Home2016Giugno

Circolare Nazionale Rete Radiè Resch

Giugno 2016

DOVE ANDARE? A VENTIMIGLIA?

Cosa dite, confermiamo il prossimo coordinamento in sede Sezano/Verona o stravolgiamo il programma e partiamo tutti per Ventimiglia a dare supporto a coloro che provano ad affrontare i fatti di cronaca che riguardano i Migranti? A guardare in faccia la storia, la nostra storia? Cosa dite, passando da Savona facciamo carovana con Ba – presente per una bellissima tre giorni di animazione sensibilizzazione – e lo coinvolgiamo, certi del suo potere mediatico? La tentazione per me sarebbe grande. A Ventimiglia mentre la polizia sgomberava, il Prete accoglieva, ed in molti cercavano tende e pasti, sull’autostrada passava un pulmino colorato, pieno di atleti che andavano a Barcellona per un meeting internazionale: uno era salito – simbolicamente – dal greto del Roja al cavalcavia, con documenti regolari e libero transito alla frontiera. A rendere questo possibile è stata una Rete: un progetto CARITAS, la Rete Radiè Resch, una famiglia accogliente, una società di Atletica. Ogni passaggio ha richiesto un preciso assetto giuridico, una filosofia, una disponibilità, una visione utopica: c’erano ONLUS, associazioni, società. La Rete di Castelfranco ha bisogno di essere ONLUS, le Reti che lavorano con i Mapuche hanno bisogno di fondi straordinari, la Rete di Salerno ha bisogno di diventare ASSOCIAZIONE e quanti altri esempi e scusate per quelli sbagliati. Siamo sicuri di avere il tempo la voglia la capacità di trovare una linea comune? E’ così necessario? Forse potremmo soffermarci su quello che è il nostro patrimonio:

-Autotassazione vuol dire che ogni mese ognuno investe qualcosa di proprio, sempre meno saranno soldi sempre più sarà tempo (per un futuro possibile: CREIAMO LA NOSTRA BANCA DEL TEMPO!)

-Non abbiamo sedi, dipendenti, strutture che costano.

-Vantiamo criteri di adozione delle operazioni meditati e condivisi.

-Investiamo sulla “ricerca”, sull’azione politica dal basso.

Questo è il nostro patrimonio e dobbiamo farcene garanti e custodi.

Per il resto fidiamoci, nella diversità le Reti agiscono ed agiranno sicuramente bene. E’ una proposta di federalismo? No Amiche ed Amici davvero cari e stimati, è dare valore al tempo ed ai soldi che costano i coordinamenti e farne uso oculato; dirci che forse dovrebbero diminuire da 5 a 3 poiché nessun lavoratore può sostenere un appuntamento Rete ogni due mesi; renderci conto che sempre più dovrebbero tendere al concreto con autocensura sugli interventi e le polemiche. Chiederci se sono ancora un “parlamento” riconosciuto o un’entità che sostanzialmente organizza seminari e convegni e rivede operazioni con malcontento diffuso. Coraggio! E perdonate la franchezza. Noi siamo convinti che possiamo lasciare uscire il nostro meglio per questo investiremo euro ed ore per venire a Sezano perché se lavoreremo bene le “Ventimiglia” diminuiranno e la ragione di essere Rete è questa. Sarà bello abbracciarvi, questo è, resta e non è in discussione. Come sarebbe bello tornare – ci siamo già stati – ad abbracciare i Profughi a Ventimiglia. Questo è, sarà sempre di più ed è in discussione.

Riflessioni sparse della rete di Quiliano

Lettera circolare della Rete di solidarietà internazionale

 Radiè Resch di Macerata – Giugno 2016

Il Laboratorio della decrescita a Macerata

Il gruppo della Decrescita Felice a Macerata è nato grazie all’ interesse di alcuni partecipanti del gruppo di acquisto locale e di altre persone interessate che hanno iniziato a riunirsi regolarmente dal marzo 2011. Ma cos’è il movimento della Decrescita? La parola, a un primo impatto, suona in maniera strana. Innanzitutto non siamo abituati ad usarla, tantomeno a vederla accostata ossimoricamente all’ aggettivo “felice”. Vediamo brevemente come nasce il movimento in Italia e lasciamo poi la parola ai protagonisti di questa associazione. Il Movimento per la Decrescita Felice (MDF) è un movimento italiano nato e cresciuto informalmente nel 2000 sui temi della demitizzazione dello sviluppo fine a se stesso, e successivamente sfociato in un’associazione fondata da Maurizio Pallante, esperto di risparmio energetico. Il movimento, chiaramente ispirato alla decrescita teorizzata da Nicholas Georgescu-Roegen, fondatore della bioeconomia, ed in linea con il pensiero di Serge Latouche, parte dal presupposto che la correlazione tra crescita economica e benessere non sia necessariamente positiva, ma che esistano situazioni frequenti in cui ad un aumento del Prodotto interno lordo (PIL) si riscontra una diminuzione della qualità della vita.(Wikipedia) Concetti ripresi anche da moderni economisti quali, ad esempio Angus Deaton, premio Nobel 2015 per l’Economia di cui ho già scritto. Macerata accetta la sfida e si costituisce “Il Laboratorio della Decrescita”. Allora per capire meglio quali sono i loro ideali, come vivono la decrescita nella vita di ogni giorno e quanto tengono al concetto del “Saper Fare”, ho deciso di far parlare proprio loro! Una famiglia decresciuta: “Più che altro siamo una famiglia che ha intrapreso questo percorso e ancora tanto c’è da fare. All’inizio ci siamo chiesti come potevamo evitare gli sprechi con la limitazione del vivere in città, in una casa in affitto (no indipendenza energetica, pannelli solari ecc. no orto per un autosufficienza alimentare). Eppure le cose che si possono fare sono tante. Per primo abbiamo eliminato la macchina a benzina e ne abbiamo presa una usata a metano, ma il grosso dello spreco in una famiglia è l’alimentazione. Abbiamo puntato sull’autoproduzione e sulla qualità dei prodotti. Siamo iscritti al Gas di Macerata (Gruppo d’ acquisto solidale) e acquistiamo quindi prodotti biologici direttamente da produttori locali, la famosa filiera corta. Io ho cominciato a fare in casa tutto quello che potevo autoprodurre: pane, pasta, pizza, rustici, torte, marmellate (ogni volta che gli amici mi portavano della frutta). Tra le autoproduzioni non alimentari abbiamo fatto anche il sapone, con buoni risultati. Insomma tra gas e autoproduzioni al supermercato ci vado pochissimo. Per i detersivi ne ho ridotto l’uso (detersivi piatti e lavatrice che sono biologici eco-sostenibili e concorrenziali a livello economico con quelli dei supermercati). Ho abolito l’uso dell’ammorbidente e per il resto uso aceto e sapone di marsiglia. E’ chiaro che questo è avvenuto nel tempo, è un percorso anche personale che va fatto gradualmente e senza stress. Vorrei spendere due parole sull’alimentazione dei bambini partendo dalla mia esperienza personale. Oggi le mie figlie non mi chiedono quasi più merendine, patatine ecc. (che io non ho mai negato, ancora oggi se me le chiedono io le compro), preferiscono fare merenda con torte o pane e marmellata, pomodoro, miele o, come la piccola, con pane e olio. Ho sempre cucinato, un po’ per eredità ricevuta un po’ per passione e anche perché è “buono”, in tutti i sensi! Insomma loro hanno mangiato da subito verdure, legumi, zuppe; sono state educate al gusto semplice degli alimenti. Penso che se da piccoli si comincia con gli alimenti industriali il bambino si adegua ad un gusto artefatto e diventa quasi impossibile fargli apprezzare il sapore semplice di una verdura con l’olio o di un minestrone. Va fatta sin da piccoli un’educazione al gusto. Per quanto riguarda gli elettrodomestici (in particolare lavatrice e forno) mi sono organizzata per utilizzarli nelle fasce orarie più economiche. Sabato e domenica, la sera dopo le 19.00 e la mattina fino alle 8.00. La bolletta è diminuita sensibilmente! Tornando agli sprechi altre parole chiave sono state SCAMBIO e DONO. Dall’abbigliamento al computer. RICICLO-RIUSO (scatole di cartone e cassette della frutta decorate e utilizzate come contenitori per giocattoli, porta vasi, porta tutto). Abbiamo provato quest’estate, con molta partecipazione ed entusiasmo, a fare l’orto sul balcone con buoni risultati. C’è stata poi l’esperienza della costruzione e uso di forni solari che per tutta l’estate ci ha deliziato con ottimi pranzetti a costo energetico zero. La nostra vita non solo è migliorata qualitativamente ma abbiamo più tempo e più soldi per noi che in parte abbiamo investito per le cose che ci piacciono. Abbiamo pensato di nutrire anche il nostro ”spirito”, perché la decrescita non vuol dire “privazione” ma la ricerca di una migliore qualità della vita. Una paesaggista e tenace, avversaria del consumismo, appassionata di Eco-Design e prodotti naturali (è stata lei a tenere il workshop sul sapone fatto in casa), lavora anche in un agriturismo a conduzione familiare. Quando nasce la tua passione per il verde? Guardandoti all’ interno della cornice del tuo meraviglioso agriturismo sembra quasi sia stato un imprinting naturale. Qual è un sogno che vorresti realizzare? “La mia non può essere definita una “passione”, piuttosto direi che mi sento parte integrante della nostra casa, della Terra, e della Natura. Fino a poco tempo fa questa era soltanto una mia sensazione, ma l’incontro con la Decrescita e poi con le Transition Town mi hanno spinto verso un desiderio di divulgazione. Ho capito che la consapevolezza è la chiave di lettura della nostra presenza, per un vivere basato sul rispetto. Siamo tutti vettori, come il vento per la riproduzione delle piante. Sta a noi decidere cosa trasportare. Quindi se vogliamo parlare di sogni mi viene in mente la prima scena del film “Il pianeta verde”, un incontro, un’umanità cosciente, unita da un solo obiettivo: l’amore. Andrea e Alice partecipano al Laboratorio delle Decrescita fin dalla sua nascita, sempre presenti e attivi anche nei vari laboratori che si organizzano per incrementare il cosiddetto “Saper Fare”, concetto molto caro ai decresciuti; Andrea ti va di parlarci del laboratorio sulla carta che si è svolto poco tempo fa? “I vari laboratori organizzati nei mesi scorsi sono stati ispirati alla facilità di utilizzo di un materiale come il cartone, per poter realizzare qualcosa che oltre alla spirito dell’autoproduzione, ha appagato una nuova forma di cooperazione che rispecchia alcuni principi della decrescita. Si potrebbe sintetizzare dicendo che abbiamo usato il cartone per fare insieme quello che abbiamo perso … la capacità di poter creare qualcosa con le nostre mani. Soddisfatti di aver creato forni solari, sedie, sgabelli e tavoli, è sembrato naturale il passaggio ad un approfondimento sul materiale “carta”. Nella splendida cornice dei monti vicino Amandola, N. K. e la sua splenda famiglia, hanno ospitato il nostro gruppo all’interno del loro laboratorio. La trasformazione della materia prima, ricavata da scarti vegetali o carta riciclata è l’inizio di un processo che ci ha permesso di capire l’origine di un materiale che grazie alla chimica ed un pizzico di “magia” può dar origine a piccole opere che appagano la voglia di creare. Abbiamo creato “carta”, la stessa che ogni giorno ignoriamo e releghiamo nei cassetti delle nostre stampanti.” G. R.– artista, strenua coltivatrice e molto altro – è una veterana delle Decrescita, da anni è in prima linea per la difesa dell’idea di sostenibilità. Ha collaborato fin da subito alla creazione del Laboratorio della Decrescita a Macerata. Quali sono le linee guida che ti portano a vivere una vita consapevole nella Decrescita? “Rilocalizzare le attività e conseguentemente l’economia è uno dei primi passi da fare. Una situazione complessa necessita di risposte creative, articolate e comuni. Dobbiamo riapprendere a lavorare in gruppi e comunità allargate, a partire dagli stessi luoghi nei quali viviamo, per giungere a soluzioni per la produzione di beni e servizi nei settori energia, salute, educazione, economia e agricoltura. Produco quello che non guadagno. L’autoproduzione di cibo, cosmetici, oggetti di uso quotidiano mi rifornisce di beni eco-sostenibili nella completa padronanza della filiera, dalla materia prima al bene d’uso. Quello che ottengo economicamente da collaborazioni e prestazioni lavorative esterne nei settori educativo/agricolo/artistico/culturale sono di certo di minor valore economico di quello che auto produco e scambio. Inoltre questa dimensione fattiva e pratica va a riequilibrare la mia indole/formazione altrimenti tendente a speculazioni astratte, alla ricerca del bello (se pur non decorativo) e dell’espressione. Scambio e autoproduzione alimentare. Preparo a casa latte da legumi e cereali, formaggio vegan, estrazione del glutine dal grano (seitan), conserve, composte, succhi di verdure e frutta, torte. Raccolgo molto da prati/cespugli/alberi/boschi, e scambio eccedenze di verdura e frutta in una rete informale che si è creata tra amici e vicini. Scopro sempre più il valore di coltivare le piante, per vivere in diretta lo scambio energetico con il sistema naturale, nella programmazione e gestione di un orto giardino si attivano risorse speculative-astratte, fisiche, creative.” R. B. – ingegnere e padre di una numerosa prole – è un antesignano della Decrescita. Quando ancora non si parlava di forni solari, ne aveva già costruito uno di notevole efficacia, tuttora funzionante; ma Roberto è un vero e proprio appassionato dell’invenzione e dell’arte, nonché propulsore di numerose attività. “Quello della Decrescita è per me un modo di agire quotidiano, delle piccole azioni che portano poi a un risultato vistoso. Usare una strategia non è facile, nel tempo ho capito che la linea guida più importante è quella di evitare lo Spreco. Una domanda che spesso mi pongo è “Perché la gente guarda a questa attitudine come a un obbligo? Perché non lo si fa a priori? Perché lo si vede come un peso?”. Una cosa che noto molto oggi è che si ha una gran paura del concetto di “povertà”, ovvero si ha paura di essere privi dei beni che la società giudica necessari… Io credo che un valore molto più importante e di gran lunga maggiore sia quello della dignità. Parlo un po’ di me: ho vissuto tutti gli anni ’80 e parte dei ’90 in Messico, ho quindi “saltato” la grande ricerca al benessere europea di quegli anni, vivendo invece a contatto con gente che, pur avendo poco o niente, viveva alla grande e soprattutto era felice. Nei miei rari viaggi in Italia notavo questo grande abisso: il benessere provocava malessere. Sono tornato definitivamente nel settembre del 1996 e mi sono installato a Macerata. L’esperienza in Messico mi ha portato ad apprezzare le tecnologie semplici ed utili, nel vero senso del termine. Alcuni degli accessori che ho elaborato e costruito in questi anni sono: Una pompa a pedali (costruita con materiali di riciclo del luogo) per irrigare piccoli appezzamenti (in Messico); Pannelli solari termici, per il riscaldamento dell’ acqua sanitaria (a bassissimo costo); Idraulica applicata alla permacultura, mi sono costruito un piccolo orto in balcone (consigliato a chi non ama zappare); Un sistema solare di riciclaggio della plastica e tanti altri strumenti che ora non sto qui ad elencare. Diciamo che in Italia mi sono trovato avvantaggiato perché in realtà non ero mai “cresciuto”, venivo da posti in cui la Crescita Economica non c’era mai stata. Vorrei ricordare che il risultato di questo agire non è solo materiale, ma anche interiore, perché si imparano ad apprezzare le persone per quello che sono e non per quello che hanno.”

