Mostra fotografica: PER STRADA. IL LAVORO DOVE PASSI Marzo ’24

Promossa da Rete Radie’ Resch di Lecco mostra fotografica di Gian Maria Zapelli
PER STRADA: IL LAVORO DOVE PASSI

Dal 16 marzo al 7 aprile – Torre Viscontea, Piazza XX Settembre, Lecco
ORARI: giovedì: 10:00 -13:00 / venerdì e sabato: 14:00 – 18:00 / domenica: 10:00 – 18:00

PERCHE’ PROPONIAMO QUESTA MOSTRA

Per la Rete Radié Resch la solidarietà è prima di ogni cosa vicinanza con chi lotta contro l’oppressione e l’impoverimento. La mostra ci avvicina a realtà marginali di donne e uomini che, attraverso il lavoro sulla strada, resistono quotidianamente, con tenacia, a una vita di precarietà.

Quaranta fotografie, scattate in venti cittadine del mondo, che raccontano la strada, dove vi è un’economia dell’esiguo reso abbastanza da sopravvivere, dove il marciapiede si fa spazio esistenziale e il lavoro resistenza, con il poco di una pentola logora o di un pesce appena pescato.

LETTERA CIRCOLARE DI MARZO 2024

“Restiamo umani”: questa è la profetica, grande intuizione di Vittorio Arrigoni, assassinato il 15 aprile 2011. Lui si confrontava ogni giorno con il Male, condividendo la vita dei palestinesi a Gaza.
Sappiamo che oggi nel mondo ci sono molte situazioni di guerra, ma ci sembra che ciò che sta accadendo a Gaza riassuma in qualche modo “in diretta” quanto di male e di efferatezza può albergare nel cuore e nella mente umana.
Sui libri di storia abbiamo letto degli stermini del colonialismo europeo/occidentale, dell’estrema violenza delle guerre del secolo scorso, per parlare solo di quelle, fino all’ indicibile vicenda della Shoah. Oggi, invece, siamo diretti testimoni di un genocidio e questo ci fa stare male per il senso di impotenza. È difficile, infatti, far emergere il desiderio di pace a cui la maggior parte dell’umanità aspira. In molti chiedono pace, ma si arriva addirittura ad usare selvaggiamente il manganello contro qualche gruppo di ragazzi e ragazze, ancora adolescenti, nel tentativo di soffocare queste voci.
Di fronte a tutto questo ci è sembrata una crepa in cui scoprire vita la lettera degli ebrei e delle ebree italiani, apparsa su “Avvenire” del 12 febbraio scorso. (vedi https://www.avvenire.it/mondo/pagine/ebrei-per-la-pace).
Quegli uomini e quelle donne si sono riuniti, hanno messo in comune i propri sentimenti, nominandoli con franchezza per quelli che erano. Hanno riconosciuto che molti israeliani ed ebrei sono incapaci di cogliere “la drammaticità del presente e le conseguenze per il futuro”. Soprattutto hanno sentito la sofferenza delle vittime, di tutte le vittime. È questo che li ha spinti a prendere parola, anche se erano molto pochi. Hanno affermato che fare memoria della Shoah serve a far sì che ciò non si ripeta non solo nei confronti degli ebrei, ma nei confronti di tutti. Diceva Primo Levi che “ciò che è accaduto può ritornare…” E nella lettera è scritto senza mezzi termini che “aver subito un genocidio non fornisce nessun vaccino capace di renderci esenti da sentimenti di indifferenza verso il dolore degli altri, di disumanizzazione e violenza sui più deboli”.
Per contrastare l’odio e l’antisemitismo hanno compreso che l’unica strada possibile è quella di interrogarsi profondamente per “aprire un dialogo di pace costruendo ponti” anche se le posizioni sembrano distanti. Per questo dicono di non condividere le indicazioni dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, dove si dice che ogni critica alle politiche di Israele è una forma di antisemitismo.
Rompere il silenzio di fronte all’orrore e già un modo per coltivare la speranza.
Amici israeliani ci dicevano che in questo momento di grande buio l’unica cosa che vedono possibile è stare insieme in silenzio, arabi ed ebrei, poi forse sarà possibile parlarsi e alla fine anche abbracciarsi: così ci hanno detto testualmente. Per ora questo è il loro orizzonte: per la grande sofferenza che stanno vivendo non hanno trovato altro modo di resistere, perché in questo momento non riescono a immaginare uno sbocco dopo tanta violenza.
Questi amici fanno parte del movimento di cittadini israeliani ebrei e palestinesi STANDING TOGETHER, “Stare Insieme” (www.standing-together.org/en). “Standing Together” è minoritario in Israele, ma sta crescendo – ci hanno detto – e organizza marce e manifestazioni in tutto il paese per chiedere pace, uguaglianza di diritti, giustizia sociale e climatica.
Purtroppo le istituzioni e i governi europei stanno orientandosi sempre di più verso l’dea che è necessario armarsi per risolvere i conflitti e regolare i rapporti tra gli stati. Sono impressionanti le cifre che si spendono per gli armamenti a discapito di investimenti in servizi e welfare, mentre i poveri sono in costante aumento in Europa e nel mondo.
L’articolo 11 della nostra Costituzione, la promozione della pace che l’Europa aveva messo tra i suoi principi sembrano ormai archeologia, cosa del passato.
Ma, come ci hanno suggerito al tempo della dittatura argentina le Madres de Plaza de Mayo, la lotta per la vita sconfigge la morte. Sappiamo che il loro marciare ogni giovedì, sfidando il potere, aveva questo significato: “la vida venciendo a la muerte”. E’ lo stesso grido, possiamo permetterci di dire, con cui si conclude la lettera citata degli ebrei e delle ebree italiani: “Vogliamo preservare il nostro essere umani…”.
Sono più o meno le stesse parole di Vittorio Arrigoni. Parole che avevamo fatto stampare anche sulle nostre borsette di tela in occasione di uno degli ultimi convegni, come un invito e un proposito da diffondere.
Preservare l’umanità è profezia perché dice che il Male non ha l’ultima parola. Ma preservare l’umanità è anche fare Politica, è credere possibile un mondo più giusto e finalmente in pace.

