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Dicembre 2020.
Lettera circolare della Rete Radiè Resch scritta da Tutte e Tutti.

Il 2020 è stato un anno illumiato dallo Spirito con tanti piccoli segni concreti e freschi che rischiano di essere tacitati dall’impeto del dolore.
Questa lettera breve e semplice vuole iniziare una “raccolta” di buone notizie.
Finirà con puntini aperti con lo scopo di invitare Tutte e Tutti ad aggiungere una testimonianza con- creta di speranza e bellezza e, seguendo l’invito di Ghandi, provare a“diventare il cambiamento che vogliamo vedere“.
La dedichiamo alle molte, troppe Persone che in questo momento si trovano nel lutto e nella soffe-renza sperando ne traggano un po’di forza e conforto.
Nel mese di Giugno il primo coordinamento in remoto della RRR si concluse con l’assenza di una nuova segreteria e l’inizio di una discussione tutt’ora in corso; nel mese di Settembre, il successivo coordinamento a Sezano si concluse con il consenso di dare inizio ad una “segreteria laboratorio” e l’avvio di un percorso di cambiamento che è in corso con l’impegno concreto di gruppi di lavoro.
Una grande spinta è arrivata da esperienze sul territorio condivise da tante Reti locali.
Spesso abbiamo immaginato la RRR come un albero, mantenendo questa immagine possiamo vede-
re i giovani come germoglio o innesto a cui deve arrivare linfa e da cui possono arrivare nuove forme di crescita.
Ascoltiamoli.
Da Torino
Abbiamo ricevuto in dono l’impegno di Nadia a spendersi attivamente nel progetto di “segreteria laboratorio“, il suo contributo è prezioso per la sua giovanissima età e le sue capacità organizzative e di sintesi, ed è consapevole in quanto neolaureata con tesi sulla RRR.
Da Varese
Il gruppo giovani che avrebbe dovuto partire lo scorso mese di Luglio per il viaggio in Bolivia organizzato dalla rete locale, visitando anche il progetto socio-sanitario di Cochabamba, mantiene vivo il suo progetto posticipato forzatamente dalla contingenza sanitaria. La rete di Varese è stata tra le prime ad accogliere l’idea di un “viaggio tra le Reti con le Reti” proponendo una cena condivisa con queste ragazze e questi ragazzi. L’intento della segreteria laboratorio di compiere questo viag-
gio sul territorio sarà proprio quello di spezzare il pane ed abbracciarci (ricordiamo che non avrà costi per le reti locali).
Da Cagliari e Verona
Sono arrivati i graditissimi inviti per il suddetto viaggio che dimostrano una fiduciosa voglia di guardare oltre la situazione contingente che chiude e blocca gli incontri.
Da Celle Ludovica e Martina hanno deciso di lanciarsi in un’esperienza alternativa. Alla chiamata di aiuto da parte della Caritas le due ragazze hanno scelto di partecipare ad un’attività pelle a pelle con i senzatetto assistendoli durante il servizio docce.“Troppo spesso diamo per scontato ciò che la vita ci offre nel male e nel bene. La cosa più importante è sapere di esserci per chi non è considerato degno di far parte della nostra escludente società. A volte basta poco, qualche sorriso e alcune parole per sentirsi il cuore colmo degli infiniti ringraziamenti di chi solo quelli può donarti“.
Le famiglie sono coinvolte nella ricerca di mutande nuove per i ricambi.
Da Alessandria le giovani donne coraggiose e combattenti della Casa delle donne -occupata da un collettivo di NonUnaDiMeno-, portano avanti iniziative di cura, ricerca e studio, creatività, mostre ed incontri sul clima, educazione e storia del ‘900. Hanno organizzato presìdi a sostegno di migranti e donne lavoratrici sfruttate. Ogni giorno una lotta in una città leghista ora non più dormiente.
Da Quiliano.
In Repubblica Centrafricana a fine mese si terranno le elezioni politiche e legislative, in merito potremmo scrivere pagine e pagine di angoscia per il concreto rischio di colpo di stato accogliamo invece il caldo invito a visitare il sito www.zoukpana.it per gli aggiornamenti in materia. Il sito è curato dai ragazzi del collettivo SE che pubblicano il materiale ricevuto dai ragazzi del collettivo Zoukpana di Bangui.Con consenso espresso nel coordinamento di Rimini gennaio 2020, la Rete Radiè Resch ha concesso un “prestito d’onore“ al collettivo SE per finanziare le borse di studio agli studenti universitari del collettivo Zoukpana. A Bangui si sono appena laureati Bienvenu e Georges.
Da Salerno.
Lucia è stata contatta da un gruppo di giovani che sta dando vita ad un movimento di politica dal basso; in questo momento così deprimente, osano avere Coraggio (il movimento si chiama Coraggio Salerno) per sognare e progettare, insieme agli altri concittadini che pian piano stanno aderendo, una città altra, una città-comunità. Un gruppo di giovani che da tempo condivide con la RRR l’impegno per l’acqua pubblica, per l’accoglienza dei migranti e dei senza dimora, per promuovere cultura e arte, sempre con uno sguardo oltre. Con loro abbiamo incontrato il Chapas con il caffè Tatawelo, I mapuche con Josè Nain, l’Amazzonia con Salete e naturalmente la Palestina. Il bello c’è dobbiamo solo allenarci a farlo venir fuori…
Da Padova.
Anche noi vogliamo contribuire alla scrittura della lettera circolare della Rete Radiè Resch scritta da Tutte e Tutti di dicembre.
Era scritto infatti che la lettera “finirà con puntini aperti con lo scopo di invitare Tutte e Tutti ad aggiungere una testimonianza con- creta di speranza e bellezza e, seguendo l’invito di Ghandi, provare a“diventare il cambiamento che vogliamo vedere“.
Inviamo allora la lettera che Nicoletta e Riccardo, membri della Rete di padova, che da anni hanno intrapreso con coraggio un percorso di ritorno alla campagna fondando un’azienda che hanno voluto intitolare Dofiné per sottolineare il legame con Haiti. Ogni anno si svolge una vendemmia solidale a favore delle scuole della FDDPA.
Nicoletta e Riccardo hanno scritto una lettera ai nostri amici ad Haiti, Jean e Martine, responsabili della FDDPA.
La condividiamo con tutti voi.
Un augurio per un anno nuovo di cambiamento
Due Carrare, 20/12/2020
Carissimi Martine, Jean e membri delle varie Comunità,
siamo arrivati alla fine di un anno sicuramente indimenticabile, volevamo ricordarlo per l’incontro con la vostra visita in Italia e purtroppo lo ricordiamo per un virus che sta accumunando tutto il mondo con ansie e incertezze per il futuro. Noi non possiamo comunque lamentarci, nonostante tutto, il lavoro non è mancato, i nostri figli che vivono fuori casa (i due maschi a Londra e la ragazza vicino a Firenze) stanno bene e sono riusciti anche loro a continuare a lavorare mantenendosi autonomi.
La nostra azienda agricola ha avuto un anno burrascoso, le condizioni climatiche e una forte grandinata ci hanno fatto perdere il 60% del raccolto, ma sono eventi che in agricoltura vanno sempre messi nel calcolo del rischio, la sofferenza maggiore è stata l’impossibilità di fare momenti di incontro ed aggregazione sul tema del vino continuando un percorso iniziato un paio di anni fa, per questo dobbiamo ancora confidare in tempi liberi da Covid 19.
Siamo comunque riusciti a fare la tradizionale vendemmia a settembre con gli amici anche se c’erano meno persone per il covid 19, ma c’era anche meno uva per cui abbiamo comunque svolto il lavoro senza problemi. Sappiamo che Marianita vi ha già mandato le foto…
Qui stiamo lavorando per fare una ristrutturazione dell’azienda agricola e farla diventare un agriturismo specializzato nella presentazione del mondo del vino, storia del nostro territorio, tecniche di coltivazione della vite, tecniche di vinificazione e corretto abbinamento dei diversi tipi di vino con il cibo. Sono argomenti che interessano molto, attirano giovani e adulti che vogliono riscoprire antichi sapori del mondo contadino. Per poter arrivare all’apertura ufficiale però dovremo fare diversi lavori per adeguare gli ambienti alle norme e regolamenti del settore, quindi ancora per un anno saremo sovraccarichi di cose da fare.
Purtroppo Covid19 ha interrotto anche una attività chiamata “Aggiungi un posto a tavola” che portavamo avanti con un gruppo di amici con i quali ci dedicavamo all’accoglienza, una domenica di ogni mese con un pranzo condiviso in famiglia e un pomeriggio di conoscenza del territorio, di ragazzi immigrati (quasi tutti avevano l’età dei nostri figli dai 20 ai 30 anni). Ascoltare le storie e le speranze di questi ragazzi prevalentemente provenienti dall’Africa, praticamente tutti arrivati con viaggi al limite della sopravvivenza attraversando deserti e il mare su gommoni sovraccarichi di uomini e donne in cerca di un destino migliore, ci ha fatto aprire gli occhi su tante realtà e ci faceva sentire meno la nostalgia dei nostri figli (anche loro emigrati per un futuro migliore).
Insomma, mentre attendiamo in silenzio che questo virus venga definitivamente debellato per poter riprendere la vita nella sua dimensione normale, proviamo a pensare in positivo sperando che usciremo da questo tunnel con un a nuova visione del mondo, sicuramente più convinti che mai che la vera felicità sta nelle cose semplici, nel lavoro umile e nella capacità di fare sinergia e rete con tanti amici che quotidianamente si rendono protagonisti per essere artefici di un mondo migliore.
