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16-09 Circolare nazionale – settembre 2016

PERCHÉ CI ODIANO COSÌ TANTO?

Dopo ogni attentato attribuito al terrorismo islamico, cerchiamo inutilmente risposta a questa domanda nei media mainstream. Invettive, minacce, inviti alla mobilitazione, analisi geopolitiche e militari, ma mai un tentativo serio di risalire alle cause. Eppure, dopo attacchi come quello, tragico, di Nizza, poche cose sono chiare come il fatto che una simile carneficina, minuziosamente pianificata e freddamente eseguita, sia il frutto di un odio antico e profondo, individuale e collettivo, nei confronti di noi occidentali. Odio cieco, come sempre nel terrorismo, che colpisce in egual modo i singoli e la istituzioni che pretendono di rappresentarli. Odio sedimentato nel tempo, al punto da inquinare le coscienze. E non ha grande importanza se gli autori delle stragi siano stabilmente collegati ad un’organizzazione terroristica o semplici “cani sciolti” come, in questo caso, sembra più probabile. Anzi, proprio il fatto che persone isolate, che non fanno parte di nessun gruppo paramilitare, decidano di sacrificare la propria vita per uccidere quanti più francesi (belgi, tedeschi, italiani?) possibile, dà il segno di come questo odio sia ormai cultura. Invece, nessuno si interroga sulle cause profonde. Non quelle – ovvie – dovute alla “guerra a bassa intensità” che, con buona pace dell’articolo 11 della Costituzione, noi italiani, con i nostri alleati occidentali, stiamo combattendo, dalla Siria alla Libia. Il terrorismo c’era già prima, come ci ri-cordano tristemente l’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2011 e decine di episodi prece-denti, che affondano la radici negli anni ’70. L’imperialismo, certo, prima politico e poi economico. Un imperialismo che è andato ben oltre la chiusura dell’epoca coloniale, che è proseguito con la spartizione dell’Africa e del Medio Oriente in “sfere di influenza” dei Paesi occidentali, con la continua creazione di “regimi fantoccio”, totalmente asserviti a quegli stessi Paesi e con lo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali ad opera delle grandi multinazionali, anch’esse con base in quei Paesi. Senza dimenticare l’appoggio cieco ed indiscriminato all’occupazione militare della Palestina, da parte di Israele. Tutto ciò ha creato fiumi di sangue e mari di lacrime. Come non pensare ai mille massacri del tardo periodo coloniale, alla frustrazione di qualsiasi istanza di progresso politico ed economi-co nei Paesi africani, alle “guerre per procura” per la sfruttamento delle risorse minerarie del loro territori? A questo punto, non è difficile capire perché nessuno, in occidente, tenti seriamente di indagare le cause del fenomeno terrorismo: lo impedisce la cattiva coscienza. Farlo, imporrebbe una profonda assunzione di responsabilità ed un invito al cambiamento di modelli di sviluppo, di cui nessuno può o vuole farsi carico. Un meccanismo assai simile a quello che vediamo, ogni giorno, di fronte al fenomeno, epocale, dell’immigrazione da quegli stessi Paesi che si ritengono culla del terrorismo islamico. Anche qui alzate di scudi, più o meno razziste, diatribe su chi e come debba dare ospitalità, analisi tecniche, anche ben intenzionate, sulle possibili risposte di assistenza. Poca ricerca delle cause del fenomeno. Eppure, non è difficile capire che chi mette in pericolo la propria vita per entrare in Europa la fa per disperazione, per mancanza di alternative. Si muove chi, nel partire, non ha nulla da lasciare. Quindi, anche da un’analisi superficiale e parziale come questa, emerge chiaramente come i due fenomeni abbiano radici comuni e si influenzino reciprocamente. Basti pensare alle migliaia di uomini e donne che fuggono dallo “Stato Islamico” ed al sospetto, continuamente avanzato, che i flussi nascondano, a loro volta, potenziali terroristi. In tutto ciò, che ruolo può avere la Rete? Quello di sempre, proiettato in una realtà nuova. Basti ricordare che ciascuno di noi, quando vi ha aderito, si è assunto l’impegno di “approfondire le cause della disuguaglianza tra Nord e Sud e divenire fonte di informazione e mezzo di sensibilizzazione per essere “una voce a servizio di chi non ha voce”” (dal nostro sitowww.reterr.it). Anche le iniziative di solidarietà nei confronti dei migranti, in cui molti di noi si impegnano quotidianamente, possono, quindi, assumere veste politica, alla luce di questo più profondo impegno. Crediamo che la realtà attuale, per molti versi triste e dolorosa, contenga in sé un’opportunità: molte persone di buona volontà che sono sensibili alle sofferenze di questa gente, possono oggi aprirsi all’ascolto e sono disponibili a capire quanto, di ciò che sta accadendo, ricada sulle nostre spalle, in termini di responsabilità indiretta. Parlare loro è, forse, nell’epoca storica che attraversiamo, uno dei compiti della Rete. Il 12 settembre 2001, subito dopo l’attacco alle Torri Gemelle di New York, Tiziano Terzani pubblicava sul Corriere della Sera una lettera (poi edita in “Lettere contro la guerra” – Longanesi – 2002) dal contenuto che, a distanza di quindici anni, si rivela profetico. Scriveva, tra l’altro: “Non dobbiamo farci ora trascinare da visioni parziali della realtà, non dobbiamo diventare ostaggi della retorica a cui oggi ricorre chi è a corto di idee per riempire il silenzio di sbigottimento. Il pericolo è che a causa di questi tragici, orribili dirottamenti, finiamo noi stessi, come esseri umani per essere dirottati da quella che è la nostra missione sulla terra. Gli americano l’hanno descritta nella loro costituzione come «il perseguimento della felicità». Bene: perseguiamo tutti insieme questa felicità, dopo averla magari ridefinita in termini non solo materiali e dopo esserci convinti che noi occidentali non possiamo perseguire una nostra felicità a scapito della felicità degli altri e che, come la libertà, anche la felicità è indivisibile. L’ecatombe di New York ci ha dato l’occasione di ripensare a tutto e ci ha messo dinanzi a nuove scelte. Quella più immediata è di aggiungere o togliere al fondamentalismo islamico le sue ragioni di essere, di trasformare i balli dei palestinesi non in esultazioni macabre di gioia per una tragedia altrui, ma di sollievo per una loro riguadagnata dignità. Altrimenti ogni bomba o missile che cadrà sulle popolazioni del mondo non nostro finirà solo per seminare altri denti di drago e dar vita a nuovi giovani disposti ad urlare «Allah Akbar», «Allah è grande», pilotando un altro aereo carico di innocenti contro un grattacielo …”.

a cura della Rete di Varese

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