Lettera circolare della Rete di solidarietà internazionale

Radiè Resch di Verona – Maggio 2016

Cari amici della solidarietà della Rete Radié Resch di Verona, riprendiamo le nostre riflessioni dopo la pausa di aprile e dopo il Convegno Nazionale di Trevi. La situazione internazionale è sempre più complicata e difficile, dopo il blocco europeo dei migranti e con le varie crisi politiche internazionali che sembrano non avere modifiche, in Siria, in Turchia, in Libia, e naturalmente in Palestina, e in Africa. L’Europa sembra sulla via dello scioglimento, ogni stato fa quello che vuole e i temi della solidarietà sembrano quelli meno importanti, e si affermano invece sempre di più i movimenti fascisti e populisti, chiusi e negativi verso ogni apertura. In Brasile e in Argentina le cose volgono decisamente al brutto, con la chiusura di ogni stagione liberale o socialista, non si sa nemmeno quale parola usare. In Italia c’è una grande battaglia contro il governo Renzi, da destra e da sinistra, e il lavoro rimane sempre un aspetto molto delicato e difficile; ora con le prossime amministrative continueranno le battaglie mediatiche per portare gli elettori verso le posizioni volute. E il referendum di aprile (delle trivelle) ancora una volta ha evidenziato la volontà di tanti elettori di non voler votare, che non sembra un rifiuto del diritto al voto quanto una protesta intenzionale voluta. Da chi ricevere parole di speranza? Il Convegno ancora una volta ha evidenziato come i nostri testimoni dall’Africa e da altri luoghi hanno una visione diversa del mondo e delle sue dinamiche e leggono la realtà con un altro punto di vista, e danno possibili vie di speranza. E le testimonianze sono state il centro del Convegno. Padre Mussie Zerai sacerdote eritreo ha raccontato le difficoltà di ogni genere che devono affrontare quelli che fuggono da situazioni di vero disastro nei loro paesi, dove è dichiarato lo stato di guerra, dove arrivano rifiuti tossici di ogni tipo, e tutti i giovani devono essere in servizio militare da 18 a 60 anni, salvo carcere e violenze di ogni tipo (66 carceri in Eritrea), e quindi scappano, con viaggi allucinanti, centri di detenzione, confini blindati, un mare da passare con imbarcazioni ridicole, con soldi continuamente richiesti o rubati, o con la donazione forzata di organi. La kurda Ozlem, rifugiata politica in Italia, ha raccontato delle continue e pesanti persecuzioni della Turchia di Erdogan sui kurdi, che cercano l’autonomia kurda o almeno l’autodeterminazione in paesi con dittature, con detenzioni in carceri di massimo isolamento da decenni, con la proibizione di usare la lingua e i nomi kurdi, anche i nomi devono essere tradotti in turco, e le donne combattenti sono sottoposte al massimo della pena. Wafà palestinese di Ghaza ha raccontato della difficoltà di gestire un’azione di resistenza nel conflitto eterno con Israele, del fallimento dell’idea di 2 stati, datata agli accordi di Oslo più di 20 anni fa, e dell’unica speranza nel boicottaggio dei prodotti di Israele, BDS, la sola azione che sta unendo i popoli solidali e dà speranza di cambiare qualcosa; bisogna quindi leggere le etichette e rifiutare i prodotti israeliani, non ospitare scienziati e artisti israeliani e forse allora, dopo tante sofferenze, la giustizia vincerà. Altri africani presenti a Trevi hanno presentato i loro prodotti agricoli realizzati in Italia, tramite cooperative, realtà sempre più positive e veri modelli di speranza. Il senegalese Mohamed Ba ha raccontato la sua storia coloniale, con grande ironia con una lingua italiana e una cultura ad altissimo livello, con l’aspirazione di integrare al Nord la cultura africana ed i giovani scrittori africani, e lui stesso è autore di testi teatrali in Italia di grande successo. Il prof. Vassallo Paleologo ha ricordato la grande azione di alcuni giuristi italiani contro la discriminazione dei migranti, contro la clandestinità, contro la tortura, contro i continui tentativi di chiudere le possibili buone esperienze di accoglienza e di integrazione, attivando e sostenendo azioni legali complesse e continue, con un’attenzione tenace e impegnata contro qualsiasi chiusura e blocco che si verifica in Italia. Si è provata nel Convegno di Trevi anche la divisione in gruppi, per limitare il numero di chi partecipa e favorire di più la discussione e l’approfondimento, con schemi simili in ognuno dei 3 gruppi e con animatori giovani, che poi hanno relazionato. Abbiamo ascoltato nel 3° gruppo la testimonianza dell’ostetrica di nave, che ha aiutato il parto di tante giovani donne migranti, raccolte sulle navi appoggio della Marina italiana; la testimonianza di cooperative miste con stranieri, per coltivazione e commercio; le esperienze di istituzioni accoglienti, poche a fronte di tanti respingenti, evidenziando quanto sia più facile respingere con atteggiamenti molto superficiali, piuttosto che tentare accoglienze, col rischio di perdere risorse non capendo che si possono acquistare relazioni e speranze e moltiplicare così le risorse. E’ stato quindi un buon convegno, un segno di speranza in questo momento storico così difficile e chiuso. Ora cureremo la trascrizione su carta delle più importanti relazioni, ma ci sono anche dei documenti filmati già disponibili, messi già in rete e su You Tube: la relazione di Mussie Zerai si può trovare su Youtube, chiamandone il nome. Il film è stato realizzato da Aldo Corradi, di San Zeno di Colognola, della Rete di Verona. Al Convegno c’era anche padre Clemente, che ha portato la sua testimonianza di prete ed educatore in Guatemala, e noi a Verona lo conosciamo bene. Ha portato un nuovo progetto per una biblioteca e una sala Internet per i suoi giovani nella sua nuova parrocchia, chiedendo un contributo molto limitato, progetto che pensiamo di sostenere nei prossimi Coordinamenti e di assumere come azione della Rete di Verona, continuando ciò che si è fatto per anni, e che ora si pone accanto all’azione ormai più che ventennale in Brasile, con l’Opera mazziana a João Pessoa (cosa succederà in Brasile nei prossimi mesi, con il golpe contro il PT e Djilma Roussef ?), e con il nuovo Progetto ad Adjumako, perché le ragazze ghanesi possano continuare gli studi. In una delle prossime lettere presenteremo il nuovo Progetto in Guatemala, pensato prima per una durata annuale ed ora esteso a 3 anni, dopo la discussione con Clemente a Trevi. Pensiamo di incontrarci in maggio, come gruppo di Verona, per parlare di tutte queste cose e scambiarci le nostre idee e le nostre aspirazioni. Poi ci sarà il Coordinamento nazionale a Sezano, in giugno, e pensiamo di proseguire la nostra buona tradizione di un incontro conviviale a inizio estate, nei giardini Pettenella Picotti, dove ricorderemo la presenza di don Giulio Battistella, per tanti anni nostro profeta e riferimento per tutto ciò che ha significato spiritualità e solidarietà internazionale, da quando era tornato dall’Argentina, raccontandoci di America Latina e delle lotte di liberazione che là si erano svolte, e poi ancora missionario a Cuba con una grinta eccezionale. Il nostro prossimo incontro sarà martedì 10 maggio, martedì prossimo, alle ore 21 nella sede dell’Istituto don Mazza, in via San Carlo 5, zona Santo Stefano, con parcheggio interno, nel cortile. Per i Giardini PP ancora non s’è fissata una data, lo fisseremo nel nostro incontro del 10 maggio. Il Coordinamento Nazionale sarà a Sezano sabato e domenica 18 e 19 giugno, con le solite modalità dei Coordinamenti. Questo è un mese dispari e non si comunicano i dati della colletta. Un cordiale saluto, a presto rivederci per confrontarci in amicizia. Ciao.

Dino con Silvana

Lettera circolare della Rete di solidarietà internazionale

 Radiè Resch di Verona – Maggio 2016 (bis-2)

Cari amici della solidarietà della Rete Radié Resch di Verona, nell’ultimo recente incontro veronese del 10.5 al Mazza, pochi giorni fa, abbiamo discusso anche della segnalazione della Segreteria dei gravi problemi finanziari che mettono in dubbio la colletta nazionale e la prosecuzione di molte operazioni ad essa legate. Poiché quella segnalazione è pervenuta quando già avevo compilato e mandato la nostra circolare veronese, in cui avevo inserito come comunicazione nazionale la bella lettera di Antonio, si è così deciso di inviare una circolare supplementare, la presente, chiamata maggio bis, aggiungendo alcune notizie importanti. Come tutti riconosciamo ogni volta che ci troviamo, il nostro impegno della colletta è fondamentale in una solidarietà concreta, e quindi l’appello è importante e fondato. Alcune reti locali hanno già deciso e indicato una colletta supplementare, noi ne abbiamo solo parlato, ma ne discuteremo certamente in giugno. Nel nostro incontro all’Istituto Mazza si è parlato della nostra colletta di Verona … .

