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Circolare Nazionale Rete Radiè Resch

Ottobre 2015

Due notizie rivestono oggi una particolare importanza nel panorama italiano e internazionale, non adeguatamente diffuse da giornali e telegiornali. L’entrata della Palestina nell’assemblea dell’ONU, con la bandiera esposta e il primo discorso del presidente dell’autorità palestinese Abu Mazen, e la produzione di nuove bombe atomiche da parte USA per l’Italia e per tutti i paesi della NATO. La Palestina era stata ammessa all’ONU come osservatore nel 2012, ora entra a pieno titolo tra gli stati. La sua bandiera è stata issata il 30 settembre, accanto a tutte le altre al Palazzo di vetro di New York, e la sua voce assume quindi un peso internazionale diverso. Nel suo discorso al Palazzo di Vetro, il presidente dell’autorità palestinese Abu Mazen ha chiesto protezione internazionale da Israele, perché Tel Aviv ponga fine “all’occupazione più lunga della storia” e smetta di “colpire i luoghi sacri dell’Islam e della cristianità a Gerusalemme”, avvertendo che “Senza la creazione dei due Stati, si incoraggia l’estremismo”. Abbiamo assistito nelle scorse settimane all’ennesima aggressione dei soldati israeliani davanti alle moschee di Gerusalemme, dove più volte si sono verificate aggressioni e sfide di Israele contro chi frequenta le moschee, puntualmente denunciate da tutte le istituzioni internazionali che cercano la pace e la soluzione, anche parziale, dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi; in particolare la denuncia di Invictapalestina mi è sembrata molto precisa e forte, e l’ho mandata in rete, sulla lista postale, perché tutti ne avessero informazione. All’ONU Abu Mazen ha chiesto protezione internazionale dai continui abusi di Israele: speriamo che questo accorato appello in una sede così alta possa avere migliori sviluppi delle denunce precedenti, del tutto ignorate quando non derise, perché cessino le continue ed enormi occupazioni illegali dei coloni, condannate a livello internazionale, e cessi il blocco di Gaza, interrompendo le enormi sofferenze della popolazione, rispettando finalmente gli accordi presi tra le parti e le risoluzioni ONU. Non ci resta che sperare che ci sia un’evoluzione positiva di una situazione tragica che la Rete conosce bene e segue con attenzione fin dalla sua nascita, tanto da avere un nome di intestazione di una bambina palestinese. Teniamoci informati. Noi a Verona abbiamo una suora comboniana reduce da molti anni in Palestina, nella zona occupata, suor Alicia, le abbiamo chiesto di tenerci informati e lo farà, anche su Combonifem, rivista delle suore comboniane, e sul sito web visibile a tutti, sempre molto interessante, oltre a Invictapalestina. La seconda notizia importante ci viene segnalata da Franco Dinelli, dell’Università della Pace di Pisa, e si riferisce alla bombe atomiche di nuova produzione assegnate alle forze NATO, ed in particolare all’Italia: stanno per arrivare in Italia le nuove bombe nucleari statunitensi B61-12, che sostituiscono le precedenti B61. E lo conferma da Washington, con prove documentate, la Federazione degli scienziati americani (Fas). Il programma del Pentagono prevede la costruzione di 400-500 B61-12, con un costo di 8-12 miliardi di dollari. Importante non è però solo l’aspetto quantitativo, quante bombe e quanto denaro: quella che arriverà tra non molto in Italia e in altri paesi europei, non è una semplice versione ammodernata della B61, ma una nuova arma nucleare polivalente, che sostituirà le bombe vecchie B61 nell’attuale arsenale nucleare Usa e Nato. La B61-12 ha una potenza media di 50 kiloton (circa il quadruplo della bomba di Hiroshima), e svolgerà la funzione di più bombe, comprese quelle penetranti, progettate per «decapitare» il paese nemico, distruggendo i bunker dei centri di comando e altre strutture sotterranee. A differenza delle B61 sganciate in verticale sull’obiettivo, le B61-12 possono essere sganciate anche a grande distanza (100 km) e si dirigono verso l’obiettivo guidate da un sistema satellitare, cancellando così la differenza tra armi nucleari strategiche a lungo raggio e armi tattiche a corto raggio. L’ex sottosegretario di Stato parlamentare Willy Wimmer (dello stesso partito della cancelliera Merkel, la quale ha sempre ignorato la decisione del Bundestag del 2009 che il territorio tedesco fosse liberato da tutte le armi nucleari), ha dichiarato che lo schieramento delle nuove bombe nucleari Usa in Germania costituisce ovviamente «una consapevole provocazione contro