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Cimetière du Trabuquet, Mentone (Francia) – 12 km dal confine di Ventimiglia. Mattina. Una sole splendente inonda il silenzio di questo cimitero aggrappato alla terra, tra ulivi e palme. Di fronte solo l’azzurro di cielo e mare attraversato dai gabbiani. Il luogo è deserto. Aiuta a liberare i pensieri. Una bella cartolina che dà pace. Solo sulla nostra sponda. Quel mare calmo e sereno, un tempo culla di civiltà, oggi inghiotte le vite di persone che hanno osato cullare il sogno di una vita dignitosa. Per sé e per i propri cari. Quella cartolina nella realtà è un cimitero davanti ad un cimitero.

Senza una precisa meta, continuiamo a vagare, in mezzo a centinaia di croci, tutte uguali. Sono quelle dei Tirailleurs sénégalais, un corpo di fanteria reclutato ( a forza ) nelle colonie e nei territori d’oltremare ed usato come carne da macello per la difesa dei confini francesi. I fucilieri, in realtà non solo senegalesi, hanno qui trovato pace. “Mort pour la France” recita l’epitaffio scritto sui bracci della croce. A lato garriscono le bandiere francesi. Libertè, Egalitè, Fraternitè.

Le generalità riporatate sulle croci sono Mustafà, Mamadou, Coulibaly, Diop, Traorè, Diarrà, … Gli stessi nomi di coloro che oggi stazionano nel greto del Roya, perché a Ventimiglia la frontiera italo – francese è stata unilateralmente chiusa . La medesima, difesa a prezzo della vita, dai loro nonni e trisavoli. Un sacrificio di intere generazioni che continua a perpetrarsi ….. Libertè, Egalitè, Fraternitè.

Casa di Cedric Herrou, Breil sur Roya (Francia) – 25 Km dal confine di Ventimiglia Pomeriggio. Saliamo nell’entroterra: nel piccolo comune di Breil sur Roya. Ospiti a casa di Cedric Herrou, l’agricoltore che è divenuto icona dell’accoglienza in quanto condannato per il «reato di solidarietà». Ulivi, coltivazioni a terrazza, terra strappata alla montagna, al corso del fiume Roya. Dopo aver percorso a piedi un sentiero tortuoso, ci ritroviamo in un campo con tende e caravan, allestito per l’ospitalità dei migranti di passaggio. C’è chi fa lezione di francese, chi cucina, chi lava i panni. Circolano in libertà persone ed animali. Seduti sotto una tettoia all’aperto, Cedric ci riceve. L’approccio non è facile. Persona ruvida, appare molto abbottonato, quasi restio. Capiamo che la telefonata di Don Rito Alvarez, il parroco di Ventimiglia, è stata determinante. Ci sta studiando. Spieghiamo il motivo della visita e lo invitiamo a Trevi. Declina. La recente condanna non gli permette di uscire dalla Francia. Quel confine, a pochi chilometri di distanza da qui, chiude anche Lui. Cerchiamo di approfondire la scelta del tema del convegno. Traducendogli il titolo, ci sorride : “la questione non è così semplice ”. Il clima si riscalda ed il suo racconto parte.

Al primo fermo, nonostante trasportasse con il proprio furgone tre clandestini eritrei (quindi in flagranza di reato) gli è stata riconosciuta “l’immunità per scopi umanitari”. Nessuno di loro aveva pagato e quindi lui non poteva essere configurato come passeur. Dopo che la sua attività, oltre che umanitaria, è diventata politica, le cose sono mutate. Alcune interviste pubblicate su numerose riviste (tra cui il New York Times) rendono evidente il vuoto di uno stato che, dopo aver chiuso le frontiere, si disinteressa completamente del problema. Da quel momento “tolleranza zero”. Ne seguono controlli ripetuti ed un monitoraggio costante della zona intorno alla sua casa. Cedric si assume la piena responsabilità dei fatti contestati e continua ad accogliere tutti coloro che lo raggiungono. Il tam tam tra i migranti è efficace. Arrivano da soli. Decide di interrompere l’iniziale attività e rientrare nella “legalità” per non mettere più a rischio la sorte dei migranti. Insieme all’associazione Roya citoyenne raccoglie le loro generalità, compila le domande di richiesta d’asilo e le consegna ufficialmente alla gendarmerie. Attualmente se le autorità francesi sorprendono un migrante oltreconfine, in una fascia di circa 20 km, questo viene automaticamente caricato e rispedito con il treno in Italia. Minori compresi !!!! Nessun documento è valido. Anzi sovente questi, quando esistono, vengono stracciati (1). “Per dare evidenza di ciò cerchiamo di fotografare i documenti prima che vengano distrutti. Ora chi compie un reato non siamo noi ma lo stato francese con la complicità di quello italiano“. Monsieur Herrou si definisce un whistleblower (2): “Mi sono messo nell’illegalità perché lo stato si è messo nell’illegalità. Bisogna rimettere al centro di tutto gli esseri umani. Dobbiamo impegnarci in quanto cittadini per fare in modo che ogni casa diventi uno spazio politico”.

