti religiosi e i suprematisti ebrei non rappresentano tutto Israele. Esistono voci diverse, anche se molto minoritarie. Fra queste ricordiamo lo storico Shlomo Sand che, in una bella e ricca intervista a l’Humanité del 19 ottobre scorso, ricorda l’orazione funebre tenuta, nel lontano 1956, da Moshe Dayan, Capo di Stato Maggiore dell’esercito, per il soldato Roy Rotberg, rapito e ucciso dai palestinesi di Gaza: “Non biasimiamo gli assassini di oggi. Da otto anni vivono neicampi profughi di Gaza e, davanti ai loro occhi, abbiamo trasformato le terre e i villaggi dove loro e i loro padri vivevano al nostro posto. Dobbiamo rendere conto a noi stessi; siamo una generazione che colonizza la terra e dobbiamo affrontare l’odio che infiamma e riempie le vite delle centinaia di migliaia di arabi che vivono intorno a noi. Questo è il destino della nostra generazione. Questa è la scelta della nostra vita: essere preparati e armati, forti e determinati.” Chiudiamo ricordando la giovane attivista israeliana, Sahar Vardi, che, dopo avere avuto notizia della morte a Gaza, il 30 ottobre, a causa di un bombardamento aereo israeliano, dell’amico Khalil, attivista palestinese, gli scrive una bella lettera che dimostra come l’empatia non sia morta neppure in Israele. È una lettera che ci fa capire appieno l’atrocità di ciò cha sta succedendo a Gaza, e che riportiamo di seguito:

Khalil.

Scorro i nostri messaggi. La nostra ultima corrispondenza normale risale al 27 settembre, quando parlavamo della sua media dei voti. O meglio, di come convertire la sua media da un’istituzione accademica di Gaza a un’istituzione accademica del Regno Unito o degli Stati Uniti. Gli ho inviato alcune idee per le borse di studio. Mi ha detto che anche se non fosse riuscito a trovarne una all’estero, avrebbe potuto trovare qualcosa online che gli avrebbe permesso di scrivere il suo dottorato in letteratura all’interno di Gaza.

La corrispondenza successiva è già di dopo, dopo quel sabato 7 ottobre.

Abbiamo messaggiato un po’. Dove si trova? L’esercito israeliano ha ordinato loro di evacuare dal loro quartiere di Gaza City al quartiere adiacente di Al-Rimal, così lui e i suoi vicini hanno evacuato – ma fortunatamente non ad Al-Rimal, che è stata bombardata due ore dopo. Anche il suo quartiere lo è stato. Mi ha detto che la sua casa è stata fatta saltare in aria. Tutti i suoi ricordi di suo padre. “Le lacrime non smettono di scendere”, ha detto.

È andata avanti così: ogni tanto ci scrivevamo; ogni tanto lui ci aggiornava. Aggiornava che era vivo. Aggiornamenti su chi era morto. E in qualche modo, quasi ogni volta, concludeva dicendo quanto fosse importante per lui che io sapessi che tutto questo non ha cambiato ciò in cui crede, non ha scosso il suo desiderio di un altro mondo – un mondo migliore, più equo. “Non vorrei che questo accadesse a nessuno”, ha scritto.

Come con altri amici di Gaza, non sapevo cosa scrivere. Quattro giorni dopo questo incubo, gli ho detto esattamente questo: che non so cosa scrivere, se non che sto pensando a lui e che vorrei poter fare di più. “Mi basta che tu abbia chiesto di me”, mi ha risposto. E io ho pianto. Per la prima volta in quella terribile settimana sono riuscita a piangere. Per tutto.

Ho pianto per la paura, per l’impotenza, per le foto delle persone uccise e rapite e per l’orrore sui loro volti il 7 ottobre. Ho pianto per l’orrore di ciò che sarebbe successo, per la sua casa bombardata, per la preoccupazione. Ho pianto per i mondi paralleli che mi sembrava di vedere e che non ero in grado di unire, finché non ho parlato con lui.

Che fortuna che esista, ho scritto a un amico comune. Che fortuna.

Il giorno dopo mi ha inviato un altro aggiornamento: la casa in cui si trovava, appartenente ai suoi parenti, era stata fatta saltare in aria. Ha contato quattro membri della famiglia e cinque vicini morti.

Ha chiamato poco più di una settimana fa. Abbiamo provato a parlare, ma non ci siamo riusciti: io ero nel bel mezzo di una faccenda e lui non era più disponibile. “Possiamo parlare più tardi”, ha scritto.L’ultimo messaggio risale a due giorni dopo. 23 ottobre. Un altro attacco aereo sulla casa della sua famiglia. Altri parenti uccisi. “Mi dispiace molto per i tuoi familiari”, gli ho scritto. “Sempre più persone, nomi, storie, si aggiungono alla lista del dolore che continua a crescere”. “Da qui il nostro ruolo di attivisti per i diritti umani e di combattenti per la libertà”, mi ha risposto.