Con questo spirito, ci sentiamo vicini a voi, abbiamo letto le vostre lettere scritte a Marianita e sappiamo delle vostre sofferenze, delle difficoltà che avete superato e di quelle che ancora vi angustiano, ma sappiamo anche della tenacia e determinazione che non vi abbandonano e della forza e coraggio che ogni giorno sapere trovare per credere che un mondo migliore ancora è possibile.
Sogniamo di poterci incontrare in una vostra visita qui da noi, siamo sicuri che è un sogno che si avvererà, speriamo anche un giorno di poterci noi mettere in viaggio per venirvi a trovare, oggi sembra cosa impossibile ma se Dio vuole ci riusciremo.
Questo Natale lo vivremo lontano da sfarzi e consumismo, così come piace a noi, purtroppo sarà lontano dai nostri figli e nostri cari, cercheremo di avere un contatto virtuale con qualche videochiamata.
Quando e come potete mandateci vostre notizie, qualche foto, sarà un modo per condividere un pezzo di strada insieme.
Le persone che frequentano la nostra azienda sempre ci chiedono perché ci chiamiamo Dofinè, ci piace raccontare di voi, del nostro incontro e di come tutti insieme possiamo contribuire per darci una mano.
Mancano pochi giorni a Natale, siamo certi che anche quest’anno una luce brillerà in cielo per ricordarci che non siamo soli nonostante tutte le avversità e che Dio che si fa uomo, ancora una volta sotto le spoglie di un bimbo fragile, ha bisogno delle cure e collaborazione di tutti per realizzare il suo sogno.
Auguri che a Natale possiate essere circondati dalle persone care , che abbiate tanta salute e che il nuovo anno 2021 porti vita nuova.
Un abbraccio a tutti con affetto.
Nicoletta e Riccardo
Da Cagliari
Il nostro contributo alla scrittura collettiva della circolare nazionale è il documento “Il nostro dono di Natale” del gruppo Società della Cura – Sardegna” del quale facciamo parte come Rete RR di Cagliari. Verrà consegnato questo pomeriggio insieme al documento nazionale e ad altri documenti locali.
Auguri a tutti per le festività, con la speranza di poter accogliere un tempo nuovo, un tempo di cura per il corpo e per l’anima in una società che non lasci indietro nessuno.
Società della Cura – Sardegna
IL NOSTRO DONO DI NATALE
175 miliardi disponibili subito
Nessuno può essere lasciato indietro
Aderendo all’appello nazionale della Società della Cura “Il nostro dono di Natale”, vogliamo
esprimere alcune considerazioni e proposte a partire dalla nostra specificità come realtà che operano
nel campo della nonviolenza, della solidarietà interna e internazionale.
Curare non significa solo prescrivere delle terapie o dei farmaci. Curare vuol dire anche e
soprattutto prevenire. “Bisogna uscire dall’economia del profitto e costruire un altro modello
sociale, partendo dal paradigma del prendersi cura di sè, dell’altr*, del vivente, del pianeta e delle
future generazioni, e assumendo compiutamente l’idea che nessun* si salva da sol* e nessun* può
essere lasciat* indietro.
La Sardegna detiene il primato nazionale delle servitù militari utilizzate per una economia di
guerra e dove si sono sperimentate armi all’uranio impoverito creando danni ambientali e di
carattere sanitario alle popolazioni. La narrazione dei posti di lavoro creati, in realtà nasconde quelli
che si potrebbero creare convertendo i territori occupati ad uso civile: agricoltura e pastorizia,
ambiente e turismo responsabile.
La nostra Isola si trova al centro del Mediterraneo, quasi un ponte tra l’Africa e l’Europa.
Purtroppo è stata trasformata in una terra dove si costruiscono bombe e si prepara la guerra.
Proponiamo un cambiamento di rotta:
1. utilizzare le risorse economiche sottratte alle attività militari per ripopolare i piccoli centri,
favorire l’occupazione giovanile in modo da limitare la necessità di emigrare per procurarsi
lavoro e dignità;
2. aprire i porti aperti all’accoglienza di profughi e migranti a causa di guerre fame e economie
di rapina; i porti siano chiusi al commercio delle armi. Chiude il CPR di Macomer, vero
lager nel quale nessuno ha accesso per verificare il rispetto dei diritti umani;aprire centri di
accoglienza che rispettino la dignità di ogni essere umano e preparino il terreno per
l’inclusione; porre fine al sequestro amministrativo delle navi impegnate nel soccorso ai
naufraghi;
3. rafforzare gli scambi di idee, progetti e solidarietà del popolo sardo con i popoli originari del
pianeta per eliminare o ridurre l’impatto dell’estrattivismo (l’aggressione alle risorse naturali
per mero profitto), salvaguardando le terre coltivabili del territorio sardo dalla speculazione
delle multinazionali sulle nuove fonti energetiche (gas, fotovoltaico, eolico);
4. promuovere progetti di formazione alla mondialità, alla nonviolenza e alla pace nelle scuole
di ogni ordine e grado;
5. incentivare le misure alternative al carcere per minori e adulti in modo che si compia il
dettato costituzionale relativo alla riabilitazione delle persone superando la visione della
pena come mera punizione.
I soldi ci sono: ecco dove prenderli
Basterebbe ridurre drasticamente le spese militari (10,8 miliardi/anno) mettendo in
atto alcune misure come:
a) il blocco di tutti i nuovi programmi di riarmo. Il risparmio previsto è di 6 miliardi;
b) la fine di tutte le missioni militari all’estero, nonché di o isparmio previsto è di 3.8 miliardi.
Il dono di Natale più bello per noi abitanti della Sardegna sarebbe la chiusura dei poligoni mi-
litari e la destinazione delle risorse finanziarie per la bonifica dei territori e la loro riconversione ad
uso civile; la riconversione della fabbrica di bombe RWM di Domusnovas – Iglesias in fabbrica di
strumenti per la vita e non per la morte.
Da Noto
Carissimi,
anche noi ci uniamo con piacere ed interesse a questo scambio di doni epistolari in occasione del Santo Natale.
Ricorderemo questo Natale, a conclusione di un anno triste, per molti tragico, un tempo che ancora non da segni di superamento.
I poteri della parte del mondo di cui facciamo parte sembrano impegnati in un ritorno ad una” normalità” essa stessa causa di quel disastro che sta davanti i nostri occhi, sotto i nostri piedi, nell’aria che respiriamo, nei cibi di cui ci nutriamo, nel rapporto tra popoli e viventi e sempre più dentro le menti.
Una parte, sempre più minoritaria, che si prepara a farci tornare alla “normalità” nello stesso modo di quando ci si risveglia da un brutto sogno per poi continuare tutto come prima. Poco da cambiare solo qualche ritocco.
Fa fatica, non passa, l’urgente esigenza di un mondo regolato da maggior giustizia , equità e rispetto ecologico.
Questo Natale però ci offre l’occasione e forse ci impone l’obbligo, oltre che della mascherina e del giusto distanziamento, di una più decisa restituzione, prima verso il Padre ed il Figlio, per aver profittato del loro Amore e, poi, con il Loro aiuto, verso quegli ultimi e verso i più deboli che silenziosamente stanno aspettando che si pareggino i conti.
I nostri percorsi si incontrano in vista di questo orizzonte e i virus non saranno certo un’ ostacolo sul cammino della R.R.R.
Nell’anno che sta per concludersi il gruppo R.R.R. di Noto-Avola-Modica ha incontrato, gli operatori dell’Operazione Colomba (Corpo Non violento di Pace dell’Ass. Comunità Papa Giovanni XXIII) e i Ricostruttori Nella Preghiera di Modica, decidendo, insieme, di dar vita ad un progetto di accoglienza di profughi-migranti Siriani provenienti dai campi profughi in Libano o dall’infernale campo profughi di Moria nell’isola di Lesbo (dove sono presenti quelli dell’Operazione Colomba).
I primi mesi del nuovo anno ci vedranno allora impegnati concretamente nell’offerta di una dignitosa soluzione d’accoglienza ad una famiglia che arriverà in Italia attraverso corridoi umanitari .
Questa opportunità che ci viene offerta ci induce a delle riflessioni:
I corridoi umanitari come soluzione al fenomeno della migrazione:
forse non la sola, ma in Italia il Ministero competente concede solo 2000 visti; troppo pochi per una soluzione d’accoglienza e d’integrazione accettabile e dignitosa.
Il coinvolgimento diretto di associazioni e cittadini ne diventerebbe garanzia .
La necessità di fare reti:
considerato il tipo e la quantità di impegno che questo tipo di progetto impone si rende necessario lavorare alla costruzioni di reti territoriali di supporto a vari livelli: associazioni e cittadini impegnati, prima, alla soluzione di problemi organizzativi e burocratici che permettano l’arrivo in sicurezza dei profughi e/o migranti, poi, alla soddisfazione delle necessità della vita quotidiana dell’accoglienza e dell’integrazione.
Il nostro Augurio a tutti voi, in questo nuovo Anno che sta venendo alla luce, è di continuare ad essere “artigiani di pace”, condividendo il nostro cammino, le nostre fatiche e le nostre gioie, con le piccole comunità a noi vicine, per noi, in particolare, con gli amici della Mesa Campesina, e con tutte le altre piccole comunità sparse in ogni angolo della terra, perché, come dice il nostro caro Papa Francesco[1], insieme ad esse possiamo “colorare i processi di memoria collettiva” per una Terra dove abitino la Pace, la Giustizia, la Fraternità e la Bellezza …