il nostro vicino russo». Non c’è quindi da stupirsi che la Russia prenda delle contromisure. Alexander Neu, parlamentare della Sinistra, ha denunciato che la presenza dell’arsenale nucleare Usa in Germania viola il Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari, e ciò vale anche per l’Italia. Gli Stati Uniti, Stato in possesso di armi nucleari, sono obbligati dal Trattato a non trasferirle ad altri (Art. 1). Italia, Germania, Belgio, Olanda e Turchia, stati non-nucleari, hanno l’obbligo di non riceverle da altri (Art. 2). E nel 1999 gli alleati europei firmarono un accordo (sottoscritto dal premier D’Alema, non sottoposto al Parlamento) sulla «pianificazione nucleare collettiva» della Nato, in cui si stabiliva che «l’Alleanza conserverà forze nucleari adeguate in Europa». Un uso anche parziale di questo arsenale cancellerebbe l’Europa dalla faccia della Terra. Basti pensare che una bomba nucleare da 1 megaton vaporizza persone e cose, scioglie l’acciaio e il vetro, fa scoppiare il cemento. In un raggio di 3 km, tutte le persone muoiono all’istante e la distruzione è totale. A circa 7 km il calore scioglie l’asfalto delle strade, incendia legno e stoffe all’interno delle abitazioni. Tutte le persone all’aperto subiscono ustioni mortali; molte restano accecate dal lampo e perdono l’udito per la rottura dei timpani. A circa 14 km il calore è ancora abbastanza forte da provocare ustioni di terzo grado. Il maggior numero di vittime viene provocato dalla successiva ricaduta radioattiva, in un’area di circa 10mila km2. A seconda dell’esposizione, le radiazioni uccidono in giorni, settimane, mesi od anni, e danneggiano le generazioni successive. Ho riportato per esteso queste notizie, riportate da Dinelli dal Manifesto e ignote ai più, per segnalare l’impegno enorme dei vari stati, e dell’Italia in particolare, sugli armamenti, e su armamenti devastanti da ogni punto di vista, da tener presente quando qualcuno dei politici parla di carenza di risorse e di convinto impegno per la pace! Un’ultima considerazione sui Diritti, che una volta venivano considerati universali ed inalienabili, la base di ogni libertà, ed ora sono diventati una merce che si ottiene solo se si hanno i soldi per il loro acquisto, sul “mercato libero”! I Diritti devono tornare ad essere l’obiettivo di ogni azione di libertà e solidarietà, perché permettono di godere dei beni comuni senza dipendere solo dal denaro ed essere così riservati solo a chi ne possiede. Sono molti gli enti e le associazioni che cercano di difendere quei diritti, di noi italiani, degli europei (sempre noi) e di tutti i popoli del mondo. Faccio riferimento solo ad alcuni nomi che ci sono molto vicini e sono i nostri interlocutori permanenti. L’Associazione del Monastero del Bene Comune, a Sezano vicino a Verona, è stata sede di molti nostri Coordinamenti, quindi è un luogo che conosciamo bene, e con Petrella, ospite ai nostri Convegni, sta gestendo lo studio, la presa di coscienza e la difesa dei beni comuni, iniziando dall’acqua, che il Referendum non ha saputo-potuto difendere adeguatamente. Un secondo nome che suggerisco, ben noto a noi della Rete sia per vicende storiche antiche sia per prospettive future vicinissime, è il Tribunale Permanente dei Popoli, che studia i crimini contro i Diritti dei Popoli in tutto il mondo, ispirato dal Tribunale Russell, collegato alla Fondazione Basso. La sigla che spesso si incontra è TPP, da non confondere con Ttip, che richiama invece il trattato transatlantico per il libero commercio, che stiamo faticosamente cercando di fermare in Europa. Di TPP abbiamo parlato anche nell’ultimo Coordinamento, prevedendo un suo importante intervento nel prossimo Convegno nazionale 2016, Convegno che non sarà a Rimini come d’abitudine, ma in Umbria, dall’8 al 10 aprile 2016. La sede sarà a Trevi, fra Foligno e Spoleto, il tema sarà i Migranti, ma arriveranno notizie più dettagliate nelle prossime circolari. Una nota finale sulla prossima operazione della rete di Verona, che segue il cammino di altre reti in Africa. Parte in ottobre un’operazione in Ghana (la Rete non fa progetti, con piani, obiettivi e controlli: s’impegna solo a sostenere progetti di altri, in paesi lontani), per far proseguire gli studi alle ragazze di Adjumako, in Ghana ovest, che altrimenti devono abbandonare la scuola, fare figli e lavorare nei campi o nelle industrie come operaie semplici. Questa operazione non graverà sul bilancio nazionale, ma solo su Verona; nelle prossime circolari veronesi seguiranno descrizioni più dettagliate.