Qualche anno fa è venuto a Gerusalemme per un intervento chirurgico e aveva bisogno di donatori di sangue. In seguito, anche un po’ del mio sangue è fluito nelle sue vene. C’è una parte di me che vorrebbe scrivere che il giorno in cui Khalil è stato ucciso, anche il mio sangue è stato versato a Gaza. Ma è una bugia.

Io sono al sicuro a casa mia, davanti al mio computer collegato a Internet, con il cibo in frigo e l’acqua che scorre nelle tubature, e quattro muri ancora in piedi. E lui no. Lui, sua moglie, le loro due figlie piccole, sua madre e i suoi due fratelli. Tutti morti.

Non presenterà più la domanda di dottorato – alla quale, mi ha detto durante una di queste conversazioni, avrebbe lavorato anche durante tutto questo, se avesse avuto un po’ più di elettricità. Non mi risponderà più con un’impossibile combinazione di orrore e ottimismo. Non mi dirà più quanto aspetta di incontrarmi un giorno, quando tutto questo sarà finito. L’unica cosa che è ancora in grado di fare è farmi piangere.

E forse un’altra cosa: ricordarci che è per questo che siamo qui, attivisti dei diritti umani e combattenti per la libertà. Per lottare. Per andare avanti. Perché questo non accada più a nessuno.

CIRCOLARE NAZIONALE OTTOBRE 2023

TORNA A CASA IN TUTTA FRETTA …

(LA MARCIA, LA RIVISTA E MOLTO ALTRO)

Torna a casa in tutta fretta, c’è un biscione che ti aspetta”.

Era il 1981 quando il nascente Canale 5 adottava questo slogan, con tanto di jingle cantato da un gruppo di giovani, per la propria campagna pubblicitaria. Sembrava un motivetto stupido, destinato ad essere subito dimenticato, ma era, invece, un vero manifesto politico.

Sarebbero seguiti Italia 1, Retequattro, Mediaset, la discesa in campo, il bunga bunga e tanto altro. Una vicenda politica che avrebbe ammorbato il clima del nostro Paese per oltre quarant’anni. Sem-brava un’operazione commerciale, era l’inizio di un genocidio culturale.

Già molti anni fa, Concita De Gregorio osservava come quella frase, apparentemente innocua, fosse un cavallo di Troia.

Erano gli anni delle lotte operaie, delle stragi di Bologna e di Ustica; il Paese usciva spossato dagli anni di piombo. Ma la nascente televisione commerciale invitava tutti, soprattutto i giovani di allora, al ritorno al privato; offriva un intrattenimento banale e rassicurante, chiedeva di divertirsi e non pensare. Iniziava un lavaggio del cervello collettivo, che avrebbe anestetizzato la coscienza politica di un popolo: dalle assemblee, dalle fabbriche e dagli scontri di piazza, a Drive In.

In una parola: l’inno al disimpegno. I risultati li vediamo ancora oggi.

Non è difficile, con il senno di poi, vederci un preciso disegno politico, già allora mirato a creare il terreno culturale per i successi politici del Cavaliere: il sonno delle coscienze genera mostri.

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Non tutti, ovviamente, si sono lasciati ingabbiare. Mentre i partiti politici tradizionali, anche di sini-stra, cambiavano pelle, rinunciando agli ideali per una triste ricerca del consenso, una minoranza sem-pre più esigua continuava a discutere, a fare politica, a vivere la piazza. In essa, nel suo piccolo ed accanto a molti altri, la Rete.

Non è un caso che il Notiziario, ora intitolato “In Dialogo”, nato a cura della Rete di Firenze nel 1979, assuma la veste attuale nel 1985 e la prima Marcia della Giustizia di Quarrata si tenga nel 1994. Scri-vere, ragionare, discutere, scendere per strada.

Sono strumenti obsoleti, ricordi di un’altra epoca?

Non credo. Personalmente li vedo come mezzi di resilienza e di testimonianza, rispetto ad una realtà che tutti sentiamo arida ed insoddisfacente.

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Purtroppo, Antonio Vermigli, che di Marcia e Rivista è stato il principale animatore, ci ha lasciato lo scorso luglio. I figli Tommaso e Adele ci hanno cercato, per chiederci di aiutarli a proseguire la sua opera. Con la visione profetica che, evidentemente, hanno ereditato dal padre (Antonio era anche una persona scomoda, spigolosa, ma tutti i profeti lo sono), desiderano che entrambe continuino nell’alveo della Rete e, soprattutto, che non si risolvano in un mausoleo del padre, ma guardino al futuro cam-biando, se occorre, pelle e linguaggio. Hanno in mente un lavoro collegiale, a molte mani, aperto an-che a collaborazioni esterne.

La Rete ha aderito all’invito.