Rete di Torino & dintorni – Lettera di novembre 2020
Cari amici,
il ritorno della pandemia ha fatto riemergere con forza alcuni tratti ormai familiari e peculiari dello stato in cui versa la politica nostrana.
Da una parte assistiamo alla spinta sempre più marcata verso il dettaglio tecnico,pratico,sostenuto da direttive sanitarie stringenti,precetti e ammonimenti che poco hanno a che fare con il pensiero “alto” ma si preoccupano con cura pedagogica quasi maniacale di entrare persino nelle sfere più intime della vita privata dei cittadini (vedasi le ultime indicazioni per veglioni,cenoni etc). Dall’altra assistiamo al solito teatrino delle accuse reciproche tra Stato e Regioni di negligenza di fronte alla seconda ondata di questo terribile virus. In mezzo ci siamo tutti noi,cittadini trattati come infanti impegnati a destreggiarci tra il groviglio di regole,spesso mutevoli e  ansiogene.
Ma il punto è capire se la politica deve essere questo oppure se deve piuttosto amplificare con toni pacati il senso di responsabilità comune,il senso di comunità,il senso di diritto di libertà individuale che non può prescindere dalla libertà collettiva.La libertà stessa del pensiero politico da tanti anni ormai è svilita ed avviluppata nel risolvere questioni quotidiane,pratiche,dettagliate,non sostenendo più una visione collettiva,di integrazione culturale,responsabilizzante per tutti.
La pandemia in atto non è cosa da poco,i numeri e lo sconcerto di tanta virulenza non si possono sottovalutare ma alcune cose erano chiare fin da questa estate,quando ci ripetevano che sarebbe arrivata una seconda ondata di contagi. Eppure  la Sanità non è stata dotata di strumenti e personale adeguato ad affrontare tutto questo portandoci nuovamente alle chiusure che tutti conosciamo.Non è solo italiana questa situazione,non è solo dei governanti la colpa del contagio ma anche dei comportamenti sbagliati ed incuranti di alcuni cittadini,è vero,ma forse meno tagli alla Sanità (in nome dell’efficienza economica) in questi ultimi 10 anni ci avrebbero consentito di affrontare meglio questa crisi.Ma la visione miope della politica non chiude il discorso su se stessa.
I risvolti a livello sociale non sono trascurabili.
La perdita dei contatti sociali atrofizza la capacità di ragionamento collettivo, alimenta il senso di solitudine e di fragilità, amplifica l’egocentrismo individuale.Il continuo bombardamento mediatico sulle cifre della pandemia impedisce spesso di rimanere attenti e attivi alle difesa dei diritti,alla giustizia;si offuscano i temi della migrazione,del caporalato,della violenza domestica e della perdita del lavoro.Le guerre (che continuano purtroppo) non sono quasi più percepite con sgomento ma come un evento in mezzo ad altri,dopo i dati sui contagi giornalieri e il possibile divorzio di Trump.Tutto è clamore e si genera una confusione di priorità. L’emergenza sanitaria pur grave rischia di farci perdere il contatto con il territorio,con le persone in difficoltà,emarginate e disperate,con le conseguenze della chiusura dei negozi e delle piccole realtà artigianali,con tutti coloro che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese.Queste persone diventano facile bersaglio delle nuove mafie che agiscono con soldi contanti e garantiscono una boccata di ossigeno a chi domani diventerà un loro protetto,ma diventeranno parte anche della spietata  concorrenza di chi cerca un lavoro,con conseguente perdita delle tutela dei lavoratori disposti a tutto.
Questi meccanismi sociali saranno nei prossimi mesi sotto gli occhi di tutti.
Questo periodo è stato percepito da ciascuno di noi in maniera differente,ci ha messo di fronte ad una situazione che non si può controllare ,ciò che sembra giusto al medico può apparire ingiusto al familiare del malato e cosi via per ogni ambito. Non ci sono più sicurezze e limiti conosciuti,sono saltati molti parametri della nostra “confort-zone”.
Ma l’emergenza non può e non deve “normalizzare” il nostro pensiero,il nostro modo di agire. Il fine non giustifica i mezzi perciò dobbiamo rimanere vigili con il nostro contributo personale,attraverso la condivisione delle idee restituendo dignità al nostro prossimo.La capacità di rimanere distanti dalla furia delle notizie,di guardare con tenerezza e accoglienza il vissuto di ciascuno,senza giudicare, può predisporci forse in questo periodo di Avvento ad un clima più corretto.
La ricerca del silenzio,del distanziamento dalla pressione mediatica ci darà forse un domani la forza per riconoscere i valori reali e rinascere ad una nuova umanità.
Un abbraccio a tutti
 