Un saluto solidale di cuore

per la Rete di Verona Dino Poli

Circolare Nazionale Rete Radiè Resch

Settembre 2015

MIGRANTI

Questo 2015 è certamente un anno di grandi cambiamenti, dei più vari generi, ma il cambiamento epocale, che cambia le dinamiche sociali del mondo, è forse quello legato alle migrazioni, per il numero di persone coinvolte, per la diffusione geografica del fenomeno, e per la quantità di storie che richiama, dalle guerre agli sfruttamenti alla varia disperazione dei paesi del mondo, alla criminalità che spesso sovrintende agli spostamenti. Migrazione, viaggio, fuga, esplorazione, sopravvivenza, metafora dell’esistenza. Perché non c’è cultura, popolo, nazione che non abbia sperimentato l’urgenza di uscire dai propri recinti per esplorare nuove opportunità di vita. Non per nulla questa peculiarità dell’essere umano è riconosciuta fra i diritti universali proclamati dall’Onu: «Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi Paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio Paese» (art. 13). Ma la reazione a questo fenomeno di massa è ben diversa, da stato a stato, da partito politico a partito politico, reazioni che obbediscono a stereotipi ideologici, vecchi quindi, a storie spesso lontane, alla difesa di interessi particolari e conservativi. Manca la ricerca, la discussione, la riflessione, l’umiltà, non si sono ancora individuate analisi all’altezza del fenomeno, prevalgono la paura, il rifiuto, l’alzare muri, che però si rivelano subito inadeguati. Generazioni di uomini, donne, giovani, vecchi, bambini in cerca di spazi di vita, vengono lasciati in balia dei mercanti. Prima ammassati, poi abbandonati in mare e ora ridotti a “quote” di una sorta di mercato che l’Europa, di malavoglia, cerca di spartirsi tra liti e incomprensioni. “Bombardare” le carrette del mare avrà costi esorbitanti, ed ormai è una soluzione vecchia, fuori luogo. Perché non cercare di investire invece per cambiare le cose nei luoghi da dove partono i migranti? investire in progetti educativi, in ospedali, per sostenere l’economia di cooperative locali, o anche per individuare modi alternativi per rendere possibile l’emigrazione attraverso un percorso dignitoso? Sarebbe meno oneroso e s’impedirebbero ulteriori violenze e sofferenze. La Rete di Verona sta impostando un nuovo progetto in Ghana, per mandare a scuola le ragazze. Da una prima analisi della situazione territoriale locale emerge che la vecchia agricoltura di sussistenza non ha più dignità, nessuna apertura agli orti come soluzione locale di vita; dappertutto ci sono (ci “devono” essere) piantagioni di caucciù, impianti per l’estrazione degli idrocarburi, miniere d’oro, ed ogni incarico statale è legato alla corruzione. Come ritrovare autonomia e dignità in Ghana? come promuovere la consapevolezza dei ghanesi di questa situazione di sfruttamento e impoverimento? E poi ci meravigliamo se vogliono scappare in Europa. Ormai il fenomeno migratorio è arrivato dappertutto, sono milioni, e nessuno stato europeo può più ritenersene immune, e anche gli Usa ne sono coinvolti, soprattutto alla frontiera col Messico. Dovrà cambiare l’approccio, non si possono più usare strumenti antichi perché occorrono occhi nuovi, perché sta cambiando tutto il contesto; sta cambiando il clima, cambia la tecnologia, con i telefonini e con Internet tutta l’umanità è ormai collegata. Cambia la società, ma aumentano sempre di più i poveri, perché le ricchezze si concentrano in modo esagerato nelle mani di pochi. E le grandi organizzazioni mondiali non sanno ancora trovare strumenti e processi in grado di affrontare questi cambiamenti epocali. Siamo all’inerzia completa dell’ONU, all’inadeguatezza dell’Unione Europea, che forse solo ora comincia a muoversi, col rischio però che la soluzione non risolva il problema, ma peggiori ancor più la situazione. E l’Unione Africana dov’è? Dov’è lo spirito dei padri fondatori delle nazioni africane indipendenti? Almeno una timida presa di posizione, un minimo di indignazione… Niente. Mentre i figli e le figlie