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PREAMBOLO. Nel mese di Marzo, io e Marco Zamberlan della Rete di Torino, siamo stati accolti e ospitati nella famiglia (Füren) di Josè Nain Perez e Margot Collipar inserita nella Comunità Mapuche (Lof) di Boroa, vicino a Nueva Imperial (Cile). In Febbraio, ci hanno preceduto le nostre rispettive figlie, Ludovica e Nadia, che con loro hanno condiviso un periodo di tempo più lungo.
Non ci è ancora stato possibile stilare un lavoro comune ed esauriente di tale esperienza.
Quanto riportato nella seguente circolare rappresenta solo qualche sparsa riflessione “a caldo”. Esclusivamente personale.
Una sintesi più organica ( e condivisa ) verrà proposta ad uno dei nostri prossimi coordinamenti di Rete.

LUNARIO di MARZO

Atterriamo a Temuco, capitale dell’Araucanìa. Qui nacque Neruda, che considerava tale regione il cuore del Cile.
Per i Mapuche siamo nel Gulu Mapu 1.
Terra di mari, vulcani, laghi, fiumi, e foreste millenarie che da sempre li accoglie e che da sempre è da loro custodita.
Capaci di trasformarsi, per necessità, in formidabili guerrieri sono l’unico esempio di popolo nativo amerindio non soggiogato e con cui i colonizzatori spagnoli sono stati costretti a scender a patti. Altro particolare non indifferente: nella loro storia non si hanno notizie di tentativi espansionistici al di fuori dei loro confini originari.

In tempo di luna calante al primo quarto

Dopo cena, a casa di Josè e Margot, esco e mi allontano nel campo.
Un buio impenetrabile, privo di qualsiasi inquinamento luminoso, mette in risalto l’esplosione di stelle.
La cupola celeste è così vicina che sembra schiacciarti. Minuscola forma di Vita dell’Universo. Una tra le tante.
A parte quel residuo spicchio di luna, lo smarrimento di non riconoscere nessun punto cardinale certo.
L’assenza della Stella Polare sembra un monito: è sensato qui, orientarsi con riferimenti indicanti il Nord del mondo?
Il bagliore di “Melipal” – la Croce del Sud chiama. Dimenticare posizioni, mappe e nomi ed annusare nuove rotte:
“ WILL! WILL! … A Sud ! A Sud!! ” 2 ……………. Appunto !!

Il percorso identitario mapuche passa, certo, per il recupero delle tradizioni, della memoria, del mapudungun 3 ma soprattutto attraverso il recupero della Terra. Termine contenuto nella definizione del loro stesso nome 4.
Un mapuche senza Terra è come un marinaio senza mare. Perciò il wiñomüleiñ ta iñ mapu meu 5 è centrale.
Attenzione però, un territorio dove vivere e trarre sussistenza non vale un altro. C’è solo un luogo preciso dello spirito che lega rigorosamente , attraverso il Tugun 6, individuo e comunità alla Naturaleza 7.
In tal senso, seppur medesimo l’avversario (stato, latifondo e multinazionali), l’obiettivo mapuche non è una riforma agraria con una generica, equa ridistribuzione del territorio (come ad es. per Zapatisti o Sem Terra) ma il recupero della propria terra ancestrale che verrà poi assegnata alla comunità originaria, il cui Tugun è correlato a quel luogo.
Una lotta intrisa di una atavica sacralità che ribadisce un forte orgoglio identitario. Politico, culturale e spirituale.

In tempo di novilunio

Scompare dalla volta l’ultimo punto di riferimento familiare.
Il cielo senza luna amplifica il mistero di queste giornate.
Tuffati vestiti nel razionalmente inspiegabile. Con spirito, animo e corpo.
Il nostro righello mentale pretende di misurare lo specchio d’acqua in cui siamo finiti.
Ma gli approcci sistematici e scientifici non possono esser unità di misura.
Riflessione che già Centrafrica e Senegal avevano stimolato.
Lì gli interlocutori erano più reticenti nell’affrontare l’invisibile che governa gran parte del loro vivere.
Qui, almeno pare, c’è una maggiore disponibilità a disvelare il mistero degli aspetti animistici.