Trento, 28 ottobre 2020

Care amiche e cari amici della Rete trentina,

come vi avevamo promesso nella scorsa circolare, vi proponiamo alcuni spunti emersi dall’assemblea di FaRete, la rete delle organizzazioni di cooperazione e solidarietà internazionale del Trentino che riunisce più di 50 associazioni, tra cui la Rete Radié Resch, che è tra i soci fondatori. La sintesi che vi presentiamo è stata curata da Luigi Moser, che ha partecipato all’assemblea in rappresentanza della Rete, con l’aggiunta di alcune riflessioni tratte dalla relazione di Michele Nardelli sul tema “La cooperazione del cambiamento”.

L’assemblea, alla quale erano presenti 38 delle associazioni aderenti, si è svolta il 18 settembre scorso presso l’ex Convento degli Agostiniani, sede del Centro per la Cooperazione Internazionale (CCI), ed è stata introdotta da Pierino Martinelli, presidente di FaRete, il quale ha ricordato la ricorrenza del primo anno di vita dell’organismo (è stata costituita il 15 giugno 2019).

Chiara Sighele, direttrice del CCI, ha sottolineato le criticità relative ai rapporti con le istituzioni provinciali, soprattutto dopo la drastica riduzione dei fondi destinati alla cooperazione internazionale: criticità che hanno portato alle dimissioni del presidente del Centro, Mario Raffaelli, e che hanno fatto temere per la sopravvivenza del Centro stesso. Tra notevoli difficoltà si è deciso comunque di andare avanti, con fondi ridimensionati, con riduzione dell’attività e riassetto dell’organigramma.

La situazione è difficile – ha concluso la direttrice – ma continueremo a fare opera di sensibilizzazione nei confronti della nostra comunità e cercheremo di ragionare su quali siano prioritariamente i servizi da valorizzare”.

L’assemblea è proseguita con l’approvazione del bilancio, che presenta un avanzo di gestione di circa 10.000 euro, accantonato come fondo in vista prossime operazioni/progetti.

Il momento centrale dell’incontro è stata la relazione di Michele Nardelli, che ha invitato gli operatori della cooperazione internazionale ad interrogarsi continuamente per capire il contesto in continua evoluzione in cui operano e il senso profondo della propria azione. In sintesi il pensiero di Nardelli è che la cooperazione internazionale deve essere costruzione di relazioni e non aiuto allo sviluppo. L’idea stessa di sviluppo e sottosviluppo che molti di noi hanno è infatti ampiamente superata. La convinzione che il mondo sia diviso tra paesi sviluppati e paesi sottosviluppati è sempre meno rispondente alla realtà. Questo non significa che non ci siano paesi impoveriti, ma in qualsiasi parte del mondo sviluppo e sottosviluppo si intrecciano. Dobbiamo chiederci, ha commentato Nardelli, se la nostra azione stimola dinamiche di cambiamento. Spesso abbiamo agito pensando di far diventare gli altri come noi, ritenendo che il nostro fosse il migliore dei mondi possibili. Senza pensare che le cause della povertà nascono proprio dal nostro mondo ricco e dalla pretesa che il nostro tenore di vita sia non negoziabile. Dobbiamo capire le dinamiche di potere che generano le povertà. Non è possibile gestire gli aiuti senza consapevolezza dei conflitti. Le crisi con cui abbiamo a che fare a livello planetario – sanitaria, demografica, migratoria, ambientale, economica, sociale, politica … – non sono emergenze, sono crisi strutturali. Prima di fare, di agire occorre studiare, capire. Ci sono tanti segnali che avrebbero potuto farci capire dove stavamo andando. Siamo in un mondo in cui le istituzioni non decidono più niente: sono altri i poteri reali, tra cui la criminalità organizzata e l’alta finanza, spesso intrecciate fra loro.

Nardelli ha citato l’affermazione di papa Francesco secondo cui “siamo dentro una terza guerra mondiale a pezzi”. Secondo il relatore il riferimento non era alle guerre in corso, o almeno non solo, ma piuttosto al conflitto tra inclusi ed esclusi. O cambiamo sistema e facciamo posto a tutti, in modo che nessuno sia escluso – ha commentato Nardelli – o continuiamo ad escludere strati sempre più ampi dell’umanità, fino a mettere in discussione la sopravvivenza stessa dell’umanità. È una guerra più subdola di quelle tradizionali, perché ci coinvolge tutti e ci chiede da che parte stiamo. Una parte dell’umanità sta consumando più di quanto il pianeta è in grado di produrre: viviamo in modo insostenibile e questo significa l’esclusione di qualcuno. Già oggi in Italia a metà maggio abbiamo consumato le risorse naturali dell’intero anno, per cui avremmo bisogno di 3 o 4 Italie per continuare con questo livello di consumo: è questa la terza guerra mondiale di cui parla Francesco, ha concluso Nardelli. Ecco perché non possiamo più guardare la realtà con gli occhiali di prima: dobbiamo riconsiderare il nostro modo di stare al mondo e di relazionarci con gli altri. E’ necessaria una cultura del limite. Il nostro compito non è essere cooperanti ma animatori di comunità. Dobbiamo cambiare rotta. E per farlo non dobbiamo cercare di adattarci alla realtà, ma cambiarla.

La relazione di Michele Nardelli ha suscitato notevole interesse. Per chi fa parte della Rete Radié Resch, in realtà, molti dei concetti espressi dal relatore sono tutt’altro che nuovi. Fin dalla sua nascita la Rete ha posto l’accento sull’importanza delle relazioni più che sulla ricerca del risultato, consapevole che le strutture che generano povertà e ingiustizia nascono dal nostro modello di sviluppo. Per questo la Rete ha sempre privilegiato il sostegno a comunità piccole e significative che si pongono in modo alternativo al modello economico dominante. Questa consapevolezza è stata fin dall’inizio la peculiarità della Rete rispetto a tante altre realtà impegnate negli “aiuti” internazionali. Ne è una prova proprio la Circolare nazionale di questo mese, scritta dalla Rete di Cagliari e allegata alla presente, in cui si esplicitano i valori e le sensibilità della Rete Radié Resch fin dalle sue origini.

A conclusione dell’assemblea, il presidente di FaRete, Martinelli, ha ricordato ancora la difficoltà di rapportarsi con l’amministrazione provinciale. Ci siamo adoperati per evitare lo scontro – ha detto – e abbiamo continuato a tessere relazioni, a volte con senso di frustrazione, ma senza mai perdere la speranza.