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La Marcia si è tenuta regolarmente il 9 settembre. Secondo l’impianto originariamente voluto da Antonio, ha avuto a tema i cent’anni dalla nascita di Don Milani: “L’obbedienza non è più una virtù”. Antonio è stato ricordato, ma, come certamente avrebbe voluto, la Marcia è stata un momento politi-co, non una sua commemorazione. Sono intervenuti Mario Lancisi (biografo di Don Milani), Erri De Luca, Rosy Bindi (ora Presidente del Comitato per il Centenario), Padre Alex Zanotelli e Don Luigi Ciotti. Hanno parlato a una piazza piena, come non accadeva da anni, presenti molti rappresentati delle Reti Locali.

Lo sforzo organizzativo di Tommaso, Adele e di tutta la Rete di Quarrata, per supplire alla mancanza di Antonio, è stato enorme. Ora si tratterà di capire, con loro, come andare avanti.

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Per la Rivista, si è invece creato un gruppo di lavoro informale, che comprende la Segreteria, altri membri della Rete, alcuni giovani ed alcuni giornalisti, amici di Antonio. Da esso dovrebbe nascere la nuova redazione, che affiancherà il nuovo direttore responsabile nella realizzazione dei prossimi numeri.

Per il momento, si è deciso di realizzare un numero doppio, a chiusura dell’annata 2023, contenente il ricordo di Antonio da parte dei principali collaboratori della Rivista (anche il Presidente Lula ha inviato un messaggio), gli interventi dei relatori alla Marcia della Giustizia e gli atti del Convegno Nazionale della Rete, che, come noto, si terrà alla Cittadella di Assisi, nei giorni 20, 21 e 22 ottobre. Salvo imprevisti, dovrebbe essere inviato a tutti gli abbonati, con le consuete modalità, prima di Na-tale.

Ovviamente, lo scopo è quello di proseguire le pubblicazioni anche negli anni a venire. A questo pro-posito, il gruppo di lavoro, una volta ultimata la pubblicazione in corso, si occuperà di predisporre la proposta per la nuova linea editoriale, che sarà sottoposta al prossimo Coordinamento.

Il gruppo di lavoro si sta occupando anche degli aspetti burocratici: nuova registrazione, gestione dei costi di pubblicazione e spedizione postale, verifica del pagamento degli abbonamenti. A questo pro-posito, segnalo che, per chi dovesse ancora provvedere al versamento per l’anno in corso, l’unico conto attualmente attivo, su cui effettuare i pagamenti, è quello bancario:

IT42M0892270500000000004665 – Intestato a Notiziario della Rete Radié Resch

Marco Rete di Varese

CIRCOLARE NAZIONALE RETE RADIÉ RESCH settembre 2023 a cura della Segreteria

Che cos’è un rito? chiede il Piccolo Principe nel celebre libro di Antoine de Saint–Exupéry. E la volpe gli risponde: È quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora diversa dalle altre. I riti, civili o religiosi che siano, vorrebbero quindi dare significato e “sapore” alla nostra vita. Ma è sempre così? Quanti riti perdono la loro “forza” e diventano vuoti, stereotipati! In questo periodo ci siamo chiesti se anche il Convegno nella vita della Rete non stia rischiando di perdere la sua forza propulsiva, di ridursi ad un rito vuoto. Siamo partiti dalle solite domande: tre giorni o due giorni soltanto? Tre, abbiamo risposto, ripercorrendo i Convegni precedenti. Ma Rimini 2021? Un mini Convegno! E poi, perché in autunno 2023 se nel 2024 celebreremo i 60 anni di vita della nostra Associazione? Potevamo aspettare? E così via, tante domande e ognuno aveva la proprie risposte.

Noi riteniamo che il rito del Convegno possa avere ancora la sua forza propulsiva alla luce di tre parole chiave che proviamo a declinare.

La prima parola è relazione. La Carta della Rete, che è il frutto della nostra riflessione condivisa, al numero 7 recita testualmente: La relazione è uno dei valori fondanti della Rete. Rappresenta l’alternativa al diffuso individualismo che genera logiche di chiusura verso “l’altro da sé”. Una relazione intesa come tensione verso l’altro, che includa non solo l’essere umano, ma ogni essere vivente e ogni differente visione del mondo, nella convinzione che la Terra sia il luogo che accoglie e lega tra loro tutte le creature che la abitano. Il Convegno è un’opportunità per incontrarci, visto che la maggior parte di noi non partecipa, se non saltuariamente, ai Coordinamenti, è un’opportunità di dialogo, di ascolto, di uscita da noi stessi, per riscoprirci in un “progetto insieme”, in una storia e in una memoria condivisa.