La cosmovisione mapuche è popolata da un labirinto di tradizioni, credenze e leggende.
Spiriti che prendono forma in animali e ibridi di animali diversi 8 .
Nell’eterna lotta tra il bene e il male.
Tutto è vita. Tutto è vivo. Tutto è sacro. Tutto è connesso.
E perché ci possa esser vita deve esserci Newen. Energia.
Lo stesso mapuche è una manifestazione di energia.
La sua massa corporea ne è una materializzazione. Una delle infinite.
Il mapuche ricava il suo spazio in mezzo a tutti gli altri esseri viventi.
Perciò per muoversi in sintonia deve chiedere il permesso ed usare rispetto.

La salute è la cartina al tornasole dell’armonia e dell’attenzione al rispetto dello spazio di tutti gli altri newen.
Rompere questo equilibrio crea, conseguentemente, malattia al singolo e malessere alla Comunità.
La cura è affidata alla Machi, di solito donna, che riveste un ruolo centrale nel Lof .
Figura che, dopo lungo e faticoso apprendistato, acquisisce le antiche competenze che le permettono di trattare con il newen, interpretare i segni della naturaleza e ristabilire l’equilibrio anche attraverso l’utilizzo delle erbe medicinali.

Ne abbiamo fatto esperienza con la Machi Teresa, assistita dal compagno Marcelo e dal suo figlio minore Roberto.
Al ritmo ossessivo del kultrun e dei kaskawilla, di fronte al Rehue, si connette al Wenu Mapu. 9
Quando ciò avviene, l’enorme flusso di energia che attraversa la sua esile struttura, la manda in tranche.
Ne scaturisce un inconscio, continuo effluvio di parole che Teresa, in fase conscia, non ricorderà.
Marcelo, nel ruolo di sungumachife, raccoglie e riporta. Tutto rigorosamente in mapudungun.
Quando, spossata, rientra in sé, ascolta con attenzione il resoconto di Marcelo ed interpreta.
La comunicazione, di quella che noi definiremmo una diagnosi, è diretta e senza mediazione alcuna.
Associa aspetti fisici, mentali e spirituali. Incredibilmente calzante anche se ben poco rassicurante.
Taluni aspetti saranno curabili con adeguati rimedi che verranno preparati dopo la raccolta delle erbe necessarie.
Per altri la terapia è rimandata ai nostri medici.

Arruffato, in questo orizzonte di stelle basse, mi accompagna il sorriso dolcissimo di Teresa.
Donna capace di accogliere in sé dolori indicibili. Propri 10 ed altrui.
Sfuggita alla normalità eterna con l’accettazione del suo ruolo , ha dovuto caricarsi il peso dell’allontanamento del marito e di 2 dei suoi 3 figli. Solo Robertino l’ha accompagnata nel suo percorso. E poi …. Ogni volta, ad ogni seduta
accogliere in sé i disequilibri altrui che vuol dire trasformare il proprio corpo in un terreno di scontro tra Bene e Male. Sempre e comunque con quel sorriso sulle labbra ……..

In tempo di luna crescente all’ultimo quarto

Il pick up infila sterrati tra campi e foreste odorose d’humus.
Porto a spasso l’anima. Con una certa attenzione perché la guida non è sempre agevole.
Piste di polvere. Alzata dai propri e altrui pneumatici. Intermittenti, si svelano squarci di sfondi infiniti.
Terre e cieli sconfinati che palesano l’insensatezza di frontiere e recinti delimitanti la proprietà privata.

Sono giorni dedicati alla visita delle Comunità. Lunghi gli spostamenti percorsi tra un luogo e l’altro.
Dai Pehuenche della cordigliera ai Lafquenche sull’Oceano Pacifico. 11
Accolti nella lentezza che, qui, le relazioni esigono. Sedendosi a tavola per bere chica e mangiare asado. In ascolto.
Racconti di ritorni ai luoghi natii 12, di terre recuperate ma stremate da incendi e monoculture. Aneddoti sul quotidiano, feste e cerimonie (come quella del palin). Ma anche di storie terribili come quella famiglia Pitriqueo che, in una occupazione per il recupero della terra, ha perso un ragazzo di 19 anni schiacciato dal trattore di un latifondista. Un brulicare di vita, diverso da un lof all’altro. Coeso in caso di necessità.
Il limite di tale autonomia è quello di non produrre una rappresentanza politica significativa e comune ma, come ci ha ribadito il senatore Francisco Huenchimilla 13 è anche la struttura sociale che ha permesso loro di sopravvivere e conservare indipendenza e nobiltà fino ai giorni nostri.

