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Circolare nazionale Novembre 2022

CIRCOLARE NAZIONALE DI NOVEMBRE 2022 a cura della Rete Radiè Resch di Castelfranco Veneto.

LA RIBELLIONE DEL POPOLO CONGOLESE INTERROGA LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE.

L’avevamo intuito già dagli scambi telefonici precedenti il suo arrivo. La voce di Richard trasmetteva un dolore profondo, nuovo, che andava ben oltre la sofferenza fisica. Un dolore quasi velato di rancore. Ne abbiamo avuto conferma fin dai primi discorsi avviati informalmente attorno alla tavola: questa volta non sarebbero bastati l’accoglienza fraterna, polenta e baccalà e qualche dolcetto, perché il suo animo era carico delle sofferenze e della rabbia del suo popolo. Ci raccontava come la sua gente era passata dal grido di disperazione al coraggio della rivolta indignata verso il sistema capitalista internazionale, fondato su un neocolonialismo criminale e predatorio che li tratta meno degli schiavi, quasi fossero una sottospecie umana. Aperto il sipario sulla grande ipocrisia messa in scena dal mondo nord-occidentale, ci obbligava ad una sorta di “ruota-immagine” che ci faceva crollare addosso il castello di menzogne e complicità puntellato dalla propaganda narrativa dei media mainstream. Risultato: da parte nostra un pugno nello stomaco, come essere stati appesi a testa in giù o, secondo lo stato d’animo espresso dal nostro parroco, con la testa in conflitto con il cuore. Da parte di Richard, invece, forse il rammarico di essersi lasciato prendere troppo dalla passione. Ma la responsabilità di dover farsi interprete e portavoce delle istanze del popolo congolese, qui in un’ Europa arruolata a sostenere la resistenza del popolo ucraino, proprio in un momento così cruciale per gli equilibri strategici globali, non gli concedeva margine di mediazione.

L’attualità socio-politica della Repubblica D.C.è dominata da una nuova aggressione imposta al popolo congolese dal Ruanda tramite il movimento terrorista M23 che, in maggio 2022, ha occupato la città di Bunagana e tanti altri villaggi del territorio Rutshuru, Nord Kivu, insidiando Goma, al confine del Ruanda e dell’Uganda e risvegliando l’incubo di una balcanizzazione del Congo R.D. Dal 1996 a oggi sono già dodici milioni i morti causati dalle varie guerre che il Ruanda ha imposto al Congo.

Ma perché la Comunità Internazionale resta indifferente a una tragedia del genere? Perché continua a sostenere il Ruanda che semina violenze, disperazione e morte tra un popolo pacifico, mai ostile e sempre accogliente verso le popolazioni dei nove paesi vicini e confinanti? Perché nel luglio scorso l’ONU ha prorogato l’embargo sulle armi imposto al Congo (contrari Russia e Cina) negandogli la possibilità di difendere l’integrità, la sovranità e l’unità del Paese e del suo territorio, mentre al Ruanda, aggressore, vengono fornite le armi sofisticate, a lungo raggio e di precisione, utilizzate nell’occupazione di Rutshuru?

La minaccia è diventata insopportabile quando il portavoce della MONUSCO (missione ONU finanziata -con un miliardo nel 2022- per proteggere i civili e sostenere il consolidamento della pace nel territorio congolese accusata di corruzione, traffici illeciti e abusi) ha affermato che le forze dell’ONU non dispongono di mezzi adeguati a contrastare M23, dotato di un arsenale militare molto potente. Un’esplicita dichiarazione di tradimento che ha provocato indignazione e rabbia, in una popolazione che ora più che mai si sente abbandonata dalla comunità internazionale. E così sono esplose manifestazioni anti MONUSCO sfociate in scontri violenti con un bilancio di 36 morti di cui 4 Caschi Blu e 170 feriti.