Non siamo esperti di comunità trasformative, ma non si può pensare di trasformare o di avere una visione “integrale” della società senza fare rete con altri, senza tessere relazioni. Non ci appassionano molto i dibattiti sul futuro della nostra associazione, ma riteniamo doveroso parlare di continuità e fecondità delle esperienze e dei valori veicolati nel corso della nostra storia. Perché vivano e diano frutto siamo chiamati a fare “rete” con coloro che condividono una piattaforma di valori e di lotte comuni.

La seconda parola è politica. Sempre la Carta della Rete al numero 8 recita: La Rete Radiè Resch pone l’attività politica al centro della propria azione. Se a livello di Reti locali riteniamo che si possa affermare che tante e varie sono le esperienze in tal senso che ci vedono impegnati, a livello nazionale il discorso è più “complesso”: pensiamo alle Campagne ICE e alla nostra difficoltà di farle proprie a livello nazionale; all’idea, non realizzata, della segreteria precedente di trovare un tema comune sul quale lavorare tutti insieme; alla Circolare recente della Rete di Empoli che esprime la disillusione sul mancato raggiungimento dell’esito referendario contro le armi e per la sanità pubblica; a una certa difficoltà di parlare e confrontarci sulla politica “locale”, ma anche alla tendenza di occuparci più dell’aspetto economico che della valenza politica delle nostre Operazioni…

Per il prossimo Convegno di Assisi stiamo cercando di “costruire” un sabato pomeriggio tutto all’insegna dei laboratori: conosceremo esperienze trasformative “istituzionali”, esperienze di mutualismo solidale, esperienze di recupero del rapporto con la terra, esperienze di “ecologia integrale”. Crediamo che incontrarle sarà un momento di confronto stimolante perché con modalità diverse pongono la “politica” al centro delle loro prassi: politica come lotta per cambiare questa società, a cominciare dal locale per arrivare ad un livello globale.

La terza parola è giovani. Non potremo scoprire la vita nelle crepe della realtà, come dice il titolo del nostro convegno, se non rimaniamo giovani nel cuore, capaci di meraviglia, se non osiamo sperare, contro ogni speranza, che l’ultima parola non sarà la morte, ma la vita. E qui pensiamo a tanti/e giovani e giovani-adulti che portano sulle spalle il peso del futuro loro e delle loro famiglie e che emigrano alla ricerca di una vita dignitosa che gli è negata a casa loro: non saranno il filo spinato, gli apparati militari-polizieschi, le minacce legislative che riusciranno a fermarli… Questi/e migranti vengono da Paesi “giovani” dove la voglia di riscatto, di liberazione, di dignità è grande, come viene dimostrato anche nelle esperienze delle Operazioni che accompagniamo in giro per il mondo. E nel nostro Convegno qualche voce giovane l’avremo…

Oltre al Convegno, in questo tempo estivo ci stiamo occupando anche della ricca ed impegnativa eredità di Antonio Vermigli, che ci ha lasciati il 12 luglio. Antonio ha lavorato fino all’ultimo all’organizzazione della Marcia per la Giustizia di Quarrata del 9 settembre, alla quale vi invitiamo calorosamente. Rimane un grande punto interrogativo sul futuro della Rivista “In dialogo”, per il quale alcuni di noi si stanno già concretamente impegnando in sinergia con Adele e Tommaso, figli di Antonio, e con la Rete di Quarrata. Noi riteniamo che lavorare alla rivista possa costituire un’opportunità a condizione di creare una redazione allargata e “giovane”, capace di parlare ad un pubblico più vasto degli storici appartenenti alla RRR. Stiamo andando in questa direzione, convinti dell’importanza di condividere con persone giovani uno sguardo coraggioso e creativo sul futuro, alla ricerca di “vita nella crepe” che dia speranza.

E allora, il nostro rito del Convegno? Lo considereremo riuscito se l’ospitalità sarà di nostro gradimento, se i tempi saranno rispettati, se gli interventi dei relatori saranno soddisfacenti? Be’, anche, certo, ma sarà riuscito soprattutto se il paradigma da «padroni a ospiti della Terra» decostruirà un pochino le nostre identità e le nostre certezze per fare spazio in noi all’incontro con “l’Altro”: altri uomini e altre donne, altri paesi e altre comunità, altre terre e altre acque, altre speranze, altri sogni.

Vi salutiamo caramente con le parole a nostro parere laicissime di don Mattia Ferrari, cappellano dell’ong Mediterranea, la cui nave Mare Jonio naviga nel Mediterraneo per salvare vite: Sembra che il mondo che nasce continueranno a costruirlo i potenti, secondo le loro logiche di dominio. C’è però un modo per spezzare questo dominio: amare visceralmente e così dare carne radicalmente, con i nostri corpi e le nostre relazioni, alla fraternità. Perché amando visceralmente ci salviamo insieme.

La segreteria

Il 7 agosto si è spento Mario Tronti, filosofo e politico che nel 2008 partecipò ad un Convegno Nazionale della Rete. Per ricordarlo vi proponiamo il suo intervento di allora a Rimini, introdotto da Maria Teresa Gavazza.

