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Circolare Nazionale Rete Radiè Resch

Giugno 2015

Al coordinamento di Varazze ci eravamo presi l’impegno di scrivere noi, come segreteria, questa circolare di giugno per mantenere una continuità con il lavoro e le analisi sviluppate nei seminari. Ma il percorso di sistemazione e sintesi delle diverse idee e proposte emerse ha preso un cammino diverso da quello previsto che richiede un tempo più lungo e ci porterà al coordinamento di settembre (Quarrata 19 e 20 settembre). Inoltre la migrazione dei profughi e gli sbarchi sulle nostre coste hanno raggiunto dimensioni tali che non possiamo non affrontare questo problema. I fatti hanno dimostrato che la sensibilità e la presa di coscienza, che era emersa già da qualche tempo nella Rete, sullo spostamento dei confini del sud del mondo anche a casa nostra, è diventata una tragica realtà. Lo spirito di solidarietà che ha da sempre motivato il nostro agire non può restare indifferente di fronte alla violazione dei diritti che queste sorelle e fratelli subiscono arrivando da noi, mentre si dimentica che si chiudono le frontiere, ma si continua a sfruttare l’Africa, a depredarla delle sue immense risorse, per assicurare il nostro benessere, producendo la povertà, l’instabilità, le guerre che creano i profughi. L’una per tutte: l’uranio che parte dal Niger alimenta un terzo dell’energia elettrica prodotta in Francia, mentre il 93% degli abitanti di questo Paese (il più povero del mondo …) non ha accesso all’energia elettrica…. Ma chi trasforma i migranti in nemici non si rende anche conto o finge di ignorare che la finanziarizzazione dell’economia mette sotto attacco anche i “nostri” diritti. Amoroso, economista ben noto alla Rete, parla di capitalismo dell’apartheid nel senso che tranne per esigue minoranze, non c’è più nessun interesse da parte della finanza ad occuparsi dei bisogni e del benessere di strati sempre più ampi della popolazione. In questo senso è veramente assurdo o strumentale pretendere di distinguere tra migranti “economici” e rifugiati o richiedenti asilo per motivi umanitari. Quando trionfava ancora il capitalismo della produzione veniva tutelata la capacità di reddito delle classi medie e in una certa misura anche delle classi popolari, perché c’era l’interesse che si consumasse tutto ciò che veniva prodotto. Oggi non è più così. Aumenta lo sfruttamento e l’impoverimento di fette sempre più grandi della popolazione anche nelle nostre società (vedi la vicenda della Grecia), perché lo scopo del mercato è quello di investire in operazioni finanziarie una quantità sempre maggiore di denaro invece di investire in un’economia a servizio del benessere della gente. Sarà interessante, a questo proposito, leggere anche quanto ha scritto papa Francesco nell’enciclica “Laudato si’”. Siamo partiti dai migranti, ma siamo arrivati comunque al nocciolo della questione e cioè al fatto che occuparci di economia e di politica rimane parte integrante del nostro fare solidarietà, se vogliamo riprendere quel cammino profetico che ha caratterizzato la Rete per tanti anni. Gli scogli di Ventimiglia (sappiamo che molti di voi ci sono già stati ed altri ci andranno), che raccolgono le sofferenze e i sogni di tante persone, semplicemente in cerca di una vita più umana, ci costringono a scegliere inequivocabilmente da che parte stare. Perché al di là di tutte le nostre sacrosante analisi e discussioni sulla solidarietà è il volto dell’altro, il suo volto concreto e sofferente che ci motiva e ci spinge ad agire. Come ha detto domenica scorsa, nella sua omelia a s. Nicolò all’arena di Verona, p. Tillo Sanchez, amico e collaboratore di Romero, dobbiamo rimanere o tornare ad essere Resistenti in Resistenza.

Un abbraccio a tutte e tutti, buona estate e programmatevi per il coordinamento di settembre!