E con l’invito a non perdere mai la speranza porgiamo i più cari saluti a tutte e tutti

Fulvio Gardumi e Luigi Moser

 

Rete di Quarrata – Lettera ottobre 2020

Carissima, carissimo
è davvero strano sentire quanto ciò che stiamo vivendo, all’improvviso, non coincide più con qualcosa di conosciuto. Questo insinua in noi una sottile angoscia che tentiamo di esorcizzare muovendoci, inventando,
sperimentando ma, senza fermarci per conoscerla questa paura, schiavi come siamo del nostro pensiero.
La speranza che potessimo trarre un insegnamento dall’esperienza nella tragedia di questa epidemia, sembra ormai svanita. Niente è più come prima  però,  il cambiamento continuerà, indipendentemente da noi. Se lo subiremo soltanto, non potrà essere di nessuna utilità.
Sarà un’altra delusione che daremo a noi stessi. L’umanità sarà in grado di provarlo quel salto che ci aspetta da tanto tempo?
Purtroppo sono coinvolte, in questo, forze sbagliate: la mente al posto del cuore.
Ora, da un autunno inconsueto, stiamo andando verso il silenzio di un inverno nel quale ci si può ritrovare per rivedere e comprendere dinamiche a noi immanenti che potrebbero portare a un profondo risveglio.
Se volgiamo  lo sguardo alla realtà socio-politica nella quale siamo immersi quotidianamente, posso dire  che l’Italia ha raggiunto una china pericolosa che peggiora ogni giorno di più, in particolare nel corso degli  ultimi anni,  di cui non capisco l’esito finale, ma temo non sarà positivo.

Accanto ai problemi che affliggono l’umanità intera, come ad esempio la diffusione di notizie false sui social,  la violenza online, che i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri aumentano a dismisura, l’insensibilità a eludere le tasse ecc… ce ne è uno particolarmente  inaccettabile: una parte di coloro che si occupano di “cosa” pubblica, non lo fanno per “servire” [il prossimo], come dovrebbe essere ma,  per potere, per arricchirsi personalmente, appropriandosi di risorse pubbliche  e causando un aumento esponenziale del debito pubblico, a danno dell’intera collettività ma, soprattutto a danno dei nostri figli e nipoti, insomma di chi sarà chiamato a ripianarlo.
Purtroppo non possiamo negare che oggi siamo in crisi, si è rotto il cosiddetto “patto educativo”; il patto educativo che si crea tra la famiglia, la scuola, il mondo, la cultura e le culture. Si è rotto e rotto davvero; non si può incollare o ricomporre. Non si può rammendare, se non attraverso un rinnovato sforzo di generosità e di accordo universale.
Una tale gestione del potere in uno degli Stati più potenti e armati della Terra, tanto più all’ora del suo declino, ha ricadute di indubbia gravità sul resto del mondo. Si ripropone il rischio già sperimentato all’inizio del secolo quando la destra al governo impostò il programma della militarizzazione dello spazio per meglio dominare la Terra e annunciò di voler instaurare il “nuovo secolo americano”, ovvero un’obbedienza planetaria,  che causò la devastazione del Medio Oriente, nell’incentivo all’estremismo islamico e nel terrorismo generalizzato.
Le ricadute negative delle pretese di dominio globale e del contrasto al diritto internazionale possono  essere molto gravi anche oggi.
Basti pensare a quanto accade in Brasile dove è in corso, col patrocinio di Trump, una catastrofe politica, sanitaria, economica e sociale. “La crisi peggiore di tutta la storia del Brasile” ha detto il leader dei contadini Joào Pedro Sedile che partecipò agli incontri  dei movimenti popolari col papa; oggi in Brasile si sta realizzando  l’attacco del neo-liberismo più sfrenato e Bolsonaro (un  altro negazionista colpito dal virus) sta “privatizzando-svendendo tutto”: dalla Petrobras alla Caixa economica federal, dall’Embraer al Banco do Brasil, all’Acqua, alle Foreste, alle Risorse minerarie, all’Amazzonia ecc.

Si pensi ancora  al tentativo americano di intimidire papa Francesco e bloccare il processo di conciliazione con la Cina. O  si pensi al piano congiunto con Netanyahu per l’annessione a Israele delle terre palestinesi, in base ai diritti storici rivendicati dagli ebrei a partire dalla Bibbia;  “Civiltà cattolica” spiega nel suo ultimo numero che la Bibbia può avere una tutt’altra lettura, e che “le rivendicazioni ebraiche nei confronti della terra vanno viste anche alla luce dell’esilio del popolo palestinese dalla sua patria e dalle sue esperienze di discriminazione e occupazione nelle terre oggi governate da Israele”.
È chiaro peraltro che se la tempesta incombe da Occidente, non certo rassicurazioni vengono da Oriente; e l’Europa stessa che sembrava ravvedersi sotto la spinta del Covid, deve ora fare i conti con i suoi sovranisti dell’Est continuando  a sbarrare i suoi mari ai migranti.
Oggi il mondo intero appare immerso nella tormenta.
Perciò è necessaria una risposta politica. L’instaurazione di un sistema di garanzie a livello mondiale – dalla garanzia della pace a quella della salute, della difesa dell’ambiente, della libertà di migrare.

Oggi pur in questa grave situazione la violenza ha mille facce: da quella di un’economia che uccide, esclude e distrugge a quella che si annida in molte delle nostre case, contro le donne, i bambini, i diversi, i migranti, gli scartati.. Quella della corruzione, delle mafie e delle droghe  ma,  anche quella che tutti i giorni esce dalla televisione,  dal web,  alle parole che uccidono, al bullismo diffuso che ci perseguita. Penso alla guerra che si è riaccesa nel Nagorno-Karabakh, a quelle che da 75 anni insanguinano la Terra Santa e il Medio Oriente e a tutte quelle che non fanno mai notizia. Credo inoltre che  ognuno di noi potrebbe giovarsi di una “regola” di vita per resistere alla deriva che ci sta trascinando verso una chiusura sempre più netta tra chi ha e chi soffre..
Una regola che ci permetta di capire cosa è bene e cosa è male, su quali valori va fondata la vita di una comunità, regole importanti, che ci permetteranno di formarci una visione più ampia di ciò che stiamo vivendo e decidere cosa accogliere a far parte della nostra vita.

Con l’enciclica sociale “Fratelli tutti”, papa Francesco continua a stupirci, a donarci il cuore di un pastore, la cui lettura del mondo parte da lontano, da una visione di ampio respiro e interpretazione, dai più poveri, da chi fa più fatica. L’enciclica è rivolta sia ai credenti sia ai non credenti. Papa Francesco sottolinea la necessità di ripartire da una fratellanza universale, dalla pace, affermando che la politica può fare molto. Ma, ovviamente, il Papa invita anche ognuno di noi a piccole azioni quotidiane, di conversione personale, familiare, dei corpi intermedi della società che possono lavorare sui territori e rendere più umani, vivibili e solidali i nostri quartieri, le nostre città, le nostre nazioni.
Per questo auguro ad ognuno di noi un tempo pieno di creativa volontà, di militanza e di solidarietà.