Stanotte nel cielo ricompare una falce di luna.
Cerco di riordinare le carrellate di volti incontrati che affollano mente e cuore.
Nella testa, già dal pomeriggio, ronza il termine « Restanza », letto da Vito Teti, un antropologo calabrese.
Definito come: « L’atteggiamento di chi, nonostante le difficoltà, resta nella propria terra d’origine con intenti propositivi ed iniziative di rinnovamento » è un misto di permanenza e resilienza.
Mi pare la sintesi perfetta delle narrazioni carpite in questi giorni. E mi pare il trait d’union trans – culturale con quelle esperienze delle Comunità Trasformative ascoltate al nostro Convegno di Ottobre. uniti
Uniti da quella necessità di abitare lo spazio generando però un nuovo senso dei luoghi. E di sé stessi.
Trasformando il territorio in terra, il borgo dipinto in paese. Attraverso relazioni, sapienze antiche ed idee innovative.

Molto schierato sul sacrosanto diritto a migrare non ho mai ben riflettuto sull’analogo diritto di restare ….
Due facce della medesima medaglia.
D’altronde, da sempre, il partire e il restare sono i due poli su cui oscilla la storia dell’umanità.

In tempo di (quasi) plenilunio

La luna si riappropria nella sua interezza del firmamento visibile.
Io, con una certa malinconia, guardo la Stella del Sud.
E’ l’ultima notte in terra mapuche.
Si rientra. E’ tempo di saluti. Di bilanci.

Poter vivere all’interno di un Lof è privilegio raro. I cileni a cui lo racconti strabuzzano gli occhi.
Normalmente i Winka, gli stranieri, non vengono accettati nelle Comunità. Per cautela e diffidenza.
Per noi è stato possibile grazie ai ventennali rapporti intessuti con José e Margot.

Da sempre, ci diciamo che la relazione è uno dei punti imprescindibili per concretizzare la solidarietà.
Verificarlo nella realtà conferma che questi rapporti dialogici, vivi, coinvolgenti sono, davvero, la direzione giusta.

Un altro aspetto che mi pare importante sottolineare sono le modalità con cui si realizzano i contatti ed i viaggi.
Abitare i rispettivi quotidiani, nel qui come là, permette di cogliere anche gli aspetti contradditori e vivere pienamente la reciproca dimensione di uomini e donne. Comprensiva di limiti e difetti.
Aspetto indispensabile per evitare la mitizzazione dei nostri referenti locali.

Questo tempo ordinario condiviso con Josè, Margot, Relmu e Magnil ci ha regalato anche questo.

Il popolo della terra ha una incredibile fascinazione.
Incarna la lotta al modello liberista, alla visione utilitaristica di una mondo da cui attingere indiscriminatamente.
Ma per continuare a sopravvivere dovrà forzatamente fare i conti con la modernità.
All’orgoglio del passato dovrà saper associare una visione di futuro.
Riappropriandosi delle proprie terre ma anche di tecnologie e professionalità.
Fruibili solo con lo studio e con esperienze al di fuori dello stretto mondo mapuche.
Lautaro 14 riuscì a resistere ai colonizzatori perché apprese le tecniche usate dagli spagnoli stessi.
José stesso, militando due anni nell’esercito, ha imparato come si muovono e come ragionano i carabineros.
Ciò gli ha permesso di elaborare delle strategie di lotta tali da evitar scontri diretti nell’occupazione delle terre.

La cosmovisione dei mapuche è sostanzialmente duale in tutto e non attua disparità di genere. Prevede ad esempio che i ruoli di responsabilità quali lonko e machi, possano essere indifferentemente femminili o maschili.
Nonostante ciò, nel tempo, si è creata una distinzione più netta tra queste funzioni .
Guida delle comunità, incarichi politici e di rappresentanza sono diventati sostanzialmente appannaggio dell’uomo mentre quelli riguardanti cura, trasmissione dei saperi antichi, cultura ed educazione dei figli affidati alla donna.
Margot, pasionaria e coordinatrice di lotte, ha sovente sottolineato questo aspetto, vissuto personalmente in maniera frustrante per la ruolizzazione del suo genere.