Maria, Maria Rita, Gigi

Lettera circolare della Rete di solidarietà internazionale

 Radiè Resch di Verona – Giugno 2015

Cari amici della solidarietà della Rete Radié Resch di Verona, questa lettera è l’occasione periodica di riflessione e discussione sui grandi temi che ci coinvolgono, come scelta personale e spirituale, temi legati alla giustizia e alla responsabilità, in attesa di una vera discussione, possibile solo quando ci possiamo incontrare di persona, nei nostri incontri periodici o anche nell’incontro festoso di fine anno sociale. Quest’anno quell’incontro di festa sarà sabato 13 giugno prossimo, nei Giardini Pettenella Picotti, di via Marsala 12 A. E questo è l’invito di questa comunicazione. Ci vediamo la sera del 13.6, alle 20 circa. E subito dopo questa notizia gioiosa, un’altra comunicazione lieta: è stato proclamato santo il vescovo Romero, come da tempo tutti aspettavamo, salutato come santo da tutti fin dalla sua morte, il 24 maggio 1980. Un vescovo che viene ammazzato durante la messa perché invoca di non uccidere, quanto doveva aspettare per vedere proclamata la sua santità, il suo coraggio, il suo eroismo? Ma forse è stato meglio attendere tanto, perché tutti ormai chiedevano con ansia questa dichiarazione. Molti ricorderanno che un piccola delegazione veronese si è recata in Guatemala nel novembre 2012, 2 anni e mezzo fa, ad incontrare i nostri referenti dell’operazione da noi sostenuta in quel bellissimo e sfortunato paese, operazione che avevamo dedicato al vescovo Gerardi: Juan Conedera Gerardi era il vescovo di Città di Guatemala, ammazzato il 27 aprile 1998 per aver denunciato nel libro “Guatemala Nunca Mas” i nomi di chi aveva ammazzato migliaia di contadini indigeni, mentre dovevano rimanere segreti, e quel libro fu scritto con l’aiuto dei preti e delle parrocchie, che raccolsero le testimonianze. Nel nostro viaggio abbiamo cercato di visitare la tomba di Gerardi nella cripta della Cattedrale della capitale del Guatemala, ma non è ancora aperta.  Per fortuna in quello stesso viaggio abbiamo poi visitato la tomba del vescovo Romero, a San Salvador, nella cripta di quella cattedrale. Oggi governo e popolo salvadoregno lo ricordano come patrono nazionale, come martire del Salvador, ed anche noi lo ricordiamo tale, San Romero d’America, come già aveva indicato il Papa Francesco. L’argomento fondamentale della proposta di questo mese di giugno è una riflessione su quanto è emerso nel Seminario di Isola Vicentina, sulla Finanza criminale che sta uccidendo la democrazia ed i diritti delle persone. E’ il tema che la Rete mette in evidenza quest’anno, con 5 Seminari della Rete distribuiti in tutta Italia; ora si riprenderanno quei temi in una giornata di studio a Camaiore, con tutta la Commissione Finanza, quella che aveva preparato i seminari. A Isola Vicentina eravamo quasi una ventina da Verona, ed ora andremo in 4 a Camaiore per approfondire alcuni di quei temi. La relazione centrale è stata di Marco Bersani, uno dei fondatori della Rete ATTAC, l’Associazione che cerca di tassare le transazioni finanziarie, che ora invece avvengono in assoluta libertà, a solo profitto di chi detiene il denaro, impedendo invece ogni diritto di chi il denaro non ce l’ha, cioè la grande maggioranza della popolazione dei vari stati, e specialmente degli stati poveri, chiamati spesso con sarcasmo e disprezzo “in via di sviluppo”. Non valgono più i diritti dei popoli, delle persone in quanto tali, ma solo i diritti di chi ha il denaro, di chi è un soggetto economico, singoli, associazioni, banche, società, e più grandi sono più potere (e diritti) hanno. La denuncia di Bersani, e di tanti altri nel panorama politico internazionale, è chiara e preoccupatissima. La nuova formula è ormai “più capitale e meno diritti”, che riprende la precedente che sembrava più accettabile “meno stato e più mercato”; pare anche che il nuovo trattato atlantico a favore delle multinazionali (le famose Corporations, prevalentemente nordamericane), il TTIP, sarà approvato dall’Unione Europea a fine anno, peggiorando ancor di più la situazione. Sono argomenti molto complessi e dove è facilissimo imbrogliarsi, perché questa è la volontà continua delle Corporation, fare confusione, imbrogliare e fare affari senza intoppi. Sono invece argomenti che vanno approfonditi e discussi, a tutti i livelli, cercando sintesi semplici e abbastanza facili alle quali attenersi nelle nostre azioni e nelle nostre scelte, anche di solidarietà. Provo ora a proporvi una mia analisi semplificata, soprattutto per innescare la discussione e la possibile necessaria “resistenza” a queste ingiustizie. A mio parere le crisi sono 2, e non una sola. E non sono crisi temporanee, passate le quali torneremo all’equilibrio precedente, ad una vita tollerabile, ma sono crisi che cambieranno completamente la situazione, sono crisi di sistema. La prima crisi è in nome di uno sviluppo uniforme: tutti gli stati devono uniformarsi alle nuove tecnologie, tutti devono avere reti di comunicazioni televisive, telefoniche e di internet simili e omogenee, avere autostrade, servizi di trasporto su rotaie, su gomma e aeree, simili e compatibili. Questo è lo sviluppo, il livello cui tutti devono aspirare e che tutti devono possedere, i diritti di cui tutti devono godere; non esiste più l’andare a piedi, l’aspettare, ed anche nella produzione tutto deve essere industrializzato, perché così si produce di più e le merci sono a disposizione di tutti, senza troppi controlli sulle merci, senza fermarsi a pensare che occorrono denari per godere di quei beni e di quelle merci, e i poveri non ne potranno mai disporre, di un’auto, dell’energia elettrica in casa, eccetera. E così una diga e una centrale elettrica è un’esigenza primaria, nessuno vi si può opporre, perché altrimenti si oppone al progresso, allo sviluppo, si oppone alla vita migliore di tutti (di tutti chi?). Non conta il piccolo, l’esperienza locale, la coltivazione casalinga, le foreste dell’Amazzonia, vanno sostituite con coltivazioni più efficienti, più “economiche”. In America Latina sono molte le popolazioni che si oppongono da tempo a queste scelte che non passano attraverso la discussione con i rappresentanti indigeni. Ma la resistenza pare avvenire solo nei paesi diversi da Usa e Europa, dai paesi più avanzati industrialmente, dal G8, cui ora si aggiungono i nuovi paesi ricchi, i BRICS, Brasile Russia India Cina Sudafrica. Ho visto fotografie recenti delle città cinesi di oggi, città storiche e artistiche, dove accanto alle vecchie case di legno, decorate artisticamente, con vecchie tegole di bambù, spesso patrimonio dell’umanità, nascono a centinaia case nuove tutte uguali, casermoni in cemento armato, con tutti i servizi, l’energia elettrica, l’acqua potabile, le linee telefoniche e a fibra ottica, le fogne. E le vecchie case saranno presto abbandonate, come a Pechino, le vecchie case attorno a piazza Tien An Men. E si costruiscono enormi dighe sui fiumi, si inondano territori immensi, si fanno centrali nucleari vicine al mare, pensando di poter tenere tutto sotto controllo ed opporsi a qualsiasi pericolo o incidente. Tutto viene cementificato, tutto deve essere uguale, lo sviluppo è un obbligo, chi vi si oppone non fa il bene della gente, della città, della zona. E l’abbiamo visto bene l’esempio del Guatemala, ricordate il film “El oro o la vida” che ha introdotto il Convegno della Rete del 2012; dell’oro, del petrolio, dell’energia c’è bisogno, non ci si può opporre al progresso. E si deve scegliere, l’oro o la vita, o l’una o l’altra, sono cose in antitesi. E non scelgono le persone, le istituzioni elette, solo i governi e le banche. I diritti delle persone non contano, contano solo i diritti di chi ha il denaro. La seconda crisi è più feroce, più distruttiva, è la crisi del debito e della schiavitù perpetua, perché per realizzare quello sviluppo gli stati devono acquistare infrastrutture, macchine, tecnologie, e per far questo devono indebitarsi in modo irreparabile. I funzionari ed i politici che decidono queste nuove realizzazioni vengono tranquillamente corrotti, chi si oppone viene semplicemente eliminato, o con un incidente d’auto, o con un assassinio, o con un golpe militare (Marco Bersani ha citato Allende in Cile, o Arbenz in Guatemala, o Mossadeq in Iran); e gli stati si trovano sulle spalle debiti enormi, che non riescono a saldare, non ci riusciranno mai, e diventano così schiavi di chi vende quelle attrezzature, e devono anche votare all’ONU dalla parte di chi li sta impoverendo, depauperizzando. Il libro di Jhon Perkins è chiarissimo nel merito, “Confessioni di un sicario dell’economia”. Perkins era uno di quei sicari; l’economia che viene ammazzata dalla finanza e dalla violenza significa tutti i servizi e i beni comuni che gli stati, le comunità, dovrebbero assicurare ai loro cittadini, scuola sanità servizi. Tutto viene distrutto e sacrificato al debito, imposto e impossibile da togliere. La Grecia ad esempio ne sta diventando la nuova schiava, non se lo toglieranno mai, e l’Italia fra un po’ ne potrebbe seguirne le orme, anche se le sue dimensioni e la sua storia forse impediscono una procedura così drastica. Tutti gli stati poveri dovranno lavorare solo per pagare i debiti, debiti che non hanno voluto. Bersani ha indicato però come nello Statuto dell’ONU si possono (si devono!) rifiutare e non pagare i debiti illegittimi e odiosi, quelli che tolgono il cibo o le cure ai bambini e alle popolazioni, e ha indicato che l’Ecuador è stato uno dei primi stati che ha ridiscusso il suo debito, riducendolo enormemente. Anche Padre Zanotelli l’ha ripetuto con forza: questi debiti odiosi, che tolgono i beni comuni alle popolazioni, vanno eliminati proprio perché odiosi. Questa mi pare la situazione che ci opprime oggi e che potrebbe opprimerci sempre più nel futuro, soprattutto i paesi poveri, i più vulnerabili, anche ai disastri ecologici. Per quale futuro dobbiamo impegnarci? come resistere a queste ingiustizie e ridare i diritti e le risorse per il futuro, ai nostri figli ed ai popoli poveri, che sono un po’ i nostri figli, il nostro futuro? Non può davvero esistere un mondo futuro con le risorse in mano solo ad una minoranza di ricchi, che se le mantengono con ogni mezzo, anche con la violenza. Questo – più o meno – è lo stato delle cose, la prospettiva di sviluppo obbligato e di debiti incombenti. Quale rivoluzione si preparerà? La faranno certamente i popoli poveri, i ricchi non vogliono cambiare e difficilmente cercheranno cambiamenti possibili. Ma anche da noi ci sono ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri. Anche da noi ci si deve ribellare. E poi ci si meraviglia di tanti migranti, di tanta gente che fugge dall’Africa, dal Medio Oriente, dalla Tailandia, da guerre e dalla miseria, da una situazione che non assicura niente ai loro figli. Quando si è alla disperazione si fugge, disposti a tutti, non si ha nulla da perdere. Era così anche in Italia, dal 1830 al 1950, rileggiamoci quei racconti di emigrazione e di disperazione. Bisogna cambiare le cose là, certamente, ma come? Chi lo dice, in realtà non vuole spendere nemmeno un cent per cambiare la situazione nei paesi poveri, figuriamoci se è disposto a impegnarsi in un’azione politica. Noi con la Rete abbiamo preso un piccolo impegno in questo senso, di assistere concretamente i loro progetti di liberazione, anche piccoli ma reali. Ricordiamo le parole di Paul Gauthier a Ettore Masina “Non venite qui ad aiutarci, cambiate le situazioni di schiavitù e asservimento nei vostri paesi”. Non è cambiato niente, se non in peggio. Il movimento mondiale per l’acqua è il primo movimento che si è mosso concretamente per opporsi, perché l’acqua non è una merce, è un bene primario, una necessità per la vita. Ma c’è invece un movimento globale per rendere private anche queste aziende, tutto privato, in mano a poche aziende controllate dal capitale, con movimenti enormi per acquisire clienti, per concentrare il capitale in mano ad alcune aziende più grandi e più forti che determinano ogni aspetto nel settore. Adesso si vuole concentrare anche le aziende di servizi: ha telefonato a casa nostra l’azienda di Milano A2A, per togliere clienti alla nostra AGSM. Se ci sarà un guasto arriveranno i tecnici da Milano? O non è meglio tenerci i nostri e fare più attenzione al territorio, ai nostri diritti, ai beni comuni? nostri e di tutte le persone umane? Sono argomenti enormi e complessi, e saranno quelli in discussione nei prossimi anni, di fronte ai cataclismi ecologici che potrebbero distruggere l’umanità nei prossimi 10-20 anni. Avremo molte occasioni per riflettere e discutere, iniziamo ora. E il primo incontro  sarà sabato 13 prossimo, vi aspettiamo. Un caro saluto da

Silvana e Dino

Lettera circolare della Rete di solidarietà internazionale

 Radiè Resch di Roma – Giugno 2015

Carissimi amiche e amici, alcune considerazioni su temi diversi.

