CIRCOLARE NAZIONALE FEBBRAIO 2020

Cosa hanno in comune il Presidente degli Stati Uniti ed una ragazzina svedese di 17 anni? Perché una parte non secondaria della battaglia per la salvezza del pianeta passa dal loro scontro? Sono realmente interlocutori?

E’ abbastanza agevole dare risposta all’ultima domanda: sì, Greta Thunberg e Donald Trump sono sicuramente interlocutori. Lo sono perché i media danno voce al loro confronto; lo sono, soprattut-to, perché Trump ha riconosciuto la giovane svedese come tale.

Quando, infatti, nei propri tweet, più volte l’ha attaccata, facendo mostra della propria consueta ar-roganza e fornendole l’occasione per replicare, ne ha, di fatto, riconosciuto il ruolo. Grave errore, che conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, la totale incapacità di analisi politica dell’uomo e del suo staff, abilissimi a manipolare il consenso interno, ma incapaci di leggere la realtà al di fuori dei rapporti di forza, economici e militari.

E’ anche vero che il futuro del nostro pianeta passa, in parte, dal loro scontro, soprattutto alla luce del significato simbolico che essi assumono. In una parola, non conta tanto chi siano, quanto cosa rappre-sentano.

Il Presidente degli Stati Uniti è, a buon diritto, considerato l’uomo più potente della terra. Maschio, adulto, titolare di un importantissimo ruolo istituzionale. Greta Thunberg è una totale outsider: fem-mina, adolescente, priva di qualsiasi potere formale. Anche il fatto che sia affetta dalla sindrome di Asperger la rende, almeno nell’immaginario comune, particolarmente vulnerabile: non a caso, un altro raffinato maître à penser, come il vice-premier ungherese Gergely Gulya l’ha definita “una bambina malata”.

Eppure, a ben pensarci, sono assolutamente speculari.

Trump, come acutamente osserva la Segreteria nella scorsa circolare, costituisce l’ultimo frutto, il più avvelenato, del capitalismo arrembante, insensibile a qualsiasi argomento che non sia il profitto im-mediato. Ha costruito il proprio potere economico sulla totale mancanza di scrupoli ed il proprio po-tere politico sul sovvertimento delle regole democratiche. Greta rappresenta il suo esatto opposto: la ragazzina che non conta nulla ma il cui grido “Ci avete rubato il futuro!”, ha fatto il giro del mondo.

Trump rappresenta l’ultima degenerazione del modello neoliberista, che vede il proprio faro nella ri-cerca del profitto e piega ogni risorsa ambientale e ogni modello economico ai propri fini. Greta, at-traverso il proprio allarme per il futuro del pianeta, ci getta in faccia l’inderogabile necessità di supe-rare quel modello. Il solo fatto che le manifestazioni da lei organizzate si tengano, tutte, di venerdì’, giorno lavorativo e produttivo, costituisce già, a suo modo, una sfida. Questa la ragione per cui il Presidente degli Stati Uniti si preoccupa di una ragazzina.

L’economia (o, almeno, un certo modo di intenderla), contro l’ecologia.

Una sfida impari? Vediamo.

Una delle radici del modello neoliberista risiede nel fatto che tende a favorire un numero sempre più limitato di persone. Le disuguaglianze sociali aumentano, la ricchezza si concentra nelle mani di po-chi, la classe media si impoverisce o scompare, i lavoratori sono sempre più sfruttati, i cambiamenti climatici privano enormi masse anche dei minimi mezzi di sussistenza. Anche le tutele fornite ai cit-tadini dai sistemi democratici, dove esistono, si sfaldano di fronte allo strapotere delle multinazio-nali e dei gruppo di pressione. La stessa democrazia è in crisi. La protesta viene astutamente incanala-ta in manifestazione razziste e xenofobe.

Il potere si concentra sempre più nelle mani di pochi, una specie di club esclusivo che governa i de-stini del mondo. Il prezzo di tutto ciò è sempre la progressiva perdita del senso della realtà. Poche persone, nei loro rifugi dorati, che neppure più comprendono le esigenze e le aspirazioni dei propri simili. Né è emblema il pervicace rifiuto di Trump di riconoscere l’esistenza di ciò che è, ormai, sotto gli occhi di tutti: il cambiamento climatico, le sue cause e le sue drammatiche conseguenze. Trump è, a suo modo, sincero: non vuole vedere, perché non può vedere.