A breve gli spazi infiniti verranno sostituiti da linee di coste aggrappate alle colline.
Nubi viaggianti su sfondi blu cobalto barattati con lembi di cielo specchiati nel mare.
Ognuno ha le proprie sfide. A qualsiasi latitudine.
Quella di Josè in Araucanìa. La mia in Liguria.

Spero però, nella possibilità che le nostre rispettive materializzazioni del Newen possano ancora incontrarsi .
Mi mancherà.
Quel suo passo leggero e silenzioso, assimilato da bambino negli spostamenti in foresta.
La sua visione pragmatica. Il suo orgoglio antico di nativo.
La vicinanza di quell’intendersi istintivo, sotterraneo. Di scarse parole.

Vero, carismatico Werken 15 del suo popolo.

La Stella Polare tornerà in cielo.
Ma Melipal, seppur invisibile, continuerà a smarrirmi ……….

Pier
Rete di Celle – Varazze

« Un luogo non è mai solo “ quel ” luogo: quel luogo siamo un po’ anche noi.
In qualche modo, senza saperlo, ce lo portavamo dentro e un giorno, per caso, ci siamo arrivati. »
Antonio Tabucchi

Mostra fotografica: PER STRADA. IL LAVORO DOVE PASSI Marzo ’24

Promossa da Rete Radie’ Resch di Lecco mostra fotografica di Gian Maria Zapelli
PER STRADA: IL LAVORO DOVE PASSI

Dal 16 marzo al 7 aprile – Torre Viscontea, Piazza XX Settembre, Lecco
ORARI: giovedì: 10:00 -13:00 / venerdì e sabato: 14:00 – 18:00 / domenica: 10:00 – 18:00

PERCHE’ PROPONIAMO QUESTA MOSTRA

Per la Rete Radié Resch la solidarietà è prima di ogni cosa vicinanza con chi lotta contro l’oppressione e l’impoverimento. La mostra ci avvicina a realtà marginali di donne e uomini che, attraverso il lavoro sulla strada, resistono quotidianamente, con tenacia, a una vita di precarietà.

Quaranta fotografie, scattate in venti cittadine del mondo, che raccontano la strada, dove vi è un’economia dell’esiguo reso abbastanza da sopravvivere, dove il marciapiede si fa spazio esistenziale e il lavoro resistenza, con il poco di una pentola logora o di un pesce appena pescato.