Finanza speculativa

Da molti mesi la nostra Rete, avvertendo l’estrema importanza dello strapotere della finanza internazionale nel mondo globalizzato, tale da condizionare la politica dei governi e, di riflesso, di influenzare negativamente le condizioni dei popoli del Sud del pianeta, dove tentiamo di concretizzare la nostra solidarietà, ha deciso di affrontare l’argomento. Si è costituita una Commissione finanza che dopo un egregio lavoro ha fornito elementi di indirizzo per la discussione in cinque seminari interregionali (a quello di Salerno non è potuto andare alcuno di Roma, purtroppo). In autunno si terrà un seminario nazionale dove verranno tratte le conclusioni del lavoro svolto. Da notare che “Finanza speculativa” è sinonimo di “Finanza criminale”, termine probabilmente più adatto per indicare le finalità dei potentati finanziari volti a sottomettere tutto e tutti ai loro voleri. Ricordo che parecchi decenni addietro il nostro Ettore ci parlò in alcune sue circolari della “Trilaterale”, dandone un giudizio negativo in quanto rappresentava, in certo modo, una istituzione tendente a distorcere le normali intese politico-economiche tra gli Stati. Oggi il problema è molto più preoccupante.

Islamismo e mondo arabo

L’arretratezza di tutto il mondo arabo, innegabile, in gran parte dovuta alle divisioni tra le diverse correnti religiose dell’islamismo (perdonate la non proprietà del mio linguaggio al riguardo) in lotta spesso feroce tra loro, hanno prima causato il tramonto delle speranze suscitate dalle cosiddette “primavere arabe” e poi generato comportamenti pazzeschi, come stragi di innocenti, decapitazioni e altre crudeltà fomentati dall’ISIS e attuati in Africa, Medio Oriente, Europa. In Occidente si tende per lo più ad attribuire simili barbarie al fondamentalismo islamico e al dettato coranico spinto alle estreme conseguenze. Non è così; in questa materia non si può cedere al semplicismo. L’autore marocchino Tahar Ben Jelloun, poeta, romanziere e giornalista, Premio Goncourt nel 1987, nel suo libro E’ questo l’Islam che fa paura, edito in Italia da Bompiani, cerca di sfatare luoghi comuni diffusi. A proposito di autori di crimini commessi in Francia da figli di immigrati scrive: “Per la schiacciante maggioranza dei musulmani, sono degli ignoranti e dei criminali che si servono dell’islam come copertura per realizzare i propri programmi. Non c’è nulla di peggio dell’ignoranza accresciuta dall’arroganza. Va detto però che, anche se si dimostra…che sono dei cattivi musulmani, per la maggior parte della gente è questo il volto orribile dell’islam che resta impresso. Ci vorrà molto lavoro da parte dei media, molta pedagogia nelle scuole per cancellare questa immagine” (pag.29). Più avanti l’autore cita il prof.Henry Laurens, insegnante di storia contemporanea del mondo arabo e musulmano al Collège de France (Le Figaro, 15 gennaio 2015): “Penso che la prima causa dell’islamofobia derivi da certi musulmani che incitano all’odio…”. Per poi proseguire: “Quando si legge con intelligenza il Corano, ci si rende conto che è un testo di grande bellezza, pieno di poesia e di umanità. Ma appena si mettono gli occhiali della lettura letterale, quando si interpreta in modo ristretto, si può fargli dire quello che si vuole” (pagg.54 e 55). E’ qui che noi dobbiamo riflettere prima di lanciare facili condanne. La conclusione del nostro scrittore è la seguente: “Non è l’islam che va cambiato, sono i musulmani. Per questo vanno previste e intraprese azioni educative che coinvolgano diverse generazioni” (pag.78). Ci sarà il tempo necessario affinché si realizzi un così lungo percorso? Lo speriamo vivamente.

Fraternità, uno dei tre princìpi del 1989

Padre Ernesto Balducci citava frequentemente i tre sacri princìpi della Rivoluzione francese, tenendoli in gran conto e attribuendo loro un valore universale e permanente. Non sono però tutti egualmente rispettati. Ricordiamo intanto che fraternità e fratellanza sono sinonimi. Lo scrittore belga David van Reybrouck, vincitore dell’ultimo premio letterario internazionale Tiziano Terzani, nota che mentre il Diciannovesimo secolo è stato il secolo dell’uguaglianza e il Ventesimo quello della libertà, il Ventunesimo dovrebbe essere quello della fraternità. In realtà gli ostacoli appaiono consistenti: nel Trattato di Lisbona – osserva lo scrittore – la parola ‘libertà’ ricorre 38 volte; la parola ‘uguaglianza’ 26 volte; la parola ‘fraternità o fratellanza non appare mai. Forse perché la “fraternité” è un valore fastidioso. Desumo tutto questo da un articolo apparso su il Fatto Quotidiano dell’8 maggio scorso dal titolo significativo “Abbiamo perso la fratellanza”, ricco di molte altre riflessioni attinenti al tema. Sapete, amici, quante volte ho menzionato la fratellanza universale quale astro da raggiungere per la pacificazione del genere umano, e aldilà della realizzabilità del sogno. Per quanto mi riguarda continuerò a “sognare” e a sostenerlo essendomi convinto della sua sacralità, insieme alla compagna di una vita, poco a poco, nel volgere degli ultimi decenni. Lo affermo in tutte le occasioni, parlandone con chiunque sia disposto ad ascoltarmi, senza timore di apparire un illuso o un ingenuo. E convinto di essere sulla strada giusta.

Medici Contro la Tortura

L’associazione MCT che seguiamo da un ventennio, oltre che a proseguire sul suo cammino recando benefici consistenti a un numero sempre elevato di vittime di tortura, ha intrapreso un rinnovamento significativo della sua strutturazione per adeguarla ai tempi cambiati, allo scopo di renderla sempre più efficiente. Sono stato presente a due assemblee indette a tal fine e sono rimasto ammirato dalla rinnovata passione di tutti i partecipanti, ampliatisi con nuove adesioni, e dal realismo con cui stanno affrontando il loro compito. In Italia manca tuttora una seria legge contro la tortura; quella messa in cantiere dopo la reprimenda di Strasburgo è largamente incompleta e, inoltre, si basa sugli avvenimenti della Diaz del 2001, mentre avrebbe dovuto puntare, a mio parere, in presenza o meno di una denuncia specifica, sui fatti di Bolzaneto. Alla Diaz si trattò di un massacro (una “macelleria messicana”, come la definì un vicequestore); alla caserma di Bolzaneto si verificarono invece torture vere e proprie, prolungate e differenziate. La storia si incaricherà di ristabilire la verità. Sarebbe interessante un parere dei nostri amici medici.