Maria e Gianni
Rete di Verona, 5 marzo 2023

CIRCOLARE NAZIONALE DELLA RETE RADIE’ RESCH – FEBBRAIO 2024

Probabilmente mai avremmo immaginato nella nostra vita un momento esistenziale difficile come quello di oggi, così colmo di incertezza, disagio.

Siamo proiettati in un mondo che ci fa sentire estremamente esposti, indifesi, nudi, senza nessuna certezza da poter offrire a figli e nipoti .

PROIETTATI, questo a mio parere è il termine esatto, letteralmente spinti in una situazione non scelta, sprovvisti, mi sembra, della possibilità di avere una voce, di costruire una qualsivoglia forma di reazione efficace.

Vedo questo tempo che stiamo attraversando come il TEMPO dell‘INCERTEZZA, forse UN’ETÀ mai sperimentata nella vita, un tempo nuovo, non previsto.

Le generazioni passate hanno vissuto probabilmente questo smarrimento attraverso la seconda guerra mondiale. Quello invece di questi anni è IL NOSTRO TEMPO DELL‘INCERTEZZA, che ci si para prepotentemente di fronte, che si impone seccamente, che siamo chiamati a vivere.

, nonostante tutto siamo chiamati a continuare a camminare, magari controvento, non scoraggiandoci, non lasciandoci cadere le braccia. Meglio ancora restando il piu possibile uniti.

Non è facile, non è un cammino facile, è un cammino e un momento che ci disorienta.