Un cordiale saluto. Ciao

Dino con Silvana

Lettera circolare della Rete di solidarietà internazionale

Radiè Resch di Verona – Maggio 2016 (bis)

Cari amici della solidarietà della Rete Radié Resch di Verona, è sempre più difficile proporvi una discussione regolare sulla solidarietà, gli argomenti sembrano tutti fuori luogo, vecchi, inadatti a cercare possibili soluzioni anche parziali ai problemi che quotidianamente ci affliggono. Il primo argomento di interesse è sempre quello dei migranti. Tutti vogliono venire in Europa dall’Africa e dal Medio Oriente, ed è lo stesso dal Centro America verso gli Stati Uniti, ed anche là c’è chi pensa che l’unica soluzione consista nel costruire muri, nell’impedire l’accesso di chi cerca fortuna, quasi per tenerci noi soli la fortuna che abbiamo, i soldi che ci siamo trovati in casa per non si sa quale occasione, forse per un lavoro che abbiamo saputo far fruttare, per il nostro genio, o non si sa bene come, o con che manovre più o meno criminali o protezionistiche ci hanno fruttato i nostri capitali. Quindi nel fenomeno dei migranti ci sono problemi di chi viene, per il fatto che vuol venire, e problemi di chi resta, perché i soldi sono mal spartiti, e la crisi è in tutto il mondo. Per noi basta pensare alla crisi delle banche, e soprattutto delle banche venete, che sono fallite buttando sul lastrico migliaia di piccoli risparmiatori, ma privilegiando e arricchendo pochi altri dirigenti che hanno approfittato della loro posizione. Nel recente Convegno abbiamo ascoltato sui migranti le parole di padre Mussie Zerai, un sacerdote eritreo molto competente, che ci ha raccontato cosa gira in Somalia, perché tanti giovani fuggono da quel povero paese dove c’è una guerra strana e un servizio militare senza fine e senza soldi. Se volete vedere ciò che ha detto al Convegno di Trevi, battete il suo nome su You tube e vedrete il suo intervento, l’abbiamo registrato e pubblicato. Più che mai il problema con i migranti rimane il cosa si può fare, ma in una associazione di solidarietà come la nostra in questo momento va in crisi qualsiasi impostazione, specialmente se è vecchia, molto vecchia. Sì, da 50 anni destiniamo una parte del nostro stipendio a progetti internazionali di piccolo riequilibrio, ma molti nostri amici, molti nostri figli non hanno questa disponibilità, non sono ricchi come quelli di noi che possono risparmiare una parte del reddito e lo destinano a progetti di liberazione, piccoli e limitati, ma pur sempre un piccolo superfluo. Sì, è circa lo stesso che diamo ai nostri figli disoccupati, ad altre iniziative italiane, in aggiunta a quelle internazionali della Rete, ma noi possiamo permettercelo, e anzi dobbiamo essere trasparenti per il nostro fisco, come se fossero queste poche migliaia di euro a porre problemi al bilancio dello Stato. Tant’è, è giusto che tutti quelli che usano soldi e banche lo facciano in modo onesto e coerente. La Rete è partita con la Palestina, a tutela dei diritti calpestati dei palestinesi, ma da allora in quel posto le cose sono solo peggiorate, e l’unica reazione possibile sembra solo quella degli estremisti islamici. Abbiamo proseguito con il Brasile, seguendo Arturo Paoli e i compagnons batisseurs, sull’onda della liberazione dell’America Latina, coi prigionieri delle carceri brasiliane, e poi del Cile, e dell’Argentina, del Salvador; ed ora sono in crisi politica il Brasile, è in crisi il Venezuela, l’Argentina, l’Uruguay, il Cile. Molte cose in America Latina sono decisamente migliorate, non hanno più bisogno di noi come un tempo, scuole e ospedali sono sostenuti dallo stato e sono pubblici o quasi, ma ci sono altre crisi, sulle quali non possiamo incidere noi, con i nostri piccoli progetti. Abbiamo poi seguito il progetto Rete Santo Domingo (ricordate Miguel e Ida, il Centro Valpiana a el Abanico), anch’esso è poi divenuto autonomo ed è seguito dallo Stato, un grande successo quindi. Seguiamo da 20 anni il Guatemala, ed ancora lo stiamo seguendo, in mezzo a molte difficoltà. E in ognuno di questi paesi abbiamo conosciuto gente impegnata, che con poche risorse hanno saputo dare speranza a tanta gente, e la speranza l’hanno data anche a noi lontani, che li abbiamo conosciuto quasi solo perché abbiamo voluto riservare alcuni dei nostri risparmi per contribuire ad iniziative di liberazione, ed abbiamo così partecipato alla loro lotta. Ora stiamo iniziando con il Ghana, per sostenere alcune ragazze a continuare i loro studi, per cambiare attraverso loro la loro civiltà e il loro paese, e avremo molto da imparare anche da loro. Ma la Colletta nazionale della Rete cala, il numero di aderenti alla rete e di attivi nella colletta si riduce, perché cambia la società, ed alcuni progetti della Rete vanno a rischio. Invece a Verona i numeri della colletta non sono cambiati significativamente. Il gruppo Verona è rimasto abbastanza numeroso e attivo, ci incontriamo, ci parliamo, ci confrontiamo, ma il contesto per tutti è ormai diverso, sta cambiando tutto, in Italia, in Europa, nel mondo. Cambia perfino il clima, questi violenti temporali in giugno sono nuovi, si pensava solo all’aumento del calore estivo, e invece … E allora, come mantenere le nostre relazioni personali? Le nostre motivazioni? La Rete ha saputo mantenere il suo impegno concreto attraverso le collette, la restituzione, non solo con discussioni e motivazioni politiche, se no credo che anche fra noi prevarrebbero liti, divisioni, ideologie, confronti di principio. Le collette sono un impegno concreto, reale, di poca discussione, e sotto c’è sempre il tentativo di restituire, riequilibrare, dare chances a chi forse non le ha avute. E l’altro grande impegno della Rete sono le relazioni interpersonali, ascoltarsi, valorizzare l’altro, l’altro vicino e l’altro lontano, soprattutto quando viene da luoghi diversi, da storie lingue diverse, lontani, in situazioni difficili. Da essi si impara molto, si impara anche a stare insieme. E il nostro prossimo incontro del gruppo veronese è proprio per stare insieme: l’appuntamento prossimo in cui stare insieme è per sabato 11 giugno, come ricorderete. Come ogni anno a fine stagione, all’inizio dell’estate, ci troviamo nel giardino di Maria e Gianni, in Pettenella Gardens, in via Marsala 12 A, dopo le 20. Ognuno porta qualcosa da bere o da mangiare, e aspettiamo anche chi non è venuto spesso e ritiene di non avere abbastanza amicizia con la gente. Le amicizie si fanno incontrandosi, e nell’incontro ci si scopre, ci si osserva, si cerca una solidarietà reale, si parla delle conoscenze trovate nella Rete, e di tante altre cose. Nell’incontro conviviale faremo anche qualche discussione sul nostro gruppo: sarebbe bene ricominciare a assegnare in giro la redazione delle circolari mensili, a dare la parola a tanti cari e stimati amici, a distribuire l’incarico della riflessione, perché vanno sentiti tanti punti di vista, anche copiando articoli di altri o riportando i pensieri di amici o maestri. Ne parleremo. Un caro saluto a tutti, a sabato 11, ciao.

Dino con Silvana

Lettera circolare della Rete di solidarietà internazionale

Radiè Resch di Quarrata – Maggio/Giugno 2016

Cara Europa, che cosa ti è successo? Tu umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo Europa, terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo Europa, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei tuoi fratelli? Proprio adesso in questo nostro mondo dilaniato e ferito, occorre ritornare a quella solidarietà di fatto, alla stessa generosità concreta che ti vide risorgere da due guerre. Devi ritrovare entusiasmo e creatività per mantenerti giovane e attenta ai cambiamenti; devi sentire ancora con forza dentro di te la possibilità di essere madre; una madre che accoglie la vita e offre speranze; che si prende cura del bambino; che soccorra come un fratello il povero che arriva in cerca d’accoglienza perché non ha più niente e chiede riparo; in cui essere migrante non sia un delitto bensì un invito ad un maggior impegno per la dignità di ogni essere umano. Un’Europa che lavori per alimentare il movimento dell’interazione per vivere ed apprezzare la diversità, educando al multiculturalismo. Forma o Europa, i tuoi giovani affinché siano attori, agenti di cambiamento, svolgendo il ruolo di connessione tra le diverse culture, perché loro credono più di noi anziani, che non importi la provenienza, il colore della pelle o la religione, perché siamo tutti esseri umani. Tutto questo servirà principalmente ai nostri giovani i quali crescendo nel dialogo e nell’incontro, diventino sempre meno consumatori e più cittadini. Solo loro sapranno scuotere le coscienze dei politici della comunità internazionale che erigono barriere e prosperano sul commercio delle armi e su interessi politici spesso inconfessabili, alimentando guerre e povertà estreme che generano la migrazione di tanti esseri umani verso porti più sicuri.

Carissime, Carissimi,

“Il benessere di una volta ormai lo possiamo solo sognare” sento questa riflessione sulla bocca di molti. Lo ascolto anche da quelli che scommettevano su un capitalismo dal volto umano. Esso avrebbe corretto dall’interno delle logiche del mercato, le proprie storture, per favorire una crescita democratica ed eliminato le grandi ingiustizie fra paesi sviluppati e paesi ancora marcati dal sottosviluppo, dalla fame e dalle guerre. La trovo una contraddizione in termini che la somma e l’accumulo dei beni materiali e finanziari abbia finito col definire queste nostre collettività come società del benessere. Non dipende infatti dalla quantità di beni che si hanno, lo stare bene. Un modo di essere qualitativamente valido implica attenzione ad altre esigenze che vanno ben oltre i beni da godere, da accumulare, da consumare. Noi privilegiati di una volta non siamo ancora abituati a vivere in modo più sobrio e questa necessità ci angoscia fino al punto di temere che la possibile catastrofe economica segni davvero la fine, se non per l’umanità, nel nostro progetto di vita e di civiltà. Nello stesso tempo ci sono segnali che, proprio in vista del peggio dal punto di vista materiale, riescono a immaginare una riproposizione di un concetto di economia che restituisca a questo termine il significato più ampio che aveva una volta, più attento alla globalità della persona, agli interessi generali, ai valori comunitari, all’esigenza di una solidarietà allargata.

Economia dunque intesa come norme che garantiscono un buon funzionamento della casa, uno stato di benessere generale, una buona umana convivenza. A me sembra che su questa strada si profili la possibilità di una spiritualità che non sia evasiva, consolatoria e di fuga dalle angosce; ma la possibilità di una spiritualità più attenta al benessere personale e collettivo. Non si tratta più di assicurarsi, come è nella logica mercantile, il miglior vantaggio col minore rischio possibile, ma di scommettere che il futuro lo determiniamo principalmente con la fiducia, con patti duraturi di alleanza. Riusciremmo a costruirlo bello e sereno se valorizzeremo al meglio anche i beni immateriali, il cui obiettivo è la crescita della qualità della vita, se saremmo più attenti anche a coltivare e valorizzare i beni relazionali, che conferiscono il senso della vera esistenza; se lo scambio dei mezzi si qualificherà meglio come scambio fra persone, se daremmo spazio reale al nostro bisogno di interiorità andando ben oltre l’atmosfera asfittica dei calcoli interessati; se ci apriremo alla dimensione del dono sia nei rapporti interpersonali, che in quelli intercontinentali. Alla logica del contratto dovremmo sostituire quella del patto, dell’alleanza. Un termine che ha forti risonanze bibliche e che a prima vista sembra eludere le nostre legittime preoccupazioni economiche, ma che in realtà le inserisce in un contesto più ampio, più creativo, protese al vero e condiviso stato di benessere. Il trucco del gioco dell’oca al quale ci avevano attratto ha funzionato, con il ritorno alla casella di partenza. La cosa triste è che continua a funzionare perché c’è chi si accinge a partecipare di nuovo al gioco. Il neoliberismo non ama che noi crediamo nell’utopia, perché ci vuole incutere l’idea che siamo eterni, che la vita è un miracolo. Che le merci che indossiamo decidono il nostro valore, perché chi non può comprare, per il mercato non esiste, non ha valore. Gesù predicava il Regno di Dio all’interno dell’impero di Cesare, era come parlare di democrazia dentro una dittatura, per questo è stato assassinato. Oggi stanno realizzando la “democrazia virtuale” con l’unico scopo di isolarci, toglierci la capacità di guardare gli altri, i nostri bambini sono affidati all’elettronica. Oggi non si “naviga” su internet, si “naufraga”! Anche nella nostra associazione, la rete Radiè Resch, si sta sentendo il peso della crisi, le nostre autotassazioni economiche a sostegno di progetti-ponti con comunità del Sud del Mondo, stanno diminuendo. Ho la sensazione che anche noi siamo presi da timori e paure future senza comprendere bene che di fronte a queste tragedie tutti abbiamo ancora molto da apprendere e da dare. Possiamo comprendere che i beni non sono la sola contropartita del portafoglio zeppo di soldi o del conto in banca, ma sono essenzialmente strumenti al servizio dell’uomo, “per l’uomo” e non “dell’uomo”. Ritornare ad apprezzare le piccole cose è l’unico modo per recuperare il sorriso e la gioia che si affievolisce. Rinforziamo il nostro tendere la mano verso gli “impoveriti”, perché il donare e il condividere sprigiona felicità e vera gioia di vivere. Questo ci darà la forza per aumentare anche la nostra disponibilità economica a sostenere qua e là tanti nostri confratelli verso la costruzione di un mondo nuovo.