La Convenzione sociale

Alla recente due giorni della convenzione svoltasi a Roma ho potuto affacciarmi solo il primo giorno, ma Serena l’ha seguita tutta. Chi legge i giornali – i tg sono in genere ancor più inattendibili – può essersi reso conto, in specie leggendo il Fatto, del tenore della discussione ricca di interventi, tra i quali assai significativi quelli di Landini, Rodotà, Carlassare. C’è ancora tanto lavoro da fare per creare questo nuovo soggetto politico-sociale, non partitico ma in grado di condizionare i vecchi partiti e di orientare i cittadini a impegnarsi in prima persona, con un lavoro sul territorio, per creare nuove prospettive di partecipazione e rinnovamento. Secondo me la partecipazione al progetto di associazioni come Libera di don Ciotti e tante altre simili è garanzia di serietà e volontà di essere costruttivi. Calunnie e derisioni della politica corrotta non sfiorano minimamente i promotori e gli aderenti all’iniziativa. E’ chiaro che occorrerà un certo tempo per definirne i contorni e per vedere i primi risultati. Giorni prima ero stato all’assemblea di “Libertà e Giustizia”, a Testaccio, dove sono stati trattati i temi politici del momento. Ho apprezzato assai gli interventi di Paul Ginsburg, di Stefano Rodotà e di Maurizio Landini, in certo modo anticipatori della convenzione del 6 e 7. La voglia di fare, di cambiare, ma sul serio, non manca; la folta folla intervenuta e gli applausi insistiti lo attestano.

Unione Europea, migranti, Italia

La questione dei migranti sta diventando incandescente. Del dare soccorso ai disperati che fuggono da condizioni di vita inumane e dalla morte si occupano davvero solo i soccorritori in mare e pochi altri sulla terraferma. La UE, l’ONU, molti e civili Paesi europei se ne disinteressano o fingono di fare qualcosa. Il nostro Paese non riesce a farsi ascoltare in Europa e vediamo che l’insofferenza verso gli ultimi della Terra cresce di giorno in giorno, non solo a opera dei fascisti cavernicoli della Lega e dei loro simili, ma di buona parte dell’opinione pubblica, priva di un minimo di umanità. Quindi: nessuna conclusione alle viste. C’è da chiedersi se l’Europa, nata male e proseguita peggio (vedi il caso Grecia) avrà un futuro. Barbara Spinelli sostiene in sostanza che c’è del marcio nella nascita dell’euro: si unificano le monete senza una unità politica fra europei e una vera costituzione democratica. Ecco, dico io, le meraviglie del liberismo e dei cosiddetti mercati. Papa Francesco, quasi in solitudine, dà esempi di buona volontà accogliendo un po’ di senza tetto e predicando misericordia. Basta? Gli si presta ascolto? Non cediamo allo sgomento. Chi può prosegua in quanto di buono, di altruistico, sta facendo; sarà di esempio.

Un saluto più di sempre fraterno.

Mauro Gentilini

Lettera circolare della Rete di solidarietà internazionale

Radiè Resch di Quarrata – Maggio e Giugno 2015

Ci sono delle guerre, e la gente è costretta a scappare per mettersi in salvo.

Ci sono secoli di sfruttamento coloniale, per cui l’Africa è poverissima. C’è lo sfruttamento anche oggi in tempo reale, da parte delle Multinazionali, Congo e Nigeria, Paesi potenzialmente ricchi, con il 90% della popolazione in miseria.

Ci sono le guerre d’aggressione degli Usa, che hanno seminato odio e desiderio di vendetta.

Ci sono i finanziatori che seminano fondamentalismo religioso per acquisire potere, e la ricchezza l’hanno già.

Ci sono guerre di religione che collocano una parte del Pianeta indietro di secoli, prima dell’Illuminismo.

Ci sono i mercanti d’armi, e sono fra noi, che agiscono indisturbati nell’ombra, e nessuno, pur conoscendoli, li tocca, perché danno lavoro a coloro che si arricchiscono costruendole.

Ci sono le religioni che non dicono il nome del cancro, il desiderio di ricchezza, il sogno americano, il capitalismo, perché ne sono contaminate.

Ci sono dei capitalisti ricchissimi che navigano fra i vari paradisi fiscali, nessun radar li intercetta.

Ci sono poveri che, finché sono tali, cercano la giustizia, poi quando non lo sono più, cercano la ricchezza e delegano a i poveri rimasti l’impegno per la giustizia.

Ci sono le differenze blasfema fra il Nord e il Sud del mondo, dove il 10% mangia l’90% della torta.

Ci sono i mass-media che predicano per 24 ore al giorno il “Beati i ricchi”, l’individualismo, la competizione, e spaccia per verità il pensiero unico neoliberista, lavorando in modo che i poveri si combattano fra loro mentre l’oligarchia dei ricchi e potenti continua a prosperare tranquilla.

Ci sono gli inganni delle promesse che ognuno potrà vincere, fare fortuna, avere successo, arrivare primo o fra i primi, mentre la realtà è che se uno vince, l’altro perde.

Ci sono quelli che costruiscono il loro potere politico sugli aspetti negativi della nostra società e della nostra cultura, per cui questo negativo è destinato a crescere, questa metastasi a proliferare, a vantaggio di chi?

Non c’è nessuno che sia al potere, che pensi che se le spese destinate agli armamenti – tre milioni al minuto – venissero usate per creare giustizia ed eguaglianza, dopo, degli armamenti, non ce ne sarebbe più bisogno.

Non c’è nessuno che pensi di usare i soldi che i migranti danno agli scafisti per trasportare al sicuro i migranti stessi, e metterli in condizione di contribuire al loro sostentamento – 3/4.000$ è il costo di un viaggio a rischio della morte.

Di fronte a tutto ciò e a molto altro, tutto diventa occasione per spargere semi di futuro e piantare la segnaletica della speranza. È fondamentale riconoscere e accogliere l’alterità come ricchezza delle differenze per superare l’individualismo che ci rende in-differenti per camminare sperimentando nuovi percorsi di giustizia locale e globale.

Fino a comprendere che nei nostri ritmi quotidiani, nei nostri ritmi dell’esistenza, ogni piccola scelta potrà sembrare inutile, ma può essere l’azione che manca, il momento vitale necessario per qualcosa di più ampio, di necessario, di più grande.

Un invito a guardare, a capire la forza del presente, l’unico terreno sul quale potremo concretamente agire per far sì che la nostra vita esprima la bellezza e l’unicità del suo senso. E perché è dai piccoli cambiamenti che fiorisce la speranza del mondo.

Antonio

Lettera circolare della Rete di solidarietà internazionale

 Radiè Resch di Padova – Giugno e Luglio 2015

 I poveri in genere non fanno paura, fanno paura i poveri che pensano.

Eduardo Galeano

Carissime/i, questa ns lettera, come ogni anno, ci ricorda impegni, date e ricordi per i prossimi due mesi, giugno e luglio. Il primo invito è per martedì 23 giugno 2015 alle ore 21 precise a casa di Gianna Elvio via Spalato 9 Padova (049 618997) sarà tra noi Beppe Ghilardi della Rete di Casale Monferrato; Beppe è infermiere al Pronto Soccorso nel Dipartimento di Emergenza Urgenza e Accettazione. Nello scorso febbraio ha passato tre settimane tra i contadini di Haiti, accompagnato dagli amici di FDDPA. Di lui ha scritto Jean Bonnélus: “Abbiamo apprezzato molto il suo metodo di lavoro e la dedizione che ha dimostrato durante il suo soggiorno qui, e soprattutto la sua solidarietà attraverso consigli, osservazioni e le buone idee che ci ha prodigato. Una volta arrivato qui, non si è comportato come un osservatore ma come un vero uomo d´azione. E’ esattamente di questo tipo di solidarietà che abbiamo bisogno e che abbiamo sempre avuto con la RETE. Noi ne siamo molto riconoscenti”. Ascolteremo con attenzione il racconto che vorrà farci della sua esperienza. Vi aspettiamo numerosi. Per continuare a fare memoria di p. Lele nel 30° della sua uccisione come ogni anno, in una domenica di metà luglio, ci sarà una messa nella chiesa di San Giuseppe a Padova (per la data e l’orario sentire la parrocchia (049 8718626) e/o missionari comboniani (049 8751506). Noi lo ricordiamo con un testo sulla “memoria dei martiri” e con l’invito alle celebrazioni che ci saranno nel mese di luglio.