L’analisi di Cedric Herrou và oltre. Ed è molto lucida. Il fenomeno dei migranti disvela il fallimento di tutti i nostri modelli di riferimento. Certo quello del neo-liberismo ma anche gli aspetti culturali più profondi. Filosofici e morali. La Libertè, Egalitè, Fraternitè viene regolarmente disattesa. Per una Europa che si fregia di essere depositaria di una tradizione e di un alto senso civile evidenziare tutto ciò non è sopportabile. Ed il sistema reagisce di conseguenza.

Verso il Convegno. Numerosi gli spunti di riflessioni. Ne evidenziamo alcuni:
– Le azioni umanitarie sono tollerate, anzi sovente incoraggiate in quanto vanno a coprire le responsabilità ed i buchi istituzionali. Diverso è se all’operazione umanitaria si associa l’azione politica che quelle responsabilità mette in evidenza.
– Le dichiarazioni dei diritti dell’uomo, fiore all’occhiello del pensiero europeo, si sgretolano di fronte al fenomeno migratorio e lasciano il posto a muri, paure e alle pericolose derive nazionaliste ( e razziste ) a cui stiamo assistendo.
– Le testimonianze di Padre Zerai e di Cedric Herrou mettono sempre più in luce il bisogno istituzionale di allineare le operazioni umanitarie. La criminalizzazione della solidarietà viene attuata soprattutto in quelle zone critiche di intervento che sono il limes europeo, mare, terra o montagna che sia (3). Qui gli “occhi ed orecchie ” non conformi sono scomodi ed i whistleblower sgraditi. Perciò si è scelto di esternalizzare la frontiere, finanziando interventi come quelli in Libia e Niger. Delocalizziamo il “nostro lavoro sporco” in luoghi poco accessibili ai riflettori mediatici e comunque soggetti a facili amnesie
– L’entrata in vigore della riforma del terzo settore del 1° Gennaio 2018 ( comprensivo di una richiesta di adeguamento dello statuto associativo alla normativa) non rischia di estendere quell’allineamento istituzionale a tutto il territorio nazionale ?

La solidarietà espressa dalla Rete è sempre stata “libera ” da vincoli istituzionali. L’autotassazione, oltre che testimonianza di una scelta personale dei propri aderenti, ha sempre garantito una autonomia da fondi ( e quindi vincoli ) governativi. Inoltre nel nostro recente percorso in cui ci siamo interrogati su Quale solidarietà dovesse esprimere la Rete, l’azione politica è stata confermata come prassi irrinunciabile. Se tali sono i principi che ci animano dovremo anche valutare le conseguenze delle scelte che effettueremo. Sia come singoli aderenti sia come associazione in toto.

Abitare la frontiera, vuol dire abitare la marginalità. Non solo come mero fatto fisico ma come condizione esistenziale. Apre inedite prospettive a chi crede nell’uomo. Ancora di più. Rappresenta il luogo propizio a cogliere il kairòs del nostro tempo. Perciò Ventimiglia è solo un esempio. Uno dei luoghi simbolo di confine in cui le contraddizioni si palesano. Laddove certo, il fenomeno della migrazione mette a nudo la profonda crisi dei nostri modelli, economici e culturali. Ma contemporaneamente rivela quotidiane scelte personali profondamente solidali. Un laboratorio ricco di attività e di creatività incredibili. Da un versante e dall’altro. Per il lato francese, Vi abbiamo scritto di Cedric Herrou. Per il lato italiano, ascolteremo al Convegno Don Rito Alvarez. Insieme agli altri testimoni e relatori scelti. Ed a noi stessi.

Ci informeremo, ci confronteremo e ci formeremo ……. per riempirci di quella indispensabile speranza necessaria a continuare il lavoro nel nostro locale. Ri-incontrarci sarà, al solito, un piacere. Vi aspettiamo !!