Ma il genere umano mostra tracce di resilienza: contro un potere maschio che si fonda sulla forza economica, politica e militare, sta nascendo una resistenza femmina che ne mostra tutti i limiti, nello sfruttamento della persona umana e nella scellerata dissipazione delle risorse ambientali, per loro natura limitate. E sono pronto a scommettere che, in questo momento, in molte parti del mondo stanno nascendo altre realtà completamente diverse ma, al contempo, molto simili nella loro identità profonda: lo testimonia anche la recente polemica sulla censura cui sono state sottoposte, a Davos, altre attiviste che, a differenza di Greta, hanno l’ulteriore difetto di non appartenere neppure alla cultura occidentale.

Come sempre in questi casi, la sfida sarà, per tutti questi ragazzi, quella di passare dalla protesta e dal rifiuto ad una proposta concreta e organizzata. Già ci hanno insegnato che gli schemi della politica novecentesca, a tutti noi così cari, sono superati dai fatti: speriamo trovino – e in fretta – il loro modo di fare politica, senza perdere la loro identità giovane e femminile.

Rete Varese

“L’uomo che non è capace di sognare
è un povero diavolo.
L’uomo che è capace di sognare
e di trasformare i sogni in realtà
è un rivoluzionario.
L’uomo che è capace di amare
e di fare dell’amore
uno strumento di cambiamento
è anch’egli un rivoluzionario.
Il rivoluzionario quindi è un sognatore,
è un amante e un poeta,
perché non si può essere rivoluzionari
senza lacrime negli occhi
e senza tenerezza nelle mani”.
Thomas Borge

A tutti/e buona primavera, arrivata in anticipo. Di seguito trovate l’ultima comunicazione da Haiti. Oltre alle drammatiche notizie che sta attraversando il Paese, Jean ci ha inviato il resoconto economico che, riassuntivamente, assieme al ns bilancio, pubblicheremo nelle prossime lettere mensili. Per il momento diamo la notizia che i nostri amici haitiani saranno presenti al Convegno di aprile a Rimini e per alcuni giorni avremo la possibilità di incontrarli come Rete locale. Questa nostra lettera continua con la circolare Nazionale e con le prime notizie per partecipare al Convegno.