RETE RADIE RESCH
Relazione sintetica sul SEMINARIO “La speculazione finanziaria: un disastro che impoverisce l’umanità” Che cosa possiamo fare?
Reti del centro-est Ancona-Missionari Saveriani - 16 maggio 2015-
Presenti 15 (solo io di Pescara, 6 di Macerata, nessuno da Pesaro, resto da Ancona).
Ha presieduto da par suo Padre Alberto Panichella.
Nostro relatore è stato il Prof. Roberto Mancini, docente di filosofia teoretica all’Università di Macerata e di “economia umana” in un centro universitario della Svizzera italiana.
Mancini si è posto subito la domanda sui modelli alternativi al capitalismo: l’economia non è una scienza o un dato di natura, ma è scelta e cultura! No al delirio della società ridotta tutto a mercato ed azienda (scuola, ospedali, ecc.). Il mondo sta scoppiando: terrorismo, conflitti, fondamentalismi, fanatismi, politiche di potenza, povertà, ecc.. Il capitalismo si presenta come economia naturale, necessaria, umana e si dichiara senza alternative, con un discorso ricattatorio che in realtà sta portando a un disordine mondiale ad alta precarietà.
Siamo di fatto alla “dichiarazione universale dei diritti del denaro, non dell’uomo”. Le grandi religioni spesso convivono con ogni ordine sociale e politico al posto di rovesciare i tavoli dei mercanti....Il vero ateismo nella Bibbia è invece il culto del denaro (viva la libertà dal denaro!) . Tanta ignoranza antropologica sta portando al solo correre e competere, al potere delle sole multinazionali a scapito degli Stati, alla guerra di tutti contro tutti, alla finanziarizzazione nefasta dell’economia, all’abbandono graduale dello stato sociale, ecc..
E’ saltato il compromesso capitalismo/democrazia/stato sociale con globalizzazione, crisi petrolio, via libera ai capitali, rivoluzione informatica, finanza ad alta velocità, computer che scelgono in tempo reale, crollo dei Paesi socialisti: gli USA ci hanno scavalcati a sinistra con l’intervento dello Stato! Urgono risposte non superficiali, di altra civiltà non solo di altra economia! La democrazia di fatto non ha istituzioni internazionali; è da costruire una vera Europa che rappresenti i popoli non i Governi. Urge una svolta spirituale nel senso della vita: dobbiamo imparare ad amare coma San Francesco. Un amore che sia politico, sociale, economico, all’altezza dei grandi temi di oggi (migranti in arrivo: l’Europa ha un grande debito storico verso l’Africa!). Urge un’altra economia che parta dalla democrazia con “relazioni di dono”. Sono già in campo vari modelli e intuizioni: Gandhi, Islam, comunità, decrescita, solidarietà, partecipazione, equo e solidale, bilanci di giustizia, finanza etica, ecc.. Occorre avere e sollecitare coscienza critica, reagire alla disperazione, fare la nostra parte, fare politica (prima la dignità umana e dare nome diverso all’economia!).
Ognuno di noi può e deve fare qualcosa in un contesto di benefico pluralismo. Tremo quando mi sveglio la notte pensando al futuro dei nostri figli! Non disperdiamo energie. Cristo è Signore della Storia, non il mercato. C’è emergenza educativa ma riguarda soprattutto noi adulti. No al paternalismo verso i giovani: credere in loro! Non responsabilizzarli troppo: ci vuole alleanza generazionale.Varie le testimonianze e gli stimoli del dibattito, specie con riferimento alla precarietà dilagante, alla drammaticità di tante situazioni, 
alla complessità di tante realtà ed alla inadeguatezza del nostro possibile FARE rispetto ai grandi temi prospettati. 
Per tutti, urge una economia umana ad alta intensità antropologica.
Padre Panichella, forte anche della esperienza missionaria in Brasile, ha sottolineato con forza la necessità di avere UTOPIA, di costruire insieme, di lottare unitariamente dal basso e di “socializzare la produzione”.
Il sottoscritto Silvestro ha ripetuto la sua nota litania: non basta sbandierare e urlare valori, occorre scendere di piu’ sui programmi, considerando anche tempi e forze in campo ed escludendo al massimo
referenzialità, esclusivismi e narcisismi personali e di gruppo, facendo adeguato tesoro delle tante nostre esperienze al riguardo. Fare quindi molta RETE e avere senso e pazienza della storia!. E’ fondamentale la conoscenza approfondita del quadro dei problemi in tutta la complessità e difficoltà senza mai arrivare alla cultura dell’impotenza: “cercò di fare la sua parte” deve essere la scritta tombale di ognuno di noi!
Una considerazione finale personale: il Prof. Mancini è soprattutto un filosofo e probabilmente non ci ha riempito a sufficienza il cestino del “che fare”. Ci ha però fornite solide coordinate culturali, ecclesiali e politiche, ottimo occhiali per vedere bene la realtà e preziosa bussola per orientarci nel cammino. A noi il resto.Seminario
Silvestro Profico