Antonio

Lettera circolare della Rete di solidarietà internazionale

Radiè Resch di Macerata – Aprile 2016

Cari amici, il 26° Convegno Nazionale della Rete Radie’ Resch che si è tenuto a Trevi l’8, 9,e 10 aprile con il titolo “Migranti oltre l’Accoglienza” è stato, come sempre, interessante e coinvolgente centrando il tema con relatori e ospiti importanti e competenti; Padre M. Z., profugo eritreo, poi sacerdote e oggi presidente dell’agenzia Habeshia, che assiste rifugiati e richiedenti asilo, nonché candidato al Nobel per la pace, ci ha parlato delle terribili condizioni di vita del popolo eritreo che deve sottostare a un regime ingiusto che limita qualsiasi libertà di movimento e di pensiero; si pensi che tanto gli uomini quanto le donne sono tenuti ad essere al servizio dello Stato come servizio militare, i primi fino a 50 anni di età, e le seconde fino ai 40 anni. E’ questo, oltre alle carestie, alle guerre, ai rapimenti, al traffico di organi, uno dei motivi per cui i giovani scappano anche a costo di perdere la vita. Z. ha concluso il suo intervento asserendo che finché non si troverà una soluzione per tutto il Sud del mondo dove le condizioni di vita sono comunque precarie e non verranno cambiate le politiche dei potenti, le tragedie continueranno. TUTTO QUESTO NEL SILENZIO ASSORDANTE DEL MONDO CIVILE. La seconda testimonianza è stata quella di O. T., membro del Congresso del Kurdistan, che ha parlato dell’apartheid a cui la Turchia condanna i curdi cercando di estrometterli da ogni diritto, fino ad eliminarli fisicamente. O. ci ha parlato di come il popolo curdo stia resistendo all’oppressione, alla mancanza di uno status politico e giuridico ed ha affermato che la lotta per l’autodeterminazione curda non è una lotta fine a   sé stessa, ma per tutta l’umanità, per la convivenza fra diverse etnie, culture e religioni. Ci ha raccontato di come la sua vita sia sempre stata una lotta, di come la sua famiglia sia stata perseguitata dal regime turco, di come lei sia cresciuta in prigione con i genitori, di come sia entrata nel movimento di liberazione curdo, di come si è formato il movimento delle donne curde; il tutto visto con gli occhi di donna. Ha parlato di resistenza alla disumanizzazione, di forza di volontà, di speranza incrollabile. Infine W. A. R., fondatrice della ong palestinese “Filastiniyat” per la partecipazione delle donne e dei giovani alla vita politica della Palestina, ha affermato che si parla sempre meno della questione palestinese, mentre Israele seguita a conquistare territori; 2 milioni di palestinesi sono ghettizzati a Gaza dove la disoccupazione giovanile ha superato il 30%, e negli ultimi 13 mesi l’unico passaggio con l’Egitto utile per rifornire la gente di viveri, medicine e beni di prima necessità, è stato aperto per pochissimi giorni. Di fronte all’indifferenza della comunità internazionale, W. ritiene che sia più utile rivolgersi alle persone per ottenere il consenso dal basso che porti ai due famosi stati per due popoli. Ha fatto, altresì, una serie di proposte per contrastare lo strapotere israeliano: boicottare i prodotti made in Israele; informarsi sulla situazione rivolgendosi a fonti locali o utilizzando facebook o indirizzi internet, evitando i media che distorcono la realtà; firmare le petizioni contro il trattamento disumano del popolo palestinese chiuso a Gaza, e, per finire, ha parlato di speranza, affermando che essa, nonostante tutto, si respira proprio a Gaza, dove si può toccare con mano con quanto coraggio venga affrontata quella situazione dalla popolazione. Un’altra parte interessante del Convegno è stata quella dei lavori di gruppo svoltisi il pomeriggio del 9 aprile; io ho partecipato a quello intitolato “ Terre di confine” a cui sono intervenute: la Caritas di Savona portando la sua esperienza sull’accoglienza ai migranti, fatta sia nelle Parrocchie che in case private; la cooperativa Integra di Quarrata che realizza l’integrazione di donne straniere e italiane in situazione di disagio, impiegandole in un’attività artigianale di produzione di oggetti di bigiotteria, di arredo casa, fabbricazione di bomboniere, accessori personali, la cui vendita è realizzata via internet e grazie al commercio equo-solidale. La responsabile della cooperativa, pur non nascondendo le difficoltà di ordine economico, ha testimoniato la pacifica convivenza di donne diverse per esperienze, nazionalità e religione (marocchine, rumene, ucraine, italiane); la responsabile della cooperativa Askavusa di Lampedusa che si è sempre occupata di accogliere i viaggiatori (è così che preferiscono chiamare i migranti) ha messo l’accento sulla differenza fra l’accoglienza in Sicilia con il progetto Mare Nostrum e quanto accade ora con Frontex. Prima i migranti venivano inseriti nel tessuto urbano di Lampedusa, ora vengono raccolti al largo da grosse navi e poi portati nel centro di raccolta che è completamente militarizzato, è impossibile contattare queste persone o avere una qualunque relazione con loro. L’atteggiamento della cooperativa è molto critico nei confronti dell’oggi, non solo per Frontex, ma anche per i tanti miliardi che l’Europa ha assegnato alla Turchia per respingere buona parte dei profughi, mentre ci sono esperienze molto più positive da prendere come esempio, vedi la Comunità di S.Egidio e la Chiesa Valdese che con molti meno soldi hanno organizzato corridoi umanitari per salvare migliaia di migranti e portarli in Italia in sicurezza, dopo seri controlli dei requisiti di asilo. E’ stato chiarificatore l’incontro con due giovani africani che hanno parlato delle difficoltà incontrate nell’esperienza lavorativa in Italia: appena giunti sono stati occupati, sotto caporalato, a Rosarno per raccogliere mandarini e aranci; dopo i fatti tragici di Rosarno si sono spostati in Lazio dove, con l’aiuto di un centro sociale romano, hanno fondato una cooperativa per la produzione di yogurt a Km zero, distribuendo il prodotto in bici; ora producono anche verdure bio avendo vinto un bando della Regione Lazio per ottenere un appezzamento di terreno; il risultato importante è stato che da due componenti iniziali ora stanno occupando altri 4 immigrati e due italiani. Sono molto riconoscenti anche ai Gruppi di Acquisto Solidale che si impegnano per la promozione del loro yogurt tanto che da 10 litri settimanali sono passati a produrne 150, ma la fatica è stata tanta e anche forte la delusione di vedersi spesso trattare come merce e non come persone. Il nome della loro azienda è BARIKAMA che vuol dire “Resistente”. Da questo gruppo di lavoro sono, alla fine, scaturite idee che sono state riassunte in alcune frasi che abbiamo condiviso con gli altri gruppi: 1) oggi vittime domani vera accoglienza; 2) resilienza e inclusione, piuttosto che integrazione; 3) condivisione, comunità, fiducia; 4) interazione protagonismo. Il 9 aprile, ultimo giorno del Convegno, è stata la volta degli ospiti: C. K., deputata europea ha parlato delle politiche di asilo proposte nel Parlamento Europeo, del principio di solidarietà, dell’ecoripartizione delle responsabilità, della redistribuzione delle persone in tutto il territorio europeo, dei ricongiungimenti familiari, dei minori, dei visti umanitari, dei risultati inefficaci dettati dall’approccio emergenziale, della revisione del regolamento di Dublino, e della più o meno utile collaborazione con i Paesi terzi, concludendo che la sicurezza della persona è alla base dello sviluppo della società europea in quanto l’emigrazione è da considerarsi un fenomeno naturale. Il paleologo F. V. docente di Diritto di asilo e componente del Collegio in Diritti Umani ha sottolineato la mistificazione dei fatti che parlano solo di sicurezza invece di politiche immigratorie e di capacità di capire i problemi e le cause dei problemi.   Infine M. B. scrittore senegalese, autore e interprete di teatro, (vittima in prima persona del razzismo in quanto nel 2009 a Milano, alla fermata di un tram, fu accoltellato da uno sconosciuto solo per il fatto di essere africano), ha incantato l’uditorio con le sue dissertazioni sul razzismo, sui pregiudizi, sulla ricchezza delle differenze, sulle contraddizioni, i sogni, le speranze di una vita migliore, i dolori e le gioie dei migranti, ha parlato di società liquida considerando l’esperienza individuale e le relazioni sociali segnate da strutture che si scompongono e ricompongono in modo vacillante e incerto, appunto fluido.” Il consumismo crea rifiuti umani, la globalizzazione è l’industria della paura, la mancanza di sicurezze e la vita sempre più frenetica ci costringe ad adeguarsi al gruppo per non sentirci esclusi, e mercifica l’essere umano”. Infine mi si permettano alcune considerazioni: Cercando risposte scientifiche e non emotive alle dolorose cronache che abbiamo sotto gli occhi, è necessario interpretare questo fenomeno che sta mettendo in crisi la nostra idea di frontiera e di mobilità. Un milione di persone nel 2015 ha tentato di raggiungere l’Europa sopportando viaggi in condizioni disperate che hanno fatto più di 4mila vittime; crescono i campi profughi, si alzano muri per tentare di arginare quella che viene chiamata emergenza umanitaria epocale che per i governi europei è un elemento di instabilità politica cruciale; in realtà quello che da anni interessa l’Europa è parte d un fenomeno globale che conta 240 milioni di migranti dei quali solo il 10% sono rifugiati. La stragrande maggioranza è formata da persone che si muovono in cerca di lavoro, o per ricongiungersi ai familiari e spesso la loro meta non è il “ricco” occidente, ma anche paesi in via di sviluppo. Più di un terzo dei profughi economici, oltre 80 milioni di persone, riporta l’Osservatorio Internazionale sull’ emigrazione (OIM), si è spostato dall’Indonesia alla Malesia da Haiti alla Repubblica Dominicana, dalla Burkina Faso alla Costa d’Avorio, dall’Egitto alla Giordania. La migrazione provoca reazioni irrazionali anche se SPOSTARSI NEL MONDO FA PARTE DELLA NATURA UMANA, fin dall’origine della nostra specie, dicono gli antropologi; l’ultimo esodo di massa avvenne fra il 1850 e il 1910 verso il così detto Nuovo Mondo quando le Americhe accolsero 2 milioni di emigranti all’anno; e mentre gli antropologi spiegano che c’è una diffidenza innata nei confronti del diverso percepito come potenziale portatore di malattie e contagi, per l’Organizzazione Internazionale per la Cooperazione e lo Sviluppo   (che raduna i 34 paesi più ricchi del mondo), i migranti rappresentano una sicura opportunità di crescita, se inquadrati opportunamente nel mondo del lavoro; essi infatti, pagano tasse superiori ai benefici che ricevono, in quanto in genere si tratta di persone giovani che vogliono tornare nei loro paesi prima di aver bisogno di assistenza medica, pensionistica o di servizi sociali. Lo dimostrano alcuni recenti studi fatti in Gran Bretagna dall’Office for Budget Responsibility, osservatorio britannico per le risorse fiscali, che ha calcolato che se nei prossimi 50 anni in Inghilterra il numero degli immigrati raddoppiasse, contribuirebbe , in prospettiva, ad abbattere il debito pubblico britannico di un terzo, mentre se si chiudessero le frontiere il debito potrebbe aumentare fino al 50%.