CONVEGNO NAZIONALE RETE RADIE’ RESCH – RIMINI 11-13 APRILE 2008

Incontro con Mario Tronti

Introduzione di Maria Teresa Gavazza, rete di Quargnento/Alessandria

La scheda biografica di Mario Tronti è allegata al testo del programma del convegno (13), questo mi esime dal soffermarmi su una vita ricca e complessa, metafora del secolo breve: sarà Mario stesso a raccontarsi.

L’impostazione data da Antonietta Potente ha scompaginato le mie riflessioni e i quesiti che avrei voluto porre al relatore, come richiesto dal Coordinamento nazionale. Mi sembra così riduttivo interrogarsi semplicemente sulla crisi della rappresentanza, proprio oggi che sono in corso le elezioni politiche tra le più significative della storia repubblicana (la vignetta di Vauro sul Manifesto di oggi, 13 aprile, bene ne esprime il senso); si restringerebbe infatti uno spazio mentale e spirituale che Antonietta ci ha suggerito di esplorare. Rimaniamo su un piano filosofico per scoprire la mistica della politica, lasciamoci guidare dall’amore della sapienza e raccogliamo le suggestioni di un convegno diverso dai precedenti, risultato di un lungo lavoro fatto dalla Rete Radié Resch nei seminari locali e nelle comunità in cui opera.

Partirei da chi non c’è: donne e uomini, forse più donne, che sono state impedite dal partecipare perché figlie o madri impegnate in responsabilità famigliari cui non potevano sottrarsi, oppure per cause diverse. Occasioni di incontri affettuosi perduti, relazioni non tessute come avremmo voluto. Penso invece a Luisa Alfaro, giovane testimone dell’Argentina, e al suo racconto: la comunità le ha consentito di partire prendendosi cura del suo bimbo ed aiutandola ad affrontare un viaggio così lungo e difficile. Vorremmo anche da noi “tessere reti” per difenderci dalla solitudine, dal peso del lavoro di cura quotidiana: farsi carico di chi non può, per consentire occasioni di gioia.

Le brevi uscite lungo il mare di Rimini mi hanno colpita per il contrasto tra la natura e il vuoto delle case: negozi, alberghi, ristoranti serrati e muti. Imponenti costruzioni senza vita, pronte a rianimarsi al comando del denaro, del consumo. Ho sentito forte il senso di non luogo: nelle civiltà della ricchezza vi sono interi spazi che ben rappresentano l’assurdità di una società dell’immagine, senza radici. Il confronto con la Patagonia è suggestivo: aree sterminate da percorrere a piedi o a cavallo, senza elettricità, ma pulsanti di vita. Luoghi dove la madre terra crea legami con la comunità umana, intrecciandosi secondo ritmi millenari. E poi, per analogia, il non luogo della politica: è come uno zombie che si risveglia solo in certe occasioni, ad esempio durante le elezioni, evento mediatico e fasullo. Nessuna relazione, nessuna passione, rimozione delle radici, mancanza della partecipazione: è il non luogo per eccellenza.

Come “ricostruire” un luogo comune, una comunità? Ho pensato al racconto di Eufrosine, del “No Dal Molin” di Vicenza o a Dadoue di Haiti, esempi di Politica femminile leggera, non di potenza. Per gli haitiani la scuola rappresenta la conquista dell’eternità: i figli sopravvivono ai genitori, che ben conoscono la precarietà della vita, se potranno istruirsi e diventare colti. La società opulenta invece svaluta la conoscenza, spinge i giovani a cercare il denaro facile con la complicità dei genitori: nell’associazione GAPA di Catania, altro ponte verso il nostro Sud della Rete Radié Resch, si combatte l’abbandono scolastico lavorando nelle strade con gli adolescenti. “Resistere” all’assedio, ricercando il disubbidiente, il diverso: “Noi siamo liberi dentro una prigione”, sono parole di Tronti.

I soggetti storici nascosti dettano il ritmo della Storia, la resistenza è un grido: la microstoria emerge dalla grande Storia, per creare e inventare nuove soluzioni, nuove reti affettuose. Ancora Tronti ci spinge a riflettere sul rapporto tra politica e spiritualità “intesa come l’ultima frontiera della resistenza, l’ultima forma dell’antagonismo rispetto all’ordine esistente”.

INTERVENTO DI MARIO TRONTI

Vi ringrazio per questo invito, che è stato molto gradito. Mi ha permesso di entrare in contatto “fisico” con la vostra realtà. Quando Ettore Masina mi ha proposto questo intervento, ero un po’ preoccupato, perché non conosco molto la vostra realtà. Ho visto che siete una grande famiglia. Ho pensato ai verbi “restituire, ricostruire, resistere”; Antonietta Potente ha aggiunto poi il “riconoscere”, che mi sembra molto importante. Questi verbi mi sembrano anche indicazioni di lotta. Credo che la vostra realtà abbia una forte concretezza, intervenendo in luoghi ben caratterizzati e significativi.