Seminario su Finanza Speculativa
Reti del centro sud – Giugno 2015
I lavori del seminario sono iniziati con l’introduzione di Lucia Capriglione, che ha illustrato lo storia e lo spirito della Rete Radia Resch nei suoi 50 anni di vita, e presentato le associazioni partecipanti: Libera, Banca Etica, Comitato Acqua Pubblica, Spazio Riff Raff, Communia.net, Ufficio diocesano per i problemi sociali e del lavoro, i referenti e i relatori; ha introdotto l'argomento della Finanza Speculativa, causa di molti dei problemi che ci affliggono oggi, e del modo in cui se ne potrebbero rimuovere le cause e gli effetti. L'intervento di Baranes si è incentrato sulle anomalie della finanza pubblica di oggi, e di come queste ci vengano comunicate. La finanza speculativa ha abbandonato l’economia reale, creando una finanziarizzazione dell'economia con un moto acceleratissimo verso il profitto, nel senso che le speculazioni finanziarie in borsa hanno preso il sopravvento sull'economia reale produttrice di beni e di servizi. Il denaro non è prodotto da beni che vengono commerciati, ma dalla vendita del denaro stesso: speculazioni, derivati, etc. Ad esempio, il prezzo dei generi alimentarti non è determinato dalla quantità della produzione, ma dalle loro quotazioni di borsa. Questo ha causato la morte di aziende e fabbriche, la disoccupazione, il fallimento di banche e dunque la perdita di beni: sono nate nuove povertà, e si sono accentuate le già inesistenti disparità sociali. Il racconto delle cause e dei punti di partenza della crisi che attanaglia i nostri paesi, la sua evoluzione e la sua difficile soluzione ha portato all'evidenza della perdita continua di diritti da parte della gente comune, ma anche delle nostre stesse democrazie, e di continue sottrazioni di sovranità in favore del profitto e delle grandi multinazionali del commercio (vedi ad esempio il TTIP), mentre gli Stati sono chiamati a risolvere la crisi dell’economia dando aiuti a gruppi privati (banche soprattutto). Di qui la necessità, secondo Baranes, di regolamentare sempre più i rapporti economici ed il sistema in termini di trasparenza ed equità. La sua proposta è stata quella di responsabilizzare di più il cittadino sia in termini di informazione che di scelte partecipate. Il seminario è proseguito poi con la testimonianza di Maria Rita della Rete di Noto, che ci ha illustrato il progetto seguito dalla sua Rete in Patagonia, a sostegno della comunità indigene là residenti (Mesa Campesina). Il progetto si svolge all’interno della Provincia di Neuquen, zona molto ricca di minerali di uso industriale e dispone di enormi riserve di gas, tutto questo in mano allo Stato provinciale e ad imprese private. La popolazione, i “mapuche”, è rurale nella quasi totalità, le terre dove essi vivono da tre o quattro generazioni, sono demaniali, per cui essi pagano un canone di locazione. La costituzione Provinciale prevede la riforma agraria e l’assegnazione di queste terre a coloro che le occupano e vi lavorano. Di fatto fino ad oggi il titolo di proprietà è stato riconosciuto solo a pochissimi e la Provincia spesso vende a ricchi “estancieros” o a imprese petrolifere che poi li recingono col fil di ferro e fanno sloggiare i campesinos con la forza. Il Vescovo Mons. J. De Nevares ha promosso nel 2000 l’incontro tra i campesinos e l’associazione “La Mesa campesina” per poter difendere i propri diritti e nel novembre l’attuale Vescovo, Mons, M. Melani, chiede alla Rete RR di appoggiare la “Mesa campesina”. Il progetto compie una svolta importante quando si appoggia a un avvocato che rende più efficaci le rivendicazioni. Dopo varie traversie legislative è stato indetto un referendum che ha detto finalmente no all’attività estrattiva cinese. Evidentemente il problema non è risolto del tutto, perché la multinazionale ha fatto causa al governo argentino per perdita di utili. La seconda testimonianza è quella di Matteo Potenzieri, ex operaio della Italcables di Caivano. La sua presenza è stata espressamente voluta dagli organizzatori del seminario come esempio concreto dell'effetto della crisi internazionale sulla economia locale, e quindi sulle nostre stesse vite; la crisi non è qualcosa che avviene lontano da qui, ma è qui, e riverbera i suoi effetti nefasti sulle vite di tutti. Ma questa testimonianza è stata anche, allo stesso tempo, esempio della possibilità di riprendere in mano il proprio destino economico e di riagganciarsi all'economia reale attraverso la partecipazione attiva. La Italcables di Caivano è una fabbrica leader nel suo settore, uno dei sette produttori mondiali di cavi e corde d’acciaio per piloni precompressi che servono a realizzare ponti e viadotti, ed era in pieno regime di produzione quando la multinazionale che la gestiva ne ha deciso la chiusura, a causa di speculazioni finanziarie sbagliate. Dopo inutili lotte e tentativi di evitare il fallimento della fabbrica e dunque il licenziamento di centinaia di operai, un gruppo di questi sta ora cercando di acquisire la fabbrica, investendo l’indennità di mobilità percepita, e con l’aiuto dei prestiti concessi da Banca Etica. Questo intervento ha messo in evidenza quanto l'economia globale ci riguardi da vicino, per le tentacolari ramificazioni assunte dalle operazioni finanziarie. Il terzo intervento, infine, è stato quello di Maria Josè D’Alessandro da Cosenza sui MAG, letteralmente i Mutui di autogestione del credito, di cui ci ha illustrato il funzionamento e le modalità di richiesta ed utilizzo a sostegno di iniziative economiche non volte a finanziare neanche indirettamente traffici di armi, fumo ed altre attività nocive. Maria Josè ci ha raccontato della realtà calabrese e del buon esito che stanno avendo con la loro iniziativa, partendo dal presupposto che il prestito è un diritto umano e come tale deve essere privilegiato. Dopo il pranzo sociale sono ripresi i lavori del seminario, volto a trovare delle risposte pratiche e concrete alle problematiche affrontate durante la prima parte del seminario. A tal proposito Silvana Barbirotti ha proposto di creare dei sottogruppi per lavorare sulla formazione e coinvolgimento dei ragazzi nelle scuole. Onofrio Infantile ha accolto la proposta, proponendo a sua volta di entrare nelle scuole come associazione. Maria Teresa Schiavino ha sottolineato l’esigenza di approfondire il rapporto politica- finanza, indirizzandoci verso una scelta consapevole del gruppo politico che ci deve rappresentare e che deve portare avanti queste battaglie anche a livello istituzionale. Lucia Capriglione a proposto di dare sostegno alla campagna Banche Armate che può coinvolgere anche le parrocchie e le amministrazioni locali. Ermanno Minotti ha proposto di creare gruppi territoriali di riferimento. Josè Maria D’Alessandro ha parlato dell’esempio del giornale on-line Moviduepuntozero, che lavora sulla comunicazione e ha pubblicato di recente un Quaderno di economia solidale scaricabile da tutti, e molto utile per comprendere le dinamiche economiche in atto. Baranes ha sottolineato l’esigenza di lavorare dal basso e fare rete tra più gruppi e persone per poi poter agire come massa critica su base nazionale. E’ un discorso di carattere culturale a dover essere smontato più che quello legato ai centri di potere, ed ha fatto l’esempio del sito Sbilanciamoci.org, che si impegna a proporre ogni anno una legge finanziaria e a presentarla ad ogni gruppo e commissione parlamentare. Con Sbilanciamoci si fa comunicazione e formazione e l’obiettivo è soprattutto quello di smontare l’idea che sia la finanza pubblica ad essere il problema e non, invece, quella privata; e, soprattutto, smontare l’idea che privatizzare sia l’unica soluzione. Peppe Sottile di Banca Etica ha sottolineato comunque l’esigenza di un'autoformazione continua facendo riferimento a vari siti che si occupano di queste problematiche, e soprattutto, di fare rete. Per Baranes un esempio di rete sono i DES, Distretti di Economia Solidale che mettono insieme, ad esempio, le botteghe di commercio equo e solidale, i GAS e la finanza etica. Tutti hanno convenuto che sia fondamentale incontrarsi tra le varie associazioni locali periodicamente per fare il punto della situazione e portare avanti campagne comuni, tipo il TTIP, programmando ed organizzando iniziative sul territorio. La campagna contro il TTIP, per la sua urgenza, è quella su cui si dovrebbero maggiormente indirizzare gli sforzi nei prossimi mesi.