Un saluto affettuoso

Cristina

Maggio 2016 (bis-2)

Proponiamo una riflessione particolare: la preoccupata comunicazione della segreteria:

Cari amici e care amiche, in questo mese la circolare nazionale, assegnata alla segreteria, è una vera e propria lettera circolare, un appello di solidarietà, che trova motivazione nella difficile situazione economica della nostra associazione, con cui in ultimamente è stato necessario fare i conti. Già negli ultimi anni il bilancio mostrava chiaramente una costante diminuzione della raccolta, ma senza che questo comportasse, di conseguenza, problemi per il sostegno ai progetti di solidarietà (avendo una certa riserva, dovuta ai lasciti). E’ invece durante la revisione dei progetti con scadenza 2015, che in Coordinamento (a Quarrata in Gennaio, prima, poi a Pescara in Marzo) si è dovuta costatare l’insufficienza delle risorse per la loro riconferma, anche considerando una “naturale” diminuzione per alcuni, in relazione a possibilità interne agli stessi progetti. I progetti di cui stiamo parlando sono: Donne palestinesi (Palestina), Scuola Nazionale del Movimento Sem-Terra (Brasile), Alli Causai (Ecuador), Sembrando amor como el mais (Ecuador), Clara Mattei (Brasile), Assistenza socio-sanitaria a Cochabamba (Bolivia), Produzione sapone a Roranapolis (Brasile), Progetto Nino (Bolivia), I Bambini di Timbuctu (Mali), Cofinanziamento scuole di Pace (Palestina), Appoggio alle donne capofamiglia (Ecuador), Mapuche associazione Folilko (Cile). Non è stato inoltre possibile approvare, neppure per una sua parte, il nuovo progetto “Eduposan” a favore di una popolazione indigena argentina, seppur ritenuto interessante, o a prendere in considerazione la richiesta di Don Panichella per un nuovo sostegno al suo lavoro di strada. Ne è scaturita una vivace e bella discussione sul senso del nostro fare solidarietà, sulla temporaneità del sostegno economico (si diceva “li accompagniamo per un tratto del loro cammino…”), sulle logiche della solidarietà, sulla consapevolezza che i progetti sono i progetti di tutta la Rete e non solo del gruppo locale referente (su questi aspetti vi rimandiamo ai verbali di Quarrata e Pescara). In una logica meramente economica, la situazione delle entrate comporterebbe una drastica riduzione delle somme necessarie al sostegno dei progetti (circa il 26%). Ci siamo invece, infine, ritrovati tutti concordi su una logica ed un’idea diversa dal fare meramente i conti con la realtà e con il bilancio, cioè, con l’idea di richiamare le nostre più profonde motivazioni al fare solidarietà e condivisione della nostra vita con gli ultimi, con gli impoveriti della terra. Eccoci, perciò, a lanciare un appello per un grande sforzo collettivo, per una raccolta straordinaria che arrivi a coprire la somma mancante di euro 7600.

Buon lavoro ed un grande abbraccio a tutti ed a tutte!

la Segreteria

Maria, Gigi, Maria Rita

Maggio 2016 (bis)

Carissima, carissimo,

da pochi giorni siamo rientrati dal Convegno della Rete a Trevi dove abbiamo dato la parola ai nostri amici profughi e migranti, evidenziare che è stato meraviglioso è poca cosa in rapporto a ciò che abbiamo ascoltato, vissuto. Un’umanità nuova in cammino verso ognuno di noi, verso ogni comunità, verso ogni Stato per sentirsi insieme: mondo. Siamo nel pieno dell’anno della Misericordia, al convegno abbiamo compreso che ha mille strade, mille modalità, che la solidarietà si esprime in mille modi, che è un aspetto essenziale della misericordia. Che offrire misericordia non può essere un peso o una noia da cui liberarci in fretta. Il bisognoso, la vedova, lo straniero, l’orfano: Dio vuole che guardiamo a questi nostri fratelli, vuole metterci alla prova se siamo capaci di fermarci a guardare negli occhi la persona che mi sta chiedendo aiuto? Sono capace? Oggi dobbiamo amare le persone in modo che esse siano libere di amare gli altri più di noi, perché è il volersi bene che fa sentire le persone uguali. Oggi facciamo i conti con il caos, con male, con i disastri della natura, con le violenze, con le guerre, con le ingiustizie, con la sopraffazione di un popolo sull’altro. Oggi il male è così invadente da poter pensare che forse l’uomo, prima ancora di essere colpevole, ne é vittima. Oggi gli errori, l’imperfezione, il limite sono quindi insiti nella storia, ma sono anche la chiave del progresso. I momenti più caotici, e noi probabilmente ne stiamo attraversando uno, sono però spesso anche quelli che danno origine ad una nuova coscienza, ad un salto di qualità, alla capacità di un radicamento più interiore, ad una maggior crescita umana. L’Europa ha chiuso le frontiere sulla rotta dei Balcani percorsa dai profughi, lo ha annunciato come una vittoria. Un volto, quello dell’Europa, senza vergogna. Doveva organizzare la distribuzione dei profughi, siamo ancora al caos, peggio, si ergono muri ovunque, in questi giorni anche l’Austria, governata dalla sinistra, ma presto chiamata al voto, per paura di perdere le prossime elezioni, ha iniziato a costruire un muro al Brennero, e sta pensando di ergerlo anche con la Slovenia. I ventotto paesi hanno siglato l’accordo ma nessuno è interessato a metterlo in pratica. Dove sono l’umanità, la solidarietà, la compassione? Una vittoria dei ciechi egoismi, del cinismo e dell’indifferenza, sbandierata proprio da una istituzione che vanta nel proprio curriculum un “immeritato” Premio Nobel per la Pace nel 2012. Le frontiere chiuse a migliaia di profughi senza documenti regolari in fuga dai conflitti in Siria, in Afghanistan e in Iraq, dal terrorismo nel Pakistan, dalla siccità, dalla fame e dai regimi dittatoriali dell’Africa sub-sahariana. Sono porte sbattute in faccia a famiglie intere, a madri e bambini. Ad Idomeni, al confine tra Grecia e Macedonia, sono bloccati 14 mila migranti e rifugiati, in condizioni drammatiche. Ho ricevuto notizie tragiche dagli amici preti di Ambivere (BG) che avevano eretto nel tempo di Quaresima una tenda e vi avevano preso posto, che sono andati ad incontrarli. Ma allo stesso tempo quanta voglia di vita, quanta creatività ci fatto conoscere attraverso l’invio di notizie e grossi murales fatti con i bambini. Ad ogni loro movimento ricevono, contro ogni legge internazionale vigente, lanci di lacrimogeni, proiettili di gomma e acqua gelida con gli idranti. Stiamo assistendo alla crudeltà dell’umanità nel fango! Dove è finita l’Europa della democrazia e dei diritti? Ma soprattutto dove ha smarrito la sua umanità di fronte al genocidio in atto nel Mediterraneo, mare di sangue, che ha falcidiato dal 1988 oltre 28 mila vite? Ma questi non sono numeri! come ci hanno insegnato padre Zanotelli e don Ciotti, questi non sono numeri, sono volti, vite, quante volte dovremmo ancora ripeterlo? Che ne è rimasta della commozione di tutto il mondo davanti alla foto del piccolo Aylan sulla spiaggia turca? 330 bambini inghiottiti solo dall’inizio dell’anno da un mare più nero dell’inferno senza una lacrima versata, se non il dolore eterno, di cui non sapremo mai, delle madri. E se fossero stati bambini italiani, annegati durante una crociera sul Mediterraneo? Solo questo è un orrore impronunciabile, vero? Chi li avrà sulla coscienza quando tra venti o trent’anni si leggerà sui libri di storia di un genocidio mai riconosciuto, mai affrontato con soluzioni possibili e praticabili, come quella dei corridoi umanitari? Continuiamo a voltare tutti gli occhi da un’altra parte, continuiamo a far finta di non vedere. C’è da vergognarsi di essere europei. Punto e basta. Ci domandiamo quali sono i motivi dei conflitti, chi li determina, chi li arma, quali interessi economico e geopolitici ci sono dietro, e a vantaggio di chi? Chiudo ricordando che, seicentomila italiani ricevono la pensione ogni anno grazie ai contributi versati dai lavoratori emigrati, che hanno versato all’Inps contributi per circa 8 miliardi di euro.