Antonio

R

Circolare nazionale ottobre 2020

a cura della Rete Radiè Resch – gruppo di Cagliari

Quarant’anni di appartenenza alla Rete Radiè Resch di solidarietà internazionale – così si denominava un tempo l’associazione – sono un traguardo che ha visto un gruppo di persone dell’area cagliaritana rimanere fedeli a un’idea e a una pratica di solidarietà che coinvolgesse i singoli nella restituzione di un debito contratto verso le comunità impoverite del Sud del Mondo. Nella convinzione, inoltre, della necessità di un cambiamento nel nostro mondo opulento e, perciò, della “controinformazione” attraverso le testimonianze dirette dei referenti dei nostri progetti. Siamo ricordati all’interno della Rete nazionale in modo particolare per il documento “Parametri di valutazione di un’operazione della Rete”che venne presentato al Coordinamento nazionale di Verona (20-21 giugno 1992) a seguito della grande riflessione sullo stato della Rete del biennio 1990 – 1992. Il documento, frutto di una riflessione collettiva, indicava 7 dei criteri: 1. Tre volte indigeno; 2. Trasparenza; 3. Ecologia; 4. Durata; 5. Autonomia; 6. Cultura; 7. Dimensione e peculiarità. Abbiamo sempre creduto che questi criteri non potessero essere rigidi, ricordando l’invito di Ettore Masina a tener conto dell’amicizia che ci legava ai nostri referenti.

In questi quarant’anni ci sono stati periodi molto fecondi di iniziative, di incontri tra persone, di partecipazione agli avvenimenti della città e del mondo: dibattiti pubblici, seminari di studio, manifestazioni in difesa dei diritti negati, in particolare dei migranti, con una attenzione speciale alla comunità palestinese presente nel nostro territorio. Nel 1992 la Rete di Cagliari si fa carico come referente nazionale dell’operazione Donne indie collas. Sostegno a piccole cooperative di lavoro, nel Nord-Ovest dell’Argentina, nella zona montagnosa della “Quebrada de Huamahaca”; referenti Piera Oria e Carola Caribe (“Taller Permanente de la Mujer”) di Buenos Aires. Il legame con Piera diverrà sempre più forte grazie agli incontri a Cagliari e al viaggio in Argentina (agosto 2000) di due amiche del nostro gruppo. Il momento più coinvolgente che ha creato sinergie singolari è stato il lavoro di traduzione, di pubblicazione e di divulgazione del libro di Piera Oria, Dalla casa alla piazza…, sulle madri e le nonne di Plaza de Mayo. Dopo la morte di Piera e la conseguente chiusura dell’operazione, la Rete di Cagliari non ha avuto più un progetto da seguire; questo fatto può aver avuto un certo peso nel proseguo del cammino del gruppo, sebbene le cause principali della riduzione dei partecipanti siano state di altra natura: la crisi economica, l’età avanzata dei membri, la morte di alcune persone.

Il legame con la Rete nazionale si è conservato, nonostante l’insularità con gli aspetti connessi alla mobilità, con la partecipazione ai Coordinamenti nazionali, ai Convegni e ai Seminari, ai viaggi della Rete in Brasile (luglio-agosto 1993) e in Palestina (27/12/98 – 4/01/99). Abbiamo per ben due volte ospitato il Coordinamento nazionale a Cagliari, il 13 e 14 ottobre 1990 e, più di recente, il 19 e 20 giugno 2010 presso la Comunità la Collina, diretta da don Ettore Cannavera, che è stato coordinatore della Rete di Cagliari fino al 1993. Dall’incontro a Salvador Bahia con Giovanni Cara (João), piccolo fratello del vangelo cagliaritano, e con la sua collaboratrice Rita Maria Alves che si occupavano di meninos de rua, si è sviluppato un costante rapporto di collaborazione basato sulla fraternità e sull’amicizia. Pur ridotti a un piccolo gruppo, abbiamo cercato di partecipare assiduamente agli eventi della realtà locale molto provata dal punto di vista economico e occupazionale; aderendo e partecipando alle manifestazioni per la pace, per la Palestina, per la riduzione delle servitù militari, alla lotta per la riconversione della fabbrica di Bombe RWM, alla collaborazione con la Comunità la Collina.

Il mese di ottobre è un mese emblematico per le persone amanti della giustizia e della pace: il 2 ottobre (anniversario della nascita di Gandhi) si è celebrata la Giornata mondiale della Nonviolenza, e il 4 ottobre la festa di san Francesco d’Assisi, uomo che con la mitezza e la povertà si è rivestito d’amore fraterno per tutte le creature. Il forte messaggio di papa Francesco dalla Basilica di Assisi con la promulgazione della sua terza Enciclica, Fratelli tutti, è inequivocabile: abbattere i muri di separazione e creare ponti di comunione, di fraternità universale, di amicizia sociale per costruire una umanità nuova, consapevoli che non ci salviamo da soli, dentro i nostri egoismi individuali e collettivi, ma come ci ha insegnato la pandemia ci si salva uniti nell’accoglienza dei più fragili, quali gli anziani, i disabili, i poveri, i migranti, le persone che vivono nelle periferie geografiche ed esistenziali, che sono considerate lo scarto, rifiuti da eliminare. Non sappiamo se papa Francesco conosca la nostra Rete e la sua storia, ma un passaggio dell’Enciclica ci ha colpito, dove egli parla delle associazioni nelle quali i soci spesso si chiudono negli interessi di gruppo ed escludono gli altri; e di coloro, invece, che praticano l’amicizia sociale, la solidarietà autentica. “Solidarietà – scrive il Papa – […] è una parola che esprime molto più che alcuni atti di generosità sporadici. È pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. È anche lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. È far fronte agli effetti distruttori dell’Impero del denaro […]. La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia, ed è questo che fanno i movimenti popolari» (Fratelli Tutti, n. 116).

Il mese di ottobre è anche il mese del dialogo interreligioso, in particolare il 27 ottobre si celebra la Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico nata per contrastare l’ondata di islamofobia scatenatasi all’indomani dell’attentato alle Torri gemelle e alla proclamazione della guerra preventiva, dentro il paradigma dello scontro di civiltà. L’appello di quest’anno afferma, tra l’altro: “[…] sentiamo forte il bisogno di riscoprire l’umanità che tutti ci unisce […] sentiamo forte il bisogno di impegnarci contro le guerre, la produzione delle armi e contro l’ingiustizia sociale che nega il lavoro, le cure mediche, distrugge l’ambiente e ogni spiritualità basata sul riconoscersi fratelli e sorelle con un’unica Madre Terra da amare e difendere”. Un sentire che accomuna anche noi a tante persone di buona volontà. Siamo convinti che dall’incontro, la conoscenza reciproca, la solidarietà frutto dell’amicizia sociale possa nascere “un altro mondo possibile” dove la fratellanza non sia una mera parola, ma una pratica di vita nella quale la comunità della Rete Radiè Resch ha sempre creduto e si è impegnata a realizzare.

La visita della nuova segreteria al nostro piccolo gruppo (Covid-19 permettendo) rinsalderà di certo i nostri legami. Tutto cambia, ma l’amore è l’orizzonte che unisce passato, presente e futuro.