La segreteria
Angelo (Ciprari), Monica (Armetta) e Pier (Pertino)

(1) Comportamenti palesemente illegali per la stessa normativa francese e contrari all’articolo 2 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
(2) Persona che lavorando all’interno di un’organizzazione, di un’azienda, (in questo caso di uno stato) si trova ad essere testimone di un comportamento irregolare, illegale, potenzialmente dannoso per la collettività e decide di segnalarlo all’autorità giudiziaria o all’attenzione dei media, per porre fine a quel comportamento
(3) E’ interessante sottolineare che la cultura di chi vive in mare ed in montagna contenga profondamente radicato
il concetto di soccorso ed aiuto a chiunque sia in difficoltà. Senza distinzione alcuna.

Tony ha 32 anni; ha lasciato moglie e figli in Costa d’Avorio. Lamin e Sherifo hanno 18 anni: vengono entrambi dal Gambia e si sono conosciuti in Libia. Eric è nigeriano: proviene dalla zona dei giacimenti petroliferi, dove è in corso la guerra civile. Tutti sono arrivati, attraversando il Mediterraneo, la scorsa primavera. Sono i richiedenti protezione internazionale, ospiti del progetto di accoglienza diffusa che ha avuto inizio da qualche mese presso la parrocchia San Massimiliano Kolbe di Varese. La Rete locale ne è parte integrante. Da anni, la Caritas Ambrosiana ha creato la Cooperativa Sociale “Intrecci”, che si occupa di servizi alla persona. Dopo gli inviti di Papa Francesco alle parrocchie, perché diventassero parte attiva nell’accoglienza dei migranti, si è dedicata anche a questa missione. Ha in carico, affidate dalla Prefettura, molte decine di persone (in maggioranza giovani adulti) che ospita, prevalentemente, in strutture di medie dimensioni. Gestisce lo SPRAR di Varese. Da circa due anni, ha avviato anche progetti di ospitalità diffusa. Il meccanismo è semplice: “Intrecci” gestisce tutti gli aspetti burocratici, amministrativi e sanitari, eroga agli ospiti la quota del finanziamento statale destinata al loro mantenimento ed il cosiddetto “pocket money” e provvede ai corsi base di italiano. Il gruppo di volontari si occupa dell’accoglienza, dell’accompagnamento e dell’integrazione, oltre che del sostegno all’apprendimento della nostra lingua. Recentemente, sono partiti anche piccoli progetti per l’inserimento degli ospiti nelle attività del Centro di Aggregazione Giovanile presente in parrocchia. L’aspetto più qualificante del progetto consiste nel fatto di riunire una quindicina di persone, di provenienza, opinioni politiche e sensibilità molto diverse, che hanno trovato un’occasione di impegno comune nel sostegno di quattro richiedenti asilo. Ciò ha creato un solido legame tra loro ma, soprattutto, ha sviluppato una forte sensibilità al tema delle migrazioni in uomini e donne che, sino a pochi mesi fa, poco ne sapevano. In una parola, un piccolo miracolo. Purtroppo, però, un miracolo circondato dall’indifferenza. Se, fortunatamente, non si è registrato alcun tipo di protesta o contestazione, le iniziative di sensibilizzazione sinora assunte (almeno due volantinaggi, la partecipazione al mercatino parrocchiale, l’inserimento, come si diceva, nel Centro di Aggregazione Giovanile) non hanno suscitato interesse; salvo, forse, nei più sensibili, il malcelato sollievo di sapere che altri si occupino della questione. Anche nel gruppo, per altri versi coeso, non c’è comunanza di vedute sull’opportunità di dare al progetto una valenza politica o, almeno, culturale. Inizia, invece, a serpeggiare la preoccupazione per il “dopo”: nell’arco di circa un anno, infatti, la Commissione Territoriale per il Riconoscimento dello Status di Rifugiato, convocherà gli ospiti e si pronuncerà sulla loro posizione. Se tale status verrà riconosciuto, essi proseguiranno altrove il loro percorso: ciò comporterà un distacco, ma avremo tutti la consapevolezza di averli accompagnati per un tratto della loro strada. Se, invece, la domanda dovesse essere respinta, ed il rigetto confermato dal Tribunale, il loro permesso di soggiorno sarà revocato e perderanno ogni diritto, compreso quello di vivere nella casa. Si troveranno, quindi, di fronte all’alternativa tra lasciare l’Italia o diventare clandestini. Nel frattempo, però, si sarà creato un legame affettivo con noi volontari e forse, con altre persone. Saremo pronti ad abbandonarli a sé stessi? Soprattutto, a quali conseguenze andrà incontro chi deciderà di continuare ad aiutarli? Ciò introduce il tema del nostro Convegno nazionale ( “ La Solidarietà non è reato. Resistiamo umani ” – Trevi 13-14-15 aprile): può un gesto di solidarietà essere punito come reato? Certamente in Italia, a differenza di altri Paesi europei, non potrà mai esistere un “reato di solidarietà”. Lo garantisce l’articolo 2 della nostra Costituzione, che impone a noi cittadini “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. I tempi che stiamo attraversando ci parlano, però, del tentativo, sempre più insistente, di usare norme penali previste ad altri fini, per punire chi si è più esposto nell’aiuto ai migranti: così le iniziative giudiziarie contro varie associazioni impegnate nei salvataggi nel mediterraneo o quelle, più mirate, contro Padre Mussa Zerai, l’ “Angelo dei rifugiati”. Tornando al nostro caso, l’articolo 12 del Decreto Legislativo 25 luglio 1998 n° 286 (cosiddetta “Legge Bossi – Fini”) prevede che “chiunque, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero … favorisce la permanenza di questi nel territorio dello Stato, in violazione delle norme del presente testo unico, è punito con la reclusione fino a quattro anni e con la multa fino ad €. 15.493”. Il reato è stato pensato per punire chi approfitta della condizione del clandestino per offrirgli alloggio a prezzi o condizioni inique (in tal senso si è sempre inteso il richiamo al fine di ingiusto profitto). Così, finora, è stato sempre applicato. E’ pensabile che qualcuno lo tenti di usare per punire chi offre alloggio, aiuto ed assistenza ad un clandestino, per semplice solidarietà?

