Nella giornata internazionale della donna, è una voce femminile, quella di Zineb, giovane studentessa italiana di origine marocchina, a raccontare, attraverso la sua storia e quella dei suoi genitori immigrati in Italia, l’esperienza di chi ha scelto il Belpaese e vive quotidianamente la bellezza, ma anche le difficoltà di un’integrazione possibile, impegnandosi per perseguire i suoi sogni, nello studio, nel lavoro e anche nel volontariato.

Zineb Baich è una giovane italo-marocchina residente nelle Marche, a Monte San Giusto, un paesino di poco meno di 8 mila abitanti in provincia di Macerata. La sua storia è segnata dal percorso dei propri genitori, in particolare del padre, che si è trasferito in Italia negli anni 90 per dare un futuro migliore alla propria famiglia. Una storia, questa, fatta di tanti sacrifici che costituiscono oggi il perno dal quale Zined trae la forza per vivere meglio la sua diversità, e per perseguire i suoi sogni, sia a livello sociale che professionale, in un paese dove, purtroppo, cresce la discriminazione e l’odio verso il diverso..

“Mi chiamo Zineb Baich, ho 21 anni e frequento il terzo anno del corso di laurea in infermieristica. Lavoro come banconista in una pizzeria e faccio il volontariato nella Croce Verde del mio paese. I miei genitori sono originari di Taounate, un villaggio situato nel Nord del Marocco. Sono molto fiera delle mie origini, in particolar modo di mio padre, che ha sognato di creare un futuro migliore per la sua famiglia qui in Italia, un paese di cui si è innamorato a prima vista. Rimasto orfano di madre, a 14 anni andò via dalla casa del padre – che nel frattempo si era risposato – e insieme al fratello si trasferì a Casablanca, una delle più grandi città del Marocco. Qui per mantenersi lavorò per diversi anni in un calzaturificio, successivamente si trasferì in Libia dove lavorò sempre nel settore calzaturiero. Nel 1990, durante i mondiali di calcio, comperò un biglietto aereo per assistere alle partite; arrivato in Italia si innamorò di questo paese e decise di restarvi. Gli inizi per lui furono duri e fece molti lavori occasionali prima di riuscire a sistemarsi nelle Marche, tipo distribuire giornali a Milano, raccogliere mele in Trentino e così via. E’ stato a lungo uno di quegli immigrati che si accontenta di fare lavori sgraditi agli italiani, molto faticosi e pagati poco; quelli, però, erano gli unici lavori che molti come lui trovavano in poco tempo e che gli permettevano, pur spaccandosi la schiena dalla fatica, di avere il necessario per non morire di fame. Se penso ai valori che mi hanno trasmesso i miei genitori trovo l’umiltà, la cautela nel giudicare le persone, il rispetto per la persona, per il suo vissuto, per la sua storia che non conosciamo. Sono la figlia di un immigrato. Sono “la figlia di quel marocchino” come direbbero alcuni. Molti considerano i marocchini come ladri e delinquenti ma in realtà molti sono come mio padre: gente che si è costruita tutto quello che ha con le proprie sole forze e i propri sacrifici. Persone leali, sincere, oneste, che pagano le tasse, l’affitto, i servizi di cui usufruiscono perché si sentono cittadini come gli altri. I miei genitori mi hanno insegnato a credere in me stessa e nei miei sogni. Mi hanno sempre spronato a studiare e a farmi un’istruzione perché la cultura è il più grande patrimonio che si possa avere, e permette di combattere l’ignoranza. Io so bene che ho la fortuna di vivere in un paese che mi garantisce un’istruzione e quindi non posso sprecare questa opportunità. Mia madre è il mio punto di riferimento come donna e la stimo molto. Non è diventata una ricercatrice, un medico o una docente universitaria ma ha saputo lo stesso insegnarmi ad essere una donna forte, indipendente che si fa rispettare e non si sottomette a nessuna ideologia. I miei genitori sono sempre stati molto aperti di mentalità e mi hanno insegnato che per potersi integrare è bene conoscere la cultura e le usanze del paese in cui si vive senza dimenticare la propria cultura, la propria religione e le proprie tradizioni. Sono cresciuta in due mondi: in casa quello magrebino, fuori quello italiano. Io e le mie due sorelle siamo state cresciute insieme a persone sia arabe che italiane, ho frequentato la scuola materna del paese dove le insegnanti erano suore e i miei dicevano sempre: “Nostra figlia deve conoscere la realtà in cui vive ed essere pronta ad affrontare la sua vita un giorno non sentendosi estranea a questo mondo”. Ho partecipato alle recite scolastiche e realizzato i lavoretti per Natale e Pasqua. Non mi sono mai sentita diversa rispetto ai miei compagni anche se c’era qualche genitore che non voleva che i propri figli giocassero con me. Fortunatamente non sono tutti così. Crescendo ho imparato chi frequentare e chi no, con chi posso fare amicizia senza temere di essere giudicata per la mia provenienza ed ho capito che forse la mia bellezza sta nella mia diversità, nei mie lineamenti, nella mia cultura, nella mia mentalità. Ho sempre sentito di dover aiutare il prossimo, porgendo la mano a chi ne ha bisogno perché la mia famiglia mi ha insegnato a farlo. A 17 anni mi sono avvicinata alla Croce Verde del mio paese, di cui attualmente sono ancora volontaria, grazie a una mia compagna di scuola e mia compaesana. Mi parlava molto bene del clima che si respirava in questo ambiente e delle persone che facevano parte di questa associazione, dei corsi di primo soccorso che organizzavano e delle attività di volontariato in generale. Così ho deciso di iscrivermi e di cominciare a rendermi utile per la società in cui vivo. È stata una delle scelte più belle che io abbia fatto nella mia giovane vita: non solo ho iniziato a frequentare un’associazione, ma ho trovato una famiglia, la mia seconda casa, dove sono cresciuta come persona perché dal punto di vista umano si impara molto. Viviamo in un mondo dove il denaro è padrone della vita di tutti e scoprire che c’è ancora chi crede nell’altruismo, nelle buone azioni, nella beneficenza, nel volontariato, mi può far dire che esiste ancora l’umanità. Questa esperienza mi ha spinto ad avvicinarmi alle professioni sanitarie e a scegliere poi il mio specifico percorso di laurea. Si può capire come i recenti fatti accaduti a Macerata mi abbiano sconvolto e come la loro coincidenza con la campagna elettorale ha fatto si che alcuni politici abbiano sfruttato le paure che stavano vivendo gli italiani. La “paura dell’invasione”, la xenofobia, dare le colpe della crisi o dei reati ai clandestini senza considerare che i reati vengono compiuti da chiunque. Addirittura la paura che chi professa la religione islamica voglia conquistare l’Italia e renderla un paese islamico. Bisogna capire che la diversità esiste in tutte le sue declinazioni e accezioni ma non deve far paura perché la felicità risiede nell’accettare se stessi come si è.”
Queste le parole della giovane italo-marocchina che vive nel maceratese e quotidianamente vive la bellezza, ma anche le difficoltà di una integrazione possibile partendo dal presupposto che la migrazione è una bella storia.