Seminario
Reti del nord ovest – Maggio 2015
RELAZIONE DI GIANNI TOGNONI segretario TPP (Trib. Permanente Popoli)
Ci troviamo in una situazione in cui, per realtà come RRR e TPP che rappresentano punti di vista e strumenti di lavoro minoritari rispetto alla storia, gli spazi d’azione si restringono. Sappiamo che, nonostante le affermazioni di Erri de Luca - riprendere sempre - non è facile lavorare quando non si vince mai. E non è sempre possibile riprendere, perché gli spazi si restringono, cambiano interlocutori, contesti, strumenti. Per questo l’obiettivo della giornata di oggi, per la RRR come per il TPP, è una riflessione, molto concreta, non teorica, sulla traduzione delle nostre rispettive identità nella realtà di oggi.
RRR E TPP NELLE SITUAZIONE ODIERNA
Per il TPP, la Dichiarazione universale sui diritti dei popoli del 1976 deve essere riformulata. Dichiarazione storica, che, proprio per questo, non si tratta di “aggiornare”; va invece verificato se quella dichiarazione oggi può applicarsi a soggetti comparabili con quelli che c’erano quando è stata emessa. Le domande da porsi sono: chi sono i popoli oggi? il concetto di universale (nella dichiarazione universale dei diritti umani indica quei diritti che dovevano essere di tutti e arrivare a tutti) ha lo stesso senso di prima? Il concetto assume un valore diverso in un contesto in cui le regole del gioco sono cambiate: oggi la diseguaglianza non è più denunciata, è constatata e riconosciuta come parte integrante del modello di sviluppo. (Nessuno osa più mettere nei suoi programmi l’obiettivo che ci sia uguaglianza fra gli umani). Come ci si muove in questa situazione?
Oggi il TPP e tutti gli organismi che lavorano a livello internazionale si accorgono che le domande che sono d’attualità nei luoghi in cui sono attivi progetti internazionali, hanno la stessa attualità drammatica anche qua da noi. (Es. Cos’era il Brasile ieri e che cos’è oggi? Oggi il Brasile è protagonista delle contraddizioni con cui abbiamo a che fare: anche in Italia le diseguaglianze si stanno radicalizzando e dunque le domande sull’economia, sul destino delle persone concrete in Brasile e in Italia sono le stesse.) Noi, oggi, siamo il paese dell’Expo o un paese vicino ai PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna), che sopravvive a livelli appena un po’ superiori a quelli della Grecia, solo perché siamo un po’ più grandi? Per esempio: quella che si gioca in Sanità è la concezione dello Stato (SSN – servizio sanitario nazionale) o quella del mercato, la stessa che gioca nella questione dell’energia e dell’acqua? Tutti i servizi della vita quotidiana sono entrati a far parte del mercato e sono oggetto di quei trattati transatlantici e transpacifici che oggi si sta cercando di imporre. Per queste ragioni è necessario mettersi - RRR e TPP - nella prospettiva comune di guardare in avanti, perché è evidente che risposte prese dal passato devono essere radicalmente rovesciate. Non perché siano sbagliate: il concetto di solidarietà per esempio è attualissimo, ma ha bisogno di applicarsi in una nuova prospettiva, in una situazione che lo renda capace di fare rete con rete.
FINANZA SPECULATIVA E DEMOCRAZIA
Tema centrale di questa riflessione è il rapporto tra democrazia e finanza; finanza come economia virtuale, che può “cambiarsi d’abito” come vuole rispetto all’economia reale, e nella quale la democrazia resta “intrappolata”. Per resistere, per affrontare il livello dello scontro e avere idee in avanti bisogna capire che con questa immagine di economia e finanza si sta proponendo di sostituire l’immaginario dei diritti con un altro immaginario. L’immaginario dei diritti affermava come possibile un cammino e un progetto; la finanza indica come tassativo un percorso (bisogna fare così): si dichiara infallibile. La finanza si pone come una teologia dogmatica, che, per definizione, non è giudicabile, si autovalida, afferma di custodire la verità ed esiste di per sé.Analogia con la storia della Chiesa, nella quale è in atto un percorso, in cui papa Francesco, che non dice nulla di radicalmente nuovo, diventa un rivoluzionario: quando si parla di fame non lo si deve fare in astratto ma pensando a dei volti; nel nostro campo diciamo che la democrazia è un’altra cosa: è qualcosa che ha a che fare con la gente. Nel processo con cui nel mondo si arriva alla formazione delle decisioni, l’ultimo elemento che compare sono i diritti delle persone, anzi le persone stesse, che non possono essere riassorbite in concetti. Le persone sono portatrici di domande concrete, e allo specifico, alle persone si risponde con “il sistema non lo prevede”. In questo contesto dobbiamo riformulare categorie e obiettivi del nostro lavoro, se vogliamo far arrivare i nostri progetti a chi ne ha bisogno. Uno dei temi su cui il TPP lavora non è solo quello della qualificazione giuridica dei meccanismi della finanza, ma se sia possibile oggi porre la domanda sulla legittimità della finanza. La finanza è uno dei nomi che assumono oggi i totalitarismi, di cui non si può parlare, e che pretende di non essere valutata come un totalitarismo; ma essa stessa, attraverso le troike, ecc, distribuisce titoli (populismo, ecc), cioè vede ideologia dove ci sono persone (es. Grecia, invalidi in Italia).
STORIA DI COME SI È SVILUPPATA LA DIALETTICA TRA FINANZA E DEMOCRAZIA
La sfida tra l’immaginario totalizzante della finanza e la democrazia è cosa nuova? La risposta ha a che fare soprattutto con il concetto di democrazia. Crf. G. de Luna, La Resistenza perfetta. Nella Resistenza, nonostante la situazione fosse molto dura, e le differenze profonde, si era creato un immaginario che si fondava sulla possibilità di creare una società in cui la diversità non fosse un ostacolo ad un progetto comune. Lì incomincia una democrazia che ha prodotto qualcosa di perfetto – un progetto, la Costituzione e anche molti interlocutori che si sono posti progressivamente come gestori del progetto, un progetto del vivere umano sulla base dei diritti sempre da “aprire” mai da ritenere conclusi. L’idea di “avere la democrazia” ha prodotto ad un certo punto quella di essere dei privilegiati: poter “esportare” la democrazia, non importa come (Iraq, Libia) poter continuamente ricominciare, ogni volta che qualcosa crollava. Così si è continuato fin negli anni settanta (con le leggi per la laicità dello Stato, diritti dei lavoratori, SSN 1978 - L.883, con la 180 -Legge Basaglia- “l’istituzione negata” …) ma progressivamente si è perso il senso del progetto, si è diventati gestori di una forma in cui le persone sono cancellate. Questo processo è da analizzare con molto senso critico, perché ha a che fare con il rapporto che c’è tra universale e globale. C’è il rischio che qualcuno, sfruttando le suggestioni del concetto di universale, si dichiari tale -come la finanza- per sostituire il diritto universale che è quello che arriva a tutti, con un diritto “globale”: per definizione il globale non ha nulla a che fare con le persone, ha a che fare invece, come la teologia “dogmatica”, con “entità” (il commercio, i beni, le merci, …). Due passaggi sono stati importanti in questo senso per il TPP. Il caso di un’entità “inesistente”, il popolo Sarawi: popolo nomade nel deserto, popolo che non c’è, non ha fatto in tempo ad essere colonizzato, non aveva stato, e neppure la scrittura; poi nel deserto si scoprono i fosfati. Il popolo Sarawi chiedeva di essere riconosciuto come popolo. Il TPP chiude la sua sessione sui Sarawi con un documento in cui si afferma che i diritti universali degli individui non si possono rispettare se non si crea un contesto in cui questi diritti possano essere rispettati, se non c’è la democrazia o se la democrazia è solo formale. Il problema che si è posto per il diritto è come applicare a un mondo in cambiamento un diritto immaginato per un mondo post coloniale e in democrazia, quando le democrazie che c’erano intorno non sapevano come riconoscere un popolo che non c’era. Così si è affermata l’idea di considerare il diritto come una disciplina che, come le altre, e più delle altre, è una disciplina di ricerca, che pone domande che non sono ancora state risolte: inventare diritto, (es. diritto del lavoro e delle persone, trent’anni di lotte). Il diritto non lavora mai senza lotte; senza lotte delle persone il diritto è una trappola perfetta perché dà l’idea di avere tutte le regole e le procedure per cui poter dire che fa le cose “legalmente”, ma ha una certa difficoltà a porre la domanda di fondo, la domanda su se stesso, sulla propria legittimità. La Costituzione - da cui nasce il diritto - è nata non da una procedura, ma dagli uomini che hanno fatto la Resistenza. Della domanda di fondo, relativa alla legittimità del diritto, si è parlato molto nel TPP quando c’è stata la celebrazione della scoperta (o conquista) dell’America; si andava là per interessi di potere, non per portare civiltà, ma per evangelizzare: chi veniva “scoperto” chi si incontrava non era un altro come te, ma uno che o si trasformava nella tua immagine o doveva essere distrutto. Nella sentenza del TPP (1992 - La conquista dell’America e il diritto internazionale) si afferma che quello che nel diritto internazionale occorre cambiare non sono regole singole, ma la pretesa che ci sia un diritto per definizione super partes perché proclamato dagli stati che hanno il potere per fare leggi universalmente valide: il diritto di evangelizzazione era, di fatto, il diritto di commercio. Sempre in quella sentenza si afferma che c’è legittimazione del diritto solo là dove ci sono delle lotte di popoli che hanno delle persone alla loro base, non delle idee. Quello che noi viviamo oggi è questa grande sfida. Si è svuotato pian piano il contenuto della parola diritto, e ciò lascia alcune parole come simulacri, pericolosi perché possono essere ripetuti come se fossero esistenti: uno è quello delle Nazioni Unite, come luogo di formulazione di leggi per il futuro dei popoli, che invece, pian piano, è stato svuotato; il passaggio critico è stato quello per cui le N.U. hanno approvato la guerra. La legittimità, non la legalità, delle N.U. è basata sul fatto che la Dichiarazione universale è fatta perché non ci sia più guerra e che per arrivare a dichiarare una guerra deve esserci un attacco preciso a dei diritti fondamentali. Al contrario, tutte le diverse decisioni (Iraq, Libia, …) – anche se ora molto criticate - hanno svuotato di fatto il meccanismo di verifica della legittimità. Questa tendenza è in atto dagli anni settanta quando stava sorgendo, accanto al potere pubblico dell’economia, un potere privato che pian piano si sottraeva alle leggi degli stati: la libertà del commercio permette loro di autoregolarsi e iniziano le guerre economiche, cioè quelle guerre che sono dichiarate senza che ci sia una possibilità effettiva di controllo da parte degli Stati. La prima legislazione delle N.U. sulle multinazionali viene cancellata e si crea un potere transnazionale, fuori dalla legislazione degli Stati. Il mondo ha incominciato negli anni 90 a chiamarsi globale (Rapporto banca mondiale ‘92 e ‘93). Nel ‘96 viene pubblicata la mappa del mondo della sanità (importante perché introduce nel linguaggio il concetto di globalizzazione), e l’idea che c’è qualcuno a livello centrale che controlla tutto. La banca mondiale “compra” università facendole lavorare per sé e facendo fare rapporti globali (global maps), in cui si scopre che dove si è più poveri si sta peggio di salute. Quindi si dice che gli stati non possono più essere responsabili dei servizi pubblici: solo chi ha in mano anche i dati della condizione economica può giudicare salute, educazione, diritti. Si applica poi la tecnica della shock economy (es. Indonesia - Report) per condizionare l’economia di alcuni paesi ad essere dipendente e funzionale all’economia globale. E’ cambiato tutto uno scenario.
Le organizzazioni centrali e gli stati almeno formalmente democratici sono stati svuotati del loro ruolo di promotori di diritti sostanziali e di democrazia e diventano alleati delle trasformazioni economiche. In questo processo la democrazia cala a picco nella sua capacità di rappresentare le persone e di permettere un dibattito di idee. La finanza rende il potere economico ulteriormente virtuale. Un altro meccanismo è quello di creare sempre più aree commerciali in cui i trattati commerciali sostituiscono di fatto le Costituzioni e le leggi degli Stati. Lo Stato formalmente c’è (es. Messico), ma è svuotato. E’ stata decretata la non legittimità di esistere delle persone: le persone tornano ad essere soggetti di diritto solo quando sono soggetti economici. Siamo parte di un processo in cui, in qualche modo, tutti noi siamo stati trasformati in migranti: conquistiamo il nostro status di cittadini se per un certo tempo obbediamo alle regole (es. jobs act). Come ricondurre il diritto al servizio delle persone? Qual è il ruolo che possiamo avere come individui o come appartenenti a gruppi? E’ possibile portare avanti progetti, e soprattutto un disegno condiviso, al di là della diversità? Dobbiamo accettare una sfida molto radicata sulle cose concrete, con la consapevolezza che stiamo lavorando anche a livello di cambiamento immaginario di mente e che dobbiamo fare i conti anche con uno sviluppo di ricerca intellettuale e di linguaggio e attraverso i progetti, un linguaggio che alfabetizza.