La solidarietà non è reato

Care amiche, cari amici,
il cammino della Rete Radié Resch dopo l’ultimo Convegno (2016) è stato incentrato su un lavoro di riflessione su “ quale Rete, quale solidarietà ”. La solidarietà è la ragion d’essere della Rete, il suo carattere fondante. Da 54 anni la Rete pratica la solidarietà, ma nello stesso tempo ha continuato a interrogarsi su cosa significa, nel mutare del tempo, essere solidali con i poveri: ascoltando la loro domanda di giustizia, cercando le cause che producono impoverimento, cooperando con gli operatori di giustizia. Ma proprio nel corso del 2017 si è sviluppato un processo che ci ha colti di sorpresa: la solidarietà ha subìto una imprevista mutazione di significato presso l’opinione pubblica, da valore positivo si è trasformata in concetto negativo. Questa mutazione è diventata evidente l’estate scorsa con la campagna di denigrazione delle Ong che operavano i salvataggi in mare dei migranti, prima attraverso una campagna di disinformazione a mezzo stampa, poi con iniziative di alcune Procure, infine con la normativa del governo che imponeva alle Ong vincoli non previsti dal diritto internazionale e dai codici di navigazione. Passo dopo passo, incredibilmente, è stata configurata una inedita fattispecie di reato, che è definito “reato di solidarietà”. C’è stato in Italia un tempo in cui compiere atti di solidarietà verso una persona in pericolo veniva sanzionato con l’arresto o la deportazione o la fucilazione: dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, i tragici venti mesi dell’occupazione nazista e della Repubblica di Salò. Chi in quella metaforica notte tenne acceso fiammelle di speranza e salvò l’idea stessa di umanità? Quelli che, ascoltando la propria coscienza, scelsero di resistere, perché istintivamente o lucidamente compresero che l’autentico modo di salvare se stessi è di avere a cuore la salvezza degli altri. Perché, se resistere, disobbedendo alla legge dei nazi-fascisti, avesse pure avuto come conseguenza la perdita della vita, sarebbe però stata salva la propria umanità, il senso stesso del vivere. L’essenza della Resistenza è stato scegliere di restare umani in un mare di disumanità, di aprirsi all’altro che era nel bisogno e domandava aiuto, che era braccato e cercava una via di scampo. Fu una scelta di disobbedienza contro le leggi disumane dei nazi-fascisti, fu scoprire che scegliere di stare dalla parte dell’umanità offesa, negata, era liberante anche per la propria dimensione esistenziale. I “padri costituenti” che lavorarono alla redazione della nostra Costituzione tradussero la drammatica esperienza della scelta resistenziale nell’Art. 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Nessun’altra Costituzione ha un pronunciamento così forte sulla solidarietà. Se qualcuno, fino al 2016, avesse cercato nella nostra letteratura giuridico – penale il tema della solidarietà, vi avrebbe trovato il “reato di omessa solidarietà” (omissione di soccorso di minore o incapace o di persona in pericolo). Nel corso del 2017 invece vi ha fatto irruzione il “reato di solidarietà”, che potrebbe anche essere denominato “reato di umanità”. La smagliatura giurisprudenziale a livello europeo è stata provocata da una Direttiva del Consiglio Europeo del 2002, n. 90: in essa si configurava come reato il favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegale di migranti, anche in assenza di profitto economico. La Direttiva invitava gli Stati dell’Unione a criminalizzare persone e organizzazioni che assistono i migranti illegali. È evidente che in Italia non potrà mai essere introdotto il “reato di solidarietà”, considerando l’art. 2 della Costituzione; ma anche in Italia nell’ultimo anno e mezzo sta avanzando una