Dal femminismo ho imparato l’importanza del “partire da sé”, che vedo però come un “partire da noi”, cioè all’interno di un movimento. Io vengo dal popolo comunista romano; ora lo ritroviamo con difficoltà: è stato sradicato. Ho scoperto la fabbrica e la classe operaia nell’epoca della grande produzione di massa fordista e taylorista. Mi dichiaro un intellettuale organico di partito e di classe sociale: una volta era una nobile figura perché metteva il suo impegno a servizio di una causa collettiva, ora è una figura demonizzata e si preferisce l’intellettuale che fa cultura per sé e per la sua carriera. Nel partito la mia posizione non era eretica, perché rimaneva dentro il partito, ma era non-ortodossa.

La storia del movimento operaio inizia alla fine del ‘700 con la rivoluzione industriale: è una storia lunga e dobbiamo prenderne l’eredità e portarla avanti. La lascerei ora però sullo sfondo per confrontarmi col vostro modo di agire e di stare dentro la realtà. Mi hanno colpito le due figure fondanti della vostra Rete, Ettore Masina e Paul Gauthier, con questo scambio vitale nelle convergenze e nelle divergenze. Vedo che la vostra storia è sempre discussa e in movimento. Arturo Paoli ha parlato di una linea mistica e di una politica; per lui la figura del cristiano è di sintesi.

Per Paoli una fede viva deve essere “intrinsecamente politica”. Anche Antonietta Potente mi sembra che cerchi questa sintesi: il suo ultimo libro del 2008 si intitola “Per una mistica politica”.

Si parla ora di crisi politica. Io però do una connotazione positiva al concetto di “crisi” come momento di “messa in discussione” dello stato delle cose. Tutti parlano di “uscire dalla crisi”, a me sembra meglio “entrare nella crisi”, che consente modifiche e trasformazioni, cambiamenti; mi sembra invece negativo il concetto di “ordine”.

Noi contrapponiamo società civile e classe politica. Io penso invece che nell’Occidente la società civile produca una classe politica a sua immagine e somiglianza.

Antonietta Potente parla del percorso da teologia missionaria a teologia contestuale, per adattare la teologia al luogo in cui si opera. La teologia si trasforma quando entra in certi luoghi, perché entra la sapienza degli altri popoli: si modificano le forme e i contenuti. Bisogna lasciare che i grandi silenzi prendano la parola. Anche Dossetti si muoveva tra le due grandi dimensioni del silenzio e della parola. Benedetto Calati, un grande monaco dei nostri tempi, ora scomparso, diceva: “La Scrittura cresce con chi la legge”. Più che dire la Parola di Dio bisogna lasciarla dire, restituendo la nostra vita nelle mani degli altri.

Nelle lotte operaie si voleva che i padroni restituissero il plus-lavoro che creava profitto. Marx da giovane diceva anche che l’operaio veniva alienato: metteva parte della sua attività nel prodotto, che poi gli veniva tolta dal padrone capitalista. È chiaro che non siamo di fronte a questa forma di “restituzione”.

Il tema dell’attesa comporta il “resistere”, il “restare in attesa” facendo sì che alcune cose “non passino”, il “no pasarán” della guerra di Spagna verso il fascismo. Anche dopo la sconfitta del movimento operaio, parliamo ad esempio di resistenza al capitalismo.

Il moderno non si trattiene, ma nel moderno c’è da “trattenere” qualcosa. Trovo in voi un certo ottimismo sulla natura umana, sia individuale che collettiva. Noi però in Occidente abbiamo alle spalle il fallimento del più grande tentativo di liberazione umana messo in campo. Visto dal Sud del mondo, viene avanti la speranza; visto dal Nord viene avanti la disperazione. Ad esempio adesso, con queste elezioni, c’è data la scelta tra due sventure: dovremo scegliere la minore. C’è sempre meno la possibilità di mobilitazione.

Ricostruire” secondo me ha da noi molto a che fare con il ricostruire la fede, una coscienza di sé stessi. Quale fede? Come fare perché il “tempo nuovo” sia nuovo per tutti? Lontano da qui, nelle situazioni narrate, c’è una sorgività, una creatività, pur essendo presenti grandi tradizioni. Da noi c’è la retorica del nuovo, quando spesso c’è falsità in questo: ad esempio cambiano le forme della società capitalistica, ma la sostanza capitalistica rimane.

Dobbiamo guardare ai rapporti sociali e ai rapporti politici, riconoscendo i rapporti di forza tra chi lavora e chi sfrutta il lavoro e tra chi comanda e chi ubbidisce: se non si rovesciano questi rapporti di forza, è veramente possibile un tempo nuovo?