LETTERA CIRCOLARE DI MARZO 2024

“Restiamo umani”: questa è la profetica, grande intuizione di Vittorio Arrigoni, assassinato il 15 aprile 2011. Lui si confrontava ogni giorno con il Male, condividendo la vita dei palestinesi a Gaza.
Sappiamo che oggi nel mondo ci sono molte situazioni di guerra, ma ci sembra che ciò che sta accadendo a Gaza riassuma in qualche modo “in diretta” quanto di male e di efferatezza può albergare nel cuore e nella mente umana.
Sui libri di storia abbiamo letto degli stermini del colonialismo europeo/occidentale, dell’estrema violenza delle guerre del secolo scorso, per parlare solo di quelle, fino all’ indicibile vicenda della Shoah. Oggi, invece, siamo diretti testimoni di un genocidio e questo ci fa stare male per il senso di impotenza. È difficile, infatti, far emergere il desiderio di pace a cui la maggior parte dell’umanità aspira. In molti chiedono pace, ma si arriva addirittura ad usare selvaggiamente il manganello contro qualche gruppo di ragazzi e ragazze, ancora adolescenti, nel tentativo di soffocare queste voci.
Di fronte a tutto questo ci è sembrata una crepa in cui scoprire vita la lettera degli ebrei e delle ebree italiani, apparsa su “Avvenire” del 12 febbraio scorso. (vedi https://www.avvenire.it/mondo/pagine/ebrei-per-la-pace).
Quegli uomini e quelle donne si sono riuniti, hanno messo in comune i propri sentimenti, nominandoli con franchezza per quelli che erano. Hanno riconosciuto che molti israeliani ed ebrei sono incapaci di cogliere “la drammaticità del presente e le conseguenze per il futuro”. Soprattutto hanno sentito la sofferenza delle vittime, di tutte le vittime. È questo che li ha spinti a prendere parola, anche se erano molto pochi. Hanno affermato che fare memoria della Shoah serve a far sì che ciò non si ripeta non solo nei confronti degli ebrei, ma nei confronti di tutti. Diceva Primo Levi che “ciò che è accaduto può ritornare…” E nella lettera è scritto senza mezzi termini che “aver subito un genocidio non fornisce nessun vaccino capace di renderci esenti da sentimenti di indifferenza verso il dolore degli altri, di disumanizzazione e violenza sui più deboli”.
Per contrastare l’odio e l’antisemitismo hanno compreso che l’unica strada possibile è quella di interrogarsi profondamente per “aprire un dialogo di pace costruendo ponti” anche se le posizioni sembrano distanti. Per questo dicono di non condividere le indicazioni dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, dove si dice che ogni critica alle politiche di Israele è una forma di antisemitismo.
Rompere il silenzio di fronte all’orrore e già un modo per coltivare la speranza.
Amici israeliani ci dicevano che in questo momento di grande buio l’unica cosa che vedono possibile è stare insieme in silenzio, arabi ed ebrei, poi forse sarà possibile parlarsi e alla fine anche abbracciarsi: così ci hanno detto testualmente. Per ora questo è il loro orizzonte: per la grande sofferenza che stanno vivendo non hanno trovato altro modo di resistere, perché in questo momento non riescono a immaginare uno sbocco dopo tanta violenza.
Questi amici fanno parte del movimento di cittadini israeliani ebrei e palestinesi STANDING TOGETHER, “Stare Insieme” (www.standing-together.org/en). “Standing Together” è minoritario in Israele, ma sta crescendo – ci hanno detto – e organizza marce e manifestazioni in tutto il paese per chiedere pace, uguaglianza di diritti, giustizia sociale e climatica.
Purtroppo le istituzioni e i governi europei stanno orientandosi sempre di più verso l’dea che è necessario armarsi per risolvere i conflitti e regolare i rapporti tra gli stati. Sono impressionanti le cifre che si spendono per gli armamenti a discapito di investimenti in servizi e welfare, mentre i poveri sono in costante aumento in Europa e nel mondo.
L’articolo 11 della nostra Costituzione, la promozione della pace che l’Europa aveva messo tra i suoi principi sembrano ormai archeologia, cosa del passato.
Ma, come ci hanno suggerito al tempo della dittatura argentina le Madres de Plaza de Mayo, la lotta per la vita sconfigge la morte. Sappiamo che il loro marciare ogni giovedì, sfidando il potere, aveva questo significato: “la vida venciendo a la muerte”. E’ lo stesso grido, possiamo permetterci di dire, con cui si conclude la lettera citata degli ebrei e delle ebree italiani: “Vogliamo preservare il nostro essere umani…”.
Sono più o meno le stesse parole di Vittorio Arrigoni. Parole che avevamo fatto stampare anche sulle nostre borsette di tela in occasione di uno degli ultimi convegni, come un invito e un proposito da diffondere.
Preservare l’umanità è profezia perché dice che il Male non ha l’ultima parola. Ma preservare l’umanità è anche fare Politica, è credere possibile un mondo più giusto e finalmente in pace.

Maria e Gianni
Rete di Verona, 5 marzo 2023

CIRCOLARE NAZIONALE DELLA RETE RADIE’ RESCH – FEBBRAIO 2024

Probabilmente mai avremmo immaginato nella nostra vita un momento esistenziale difficile come quello di oggi, così colmo di incertezza, disagio.

Siamo proiettati in un mondo che ci fa sentire estremamente esposti, indifesi, nudi, senza nessuna certezza da poter offrire a figli e nipoti .

PROIETTATI, questo a mio parere è il termine esatto, letteralmente spinti in una situazione non scelta, sprovvisti, mi sembra, della possibilità di avere una voce, di costruire una qualsivoglia forma di reazione efficace.

Vedo questo tempo che stiamo attraversando come il TEMPO dell‘INCERTEZZA, forse UN’ETÀ mai sperimentata nella vita, un tempo nuovo, non previsto.

Le generazioni passate hanno vissuto probabilmente questo smarrimento attraverso la seconda guerra mondiale. Quello invece di questi anni è IL NOSTRO TEMPO DELL‘INCERTEZZA, che ci si para prepotentemente di fronte, che si impone seccamente, che siamo chiamati a vivere.