normativa che permette il perseguimento di comportamenti solidali nei confronti di migranti o di persone svantaggiate. Le misure che hanno colpito militanti solidali con i migranti non fanno che confermare e alimentare il sentire xenofobo e razzista che serpeggia in strati della popolazione e che deborda in manifestazioni deprecabili di chiusura e rifiuto. La Commissione Europea persiste in questo indirizzo, tanto che il 2 marzo 2017 ha emanato una “Raccomandazione” agli Stati in cui auspicava, entro dicembre, il rimpatrio forzoso di un milione di migranti irregolari. E l’Italia il 12 aprile ha adottato misure in attuazione della “Raccomandazione” europea per rendere più efficiente il sistema dei rimpatri forzosi, anche abolendo il secondo grado di giudizio per i richiedenti asilo che hanno presentato ricorso contro il diniego. Per contrastare tale tendenza si è svolta a Milano il 20 maggio 2017 una grande manifestazione, a seguito della quale è stata lanciata la “Carta di Milano”, sottoscritta da personalità dell’informazione, dell’arte, delle istituzioni: “Ci impegniamo a tutelare la libertà e i diritti della società civile in tutte le sue espressioni umanitarie: quando salva vite in mare; quando protegge e soccorre le persone in difficoltà ai confini; quando denuncia il mancato rispetto dei diritti fondamentali nelle procedure di trattenimento amministrativo e di allontanamento forzato; quando adempie al dovere inderogabile di solidarietà che fonda la Costituzione italiana. Gli atti di solidarietà non costituiscono reato e le organizzazioni umanitarie, così come i singoli attivisti, non possono essere messi sotto accusa per averli compiuti”. Il Tribunale Permanente dei Popoli, che si sta occupando dei “Diritti di migranti e rifugiati”, nella sessione di Palermo del 18 – 20 dicembre 2017 ha valutato che “le politiche dell’Unione Europea sulle migrazioni e l’asilo, a partire dalle intese e dagli accordi stipulati tra gli Stati dell’Unione Europea e i Paesi terzi, costituiscono una negazione dei diritti fondamentali delle persone e del popolo migrante, mortificandone la dignità definendoli “clandestini” e “illegali” e ritenendo “illegali” le attività di soccorso e di assistenza in mare”. Si comprende dunque l’importanza che il prossimo Convegno approfondisca questa complessa e decisiva questione, dichiarata già nel titolo del Convegno: “La solidarietà non è reato. Re-si-stiamo umani”. “Restiamo umani” era l’accorato grido che Vittorio Arrigoni lanciava ogni giorno – a conclusione dei suoi articoli o dei suoi collegamenti telefonici – dalla Striscia di Gaza investita dalla sanguinosa offensiva israeliana “Piombo fuso” nel gennaio del 2009. Ma “restare umani” – come già nei tragici venti mesi del 1943/45 – può comportare il “resistere”, scelte di resistenza, cioè di disobbedienza alla legge in vigore per non accettare una spirale di disumanizzazione. “Re-si-stiamo umani”. La Rete è sempre stata e non può che stare dalla parte di chi mette in atto comportamenti di umanità verso chi è in pericolo, è minacciato ed offeso nella sua dignità di persona. La Rete è solidale con chi resiste nel Sud del mondo (“là”) e nelle nostre società (“qui”), affinché i diritti di libertà, di dignità e di uguaglianza trovino attuazione nella vita concreta di tutti. La Rete non può rassegnarsi alla disumanizzazione della convivenza civile, veicolata anzitutto dalla de-umanizzazione dell’altro, dello straniero, del diverso, dell’emarginato, premessa a tempeste di violenza di proporzioni immani. Sulla soglia del nuovo anno rinnoviamo l’impegno a “restare umani”, senza smarrire la speranza.
Un augurante abbraccio, da Ercole con gli amici della rete di Milano.

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