Antonio Vermigli,

Rete di Quarrata

Migranti oltre l’accoglienza. Donne e Uomini in cammino verso l’inedito
Introduzione agli atti a cura del coordinamento
Il 26° convegno della Rete, che quest’anno si è svolto a Trevi con la partecipazione di quasi 300 persone, ha segnato un passaggio importante per la Rete, non solo per la scelta del luogo. Abbiamo infatti capito che in questo tempo fare solidarietà significa incrociare le rotte dei migranti.
Il tentativo è stato quello di assumere una prospettiva che andasse oltre la logica emergenziale, dove le parole “oltre” e “inedito”, proposte nel titolo, fossero la cifra e la chiave di lettura dei tre giorni di convegno,abbandonando così lo stereotipo che dipinge i migranti esclusivamente come vittime in balia di eventi decisi da altri. Il loro mettersi in movimento, pur in situazioni drammatiche o addirittura disperate – la ricerca di un lavoro, la fame, la povertà, la guerra – è il risultato di decisioni prese da persone che prima di tutto sono determinate a vivere: il loro spostarsi, le loro marce o il loro attraversamento del mare è prima di tutto un desiderio di vita. Per questo una delle novità più riuscite del convegno è stata quella dei lavori di gruppo del sabato pomeriggio che hanno lasciato spazio all’incontro con tutta una serie di realtà come, per esempio, la cooperativa romana Barikamà, che significa resistente in lingua bambarà, creata da giovani africani impegnati con successo nella produzione di yogurt per i proprio autosostentamento; la cooperativa pugliese Sfrutta Zero che ha messo insieme migranti e italiani per realizzare una filiera pulita del pomodoro, che restituisce dignità al lavoro agricolo, unendo alla produzione di salsa di pomodoro biologica una paga giusta per tutti; SOS Rosarno, che affianca i braccianti nella loro lotta contro lo sfruttamento, siano essi italiani o stranieri; i giovani e le giovani della Caritas di Savona, impegnati nel progetto “Un rifugiato a casa mia”, dove relazioni autentiche di ascolto e rispetto reciproco costituiscono il fondamento di un’accoglienza che va oltre ogni normativa.
Da queste testimonianze così ricche e intense è emerso con evidenza che siamo davvero tutti nella stessa barca, senza distinzione tra noi e “loro”, i migranti – del resto questo ha voluto significare il bel manifesto realizzato per il convegno – e che solo da quella barca possiamo provare insieme a immaginare e a far nascer qualcosa di inedito. E a darci misura del fatto che si possono già vedere le prime forme concrete di questo inedito sono stati proprio questi giovani e queste giovani, italiani e stranieri insieme, che si stanno assumendo la responsabilità di dar vita ad una società nuova. Per questo possiamo annoverarli a pieno titolo tra i nostri testimoni, se per testimoni intendiamo chi ci aiuta a leggere la storia da altre prospettive.
Sono state molto ricche anche le relazioni, pubblicate qui negli atti, che ci hanno aiutato ad approfondire, sotto diverse angolature, cosa significhi essere uomini e donne in cammino, dai tanti là, ma anche nel qui dove viviamo. Abbiamo ascoltato con interesse l’avvocato Fulvio Vassallo Paleologo, coordinatore della Clinica legale per i diritti umani, CLEDU, e presidente dell’associazione Diritti e Frontiere, che ha affrontato il tema del rapporto tra legalità e democrazia, in relazione a quanto sta accadendo con i migranti; p. Mussie Zerai, fondatore dell’ Agenzia Habeshia e candidato al Nobel per la pace per l’incessante sostegno ai richiedenti asilo e la coraggiosa denuncia delle efferatezze del regime eritreo; Ozlem Tanrikulu, membro del Congresso Nazionale del Kurdistan che battendosi per i diritti del suo popolo ha affermato con forza che saranno i popoli dal basso a ridisegnare le forme della democrazia; la giornalista palestinese Wafa’ Abdel Rahman, che ha sottolineato l’importanza di mobilitare la società civile, in particolare le giovani, e di assumere la prospettiva femminile perché le donne possono fare la differenza nella gestione del conflitto
israelo-palestinese e non solo; l’attore e scrittore Mohamed Ba, che dell’incontro tra le culture fa la sua ragione di vita; la deputata europea Cecile Kyenge, impegnata nella messa a punto di leggi e normative europee più adeguate per quanto riguarda i migranti e di cui abbiamo raccolto, tra l’altro, l’invito a non perdere la speranza.
Naturalmente non ci sono state risposte preconfezionate e tanto meno sono state prospettate soluzioni. E’ stato importante, però, renderci conto che questa congiuntura storica può essere davvero l’occasione di un nuovo inizio per tutti: noi che stiamo già qui e “loro” che qui cercano una vita più vivibile o, più semplicemente, cercano di continuare a vivere. Solo stando fianco a fianco sarà possibile realizzare un cammino di liberazione: italiani e stranieri insieme dovremo assumerci la responsabilità aprire strade nuove dove l’emigrazione sia considerata condizione naturale; dove l’auto organizzazione e la dignità del lavoro siano alla base di relazioni paritarie che rompano la distinzione tra migranti non migranti.
Evidentemente questo cammino non possiamo compierlo da soli: al contrario dobbiamo sostenerci tra noi e soprattutto fare rete con tutte quelle persone e quelle realtà che hanno assunto questa prospettiva e vogliono prendere posizione con scelte concrete sul piano personale e politico.
Per questo è stato prezioso il tempo del convegno, perché ci ha offerto la possibilità di un ampio scambio di idee, di pensieri, soprattutto di domande, ma anche di relazioni profonde per dirci cosa ci sta a cuore e su cosa vogliamo tenere gli occhi ben aperti, se vogliamo diventare anche noi parte di questo inedito: del resto la Rete ci ha sempre spinto verso questo tipo di percorsi. In molti di noi sono risuonate le parole che tante volte ci ha ripetuto Arturo Paoli: “Il cammino si fa camminando”.Allora non rifugiati né migranti, non più vittime, ma attori di cambiamento, come si diceva aprendo il convegno: questa è la sfida che la Rete vuole fare propria proseguendo e rinnovando il proprio cammino, sempre attenta ai segni che la storia le mette davanti.
FULVIO VASSALLO PALEOLOGO
Questa è l’occasione di riflettere con voi su un fatto epocale che sicuramente in questi giorni, in queste settimane, chiama fortemente in causa la nostra capacità di valutazione e intervento: la prossimità delle persone che arrivano ci costringe a fare delle scelte.
C’è chi si interpone, chi si oppone, chi assiste, chi sta a guardare, chi è indifferente. È importante, in un momento così difficile per i migranti – ma anche per gli europei, con la crisi economica devastante e con un’Unione Europea incapace in politica estera – potere parlare del tema e scambiare punti di vista.
Riguardo all’informazione, invito tutti a diventare “produttori e condivisori” di quanto accade. Produrre informazione a livelli minimi. Faccio un esempio: in merito alla chiusura del Brennero, l’Austria sostiene che nessuno dei migranti detenga la qualità di richiedente asilo. Tuttavia la commissione di Ginevra non vieta a nessuno di fare richiesta d’asilo. Anche la nostra costituzione – art.10 – prevede possa essere richiesto da tutti, indipendentemente dal paese d’origine. È un diritto fondamentale, e come tutti i diritti fondamentali della persona umana va riconosciuto a tutte le persone; non può essere negato a priori l’accesso alla procedura, né a priori l’accesso al territorio.
Stiamo attraversando una fase molto critica di disinformazione – che passa anche attraverso i discorsi diffusi da alcuni governi, come quello italiano secondo il quale chi arriva sulle nostre coste dall’Africa è migrante economico, senza diritto di chiedere asilo.
Dalle statistiche che diffonde il Ministero dell’Interno vediamo che coloro che sono arrivati lo scorso anno (e che continuano ad arrivare anche nel 2016) non sono più in prevalenza siriani, come invece accadeva nel 2014, prima dell’apertura della rotta balcanica.
I siriani che provenivano dalla Libia nel 2014 arrivavano in aereo da Damasco, qualcuno arrivava anche a Malta. Si imbarcavano soltanto per l’ultimo tratto per poi giungere in Italia. Fino a Tripoli viaggiavano con i loro documenti.
Quando la Libia è collassata, l’aeroporto della capitale è stato bombardato e i voli sospesi, alcuni hanno tentato l’avventura via terra, o attraverso l’Egitto, dove hanno subito arresti, oppure attraverso le isole greche, o dalla Turchia verso la Bulgaria, risalendo lungo la rotta balcanica verso la Slovenia , l’Austria e l’Ungheria.
Opero in Sicilia, osservo gli sbarchi, sono in contatto con associazioni, avvocati, Croce rossa, Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), e con varie associazioni che intervengono concretamente all’arrivo di queste persone: le nazionalità delle persone che approdano sulle nostre coste sono ancora in gran parte verosimilmente aventi diritto all’asilo.
Non sono solo nordafricani, come ritiene l’Austria: la percentuale di nordafricani che arriva è estremamente bassa. Se si tratta di cittadini tunisini, poi, quasi in tempo reale (in uno o due giorni) per una percentuale che sfiora il 60% vengono riportati in Tunisia grazie a un accordo di riammissione che semplifica le procedure (a differenza di altri accordi di riammissione con altri paesi).
Gran parte dei tunisini in arrivo viene separata dal resto delle persone appena arrivate e portata in centri di prima accoglienza o di detenzione sorvegliati dalla polizia. In media 20-30-40 persone la settimana ripartono verso Tunisi.
Confrontando dati ufficiali provenienti da fonti certe, da rapporti che periodicamente emana il Ministero dell’Interno (che tramite le Prefetture e le Questure raccoglie dati attendibili) e dai dossier della Caritas e del Centro Studi e Ricerche IDOS, la prima considerazione è che esiste un forte scarto tra le cifre reali dei richiedenti asilo e dell’immigrazione in generale per motivi economici e le cifre percepite. Cioè indagini scientifiche dimostrano lo scarto tra ciò che gli italiani avvertono come fenomeno immigratorio e i dati veri dello stesso. Spesso si crede ad esempio che le persone che chiedono asilo siano la maggioranza perché si parla soltanto di loro. Mentre molti giungono in Italia con visto turistico e con passaporto, a volte falso, ma comunque non sui barconi. Sui barconi entra una parte ridotta dei migranti.
L’Italia, come molti Paesi europei, rilascia alcune centinaia di migliaia di visti Schengen, che consentono per tre mesi di muoversi liberamente sul territorio. Chi entra con il visto turistico per invito, anche per motivi religiosi o di visita, può circolare nello spazio Schengen. Alla scadenza, c’è chi resta, di fatto irregolarmente.
Negli anni dopo la legge Martelli, dal ’90 a oggi, si calcola che il 70% dei cinque milioni di immigrati regolarmente presenti in Italia si sia regolarizzata, dopo avere percorso un tratto temporale di irregolarità, mediante sanatorie o con il decreto flussi. Entrati, quindi, mediante visto e passaporto, queste persone sono rimaste fino alla regolarizzazione.
Oggi, con i canali legali fortemente circoscritti, una delle modalità consistenti è quella del ricongiungimento familiare, anche in attuazione di principi costituzionali e norme di convenzioni internazionali che privilegiano l’unità del nucleo familiare. In Italia sottoponiamo questo diritto all’unità familiare a requisiti di reddito moltoseveri, fatto che costringe alcune famiglie a far arrivare i figli soli, minorenni e non accompagnati perché non riescono a far approvare alla Questura quel reddito di 15.000 euro che è richiesto all’anno per far arrivare.
Normalmente si tratta di famiglie numerose, quindi il ricongiungimento diventa una chimera, ma rimane comunque un canale di ingresso molto utilizzato.