… dal Diario di Anna Frank
“Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto,
odo sempre più forte l’avvicinarsi del rombo
che ucciderà noi pure,
partecipo al dolore di milioni di uomini,
eppure, quando guardo il cielo,
penso che tutto si svolgerà nuovamente al bene,
che anche questa spietata durezza cesserà,
che ritorneranno l’ordine, la pace, la serenità”.
Sabato, 15 luglio 1944

Cari tutte e tutti della rete di Padova, con questa lettera circolare vogliamo augurare a tutti una buona Pasqua, sperando di trovarvi in salute e con animo di proseguire nel cammino della nostra rete. Elvio, Francesco e Marianita sono rientrati da Haiti in questi giorni dopo aver trascorso quasi un mese visitando e raccogliendo testimonianze sulla vita delle comunità di Fddpa. Il nostro contributo si caratterizza per appoggiare iniziative locali che continuano a promuovere la dignità e la consapevolezza che la povertà si può combattere restando uniti e continuando l’opera intrapresa da Dadoue, camminando sui principi che lei ha lasciato alla sua gente e anche a noi. Il viaggio ha dimostrato che l’impegno è inalterato e che l’entusiasmo, nonostante i tanti problemi, non è diminuito. Tra le tante cose che a Fddpa vanno riconosciute ricordiamo l’impegno perché i bambini e i giovani possano ricevere una istruzione primaria; l’adesione alle scuole è aumentata al punto che si devono pensare a nuovi spazi per ospitare tutti. Per ascoltare dal vivo il racconto di questo importante viaggio, vi anticipiamo che ci ritroveremo sabato 5 maggio 2018: seguirà una prossima circolare con i riferimenti precisi, intanto segnate sul calendario questa data. Il 24 marzo è stata la giornata dedicata ai martiri. Oscar Romero ha fatto iniziare questa memoria e la chiesa ha finalmente dato il via al pieno riconoscimento della sua testimonianza. Molti di noi lo consideravano già una persona speciale, in America Latina lo è sempre stato, oggi lo è per il mondo di chi lotta dalla parte degli oppressi. Siamo nelle vicinanze del prossimo convegno nazionale del 13-15 aprile e speriamo di ritrovarci in quella occasione.
Una felice Pasqua a tutti e, un 25 aprile di vera liberazione.
Alleghiamo il bilancio economico 2017 e la circolare nazionale. Buona lettura.