Circolare nazionale di Gennaio 2020 – A cura della Segreteria

Care amiche e cari amici della Rete,
E’ appena arrivato il nuovo anno, e non c’è modo migliore per accoglierlo che rinnovare impegno e speranze verso un mondo finalmente giusto e fraterno.
Si avvicina la data del nostro Convegno nazionale (Rimini, 17-18-19 aprile) e negli ultimi mesi, tra scambi di e-mail e Coordinamenti, abbiamo dibattuto molto sui suoi possibili temi, relatori, testimoni e modalità. Come Segreteria abbiamo pensato di scrivere la prima circolare dell’anno per aggiornarvi su questo intenso, appassionato e vivace dibattito, in modo che anche chi non può partecipare ai coordinamenti sia al corrente delle idee e delle proposte che daranno vita all’incontro nazionale di aprile. Indubbiamente e come sempre, sarà occasione preziosa per ascoltare le testimonianze dirette di protagonisti delle lotte di liberazione, vicine e lontane, per confrontarci fra di noi e con loro sul senso del nostro impegno comune, alimentando la speranza e ritrovando motivazioni per un rinnovato slancio.
A proposito di confronto, una delle novità principali del prossimo Convegno vorrebbe essere un pomeriggio dedicato allo scambio fra reti locali, in cui condividere esperienze, idee, riflessioni, iniziative e azioni concrete in modo da favorire un confronto utile sia per conoscersi meglio sia per diffondere nuove buone pratiche.
Per quanto riguarda invece il tema centrale del Convegno, sono emerse diverse proposte ed idee, che dovrebbero trovare una sintesi nel Coordinamento di fine gennaio. Inizialmente si era pensato di puntare sui cambiamenti climatici e sulle loro conseguenze, in particolare per quel che riguarda le popolazioni del Sud del mondo. Si è poi proposto di ampliare il discorso alle cause generali dei cambiamenti climatici, che sono ancora una volta da ricercare nell’ingordigia di un capitalismo arrembante, insensibile a qualsiasi argomento che non sia il profitto immediato. Da più parti è anche emerso il tema della crisi della democrazia, ostaggio di una politica corsara, che alimenta paure ed odio, si nutre d’inganni e disprezza la verità ed il sapere. A livello internazionale basta pensare a Trump, alla vicenda della Brexit, alle preoccupanti involuzioni di alcuni paesi dell’Est Europa, per non parlare della Turchia, del Brasile di Bolsonaro, del Cile … Ma basta guardare anche in Italia, per capire come la democrazia sia sempre più debole e a rischio. Un segnale di ribellione a questa involuzione generale della politica sono i movimenti di protesta che stanno infiammando le piazze di tutto il mondo, sia per rivendicare il ritorno ad un sistema democratico là dove questo è gravemente compromesso, sia per chiedere l’avvento della democrazia in paesi dove non c’è mai stata o manca da troppo tempo. Dal Cile ad Haiti, dall’Iran al Libano, da Hong Kong alla Bolivia, dall’Algeria alla stessa Francia, i popoli sono in rivolta, ma anche i movimenti giovanili dei Friday for Future stanno protestando nelle piazze di tutto il mondo contro il sistema economico e politico che ignora il riscaldamento globale e le sue conseguenze per la sopravvivenza della vita sul pianeta.
Anche in questo caso si è cercato di risalire alle cause della degenerazione della politica a livello mondiale e si è individuato un denominatore comune nel modello neoliberista, che negli ultimi 40 anni ha dominato il mondo. Secondo Joseph Stiglitz, Nobel per l’economia 2001, questo modello ha aumentato le diseguaglianze, ha svuotato le democrazie e sta distruggendo il pianeta.
Per questo l’orientamento prevalente per la scelta del tema del prossimo Convegno è proprio la crisi del neoliberismo, che nelle società più giovani si manifesta nei movimenti di rivolta e in quelle più vecchie nell’egoismo delle politiche sovraniste, razziste e xenofobe.
Naturalmente questo tema potrà essere declinato in vari modi e con diverse sottolineature: saranno i relatori e soprattutto i testimoni che verranno a Rimini in rappresentanza dei nostri progetti a farci un quadro delle varie situazioni e ad offrirci, in un confronto propositivo, possibili alternative e visioni di speranza per il futuro.
Tra queste speranze vorremmo inserire le esperienze delle piccole comunità solidali, che in varie parti del mondo sperimentano modi diversi di realizzare vie alternative all’economia di rapina, cercando di ricucire le lacerazioni dolorose che dividono l’umanità. Vorremmo poterci confrontare con loro e fra di noi per capire come la storia della Rete possa rinnovarsi nella solidarietà e nell’ascolto dei “poveri che fanno la Storia”.

In questo scenario, una parte importante del Convegno pensiamo possa essere realizzata dai giovani. Si sta valutando la fattibilità di una parte del convegno riservata a loro, come è avvenuto negli ultimi convegni, pensando a momenti comuni e altri diversificati. Tra le difficoltà che si sono sempre incontrate in questi casi, una delle principali è la conciliazione della presenza dei giovani al Convegno con i loro impegni scolastici, elemento che impedisce presenze più numerose e complica il lavoro di co-organizzazione. Ci sono però già alcune proposte concrete: una riguarda la presentazione di un video realizzato da un gruppo di giovani africani di Bangui (Repubblica Centrafricana), con l’aiuto di un gruppo di giovani italiani, che affronta temi politici, ecologici, sociali e che potrebbe costituire una significativa testimonianza dall’Africa. Si sta poi pensando alla realizzazione di un altro video, sempre affidata ai giovani, che dovrebbe essere utilizzato come introduzione generale al Convegno. Altre idee sono al vaglio della Commissione Giovani e se nelle varie reti locali ci sono proposte in merito sono le benvenute.

In ogni caso, l’ascolto dei testimoni sarà l’elemento centrale del Convegno, come è sempre avvenuto nella storia della Rete. Sono loro a portarci punti di vista diversi, a darci informazioni di prima mano, e non manipolate, sulle situazioni di conflitto che stanno vivendo, sulle conseguenze dei cambiamenti climatici, sulle disuguaglianze crescenti, sulle modalità peculiari con cui attuano forme di resistenza al modello economico imperante. Sta a noi, in umile ascolto, l’intelligenza di trovare denominatori comuni e interdipendenze e di trarre, se possibile, alcune indicazioni.