Cari e care, come abbiamo anticipato, siamo stati al coordinamento nazionale Rete RR che si è svolto a Sezano. Della Rete di Verona abbiamo partecipato in otto, anche se non tutti contemporaneamente. Il dibattito sul nuovo “modello” di segreteria è stato interessante e molto partecipato. Ne è nata l’idea di una segreteria diffusa, nel senso di richiedere a tutti le reti una maggiore partecipazione nella gestione degli aspetti organizzativi e di coordinamento. Ma l’aspetto più importante su cui ci si è confrontati è stata la proposta di realizzare un vero e proprio viaggio tra le Reti e con le Reti per incontrare i vari gruppi e poter così avere una fotografia di ciò che realmente è la Rete oggi. Il coordinamento si è trovato d’accordo su questa proposta perché è importante vedere in profondità che cosa siamo e come stiamo operando per immaginare il possibile futuro della Rete stessa. In questo senso i quattro che si sono offerti di prendere in mano la segreteria), parlano della nuova segreteria come di una “segreteria laboratorio” cioè una segreteria che procede passo-passo senza paura di porsi domande di fronte alla realtà in continuo cambiamento. Una delle novità, per esempio, è che Nadia della Rete di Torino, è una giovane che accetta di fare quest’esperienza e che certamente ci aiuterà a vedere con occhi diversi e a trovare modi di comunicazione più vicini ai giovani. A questo proposito è stato più volte sottolineato che ciò che importa non è riprodurre all’infinito il modello di Rete portato avanti fino ad oggi, ma trasmettere i valori fondanti della Rete, in particolare il modo con cui la Rete ha saputo ascoltare le voci e spesso il grido di dolore dei popoli oppressi del Sud del mondo, senza pretendere di imporre il suo punto di vista, ma lasciandosi guidare da loro; il modo con cui si è assunta la responsabilità di fare contro-informazione (vedi, per esempio, Palestina, Mapuche, Africa), consapevole della valenza politica del sua agire, ogni volta che ha denunciato le ingiustizie causate dal modello di sviluppo imposto dai paesi del Nord del mondo. Ora molte cose sono cambiate, ma restano, anzi, aumentano in modo esponenziale ingiustizie e disuguaglianze; il Sud è arrivato in mezzo a noi con il dramma dei migranti che è sotto gli occhi di tutti. Per questo, ciò che la Rete ci ha spinto a fare nel passato deve spingerci a continuare nella solidarietà, seppure con linguaggi e modalità diversi. La segreteria laboratorio ci stimola ancora una volta a metterci in un atteggiamento di ricerca: probabilmente proprio questo lasciarsi portare dal “vento della storia” ha permesso alla Rete di sopravvivere fino ad ora. Sempre per parlare di nuovi linguaggi è stato presentato il Forum Visioni, cioè uno strumento semplice, una volta presa la mano, per dare spazio al confronto tra noi, senza intasare la mailing list, alla condivisione di piccoli progetti concreti e a percorsi che le reti locali hanno messo in piedi o stanno progettando, soprattutto per sottolineare le esperienze positive, e sono tante, in cui sono coinvolte. Per permettere a tutti e tutte di usufruire di questo strumento, il prossimo coordinamento nazionale che si terrà a Rimini il 21 e 22 novembre affronterà il tema di come diffondere e dare indicazioni pratiche sul forum, in modo che sia accessibile anche a chi non ha dimestichezza con i mezzi informatici.

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Passando al nostro progetto in Ghana, desideriamo condividere con voi qualche foto che ci è arrivata da Adjumako, il villaggio dove stiamo portando avanti il progetto “Maame Adjeiba” . Come sapete, il progetto è nato per promuovere l’inclusione scolastica di ragazze provenienti da famiglie che non hanno la possibilità di sostenere le spese per la scuola delle loro figlie. E’ ormai da cinque anni che il progetto va avanti con successo, tanto che altre famiglie in difficoltà economiche hanno chiesto che ne possano far parte anche i figli maschi. Ci sembra importante sottolineare che questo progetto sta stimolando la gente di Adjumako a sentirsi più responsabile di se stessa e a provare a fare da sola. Del resto, questo è lo scopo principale della solidarietà come l’ha sempre intesa la Rete: stimolare il più possibile le comunità a fare da sé. Le foto che alleghiamo si riferiscono alla costruzione del sistema fognario che la gente di Adjumako si sta costruendo autonomamente.
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Da ultimo, un accenno sulla Palestina che appare solo sullo sfondo dei vari trattati tra Israele e i paesi Arabi del Golfo. In realtà la pandemia non ha fatto altro che aggravare la situazione di sofferenza della gente che da troppi anni vive sotto occupazione. Per questo, anche quest’anno, vorremo organizzare almeno uno o due incontri pubblici perché l’ingiustizia e i soprusi subiti dal popolo palestinese non vengano dimenticati: il nostro impegno di contro-informazione è iniziato proprio là. Per riprendere i nostri incontri dopo l’estate e confrontarci sui punti che abbiamo toccato, ci troveremo martedì 6 ottobre alle 21 in una sala della parrocchia di s. Luca, sufficientemente grande per rispettare le norme anti Covid (l’entrata della sala è dal portico attiguo alla chiesa).

Un caro saluto a tutti e tutte
Maria Picotti

Il 19 e il 20 settembre il coordinamento della Rete si è riunito presso il monastero degli Stimmatini a Sezano (VR) per rinnovare la segreteria, essendo la precedente giunta alla scadenza biennale. E’ stato un incontro di profonda relazione umana (ne avevamo bisogno tutti) ancor prima del trattare la situazione dei problemi, sia locali che mondiali. Ne è risultato un impegno ad essere positivi e continuare a credere nella possibilità che attraverso le azioni quotidiane, a mettersi insieme in piccoli gruppi e a vedere il mondo nella sua universalità, siamo tutti interdipendenti. Ricominciare! Sembra una parola d’ordine. Ma da dove ricominciamo? E come? La quarantena è alle nostre spalle, o quasi, ma nulla sembra superato… o almeno non con quella tranquillizzante sensazione di soluzione trovata in tutti gli ambiti che forse qualcuno tra noi sperava. Però ricominciare si deve. Lo dobbiamo a noi stessi, al nostro futuro, ma anche al mondo che ci ruota intorno. Ricominciare si può, perché la resilienza è una forza innata di cui tutta la natura è capace da sempre, dalla prima comparsa sulla Terra. Siamo capaci di mutare, anche radicalmente, adattandoci alle nuove condizioni di esistenza. Certamente pur riportando ferite profonde, ce la faremo anche questa volta. Ce lo chiedono con forza i referenti dei progetti che condividiamo in Guatemala, in Brasile, ad Haiti, in Bolivia, in Cile, in Argentina, in Perù, ad Haiti, in Nicaragua, in Congo, in Centrafrica, in Ghana, in Palestina, senza un’assistenza reale. Un nostro referente ci ha raccontato che i cadaveri sono abbandonati ai lati delle strade, dove spesso si accaniscono gruppi di cani o che vengono comparsi di benzina per essere bruciati. E’ un urlo straziante che sale dal tutte queste realtà e purtroppo molte altre nei tanti Sud del mondo, dove la salute può permettersela solo chi può pagare. Ricordiamo anche il progetto a favore dei Medici contro la Tortura, operativo a Roma che accompagnano i profughi che provengono dalla Libia e da altre realtà dittatoriali. Abbiamo vissuto i tempi drammatici di Covid-19 dove la malattia e la morte sono state durissime nel nostro paese, questo mantello di sofferenza e tristezza si sta estendendo su tutta l’umanità. Sono ormai un milione le vittime contabilizzate in tutto il mondo. La malattia e la morte si stanno quasi naturalizzando nelle aree più povere, leggendo l’attuale contaminazione. Non basta vedere il Covid-19 isolato e di per sé. Dobbiamo vedere il suo contesto. Viene dalla natura che è stata attaccata dal tipo di rapporto che il nostro sistema produttivo mantiene. Non bastano scienza, tecnica, input, isolamento sociale, evitando gli assembramenti e l’uso della mascherina. Tutto questo è essenziale, ma la cosa più importante è sviluppare un rapporto amichevole con la natura e i suoi animali. Se continueremo con l’irresponsabile aggressione, la natura e la Terra reagiranno inviandoci virus ancora più pericolosi. Dobbiamo cambiare il paradigma, invece dell’intrusione, urge un lavoro di rispetto e di cura, perché la natura non ci appartiene. Noi apparteniamo alla natura, ne facciamo parte, tutto ci dà per la nostra vita, se non invertiamo la rotta, noi scompariremo ma la Natura continuerà. La svolta però sta nel come ricominceremo. Se sceglieremo cioè di trattare questo momento storico come uno dei tanti passaggi della nostra vita, fatto di traslochi, spostamenti, chiusure in un posto ed aperture in un altro, lasciando tutto esattamente uguale in noi, attorno a noi, nelle nostre aspettative, nello stile della nostra esistenza. Oppure se sceglieremo di ripartire con un’altra marcia, un altro passo, un altro stile, altre priorità. Mettendo al centro tutta l’umanità, nessun escluso.
E’ incomprensibile come poche decine di persone, oggi, posseggano la ricchezza di più della metà della popolazione mondiale.
E’ incomprensibile che si spendano ancora 1.875 miliardi di dollari all’anno per le armi.
E’ incomprensibile vedere come il mondo non va nella direzione del Bene comune ma verso la ricerca sempre più ossessiva della ricchezza privata.
E’ incomprensibile che 70 milioni di persone sono state costrette a fuggire dal proprio Paese.
E’ incomprensibile che 12.000.000 di ettari siano stati bruciati in Amazzonia in poco meno di un anno.
Urge una ricomposizione dell’umanità contro questa economia che uccide e crearne una nuova, per la vita, che includa e non escluda, per la salvaguardia di ogni donna e ogni uomo e del Creato.