Documento finale sulle proposte emerse dai Seminari 
a cura della commissione finanza
 
Cari amici del coordinamento nazionale, agli inizi di giugno la commissione finanza e i referenti dei 5 seminari sono stati gentilmente ospitata da Magda nella sua casa di Camaiore per raccogliere gli esiti dei nostri 5 seminari svoltisi nel mese di maggio.
Sono stati due giorni intensi in ogni senso e proficui soprattutto di speranza. Risultati della due giorni sono stati:
Una relazione di sintesi dei cinque seminari, redatta poi da Ercole Ongaro per essere pubblicata sul notiziario “In Dialogo”;
Un prospetto di raccolta delle proposte operative dei seminari.
Nei giorni successivi, quest’ultimo è stato rivisto dalla commissione e in un ulteriore incontro via Skype della stessa, presente anche Maria Picotti per la segreteria, si è deciso di portare al coordinamento una sintesi di tale prospetto poiché le proposte erano tante e rischiavamo di rimanere sul vago. Pertanto facciamo la seguente proposta:
A livello individuale: 
scegliere di non intrattenere rapporti con una grande banca, ma aderire come soci e come correntisti a Banca Etica (o a una Banca di credito cooperativo/BCC); 
investire risparmi senza l’assillo del rendimento finanziario;
una scelta etica nel settore finanziario è una scelta coerente con la lotta alla finanza speculativa.
A livello locale:
vadano sicuramente avviati percorsi di costruzione di Distretti di Economia Solidale, piccole comunità che cominciano a vivere concretamente scelte alternative al sistema; ciascuno/a di noi può operare delle scelte che vanno nella direzione indicata dai seminari in quanto già diverse associazioni sono presenti su quasi tutti i nostri territori alle quali la Rete può rivolgersi per operare queste scelte. Oltre le scelte personali ed attraverso esse, la Rete deve continuare a dar voce ai senza voce ed affiancare un suo costante aggiornamento ed operare una corretta informazione e sollecita comunicazione per indicare le vie possibili da percorrere secondo le opportunità che offre il territorio in cui si trova ad operare.
Sempre a livello locale, tessere rete con altre realtà, per creare percorsi di formazione nelle scuole; già in diverse realtà nazionali la Rete, da sola o insieme ad altre associazioni lavora all'interno delle scuole. Pisa e Viareggio ne sono esempi, replicare sempre più questi percorsi (un suggerimento potrebbe essere quello di intersecarsi con i percorsi di formazione di Libera).
A livello nazionale: 
sicuramente avviare il lavoro con il TPP con l’utilizzo del questionario proposto;
seguire con urgenza la campagna STOP-TTIP; 
seguire campagne già esistenti sul problema  della finanza speculativa, ce ne sono di già avviate dalla FCRE (Non con i miei soldi. Zerozerocinque) ed in particolare come rete abbiamo già aderito alla DIP che si occupa anche di questi temi e non sarebbe male dare concretezza a quest’adesione, cioè diventare punti di riferimento locali delle campagne realizzando momenti informativi e realizzando le iniziative che il percorso nazionale propone (raccolta firme, richiesta di adesioni agli enti locali, ecc…); a Salerno, ad esempio, abbiamo deciso di tornare in piazza mensilmente
Il tutto andrebbe accompagnato da un’esplicita denuncia della finanza speculativa; cosa che verrà sicuramente fatta portando avanti la relazione RRR-TPP per una eventuale futura sessione del Tribunale sulla "Finanza Criminale", ma si potrebbe anche redigere un documento ufficiale, da diffondere a stampa, associazioni ed istituzioni, in cui si esprime la nostra denuncia spiegando le motivazioni del percorso che la Rete ha intrapreso e le iniziative che si andranno a realizzare e/o sostenere.
Come si propone anche di denunciare l’informazione faziosa e criminale che riceviamo dai nostri media sostenendo e magari moltiplicando quelle realtà di giornalismo civico partecipativo: replicare esperienze della Rete come quella de “I Cordai” a Catania e dei “Fili di Canapa” a Torino, ma anche il MOVI ha avviato un tale percorso con “moviduepuntozero”. Chi volesse dare seguito coerente a questo punto può seguire il seminario di Scuola di Alta Formazione che si terrà a Viareggio nella prima metà di novembre (13-14) e di cui Magda ci darà informazione appena ultimato il programma.  
Per quanto riguarda i migranti, questo punto è forse il più complesso da considerare poiché è in continuo mutamento e molto spesso ci troviamo impotenti nell’affrontarlo e viverlo. Molti sono gli eventi a cui siamo chiamati. Ovviamente sollecitiamo coloro che vivono in territori dove volutamente tutto tace ad affrontare coraggiosamente il tema delle culture altre e dell'accoglienza del diverso, supportati da quelle realtà della Rete che già vivono esperienze importanti in tal senso. Ma questo è un tema che va considerato momento per momento. 
Comunque dai seminari sono emerse queste due proposte:
sostenere l’appello per il corridoio umanitario del Vaticano e oggi anche alla luce dell’appello del Papa potremmo aggiungere di promuovere e/o collaborare ad iniziative di accoglienza;
organizzare eventi che siano occasione di conoscenza reciproca ed informazione per la comunità locale sul fenomeno immigrazione, anche attraverso strumenti come docu-film e mostre interculturali.
Per fare tutto ciò ci sembra indispensabile che si avvii per ognuno di noi un processo di autoeducazione e di cambiamento dei nostri stili di vita così che agli altri si possano raccontare esperienze e non parole: anche questo è fare politica. 

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