Antonietta Potente ha detto di non credere che ci sia una grande differenza tra il vero asceta e il vero rivoluzionario. È vero. Questo ci impegna a cambiare le forme della lotta e dell’organizzazione, ed anche ad assumere l’ascesi come contemplazione attiva; sapere che non tutto è nelle nostre mani, che c’è un mistero più grande entro cui si svolge la storia umana.

Questo è importante per la politica per cambiare il mondo. Non più avanguardie che guidano, non più direzione dall’alto, ma “orientare seguendo”, “camminare condividendo”.

Noi occidentali siamo la “terra del tramonto”; ma l’altro continua ad essere il nostro destino, che può allargare la nostra visione. Appartengo ad una generazione segnata da una lotta grande e terribile, la speranza è che le nuove generazioni, libere dal ‘900, trovino un’altra misura nella lotta, con una passione per il mondo.

Vi ringrazio per quello che fate e soprattutto per come lo fate.

NOTA BIOGRAFICA:

Mario Tronti (1931-2023) è stato un filosofo e un uomo politico, uno dei fondatori dell’operaismo teorico degli anni ‘60. Militante del Partito Comunista negli anni ‘50, fu co-fondatore della rivista “Quaderni rossi” e poi di “Classe operaia”, di cui fu direttore. L’esperienza dell’operaismo si caratterizzava per il fatto di mettere in discussione le tradizionali organizzazioni (partito e sindacato) e di collegarsi direttamente, senza intermediazioni, alla classe in sé e alle lotte di fabbrica. Tronti si dedicò come studioso a rinnovare il marxismo trasformandolo per riaprire la strada rivoluzionaria in Occidente. Si riavvicinò al Partito Comunista negli anni ‘70. Ha insegnato filosofia politica all’Università di Siena. Dal 2004 è stato presidente del Centro per la Riforma dello Stato.

Da “in Dialogo” nr. 82 del Dicembre 2008

“Ti possono uccidere, o possono farti di peggio  – dice un celebre aforisma – :  ti possono ignorare”.

Così è stato per la campagna dei Referendum  indetti da Generazioni future e dal comitato Ripudia la guerra sui temi dell’invio di armi in Ucraina e sulle decisioni del Parlamento relative alla deroga sul divieto di esportazioni di armi, più uno sulla Sanità pubblica.

In 80 giorni sono state raccolte 370 mila firme (di cui solo 20 mila on line, poche nei Comuni,le altre tutte ai banchini autorganizzati), nell’oscuramento più totale da parte di tutti i media, pubblici e non. 

Anche la  stampa, a parte qualche articolo de “Il fatto quotidiano”, NON ha mai parlato dei referendum. Non capisco perchè;  nemmeno Il Manifesto, nemmeno Avvenire. Per non parlare del silenzio assordante di associazioni come Arci, Anpi, Emergency … grande assente anche la CGIL. Eppure si tratta di realtà che si sono dichiarate contrarie all’ invio di armi, all’escalation della guerra, alla alimentazione costante del conflitto che giova solo ai mercanti di morte. Ipotizzo motivi di equilibrio con il PD, partito ormai ( e lo dico con tanta amarezza e rammarico) bellicista e atlantista oltre misura. 

Sono state fatte proteste presso le sedi RAI: del tutto ignorate, poichè i rapporti di forza sono sbilanciati. Ancora una volta c’è stato oscuramento.

Tra i partiti, solo i 5 Stelle, e senza la necessaria convinzione e impegno  (sì, Giuseppe Conte ha firmato, la consigliera dei 5 Stelle di Empoli è venuta qualche volta ai nostri banchetti come garante… non è poco rispetto a tutti gli altri, ma non era abbastanza, si percepiva subito..) , hanno appoggiato le campagne referendarie.

 Anche Michele Santoro e la ‘sua’ associazione denominata Servizio Pubblico  – la chat nazionale creata dopo la bella Staffetta per la pace di questa primavera, con lo scopo di unire dalle Alpi alla Sicilia il popolo della pace*1) –  ha ignorato i referendum.

Non ho ben chiaro come e se ci siamo mossi in quanto Rete: di sicuro non c’è stato dibattito, né il tema è stato posto (poi potrei sbagliarmi, forse mi è sfuggito…), molti di noi hanno firmato, certo, ma senza volontà di coinvolgere, di promuovere.

La nostra stessa Tenda per la Pace di Empoli, di cui vi ho parlato in altra circolare, che ha come PRIMO punto tra i suoi obiettivi il NO all’INVIO di ARMI e che resiste, pur ‘acciaccata’ e a volte un po’ frustrata, ha visto al suo interno (siamo una trentina di aderenti attivi) qualche defezione. Abbiamo costituito comunque un Comitato e raccolto le firme anche presso la Tenda.