Il problema non sono i 170.000 arrivati nel 2014 per chiedere asilo perché di queste persone solo 70.000 sono rimaste in Italia, mentre le altre hanno proseguito il loro viaggio. Il problema non dovrebbero essere nemmeno i 150.000 arrivati lo scorso anno, molti dei quali in solo transito, diretti verso Paesi dove c’è più lavoro. Fino a qualche anno fa in Italia dopo sei mesi dalla perdita del contratto di lavoro si diventava irregolari, si poteva essere anche espulsi. Ora il termine è di un anno. Se non ci si procura un altro contratto, si perde il diritto di stare nel nostro paese. Questo accade talvolta a persone che hanno figli nati in Italia: l’ottenimento della cittadinanza è regolato dalla peggiore delle leggi d’Europa con termini di tempo spropositati. Così abbiamo persone da vent’anni in Italia, con figli di 18 anni nati qui, eppure senza cittadinanza, col rischio di essere espulsi.
L’immigrazione è in molti casi femminile: siamo passati al 15% del totale di donne che arrivano, mentre in precedenza sui barconi si trovavano molto più di frequente gli uomini. Oggi sempre più spesso arrivano anche minori non accompagnati. Talvolta questi ragazzi vengono inseriti in un progetto positivo di accoglienza, ma altre volte i minori non trovano una sistemazione adeguata, sono sottoposti a controlli di polizia molto severi. Vi sono maggiorenni che passano per minori o minorenni che vengono espulsi.
Inoltre, vorrei dire che qui non si tratta di un fenomeno di emergenza: sono almeno 25 anni che abbiamo a che fare con flussi migratori consistenti. L’accordo tra Unione Europea e Turchia, Asia, Medio Oriente e Africa sul tema migrazioni è molto complesso, ma davvero sembra che ci sia chi vuole estorcere soldi all’Europa, in cambio di una supposta capacità di fermare le partenze dal proprio Paese (tutta da dimostrare).
Invito ad andare a cercare il Rapporto sull’accoglienza del Ministero dell’Interno del novembre 2015: è una fotografia fedelissima di tutti gli immigrati dell’Unione Europea e non. Migranti economici, richiedenti asilo, si forniscono informazioni sulla loro consistenza numerica e sulle norme che regolano la condizione giuridica dello straniero.
E difatti avere il quadro normativo completo (che è poi quello che stabilisce la condizione giuridica delle persone ed il rapporto tra le persone e lo Stato), è molto difficile: i contenziosi sono in crescita, si impugnano provvedimenti di diniego d’asilo e di espulsione. Al riguardo la giurisprudenza è abbastanza rassicurante: se si pensa alla legge Bossi Fini del 2002, una decina di sentenze della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale (dal 2004 al 2011) ha demolito l’impianto sanzionatorio e penalistico che introduceva. Quindi nell’evoluzione normativa un ruolo importante è quello delle Corti. Gli immigrati, poi, hanno enorme difficoltà ad avere accesso a un trattamento giusto, anche nel caso di reati lievi. Per gli italiani scattano normalmente gli arresti domiciliari, mentre per gli immigrati senza residenza stabile scatta l’arresto. Il numero di reati commessi da immigrati non è maggiore di quelli commessi da residenti, ma la loro forte presenza numerica nelle carceri spesso deriva dal non poter presentare ricorso alle misure alternative alla pena, alla liberazione anticipata, al lavoro socialmente utile o agli arresti domiciliari. Anche per questo aspetto l’impressione che si ha del fenomeno migratorio è distante dalla realtà.
Degli ultimi mesi è stato l’accordo fra UE e Turchia: la Turchia incasserebbe 6 miliardi di euro e dovrebbe riprendere dalla Grecia, attraverso i rimpatri –cioè le deportazioni- chi ha fatto la traversata. Ma le persone riportate in Turchia non sono turche, bensì pachistane, afgane, sono somale, sudanesi, nigeriane. Quindi non si parla di rimpatri ma di riconsegna, riammissione di persone che sono entrate irregolarmente in un paese che poi li ritrasferisce all’ultimo paese dal quale sono transitate, ma non le riporta in patria.
Secondo questo schema dovrebbe essere la Turchia che li riporta in patria. Per fare questo ci vogliono soldi, e la Turchia li chiede all’Europa. L’Europa aveva promesso soldi anche in occasione della strage di Lampedusa del 2010, ma non li ha versati. L’Europa ha promesso 6 miliardi di euro a Erdogan, ma c’è scontro su come debba essere ripartito questo fardello economico a livello europeo: ci sono paesi come Lettonia, Estonia, Finlandia che non vogliono contribuire. Si rifiutano di dare fondi per la crisi economica e non perché la Turchia, come l’Egitto (altro partner potenziale dell’Unione Europea sui rimpatri), notoriamente non garantisce il rispetto dei diritti umani, ad esempio coi respingimenti. Come avvocati, in alcuni casi, siamo riusciti a dimostrare l’illegalità di respingimenti svolti da altri paesi come l’Italia (nel 2012 abbiamo ottenuto la condanna dell’Italia alla Corte Europea per i diritti dell’Uomo per i respingimenti verso la Libia avvenuti nel 2009, affidati alla guardia di Finanza, che dopo avere bloccato un serie di imbarcazioni ricondusse gli occupanti a Tripoli consegnandoli alle autorità di polizia libiche. Molte di queste persone furono incarcerate e subirono abusi; nel processo svoltosi presso la Corte Europea negli anni successivi questo emerse chiaramente ).
E ancora, i respingimenti di massa che negano il diritto di asilo sono stati oggetto di un’altra condanna per l’Italia, subita nel 2014 per i respingimenti verso la Grecia, paese ritenuto sicuro, paese che in realtà riportava profughi afghani in Turchia, che a sua volta li riportava in Afghanistan: sui ricorsi fatti da alcuni pachistani ed afgani, minori, abbiamo fatto ricorso insieme agli avvocati greci (che poi si ritirarono perché minacciati dal Governo). Si riuscì a portare il caso alla Corte di Strasburgo, che condannò Italia e Grecia.La macchina espulsiva, nel suo orientarsi verso una pletora enorme di persone, fallisce sistematicamente.
Non è mirata su soggetti pericolosi, categorie ben definite, numero ristretto di persone. L’automatismo del meccanismo espulsivo per fortuna ora è attenuato. l’Unione Europea di fatto ha reso ineseguibile l’espulsione. I centri di identificazione e di espulsione sono luoghi chiusi, quasi carceri, dove si realizza una detenzione amministrativa. Sono finalizzati a contenere le persone da espellere, ma le politiche espulsive puramente repressive hanno, nell’arco di 25 anni, dimostrato sistematicamente il loro fallimento.
Ripensando alle prime emigrazioni di massa (ad esempio alle 20.000 persone giunte in un solo giornodall’Albania in Puglia nel 1991) andrebbe fatto un collegamento tra la crisi dei Balcani degli anni ‘90, che significò guerra civile, campi di concentramento, e l’attuale situazione, che sta riproponendo campi di concentramento alle frontiere, nel fango, nel pantano, senza cibo, con bambini che si ammalano. È vero, senza quell’odio etnico che scatenò una carneficina e che in molti casi diventò pulizia etnica.
Spesso chi emigra per necessità giunge nei paesi confinanti al proprio, con la speranza di ritornare, un giorno, a casa. Dei 7.000.000 di siriani in movimento, ad esempio, 2.700.000 sono in Turchia, 1.200.000 in Libano, 1.000.000 in Giordania. Si calcola che 1.000.000 sia finito in Europa, in 17 stati. Il Libano (7.000.000 di abitanti) e la Giordania (9.000.000 di abitanti) ne ospitano circa 1.000.000 a testa: dunque una presenza altissima. I campi profughi sono tendopoli da centomila abitanti, con regole totalmente fuori dal diritto e governati dalla violenza, con abusi, reclutamento, commercio di donne e bambine per matrimoni forzati, o per esportazione verso i ricchi paesi arabi, e molto altro.
In Africa, fino a poco tempo fa, prima che giungesse sulla scena prepotentemente la variabile impazzita dei fondamentalisti di Boko Haram e più recentemente del Daesh, la mobilità tra paesi africani per lavoro era molto forte: si poteva passare anche senza passaporto verso l’Egitto, la Libia, la Tunisia. In Libia c’era una forte presenza di lavoratori marocchini senza passaporto. Oggi tutto questo non accade più, e quindi l’impossibilità di muoversi fra est e ovest ha accentuato fortemente la spinta verso nord, anche di persone che tradizionalmente erano lavoratori migranti economici, ma che la condizione del paese di transito (come la Libia) la ha trasformati in richiedenti asilo.
Ora, di fronte a chi arriva, c’è chi si comporta come l’Austria, che invocano il Regolamento di Dublino (secondo cui chi sopraggiunge per richiedere asilo deve restare nel primo paese d’ingresso dell’Unione): questo principio risolve molti problemi dei paesi europei “più interni” mentre lascia esposti quelli che hanno confini esterni. Dopo che la Grecia è andata in default, nel paese diverse corti hanno sospeso per anni l’applicazione del regolamento di Dublino: quindi chi passava dalla Grecia, anche se registrato laggiù, poteva ottenere il diritto di asilo in Germania, o in Olanda, Svezia, ecc.
Per l’Italia la soluzione è stata –potremmo dire- un po’ “all’italiana”: il nostro sistema di accoglienza nel tempo ha avuto una crescita, i posti sono stati creati, ma abbiamo in qualche modo chiuso gli occhi di fronte all’identificazione attraverso le impronte digitali, come richiede il sistema Dublino. Se una persona giunge a Pozzallo, Trapani, Brindisi o Cagliari e transita senza che gli si rilevino le impronte, arrivando in Germania non incontra alcuna difficoltà nel presentare richiesta di asilo. Ovviamente i paesi geograficamente più “interni” all’Europa non hanno alcun interesse a modificare il trattato di Dublino.
Mediamente i paesi europei accolgono il 50% delle richieste di asilo. Il resto viene respinto, spesso dando origine a ricorsi. In Germania, un gruppo di migranti ricorrenti da 9 anni hanno beneficiato di una specie di sanatoria che autorizza il soggiorno legale alle persone che, a fronte della richiesta di asilo respinta, hanno presentato ricorso e da più anni risiedono nel paese in attesa di vincerlo.
In Italia le commissioni che decidono in tema di asilo, sono commissioni che utilizzano criteri restrittivi: oggi arriviamo a percentuali di dinieghi dell’80% ; lo verifico operando con la clinica legale dell’Università di Palermo, attraverso la quale seguiamo i ragazzi del Gambia, del Sudan, i nigeriani che si vedono assegnare dinieghi. Per loro otteniamo la sospensiva, riusciamo con avvocati che collaborano con noi a fare ricorso e a ottenere poi anche l’annullamento di questi dinieghi. Però, per 10 che riusciamo a seguire, altri 100 rimangono irregolari senza poter ricorrere, poiché il ricorso richiede la costruzione di un rapporto tra l’associazione, l’avvocato e il migrante che non è sempre facile. Nel resto d’Europa lo stesso istituto della sanatoria un tempo possibile, ora non lo è più. In Italia abbiamo assistito a un’estesa sanatoria negli anni ’90 attraverso la legge Martelli. In particolare nel 1998 sono state interessate 300.000 persone. Dopo il 2002 è stata registrata un’altra regolarizzazione molto ampia, quasi 500.000 persone, e ancora, anno dopo anno, dal 2000 fino al 2012, c’è stata l’applicazione di decreti flussi annuali, che in realtà costituivano principalmente una modalità di emersione del lavoro in nero offerto da lavoratori già alle dipendenze di datori di lavoro italiani, qui, sul nostro territorio. Si può dire che abbiamo avuto una forma di regolarizzazione piu’ fluida fino al 2012; da quel momento, abbiamo registrato un aumento esponenziale degli arrivi delle persone che richiedevano asilo perché le situazioni dei paesi di origine erano sempre più terribili ma le vie per la regolarizzazione si sono ridotte.
Dal 2013 con la chiusura degli ingressi, tanto per lavoro quanto per richiesta asilo, abbiamo assistito a un aumento esponenziale delle partenze via mare, e conseguentemente dei profitti dei trafficanti, perché ogni sistema proibizionista determina un’enorme crescita dei numeri di persone che si muovono illegalmente equindi dei profitti economici dei trafficanti, e quindi del rischio insito nelle modalita’ di viaggio.