, nonostante tutto siamo chiamati a continuare a camminare, magari controvento, non scoraggiandoci, non lasciandoci cadere le braccia. Meglio ancora restando il piu possibile uniti.

Non è facile, non è un cammino facile, è un cammino e un momento che ci disorienta.

Nel tentativo di rialzarci incontriamo immediatamente la crisi prodotta dalla coscienza e dalla visione del nostro limite, con la netta consapevolezza dell‘impossibilità a essere efficaci, quindi potenti. Ci scopriamo fragili.

Siamo invitati inevitabilmente in questi frangenti ad attrezzarci di occhi nuovi, di atteggiamenti nuovi, che ci permettano di scorgere segni nuovi, magari non previsti, sulla strada.

Come individui siamo posti tra il tramontare di stati antichi e l‘assenza all‘orizzonte di cose nuove. Siamo chiamati a non fossilizzarci, a non permanere rigidi sulle nostre convinzioni, ma a riconoscere i segni di novità che inevitabilmente comunque incontriamo ed esistono.

Magari questi segni non presentano un volto preciso, ma comunque in modo informe e acerbo cercano di farsi strada.

Questo mi sembra il modo migliore per affrontare questa epoca dell‘incertezza, che siamo chiamati a vivere QUI,

in questa nostra storia,

in questa nostra terra,

in questo preciso momento.

Non ci è concesso di avere un’altra scelta, non possiamo farne un’altra.

Cercando di cogliere questi segni, balbettando, provo a individuare alcune tracce di una fragile alba che intravvedo ad esempio:

– nella denuncia di Israele da parte del governo Sudafricano per le azioni belliche condotte contro la Palestina e il suo popolo:

Il 29 dicembre 2023, il Sudafrica ha presentato una denuncia contro Israele per “genocidio” a Gaza alla Corte internazionale di giustizia (CIG), il tribunale delle Nazioni Unite incaricato di risolvere le controversie tra gli Stati (fonte: Nazioni Unite)

La risposta del Tribunale non ha probabilmente soddisfatto le nostre attese, ma la denuncia di uno stato ad un altro stato mi sembra un passo notevole, forse poco sottolineato. Tale azione inoltre sembra cercare di provare a costruire un percorso giuridico per regolare un conflitto.

– nella denuncia da parte di organizzazioni per i diritti umani dello stato olandese alla sua corte per la reiterata vendita di pezzi di ricambio di F35 al governo israeliano da parte dello stesso governo olandese:

Un tribunale olandese ha ordinato ai Paesi Bassi di sospendere la consegna di componenti per gli aerei da combattimento F-35 utilizzati da Israele nel bombardamento della Striscia di Gaza. L’ordinanza fa seguito a un appello presentato da organizzazioni per i diritti umani contro la decisione di un tribunale di grado inferiore che respingeva la loro tesi secondo cui la fornitura di queste parti di aerei avrebbe contribuito a presunte violazioni del diritto internazionale da parte di Israele. “La corte ordina allo Stato di cessare ogni effettiva esportazione e transito di parti dell’F-35 con destinazione finale Israele entro sette giorni dalla notifica di questa sentenza”, si legge nella stessa sentenza del tribunale (fonte: Aska News, notizia riportata anche da Rai Radio 1).

Potrei fare altri esempi, ma non mi voglio dilungare, erano esempi appunto.

Mi rendo conto che tali atti non sono risolutivi (possono esserlo o meno), ma ci segnalano una contaminazione e un coinvolgimento positivo da parte di un soggetto istituzionale che attraverso il diritto incontra la vita politica e sociale.

Nel tempo questi atti giuridici possono costruire un vero e proprio percorso giuridico atto a normare per via non bellica le controversie e possono costituire un vero e proprio baluardo contro le barbarie e le ingiustizie.

Mi sembra inoltra che una non trascurabile parte delle nostre società occidentali (probabilmente nella loro parti migliori) sia maturata negli anni, che ci siano ora più persone sensibili, consapevoli e capaci anche di proporre azioni di contestazione e una spinta efficace su alcune tematiche riguardanti i diritti umani.

Concludo sperando che qualche alba ci sia concesso di vederla sorgere ancora nei prossimi anni.