il laboratorio segreteria: Caterina, Lucia, Nadia e Antonio

Rete di Quarrata – Lettera di Settembre 2020

Carissima, carissimo,
il 19 e il 20 settembre il coordinamento della Rete Radiè Resch si è riunito presso il monastero degli Stimmatini a Sezano (VR) per rinnovare la segreteria, essendo la precedente giunta alla scadenza biennale. E’ stato un incontro di profonda relazione umana (ne avevamo bisogno tutti) ancor prima del trattare la situazione dei problemi, sia locali che mondiali. Ne è risultato un impegno ad essere positivi, a continuare a credere nelle azioni quotidiane, attraverso il mettersi insieme in piccoli gruppi e a vedere il mondo nella sua universalità e interdipendenza. Ricominciare! Sembra una parola d’ordine. Ma da dove ricominciamo? E come? La quarantena è alle nostre spalle, o quasi, ma nulla sembra superato… o almeno non con quella tranquillizzante sensazione di soluzione trovata in tutti gli ambiti che forse qualcuno tra noi sperava. Però ricominciare si deve. Lo dobbiamo a noi stessi, al nostro futuro, ma anche al mondo che ci ruota intorno. Ricominciare si può, perché la resilienza è una forza innata di cui tutta la natura è capace da sempre, dalla prima comparsa sulla Terra. Siamo capaci di mutare, anche radicalmente, adattandoci alle nuove condizioni di esistenza. Certamente pur riportando ferite profonde, ce la faremo anche questa volta. Ce lo chiedono con forza i referenti dei progetti che condividiamo in Guatemala, in Brasile, ad Haiti, in Bolivia, in Cile, in Argentina, in Perù, ad Haiti, in Nicaragua, in Congo, in Centrafrica, in Ghana, in Palestina e in Armenia senza un’assistenza reale. Un nostro referente ci ha raccontato che nelle favelas i cadaveri sono abbandonati ai lati delle strade, dove spesso si accaniscono gruppi di cani o che vengono comparsi di benzina per essere bruciati. E’ un urlo straziante che sale dal tutte queste realtà e purtroppo molte altre nei tanti Sud del mondo, dove le cure possono permettersela solo chi può pagare. Ricordiamo anche il progetto che sosteniamo a favore dei Medici contro la Tortura, operativo a Roma che accompagnano i profughi che provengono dalla Libia e da altre realtà dove vige l’oppressione. Abbiamo vissuto i tempi drammatici di Covid-19 dove la malattia e la morte sono state durissime nel nostro paese. Questo mantello di sofferenza e tristezza si sta estendendo su tutta l’umanità. Sono ormai un milione le vittime contabilizzate in tutto il mondo. La malattia e la morte si stanno quasi naturalizzando nelle aree più povere, leggendo l’attuale contagio. Non basta vedere il Covid-19 isolato e di per sé. Dobbiamo vedere il suo contesto. Viene dalla natura che è stata attaccata dal tipo di rapporto che il nostro sistema produttivo mantiene. Non bastano scienza, tecnica, input, isolamento sociale, evitando gli assembramenti e l’uso della mascherina. Tutto questo è indispensabile, ma la cosa più importante è sviluppare un rapporto amichevole con la natura e i suoi animali. Se continueremo con l’irresponsabile aggressione, la natura e la Terra reagiranno inviandoci virus ancora più pericolosi. Dobbiamo cambiare il paradigma, invece dell’intrusione, urge un lavoro di rispetto e di cura, perché la natura non ci appartiene. Noi apparteniamo alla natura, ne facciamo parte, ci nutre e fornisce quanto necessario per la nostra vita ma, se non invertiamo la rotta, noi scompariremo, la Natura sopravvivrà anche senza di noi. La svolta però sta nel come ricominceremo. Se sceglieremo cioè di trattare questo momento storico come uno dei tanti passaggi della nostra vita, fatto di traslochi, spostamenti, chiusure in un posto ed aperture in un altro, lasciando tutto esattamente uguale in noi, attorno a noi, nelle nostre aspettative, nello stile della nostra esistenza. Oppure se sceglieremo di ripartire con un’altra marcia, un altro passo, un altro stile, altre priorità. Mettendo al centro tutta l’umanità, nessun escluso.
E’ incomprensibile come poche decine di persone, oggi, posseggano la ricchezza di più della metà della popolazione mondiale.
E’ incomprensibile che si spendano ancora 1.875 miliardi di dollari all’anno per le armi.
E’ incomprensibile vedere come il mondo non va nella direzione del Bene comune ma verso la ricerca sempre più ossessiva della ricchezza privata.
E’ incomprensibile che 70 milioni di persone sono state costrette a fuggire dal proprio Paese.
E’ incomprensibile che 12.000.000 di ettari siano stati bruciati in Amazonia in poco meno di un anno.
Urge una ricomposizione dell’umanità contro questa economia che uccide per crearne una nuova, per la vita, che includa e non escluda, per la salvaguardia di ogni donna e ogni uomo e del Creato.
la segreteria laboratorio: Caterina, Lucia, Nadia e Antonio

Alcune ore fa è giunto un SOS da alcuni nostri amici brasiliani, tra cui un nostro referente di un progetto in cui ci comunicavano che attualmente in Brasile, aumentano i bambini che soffrono la fame, aumentano le ragazze costrette alla vita di strada, che le foreste bruciano e con loro ogni forma di vita che racchiudono, in particolare l’area del Pantanal, che le associazioni che aiutano e i loro volontari sono continuamente osteggiati, una cosa è certa, non abbandoneremo i nostri amici, piccoli o grandi che siano. Con poco in tanti si può fare molto.
Antonio

“Se voi però avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri” don Lorenzo Milani, “L’obbedienza non è più una virtù”

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