A seguito dello stravolgimento dell’opinione pubblica che derivò dalle immagini delle bare dopo la strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013 (seguita subito da un’altra strage a sud di Malta l’11 ottobre, che nessuno ricorda mai, con oltre 400 morti) viene dato il via, il 18 ottobre 2013, a Mare Nostrum: l’operazione finanziata soltanto dall’Italia che per un anno consentì il salvataggio in mare di più di 135.000 persone che sarebbero probabilmente in buona parte morte.

Le mutate condizioni in Libia e in parte anche in Turchia e l’aumento dei controlli hanno trasformato anche le tipologie di imbarcazioni usate: si utilizzano i gommoni, sempre più insicuri. Si sgonfiano rapidamente.
Mentre prima le imbarcazioni che arrivavano in Sicilia avevano serbatoi abbastanza capienti, ora i gommoni che partono dalla Libia hanno un’autonomia di 20–30 miglia , cioè 40 km, arrivano in acque internazionali e si fermano, chiamano aiuto con il telefono e , quando va bene, sopraggiungono i soccorsi.
Assistiamo, dunque, allo stravolgimento del sistema migratorio irregolare con l’aumento dell’attività dei trafficanti anche per il blocco e la chiusura di tutti i possibili canali di ingresso legali.
Chi arriva e chiede asilo finisce in centri di accoglienza: vorrei ricollegarmi al tema di Mafia Capitale (si riferisce al Centro di Accoglienza per Migranti e Richiedenti Asilo di Mineo, ndr), un miliardo di euro che ha arricchito i gestori dei centri e non i migranti, maltrattati dal sistema che li ha accolti con standard bassissimi, poco dignitosi, come i rapporti di alcune campagne hanno ben dimostrato (ad esempio quella denominata Lasciateci Entrare, on line l’ultimo report di febbraio che mostra le condizioni dei centri).
Si è sparsa la voce (anche per motivi politici) che fossero i richiedenti asilo a incassare 35 euro al giorno: molta gente ne è ancora convinta. E invece questi soldi vanno tutti nelle tasche degli italiani che gestiscono i centri, dove lavorano anche molte persone in nero, volontari in attesa di un futuro contratto, oppure pagate la metà. Il sistema dei centri è in mano a pochi operatori molto grandi, associazioni, consorzi, ad esempio associazioni temporanee d’impresa con sede operativa costituita in Sicilia e sede legale a Roma: un sistema inquinato che ha doppiamente tradito i migranti, guardati negativamente non soltanto perché ‘venivano a togliere lavoro e casa agli italiani’, ma anche perché depauperavano gli italiani, che dovevano pagare per fornire loro accoglienza. Le rotte nel tempo sono molto cambiate, non soltanto per un’evoluzione storica, dall’emergenza nord-africa nel 2011alle Primavere arabe.
La Siria ha certamente stravolto il senso e la portata del diritto di asilo in Europa: oggi si parla di siriani, forse iracheni, forse eritrei con diritto d’asilo, come se tutti gli altri non lo avessero. L’afflusso così massiccio di richiedenti asilo provenienti dalla Siria ha modificato anche il panorama politico: partiti populisti emergono, sulla posizione rispetto all’accoglienza si sono giocate tornate elettorali in tutti i paesi europei, dalla Spagna alla Polonia, dall’Ungheria alla Norvegia, dalla Svezia all’Italia (forse negli ultimi tempi un po’ meno nel nostro paese, che ha ammorbidito la linea, lasciando andare, facendo finta di non vedere).
Molta della politica viene giocata sul tema dei migranti e dei richiedenti asilo: dopo il capodanno di Colonia (con l’attacco di massa di uomini ubriachi nei confronti di ragazzi e ragazze soli, con pochi casi di violenza ma con gravi offese sul piano processuale) la Germania ha avuto una brusca chiusura. La stessa Svezia, che pure aveva accolto, ha annunciato che tutti gli 80.000 profughi cui non era stato riconosciuto lo status di rifugiati verranno espulsi: una dichiarazione dallo scopo politico, anche se poi forse non attuata.
Dichiarazioni politiche di principio, poi non eseguite: anche la Bossi-Fini conteneva delle norme che da subito si poteva prevedere non sarebbero state applicate. Oggi, per esempio, un immigrato irregolare in Italia non viene più condotto automaticamente in un centro di trattenimento, e se non ottempera all’obbligo di espulsione non viene detenuto in carcere per essere espulso, perché si è capito che se il paese da cui proviene non lo riprende, rimane in carcere per anni, intasando il sistema carcerario stesso (questa saturazione delle carceri si è registrata dopo il 2009, è costata sentenze della Corte Costituzionale. La Corte di Lussemburgo ha sottolineato che la legge italiana derivante dai pacchetti sicurezza non era conforme alle normative europee in termini di rimpatrio forzato).
Dunque le rotte continuano a cambiare: le principali sono quelle che collegano all’Africa, sub–sahariana.
Francia e Spagna hanno chiuso con cura le frontiere, dopo un accordo stipulato con il Marocco. I migranti, che non provengono se non per il 10% dal Maghreb, si muovono dall’area della Guinea, del Gambia, del Mali, del Niger, e dall’altra parte dall’Etiopia, dall’Eritrea e dal Sudan. Sono costretti a passare dalla Libia, oggi divisa e in mano a diverse bande. I punti di imbarco erano a Zuara, ora Zabrata, la spiaggia di Garabul e Zabia. Si punta su Lampedusa, sapendo che a 20 mt dalla costa si viene soccorsi.
Oggi vi sono molte navi militari che si aggirano in quella zona e contribuiscono a segnalare e a prestare soccorso, anche perché il Daesh – o Isis- ha occupato tre città del nord della Libia e c’è il timore che possa minacciare i mezzi commerciali (pescherecci d’alto mare, petroliere, navi cargo) in transito da Gibilterra a Suez. Dunque qui si trovano le navi dell’operazione italiana Mare Sicuro, supportate da mezzi Eunave For Med dell’Unione Europea, più altri mezzi NATO. Un mezzo militare ogni 10 miglia.
Questo ha contribuito a diminuire il numero delle stragi (questo intervento di Vassallo risale al mese di aprile, prima delle enormi perdite umane di fine giugno, ndr).
La rotta attraverso la quale sono giunti in Europa migranti e richiedenti asilo è quella balcanica: dalla Turchia passando per le isole greche (Kios, Lesbo, Kos) oppure andando direttamente verso Bulgaria e Macedonia.
Si tenga conto che, se dal Nord-Africa arrivano prevalentemente adulti soli, dalla Siria arrivano famiglie con2, 3 fino a cinque figli.
L’Italia ha la sua storia, le sue attitudini, le sue modalità i materia di salvataggio; a mio avviso detiene il primo posto al mondo nel dare soccorso (ricordo Mare Nostrum); un’enorme differenza con paesi come l’Australia (che respinge) o gli Stati Uniti (Golfo del Messico). In Italia si punta alla ricerca e alla messa in sicurezza degli uomini, vale la chiamata di soccorso per tutte le navi presenti sul posto (commerciali, militari, ecc.).
L’agenzia Frontex, che pure formalmente riconosce la necessità di salvare le vite umane, ha criteri di intervento secondo cui, ad esempio, la chiamata di soccorso non ha un’importanza tale da giustificare il movimento di una nave che sta oltre una determinata distanza. Da Lampedusa i gommoni veloci della Guardia Costiera, mezzi agili e adatti a interventi di recupero o affiancamento dei medi e piccoli mezzi di fortuna su cui si muovono i migranti, sono arrivati ad intervenire vicino alle coste libiche; la nostra marina per questo è stata criticata da Frontex, poiché il rischio è che creando un precedente di salvataggio la gente parta in numero ancora più alto, e il rischio di morte aumenti.
Da due anni anche privati, “cittadini solidali” ,con l’ausilio di finanziamenti, hanno armato delle navi per il soccorso. E ancora, Medici Senza Frontiere, poi la Nave Acquarius di SOS Mediterranée, navi civili, insomma, private, che fanno attività di monitoraggio e salvataggio.
Ma si assiste a un paradosso: dopo ogni tragedia importante -si pensi ad esempio all’aprile 2015 e agli 800 morti annegati a sud di Lampedusa- le politiche dell’UE, inizialmente aperte, si restringono, tanto che siamo noi italiani ad avere più rispetto delle leggi e diritti del mare della stessa UE. L’Italia mette al primo posto il salvataggio delle vite umane.
Nella Convenzione di Ginevra o nella Carta Dei Diritti Fondamentali che sancisce il diritto di asilo non c’è un tetto massimo di riconoscimenti da rilasciare. Purtroppo il fattore quantitativo ha inciso fortemente sul riconoscimento dei diritti fondamentali.
In Europa le istituzioni sono orientate a stabilire accordi con la Turchia, sostengono la logica di Frontex, non ostacolano leggi di polizia che non sono conciliabili con le leggi nazionali e le direttive e regolamenti legate al diritto di asilo. Il Parlamento Europeo non ha una capacità di elaborazione tale da opporsi agli indirizzi di Consiglio e Commissioni. Il banco di prova di tutto questo è il rapporto tra Unione europea e Turchia. Ci sono grossi problemi anche nei rapporti tra i diversi stati europei e Bruxelles, manca collaborazione ed elaborazione di scelte politiche comuni.
Rivedere il regolamento di Dublino o l’apertura di canali umanitari o di canali di ingresso per lavoro richiede l’esatto opposto. Per ora si tratta di comunicazione tra sordi: i diversi paesi non sono capaci di elaborare una politica estera ed economica unitaria, e in questo si legge la debolezza del sistema comune Europeo.
Domande a Paleologo
Domanda: Per tre volte hai citato i trafficanti di persone, anche sull’ultimo numero di Nigrizia c’è un dossier sull’immigrazione e un capitolo dedicato proprio ai trafficanti. Vorrei capire se queste persone che non sono persone influiscono anche su quello che sta avvenendo o se è soltanto una forma di presenza solo per guadagnare soldi, poi se la segreteria me lo permette, vorrei avvisarvi che improvvisamente domani viene aperto presso i comboniani di Padova il processo di beatificazione di Padre Ezechiele Ramin comboniano, fratello del nostro amico Fabiano ucciso in Brasile trenta anni fa, importante per noi, per la conoscenza che abbiamo di Fabiano e del fratello Ezechiele.
Risposta: Io ovviamente ho la mia lettura dei fatti, ho i miei dati, ho le mie esperienze personali, mi chiedo soltanto di mettere assieme tutti quelli che possono essere i fattori di spinta da una parte e i blocchi all’ingresso dall’altra per valutare singolarmente con una piccola indagine che si può fare anche in rete se i trafficanti sono attori o prodotto del sistema, cioè non sono i trafficanti a far aumentare l’arrivo di immigrati ma è il blocco degli ingressi che fa aumentare il numero dei trafficanti. Per assurdo determinate politiche di blocco aumentano gli arrivi irregolari, impedendo quelli regolari; in più i richiedenti asilo, anche se non hanno diritto a una risposta positiva per quanto riguarda la richiesta di asilo, hanno comunque diritto ad entrare nel territorio, quindi non possono essere trattati come l’immigrato clandestino da mandare via. Purtroppo sta avvenendo che si sta negando il diritto di ingresso anche a persone che dovrebbero porre soltanto una domanda di asilo che poi una commissione esamina perché, nel nostro ordinamento giuridico in quello europeo, la polizia non ha il potere di decidere in via preliminare senza che ci sia l’approfondimento del caso individuale. La polizia non può dire: tu non sei meritevole di fare domanda di asilo, fosse anche un tunisino o un marocchino. I trafficanti poi sono figure che troppo spesso si confondono a livello mediatico con gli scafisti, nel senso che i trafficanti sono generalmente poche persone, gruppi bene organizzati, spesso collusi con i governi dei paesi nei quali risiedono. Voglio ricordare che sul processo molto grosso, quello della strage del Natale ’96, istruito dalla procura di Siracusa la Francia negò l’estradizione dell’armatore della nave che aveva causato una collisione durante un trasbordo, nella quale erano morte 300 persone. Il comandante della nave è stato condannato dall’autorità di Siracusa a 30 anni di carcere, questo succedeva nel 2012 dopo tanti anni da quella strage di Porto Palo. Purtroppo c’è un grosso problema di individuazione dei trafficanti veri, perché gli stessi paesi con i quali abbiamo ottimi accordi di collaborazione, quando paghiamo parecchi soldi, questi stessi paesi, quando la nostra autorità giudiziaria fa un’indagine per rogatoria, chiede di andare a cercare, sentire qualcuno, non offrono nessuna collaborazione, né i paesi di transito e tanto meno quelli d’origine. In più questi trafficanti sono favoriti anche sul nostro territorio dallacircostanza degli accordi di Dublino, quindi se un siriano arriva oggi in Italia o un eritreo arriva oggi in Italia e ha i parenti in Svezia, per andare a raggiungere legalmente i parenti, se va bene, passa un anno in Italia oppure ha un diniego. E’ molto più facile pagare un tassista, qualcuno che l’accompagna alla frontiera tra il Piemonte e la Francia, lo lascia su un cammino alpino e qualcuno lo viene a raccogliere. Magari i trafficanti, come hanno fatto vedere alcuni servizi televisivi, sono tanti soggetti che erogano servizi e prestazioni. Il lavoro che si è fatto come volontari nelle stazioni di Catania, di Palermo, che si è fatto al Mezzanino di Milano, che si è fatto in Austria è stato tutto un lavoro per favorire i migranti; ricordo che tante persone hanno avuto denunce per avere trasportato in macchina migranti senza chiedere soldi. Si è fatto e si fa un lavoro di agevolazione dell’immigrazione; io me ne assumo tutte le responsabilità per il contributo che posso aver dato
per dare un futuro a queste persone. Attualmente ci sono gruppi che lavorano in Turchia e Grecia per favorire il passaggio e per accompagnare il rimpatrio, il ri-trasferimento, perché in realtà nessun turco o veramente pochi sono quelli che la Grecia restituisce alla Turchia, in prevalenza ora sono pakistani e afgani. Quindi in realtà la lotta al traffico la facciamo in due modi: interponendoci e proponendo forme di ingresso legali attraverso i canali umanitari, prendendo in carico i casi più vulnerabili, rappresentandoli presso l’UNHCR, cercando di ottenere visti di ingresso per motivi umanitari. Ovviamente rispetto alla grande quantità di persone, noi riusciamo in numero più ristretto. Quindi in realtà il traffico, dal mio punto di vista, si combatte fornendo tutele legali, rispettando nei processi le regole delle testimonianze, perché se in un processo si assumono testimoni fasulli, promettendo un permesso di soggiorno poi in dibattimento questo processo salta e non va a condanna. Abbiamo le possibilità di contrastare il traffico non derogando quelli che sono i principi di legalità. Può darsi che la risposta non sia soddisfacente ma è quello che faccio e facciamo in tanti. Esiste in Francia un delitto di solidarietà; talvolta lavorando e interponendosi a favore dei migranti si è denunciati per agevolazione dei flussi irregolari.

Questo sito web utilizza cookie tecnici e di terze parti. I cookie sono normalmente utilizzati per consentire il corretto funzionamento del sito (cookie tecnici), per generare report sull’utilizzo della navigazione (cookie statistici) e per pubblicizzare adeguatamente i nostri servizi / prodotti (cookie di profilazione). Possiamo utilizzare direttamente i cookie tecnici, ma hai facoltà di scegliere se abilitare o meno i cookie statistici e di profilazione. Abilitando questi cookie, ci aiuti a offrirti un’esperienza migliore. Cliccando sul pulsante di seguito, acconsenti all’utilizzo dei cookie di terze parti utilizzo in conformità alla nostra informativa sulla privacy e cookie policy. Il consenso può essere revocato in qualsiasi momento. Informazioni