 Tanti i segnali che non c’era sufficiente motivazione. E non capisco perchè, visti  – appunto-  gli obiettivi.

 Provo  a capire:

– non piacevano i promotori, per altro divisi a loro volta e questa è storia che si ripete e non fa onore, proprio per niente. Soprattutto danneggia altamente la causa per cui si dice di lottare…

– i  ‘puri’ dei vari movimenti Non violenti, disarmo ecc. non si sono sentiti abbastanza coinvolti (!!), ma che vuol dire? bastava coinvolgersi!!!  E ci risiamo con le primogeniture e su ‘QUANTO’ conta il MIO (o il nostro) movimento

– Il referendum non era  la forma giusta per far pesare le nostre idee di pace e di No alla guerra  (eppure le abbiamo fatte tutte: marce, fiaccolate, staffette, digiuni, silenzi e grida, comunicati stampa, incontri coi parlamentari che hanno accettato di confrontarsi sul tema del No  alle armi, che è tabù, consigli comunali straordinari, incontri con esperti e pacifisti di ogni genere, personalità autorevoli e non, ecc, ecc.  NULLA, assolutamente  NULLA  ha smosso  di una virgola la politica che conta e decide. Questo dopo quasi DUE anni di guerra in Europa, di carneficine reciproche, di bugie, di morti, di inquinamento e di rischio di guerra atomica…)

L’obiettivo richiesto delle 500 mila firme non è stato raggiunto, la consultazione referendaria non ci sarà. La gente non sarà  chiamata ad esprimersi su dove la politica spenderà i nostri soldi .

 Un’altra occasione persa per dare voce al popolo della pace, che resta diviso, disperso, frammentato, senza voce. 

Noi ci siamo impegnati in questa campagna perchè ci sembrava coerente con tutto il resto che abbiamo sempre fatto, e ancora di più dopo il 24 febbraio 2022.

Abbiamo guardato due SOLE  cose:

– l’obiettivo  del NO all’invio di armi e di  come la politica decide su questi temi vitali in totale assenza di democrazia

 – la possibilità che si offriva di parlare con la gente della Pace in concreto, vista la censura in atto sul tema

Così è stato: una gran fatica a essere nei mercati e nelle piazze, pochi autenticatori  e – poveretti-  sempre gli stessi/e , boicottaggio velato, ma non troppo, per partecipare  alla raccolta durante i vari  e affollati eventi locali  indetti dalle  amministrazioni (tutte PD), solito, vergognoso silenzio stampa.

Quindi abbiamo dato assoluta priorità all’obiettivo e scartato tutto il resto. Troppo semplicisti?  Del resto chi ha fatto faticosi e pesanti distinguo non ci sta portando ugualmente da nessuna parte.

Con la gente abbiamo parlato, abbiamo avvicinato  tante persone, non le solite èlite ( brave, per carità), ricevuto diniego,  indifferenza, contrarietà, consenso. Non so se siamo riusciti a catalizzare davvero l’attenzione e risvegliato un po’ di consapevolezza  sulla tragedia che stiamo vivendo, sull’escalation in corso circa i rischi di questo e di tutti i conflitti in atto. Ci abbiamo provato e la raccolta firme almeno ce ne ha fornito l’occasione. Hanno firmato  due categorie di persone: i pacifisti convinti e tante persone semplici di ogni estrazione sociale, che fanno i conti e capiscono il rapporto deleterio tra spese per gli armamenti e spese sociali (sanità , scuola, servizi…). 

E’ emerso chiaramente , e già lo sapevamo,  che NON esiste un fronte unito contro la guerra. Questa è la nostra vera fragilità e impotenza.

E’ indispensabile che ogni proposta che verrà fatta su pace/guerra/armamenti e non solo, sia valutata e accolta o no, SOLO nello specifico contenuto, nel bene che può fare e produrre, NON sulla base di chi la fa*2) .

NOTE *1) Incontro on line del 2 agosto  con Santoro e SP:  gruppi regionali consultati dopo la Staffetta della Pace., nel ns caso quello del Centro Italia, con una sessantina di partecipanti.

Dal dibattito emergono due linee:

–  necessità di costituire un Movimento trasversale sulla Pace  (proposta di Raniero La Valle)

– creazione di un ‘motore aggregativo’ (sic) sempre sul tema Pace, che poi sarebbe un partito…ma con il dubbio se lavorare con i partiti che già ci sono tentando di metterli insieme , o creare una ‘cosa nuova’.

Decisione e ulteriore dibattito rimandato al 22/23 settembre, assemblea a Firenze in presenza (Articolo 1, Santoro, SP, ecc).

*2) Qualcuno non ha firmato perché i promotori erano NO VAX (!!!), la consigliera dei Comunisti Italiani di un ns Comune non ha voluto autenticare perché i referendum erano stati firmati da Alemanno (!!!). Non mi pare un modo politico (=bene comune) di ragionare

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