… Saluti a tutti da Sergio della Rete di Genova

Genova, febbraio 2024

A CURA DELLA REDAZIONE DELLA RIVISTA IN DIALOGO

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Sono passati solo tre mesi da quando la Circolare Nazionale dello scorso ottobre dava notizia della creazione di un Gruppo di Lavoro impegnato nel tentativo di dare un futuro alla Rivista In Dia-logo, dopo la scomparsa di Antonio Vermigli e da allora molto è stato fatto.

Il Gruppo di Lavoro si è trasformato in una vera e propria Redazione, adeguatamente struttu-rata e con una funzionale suddivisione dei compiti, mentre Fulvio Gardumi ha accettato di assumere la carica di Direttore Responsabile. La Rivista, di cui Antonio risultava proprietario, oltre che Diret-tore, è ora intestata alla Casa della Solidarietà di Quarrata, che si fa carico di garantire la continuità della sua pubblicazione e che, anche a nome della Rete Nazionale, ringraziamo per la disponibilità.

Ciò ha consentito, come preannunciato, di pubblicare il numero doppio che chiude il 2023: sia pure con qualche intoppo postale, esso è, già da qualche settimana, nelle mani dei lettori. Contiene un ricordo, a molte voci, di Antonio e la trascrizione degli interventi principali alla Marcia della Giu-stizia di Quarrata. Per ragioni di tempo, non è stato possibile inserirvi gli atti del Convegno Nazionale di Assisi dello scorso ottobre. Una selezione sarà inserita nel prossimo numero.

Nel frattempo, la Redazione ha iniziato a porre le basi per il futuro.

In allegato a questa Circolare, troverete la lettera che la Redazione ha deciso di inviare ai letto-ri storici, per illustrare loro le modalità di rinnovo del sostegno alla Rivista (per tale ragione, chi già riceveva la pubblicazione potrebbe vedersi recapitare la lettera due volte). Oltre a fornire una serie di indicazioni sulla futura linea editoriale, la lettera contiene le istruzioni per poter ricevere il nostro tri-mestrale anche quest’anno. In sintesi, facendo una donazione alla Casa della Solidarietà (quella mini-ma consigliata è di 30 €., pari ai costi di stampa e spedizione postale) sarà possibile ricevere gratuita-mente i quattro numeri del 2024. In ricordo di Antonio, abbiamo inoltre pensato di inviare a tutti gli aderenti alla Rete, insieme a questa Circolare, la copertina dello scorso numero ed una selezione degli articoli in esso contenuti.

Il 2024 sarà, per la Rivista e per tutti coloro che la redigono e la sostengono, un anno di prova. Si tratterà, anzitutto, di stabilire se la Redazione sarà in grado di funzionare e di “produrre” un perio-dico di qualità, con contenuti validi ed in linea con la spirito della Rete. Si tratterà, poi, di verificare la sostenibilità economica di questa iniziativa. La Rivista, infatti, per riavviare le pubblicazioni, ha ricevuto un contributo economico dalla Rete Nazionale. Non intende, però, costituire un peso finan-ziario per la nostra associazione, sottraendo risorse alle operazioni. Pertanto, se alle fine del 2024, i costi dovessero superare le entrate, cesserà le pubblicazioni.

Vi è, quindi, bisogno di tutti voi:

dei lettori, in primo luogo, perché rinnovino la propria fiducia ai nostri sforzi;

di chi ancora lettore non è, perché si lasci incuriosire da un trimestrale realizzato “in casa”, grazie all’operato volontario e gratuito della Redazione e di tutti i collaboratori, ma che vuole essere una voce autonoma ed indipendente: la lettera qui in allegato si rivolge anche a loro;

delle Reti Locali, infine, perché ne promuovano la diffusione, anche solo con il passaparola e diffondendo ai propri contatti locali questa circolare.

La Redazione, da parte sua, sta organizzando una serie di incontri per ricordare Antonio con tutti coloro che lo hanno conosciuto ed apprezzato e per promuovere la diffusione della “nuova” Rivi-sta. I primi si terranno il 4 febbraio a Torino, presso la sede del Gruppo Abele, con la partecipazione di Luigi Ciotti ed Antonietta Potente (già circola la locandina) ed il 15 febbraio, a Prato, con la parte-cipazione di Frei Betto.