Cimetière du Trabuquet, Mentone (Francia) – 12 km dal confine di Ventimiglia. Mattina. Una sole splendente inonda il silenzio di questo cimitero aggrappato alla terra, tra ulivi e palme. Di fronte solo l’azzurro di cielo e mare attraversato dai gabbiani. Il luogo è deserto. Aiuta a liberare i pensieri. Una bella cartolina che dà pace. Solo sulla nostra sponda. Quel mare calmo e sereno, un tempo culla di civiltà, oggi inghiotte le vite di persone che hanno osato cullare il sogno di una vita dignitosa. Per sé e per i propri cari. Quella cartolina nella realtà è un cimitero davanti ad un cimitero.

Senza una precisa meta, continuiamo a vagare, in mezzo a centinaia di croci, tutte uguali. Sono quelle dei Tirailleurs sénégalais, un corpo di fanteria reclutato ( a forza ) nelle colonie e nei territori d’oltremare ed usato come carne da macello per la difesa dei confini francesi. I fucilieri, in realtà non solo senegalesi, hanno qui trovato pace. “Mort pour la France” recita l’epitaffio scritto sui bracci della croce. A lato garriscono le bandiere francesi. Libertè, Egalitè, Fraternitè.

Le generalità riporatate sulle croci sono Mustafà, Mamadou, Coulibaly, Diop, Traorè, Diarrà, … Gli stessi nomi di coloro che oggi stazionano nel greto del Roya, perché a Ventimiglia la frontiera italo – francese è stata unilateralmente chiusa . La medesima, difesa a prezzo della vita, dai loro nonni e trisavoli. Un sacrificio di intere generazioni che continua a perpetrarsi ….. Libertè, Egalitè, Fraternitè.

Casa di Cedric Herrou, Breil sur Roya (Francia) – 25 Km dal confine di Ventimiglia Pomeriggio. Saliamo nell’entroterra: nel piccolo comune di Breil sur Roya. Ospiti a casa di Cedric Herrou, l’agricoltore che è divenuto icona dell’accoglienza in quanto condannato per il «reato di solidarietà». Ulivi, coltivazioni a terrazza, terra strappata alla montagna, al corso del fiume Roya. Dopo aver percorso a piedi un sentiero tortuoso, ci ritroviamo in un campo con tende e caravan, allestito per l’ospitalità dei migranti di passaggio. C’è chi fa lezione di francese, chi cucina, chi lava i panni. Circolano in libertà persone ed animali. Seduti sotto una tettoia all’aperto, Cedric ci riceve. L’approccio non è facile. Persona ruvida, appare molto abbottonato, quasi restio. Capiamo che la telefonata di Don Rito Alvarez, il parroco di Ventimiglia, è stata determinante. Ci sta studiando. Spieghiamo il motivo della visita e lo invitiamo a Trevi. Declina. La recente condanna non gli permette di uscire dalla Francia. Quel confine, a pochi chilometri di distanza da qui, chiude anche Lui. Cerchiamo di approfondire la scelta del tema del convegno. Traducendogli il titolo, ci sorride : “la questione non è così semplice ”. Il clima si riscalda ed il suo racconto parte.

Al primo fermo, nonostante trasportasse con il proprio furgone tre clandestini eritrei (quindi in flagranza di reato) gli è stata riconosciuta “l’immunità per scopi umanitari”. Nessuno di loro aveva pagato e quindi lui non poteva essere configurato come passeur. Dopo che la sua attività, oltre che umanitaria, è diventata politica, le cose sono mutate. Alcune interviste pubblicate su numerose riviste (tra cui il New York Times) rendono evidente il vuoto di uno stato che, dopo aver chiuso le frontiere, si disinteressa completamente del problema. Da quel momento “tolleranza zero”. Ne seguono controlli ripetuti ed un monitoraggio costante della zona intorno alla sua casa. Cedric si assume la piena responsabilità dei fatti contestati e continua ad accogliere tutti coloro che lo raggiungono. Il tam tam tra i migranti è efficace. Arrivano da soli. Decide di interrompere l’iniziale attività e rientrare nella “legalità” per non mettere più a rischio la sorte dei migranti. Insieme all’associazione Roya citoyenne raccoglie le loro generalità, compila le domande di richiesta d’asilo e le consegna ufficialmente alla gendarmerie. Attualmente se le autorità francesi sorprendono un migrante oltreconfine, in una fascia di circa 20 km, questo viene automaticamente caricato e rispedito con il treno in Italia. Minori compresi !!!! Nessun documento è valido. Anzi sovente questi, quando esistono, vengono stracciati (1). “Per dare evidenza di ciò cerchiamo di fotografare i documenti prima che vengano distrutti. Ora chi compie un reato non siamo noi ma lo stato francese con la complicità di quello italiano“. Monsieur Herrou si definisce un whistleblower (2): “Mi sono messo nell’illegalità perché lo stato si è messo nell’illegalità. Bisogna rimettere al centro di tutto gli esseri umani. Dobbiamo impegnarci in quanto cittadini per fare in modo che ogni casa diventi uno spazio politico”.