Nel tentativo di rialzarci incontriamo immediatamente la crisi prodotta dalla coscienza e dalla visione del nostro limite, con la netta consapevolezza dell‘impossibilità a essere efficaci, quindi potenti. Ci scopriamo fragili.

Siamo invitati inevitabilmente in questi frangenti ad attrezzarci di occhi nuovi, di atteggiamenti nuovi, che ci permettano di scorgere segni nuovi, magari non previsti, sulla strada.

Come individui siamo posti tra il tramontare di stati antichi e l‘assenza all‘orizzonte di cose nuove. Siamo chiamati a non fossilizzarci, a non permanere rigidi sulle nostre convinzioni, ma a riconoscere i segni di novità che inevitabilmente comunque incontriamo ed esistono.

Magari questi segni non presentano un volto preciso, ma comunque in modo informe e acerbo cercano di farsi strada.

Questo mi sembra il modo migliore per affrontare questa epoca dell‘incertezza, che siamo chiamati a vivere QUI,

in questa nostra storia,

in questa nostra terra,

in questo preciso momento.

Non ci è concesso di avere un’altra scelta, non possiamo farne un’altra.

Cercando di cogliere questi segni, balbettando, provo a individuare alcune tracce di una fragile alba che intravvedo ad esempio:

– nella denuncia di Israele da parte del governo Sudafricano per le azioni belliche condotte contro la Palestina e il suo popolo:

Il 29 dicembre 2023, il Sudafrica ha presentato una denuncia contro Israele per “genocidio” a Gaza alla Corte internazionale di giustizia (CIG), il tribunale delle Nazioni Unite incaricato di risolvere le controversie tra gli Stati (fonte: Nazioni Unite)

La risposta del Tribunale non ha probabilmente soddisfatto le nostre attese, ma la denuncia di uno stato ad un altro stato mi sembra un passo notevole, forse poco sottolineato. Tale azione inoltre sembra cercare di provare a costruire un percorso giuridico per regolare un conflitto.

– nella denuncia da parte di organizzazioni per i diritti umani dello stato olandese alla sua corte per la reiterata vendita di pezzi di ricambio di F35 al governo israeliano da parte dello stesso governo olandese:

Un tribunale olandese ha ordinato ai Paesi Bassi di sospendere la consegna di componenti per gli aerei da combattimento F-35 utilizzati da Israele nel bombardamento della Striscia di Gaza. L’ordinanza fa seguito a un appello presentato da organizzazioni per i diritti umani contro la decisione di un tribunale di grado inferiore che respingeva la loro tesi secondo cui la fornitura di queste parti di aerei avrebbe contribuito a presunte violazioni del diritto internazionale da parte di Israele. “La corte ordina allo Stato di cessare ogni effettiva esportazione e transito di parti dell’F-35 con destinazione finale Israele entro sette giorni dalla notifica di questa sentenza”, si legge nella stessa sentenza del tribunale (fonte: Aska News, notizia riportata anche da Rai Radio 1).

Potrei fare altri esempi, ma non mi voglio dilungare, erano esempi appunto.

Mi rendo conto che tali atti non sono risolutivi (possono esserlo o meno), ma ci segnalano una contaminazione e un coinvolgimento positivo da parte di un soggetto istituzionale che attraverso il diritto incontra la vita politica e sociale.

Nel tempo questi atti giuridici possono costruire un vero e proprio percorso giuridico atto a normare per via non bellica le controversie e possono costituire un vero e proprio baluardo contro le barbarie e le ingiustizie.

Mi sembra inoltra che una non trascurabile parte delle nostre società occidentali (probabilmente nella loro parti migliori) sia maturata negli anni, che ci siano ora più persone sensibili, consapevoli e capaci anche di proporre azioni di contestazione e una spinta efficace su alcune tematiche riguardanti i diritti umani.

Concludo sperando che qualche alba ci sia concesso di vederla sorgere ancora nei prossimi anni.

… Saluti a tutti da Sergio della Rete di Genova

Genova, febbraio 2024

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