Le popolazioni dell’Est del Congo: Goma, Beni, Butembo, Bukavu, Uvira……. hanno espresso la loro rabbia e hanno chiesto il ritiro immediato dell’ONU, perché nella coscienza collettiva di un complotto di tutti contro il popolo congolese considerato non umano. I Congolesi dunque, non facendo parte dell’umanità, non possono essere oggetto della solidarietà e della compassione della Comunità delle Nazioni al pari degli Ucraini? E ciò che scandalizza maggiormente è che un popolo decimato che vive nel sangue da anni, le cui donne sono sempre umiliate e violentate, non ha neanche il diritto di piangere, di protestare e di denunciare l’ultra protetto Ruanda.

Il 2 agosto 2022 si è celebrata a Kinshasa -ispirata dal “Prix Nobel de la paix, le docteur Mukwegue- la prima commemorazione dei 12 milioni di morti congolesi vittime delle guerre a ripetizione imposte dalla Comunità Internazionale tramite il Ruanda e altri paesi vicini. E’stato il momento culmine per il popolo per dire: “Non è più sopportabile! Non ce la facciamo più! Troppo è troppo! Sappiatelo bene: anche senza le vostre armi, siamo disposti a tutto per difenderci dal Ruanda e impedire il vostro progetto di balcanizzazione. Fermate lo sfruttamento illegale delle nostre risorse naturali e minerali! “Anche un solo metro preso oggi, sarà ripreso dai nostri figli e dai nostri nipoti”. E’stato un momento per affermare che non sono umani di seconda categoria. Abbiamo lo stesso sangue, siamo della stessa razza!Fermatevi! Basta! Basta! Basta!” . Da allora le manifestazioni di protesta si susseguono in tutto il territorio nazionale, nelle grandi città e nei centri abitati di periferia ed ovunque la gente chiede risposte e giustizia.

Come sottolinea sempre don Richard, quando si fa la valutazione dei rapporti tra i popoli e le nazioni, è sempre bene distinguere due livelli del discorso: c’è il livello delle strutture e dei sistemi che obbediscono a ideologie di dominazione, di esclusione e poi c’è il livello delle coscienze e dell’agire come persone capaci di prendere posizione, di costruire rapporti concreti, di creare ponti e reti umane al di là delle diversità delle culture, delle religioni, delle etnie e delle nazioni. Qui ci siamo noi e la nostra Rete e oggi sappiamo che, in un punto piccolo nella savana congolese, grazie al paziente cammino percorso insieme, c’è un centro ospedaliero che si prende cura di migliaia di vite umane e da un anno c’è una giovane medica che fin’ora ha affrontato:10 parti cesari, 5 interventi di estrazione della placenta, 268 casi di malnutrizione severa, 213 casi di tubercolosi, 1 caso di colpo di fulmine con rischio paralisi, numerosissimi casi di morbillo, dissenteria, malaria. La dottoressa ha anche adottato due gemelline sopravissute alla mamma deceduta durante parto avendo rifiutato il cesareo per convinzioni religiose.

Allora, tutte le volte che nel dibattito interno alla nostra Rete, ci interroghiamo sul senso della nostra presenza nelle realtà dove si sviluppano i progetti, sul come rapportarci con le popolazioni del luogo, sino a che punto contaminare e lasciarci contaminare e per quanto tempo, dobbiamo fare i conti innanzitutto, con le condizioni specifiche del posto, con le capacità e possibilità del referente e con le difficoltà legate alla situazione politica e organizzativa locali. La nostra esperienza, come quella di altre operazioni, si sviluppa in un contesto estremamente complicato per la fragilità delle strutture a supporto di una popolazione isolata, priva delle condizioni minime di sopravvivenza. Non è semplice mettersi in sintonia con queste realtà, capire sino a che punto intervenire, decidere, accogliere, astenersi, stoppare il nostro pensiero per dare spazio alle loro idee. In questi anni di intensi rapporti con l’Africa abbiamo compreso che per evitare danni e fallimenti, per sostenere correttamente il loro processo di crescita e liberazione, è necessario intraprendere un paziente (per noi e per loro) cammino di condivisione e di crescita comune, discutendo, lavorando, vivendo insieme, spogliandoci molte volte delle convinzioni e anche dei pregiudizi. È certamente un lavoro lungo che richiede costanza, tenacia e molta prudenza nelle scelte e nelle prese di posizione.

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