L’analisi di Cedric Herrou và oltre. Ed è molto lucida. Il fenomeno dei migranti disvela il fallimento di tutti i nostri modelli di riferimento. Certo quello del neo-liberismo ma anche gli aspetti culturali più profondi. Filosofici e morali. La Libertè, Egalitè, Fraternitè viene regolarmente disattesa. Per una Europa che si fregia di essere depositaria di una tradizione e di un alto senso civile evidenziare tutto ciò non è sopportabile. Ed il sistema reagisce di conseguenza.

Verso il Convegno. Numerosi gli spunti di riflessioni. Ne evidenziamo alcuni:
– Le azioni umanitarie sono tollerate, anzi sovente incoraggiate in quanto vanno a coprire le responsabilità ed i buchi istituzionali. Diverso è se all’operazione umanitaria si associa l’azione politica che quelle responsabilità mette in evidenza.
– Le dichiarazioni dei diritti dell’uomo, fiore all’occhiello del pensiero europeo, si sgretolano di fronte al fenomeno migratorio e lasciano il posto a muri, paure e alle pericolose derive nazionaliste ( e razziste ) a cui stiamo assistendo.
– Le testimonianze di Padre Zerai e di Cedric Herrou mettono sempre più in luce il bisogno istituzionale di allineare le operazioni umanitarie. La criminalizzazione della solidarietà viene attuata soprattutto in quelle zone critiche di intervento che sono il limes europeo, mare, terra o montagna che sia (3). Qui gli “occhi ed orecchie ” non conformi sono scomodi ed i whistleblower sgraditi. Perciò si è scelto di esternalizzare la frontiere, finanziando interventi come quelli in Libia e Niger. Delocalizziamo il “nostro lavoro sporco” in luoghi poco accessibili ai riflettori mediatici e comunque soggetti a facili amnesie
– L’entrata in vigore della riforma del terzo settore del 1° Gennaio 2018 ( comprensivo di una richiesta di adeguamento dello statuto associativo alla normativa) non rischia di estendere quell’allineamento istituzionale a tutto il territorio nazionale ?

La solidarietà espressa dalla Rete è sempre stata “libera ” da vincoli istituzionali. L’autotassazione, oltre che testimonianza di una scelta personale dei propri aderenti, ha sempre garantito una autonomia da fondi ( e quindi vincoli ) governativi. Inoltre nel nostro recente percorso in cui ci siamo interrogati su Quale solidarietà dovesse esprimere la Rete, l’azione politica è stata confermata come prassi irrinunciabile. Se tali sono i principi che ci animano dovremo anche valutare le conseguenze delle scelte che effettueremo. Sia come singoli aderenti sia come associazione in toto.

Abitare la frontiera, vuol dire abitare la marginalità. Non solo come mero fatto fisico ma come condizione esistenziale. Apre inedite prospettive a chi crede nell’uomo. Ancora di più. Rappresenta il luogo propizio a cogliere il kairòs del nostro tempo. Perciò Ventimiglia è solo un esempio. Uno dei luoghi simbolo di confine in cui le contraddizioni si palesano. Laddove certo, il fenomeno della migrazione mette a nudo la profonda crisi dei nostri modelli, economici e culturali. Ma contemporaneamente rivela quotidiane scelte personali profondamente solidali. Un laboratorio ricco di attività e di creatività incredibili. Da un versante e dall’altro. Per il lato francese, Vi abbiamo scritto di Cedric Herrou. Per il lato italiano, ascolteremo al Convegno Don Rito Alvarez. Insieme agli altri testimoni e relatori scelti. Ed a noi stessi.

Ci informeremo, ci confronteremo e ci formeremo ……. per riempirci di quella indispensabile speranza necessaria a continuare il lavoro nel nostro locale. Ri-incontrarci sarà, al solito, un piacere. Vi aspettiamo !!

La segreteria
Angelo (Ciprari), Monica (Armetta) e Pier (Pertino)

(1) Comportamenti palesemente illegali per la stessa normativa francese e contrari all’articolo 2 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
(2) Persona che lavorando all’interno di un’organizzazione, di un’azienda, (in questo caso di uno stato) si trova ad essere testimone di un comportamento irregolare, illegale, potenzialmente dannoso per la collettività e decide di segnalarlo all’autorità giudiziaria o all’attenzione dei media, per porre fine a quel comportamento
(3) E’ interessante sottolineare che la cultura di chi vive in mare ed in montagna contenga profondamente radicato
il concetto di soccorso ed aiuto a chiunque sia in difficoltà. Senza distinzione alcuna.

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