d’Africa annegano, l’Unione Africana si volta dall’altra parte. Quando smetteremo, noi africani (sono parole di Elisa Kidané, già direttrice di Combonifem), di nasconderci dietro le (reali) colpe occidentali? Papa Francesco è forse uno dei pochi a proporre nuovi modi di ragionare e di riflettere, è l’unico a proporre nuove logiche di speranza, con la sua Enciclica Laudato Si; ma come ci si può opporre al dio denaro e al suo potere? al grande capitale ? I nostri incontri di studio come Rete sulla finanza criminale con i seminari di maggio sono stati una grande occasione di riflessione, offerta a tutte le reti, un tentativo di riflettere insieme su una nuova società, perché sappia trovare nuove regole, perché i beni comuni possano essere a disposizione di tutti, anche di chi non è europeo, di chi non riesce a sopravvivere in ambienti di guerra, di carestia e miseria, alle violenze quotidiane e fondamentaliste. Trovare soluzioni valide, evitare violenze, cercare procedure attente alla vita, è una necessità attuale, e la discussione deve essere una delle grandi possibilità, anche nel piccolo dei nostri gruppi. Questa circolare, come lettera periodica e costante, è un tentativo di sostenere la discussione, di portarla in tutte le reti, di provare a sollecitare la riflessione con i più svariati stili di chi le redige, tanti modi di dire, proporre, scrivere, con tanti autori, distribuiti nei vari luoghi e che si alternano, sfruttando così le conoscenze e le amicizie personali createsi con i nostri referenti delle varie operazioni. Chi ha conosciuto persone impegnate in ambienti poveri, difficili, i referenti delle nostre operazioni, ha maturato una sensibilità diversa, ed ognuno di noi ha le sue esperienze, le sue amicizie, i suoi amici diversi. Per tutti noi l’attenzione alla Palestina ed a quell’Israele violenta, che non permette ai palestinesi di godere dei loro diritti minimi, che infrange regolarmente e spudoratamente le decisioni dell’ONU, che chiama terrorista chiunque si opponga alla sue persecuzioni e imposizioni, ci ha dato una sensibilità diversa, che va poi confrontata e raffinata nella discussione. In questo contesto di grande cambio della società e delle sue dinamiche (ricordiamo le indicazioni fondamentali del libro “I limiti dello sviluppo” nel 1972, limiti che ora maturano; e le parole di Zanotelli: abbiamo tempo fino al 2017 per la crisi climatica), quale solidarietà è ancora possibile ? come riflettere ed agire di conseguenza, nella linea che da sempre ci muove, e cioè indignarsi per le ingiustizie, cercare soluzioni per i luoghi dove si verificano queste ingiustizie, e cercare insieme soluzioni in casa nostra perché i meccanismi internazionali possano almeno non peggiorare certe situazioni? Il nostro impegno come Associazione è molto limitato, siamo pochi, molti sono anziani, siamo spesso slegati dai luoghi istituzionali del dibattito e riflessione, ma tutti ci teniamo informati e ci interessiamo di cosa avviene nel mondo. E nella lista postale della rete trova spazio ogni possibile riflessione che si riferisce a questi temi, che i vari amici interessati, giovani e meno (anche a 90 anni!), inviano subito a tutti, in base alle varie sensibilità e alla partecipazione emotiva, e così tutti possiamo sapere cosa avviene, la discussione rimane viva e rimane viva la sensibilità, la capacità di indignarsi e di mobilitarsi, riconoscendo le ingiustizie e condannandole. Da sempre nella RRR crediamo che un risposta possibile sia ascoltare gli altri, i lontani, coloro che subiscono le ingiustizie, e fornire loro un aiuto e un assistenza, per quanto limitata, imparare da loro. Il loro punto di vista è diverso, la loro sensibilità è meno condizionata dai nostri interessi di parte, le loro proposte e le nostre operazioni (nostre perché ci uniscono, creano ponti) ci permettono di avere un modo inconsueto di vedere e di agire, ci permettono di vedere, di riflettere, di agire per una possibile nuova solidarietà.

Dino, Rete di Verona

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