Come sempre al Convegno è prevista la presenza di banchetti per la presentazione e vendita di prodotti artigianali provenienti dai progetti delle singole reti. Anche quest’anno chiediamo a tutte le reti che intendono essere presenti con il loro materiale di segnalarlo per tempo alla Segreteria, in modo da poter predisporre gli spazi adeguati e organizzare la dislocazione. Allo stesso modo, chiediamo già fin d’ora a tutte le reti locali che intendono presentare interventi al Convegno, nell’apposito spazio previsto per il confronto fra reti, di segnalarlo alla Segreteria, che valuterà le modalità e i tempi più opportuni per organizzare questo momento, che rappresenterebbe una novità rispetto al passato e che potrebbe diventare un momento di confronto utile e significativo.
Sperando di aver tracciato un quadro sufficientemente rappresentativo del dibattito in corso all’interno della Rete, ci auguriamo che anche il prossimo Convegno nazionale sia molto partecipato e possa dare a ciascuna rete e a ciascuno di noi singolarmente l’occasione per un incontro di amicizia e di confronto e possa essere uno stimolo per infondere nuovi motivi di speranza.

La Segreteria
Maria Angela, Maria Cristina, Fulvio

Peccato che tutti quelli che saprebbero governare il paese
siano già occupati a guidare taxi e tagliare capelli.
George Bums

Anno nuovo, vita nuova.
E’ il tradizionale slogan che da sempre ripetiamo ad ogni inizio dell’anno. Ma, se stiamo alle cronache e agli avvenimenti, molto preoccupanti, di questo inizio di anno non possiamo che affermare: tutto come prima. Alcune nostre iniziative ci ricordano che questo è l’anno del Convegno Nazionale a Rimini nel prossimo aprile. Questo 2020 ci ricorda il 10° anniversario del tremendo terremoto in Haiti (12 gennaio), il 10° anniversario dell’uccisione della Daduoe (24 aprile). Per tutto questo vi invitiamo a leggere con attenzione le “notizie importanti” che trovate qui sotto. Per l’incontro del 2 febbraio.

Notizie importanti:
1) Carta e penna per annotare e ricordarsi che: domenica 2 febbraio ore 16.00 dai Comboniani – sala Comboni – incontro con LUCIA CAPUZZI, giornalista e inviata del quotidiano Avvenire, attualmente al lavoro in Haiti e autrice dell’articolo che segue. Inoltreremo un avviso-invito da divulgare.
2) Coordinamento nazionale: Care amiche e cari amici della Rete, vi inviamo l’Ordine del Giorno del prossimo Coordinamento, che si terrà a Rimini all’Hotel Continental, viale Vespucci 40, sabato 25 e domenica 26 gennaio. Con l’occasione sollecitiamo anche chi non ha ancora inviato la propria adesione a farlo entro il 15 gennaio

ODG COORDINAMENTO RIMINI: ore 14.30: relazione tesoriera su bilancio 2019
Ore 15.30: Convegno Rete 2020: temi, titolo, relatori, testimoni
Ore 17.00: pausa
Ore 17.30: convegno Rete 2020, programma, organizzazione, chi fa che cosa
Ore 19.30: cena
Ore 21.00: Convegno Rete 2020, ripresa dibattito
Domenica 26 gennaio: ore 9.00: Convegno Rete 2029
Ore 10.00: presentazione Nuovi progetti
Ore 11.00: pausa
Ore 11.30: prossime circolari e località/date prossimi coordinamenti
Ore 12.00: aggiornamenti, varie ed eventuali
Ore 13.00: pranzo
Nei prossimi giorni la Commissione Convegno invierà a tutti una sintesi delle proposte finora condivise, su cui ci confronteremo a Rimini, cercando di arrivare a conclusioni altrettanto condivise.

Cari saluti a tutte e tutti
La Segreteria Maria Angela Abbadessa, Maria Cristina Angeletti, Fulvio Gardumi

mercoledì 8 gennaio 2020
Post terremoto. Haiti, le promesse tradite dagli aiuti esteri
Lucia Capuzzi, inviata di Avvenire ad Haiti

CIRCOLARE NAZIONALE DICEMBRE 2019

Melange du Senegal

Questi frammenti, vissuti e raccolti a 4 mani, sono i brandelli che il cuore e la memoria restituiscono di un viaggio estivo in Senegal. Per Monica e Marco una porta d’entrata sull’africa nera, per Simona e Pier l’assolvimento di un pellegrinaggio dovuto, alla tomba di Mar, caro amico ed orgoglioso Griot .
Qualcuno di voi, forse, ricorderà la sua presenza scenica, ad un Convegno della Rete a Rimini, in cui cantava la storia della sua gente suonando e ballando al ritmo del proprio Djembé.