In questo mondo globalizzato e tecnologico, l’informazione sembra a portata di tutti. Come qualsiasi lettore attento può verificare, però, la stampa “ufficiale”, salvo qualche lodevole eccezio-ne, fornisce una narrazione standardizzata, convenzionale e stereotipata della realtà, spesso letta attra-verso le lenti del capitalismo internazionale e quindi insensibile ai veri problemi dell’umanità. Inter-net, da parte sua, veicola una mole enorme di informazioni, perlopiù priva, però, di adeguata verifica e di un minimo di contestualizzazione.

Forse, quindi, esiste ancora lo spazio per una pubblicazione come In Dialogo, realizzata in modo artigianale, ma impegnata a fornire una controinformazione basata su notizie raccolte diretta-mente nei luoghi dove i fatti si svolgono, in modo da sottrarsi al filtro dei potenti interessi della geopo-litica e da offrire un’interpretazione ed una chiave di lettura indipendente di questo mondo che appare sempre più violento e confuso.

La Redazione della Rivista In Dialogo

Da Haiti a Italia

Buongiorno a Voi, è con allegria che io, Jean, rappresentante FDDPA, scrivo ai miei amici italiani. Voglio cominciare augurando a tutti un buon anno, sperando che questo 2024 porti sorrisi al mondo e che ci sia più giustizia, uguaglianza e fraternità.

Ringraziamo la Rete per la continua solidarietà verso Fddpa, una solidarietà che ha più di 20anni e che ha permesso a Fddpa di arrivare a fare molto lavoro sociale tra i contadini, a livello di salute, agricoltura ed educazione.

Non smetteremo mai di ringraziarvi per questo perché anche oggi stiamo attraversando molti momenti difficili e la presente situazione del paese continua a degradare; ciò nonostante noi continuiamo a lottare e credere nel cambiamento della vita delle masse popolari.

La situazione sociale vede un imperare delle gang che hanno occupato molti quartieri della capitale, le strade nazionali rimangono sempre pericolose per la presenza di gruppi armati che derubano i passeggeri. È una situazione molto complicata quella viviamo ormai da 4 anni.

La comunità internazionale niente può fare per risolvere la situazione o aiutare Haiti in questo catastrofico momento. È un tempo di fallimento della società e la gente non sa più cosa fare.

Ieri sono ricominciate le lezioni scolastiche, le scuole di campagna comprese quelle di Fddpa sono aperte mentre nelle città il clima di insicurezza non garantisce ai genitori l’incolumità dei propri figli. Con Willot vi spiegavamo durante la videochiamata che ci sono problemi per acquistare qualsiasi cosa, sia cibo che medicine e con la frontiera chiusa al commercio le cose peggiorano sempre più; gli ospedali non funzionano a dovere e inoltre molti medici e professionisti, vista la situazione, sono emigrati È un paese che sta perdendo valori e risorse umane; Stati Uniti e Canada aprono le loro porte agli haitiani ma ne approfittano.

A livello politico, nessuno immagina per quanto tempo ancora avremo un primo ministro de facto, il 7 febbraio è solitamente la data per turnarsi nella scena politica ma infelicemente non abbiamo un parlamento che controlli il potere esecutivo, probabilmente continueranno nel potere fino a che potranno. Per terminare, dico che nonostante questa situazione di caos noi vi assicuriamo che grazie a Dio Fddpa continua a funzionare. Le strade non sono sicure e non possiamo circolare liberamente e questo ci impedisce di incontrare i membri contadini di Fddpa, è una situazione che ci sembra impossibile, ma è così, la vita va avanti lo stesso. In campagna come in tutto il paese il costo della vita è carissimo perché mancano i prodotti di prima necessità; abbiamo pagato i salari dei professori mediante un trasferimento elettronico, esiste un servizio offerto dalle compagnie telefoniche che lo permette, non sempre funziona, è costoso e comunque è meglio avere questa possibilità piuttosto che niente.

Un forte abbraccio a Voi, alla grande famiglia della Rete e specialmente a quella di Padova. Auguro ancora che il nuovo anno porti con sé il meglio per quelli che qui soffrono di ingiustizia e discriminazione sociale.

Jean e Martine vi salutano con amore. Invieremo il rapporto annuale molto presto. Grazie e ciao.

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