Un Sereno Natale alla Rete tutta ___________________________________________________________________________________________________

Sulle foto che accompagnano sempre i miei viaggi cerco di fissare attraverso un’immagine ciò che i miei occhi vedono in quel preciso istante. Spesso accade che riguardando quelle stesse foto, io riesca a cogliere sfumature, particolari che inizialmente non avevo percepito. Vorrei perciò condividere i ricordi dei giorni vissuti in Senegal, come fossero fotografie, immagini che scorrendo rivelano i mille volti di un mondo apparentemente lontano: – tanti, tantissimi colori – tanti, tantissime persone, ovunque – bambini che corrono, che giocano, che lavorano – sorrisi – sguardi – poche parole, essenziali e pronunciate a bassa voce – il tempo che si dilata – la condivisione vissuta nel cibarsi allo stesso piatto usando semplicemente le proprie mani ; nella preghiera che scandisce i vari momenti della giornata e che, al richiamo del Muezzin vede i fedeli fermarsi con naturalezza in ogni angolo delle strade, inginocchiarsi e pregare e rialzarsi … e la vita continua; condivisione che vuol dire che ciò che si possiede possa essere usato anche da altri: sembra non esserci un confine definito tra ciò che “è mio” e ciò che “è tuo”. Per cui se sono stanco posso appoggiarmi ad un’auto parcheggiata anche se non è mia; se non so nuotare, so che posso usare il salvagente di qualcun altro; se non ho il tappetino per inginocchiarmi e pregare, qualcuno metterà il suo a disposizione; se non ci vedo, troverò una spalla a cui appoggiarmi che possa aiutarmi ad attraversare la strada.

Naturalmente molte sono le contraddizioni di quel popolo che sembra non aver ancora imparato come prendersi cura delle città o dei villaggi, come gestire la propria casa, come organizzare il lavoro, un dispensario medico o la scuola…secondo la “nostra prospettiva”, però!

Per cui un dubbio mi è rimasto: è giusto che siamo noi a dire quali debbano essere i criteri del vivere sociale di chi ha alle spalle una storia ed una cultura così diversa dalla nostra?

Ritengo che tutti abbiamo qualcosa da insegnare e qualcosa da imparare: solo nel confronto e nello scambio possiamo diventare migliori! ”. Monica – Rete Locale di Torino & Dintorni

E’ sbagliato scrivere di qualcuno senza averne condiviso un po’ la vita R. Kapuscinski

Delta del Sine Saloum, fiume del sud del Senegal, in attesa di essere attraversato.
Salgo su una chiatta insieme a macchine, camion, carretti , animali e persone affidandomi nelle mani del mio Dio per arrivare sull’ altra sponda.

Il mio sguardo è catturato da una donna seduta per terra con il suo bambino di tre quattro anni.

Vorrei fotografarla ma lei è islamica e la sua religione non ha mai saputo affrontare l’immagine del viso: la sua arte ignora il ritratto.

Lei bellissima, dai lineamenti fini sotto il velo, si volta, mentre il suo bambino mi osserva.
Cerco un contatto visivo, ma invano. Il suo sguardo rimane impassibile: d’altronde i poveri sono silenziosi.

Voglio immortalarli ma la chiatta è piccola e siamo in tanti, tutti pigiati nel fango e nel grasso. Mi ricordo, all’improvviso, della tecnica usata da nostra figlia in Iran e metto l’apparecchio fotografico al collo posato sul ventre schiacciando più volte alla rinfusa.

Più tardi, riguardando, mi accorgo di essere riuscita a cogliere un ritratto familiare che rimarrà stampato per sempre nella mia memoria africana con un sentimento di profonda nostalgia.

Ogni immagine è quindi un ricordo e niente più della fotografia ci dimostra la fragilità del tempo, la sua natura labile e fuggevole.” R. Kapuscinski

Simona – Rete di Celle Ligure – Varazze

La cosa che più mi ha colpito in Senegal è la presenza costante dei bambini. Tanti, ovunque.
Alle nostre latitudini non siamo più abituati. Certo è una realtà molto frequente per qualsiasi viaggiatore nel continente africano, tuttavia nella mia esperienza non posso fare a meno di soffermarmi sulla capacità di ogni singolo bambino di accogliere senza filtri, senza paura e con il sorriso. Un sorriso pieno di curiosità ed attesa, forse solo per un piccolo dono, una matita o una caramella. Dieci giorni in Senegal equivalgono a sei mesi altrove, ci si addentra in un mondo diverso, dove anche l’approccio col bambino è differente: un occidentale appena un bimbo piange si precipita a coccolarlo, a tirarlo su da terra … lì i bimbi crescono da soli, si accudiscono e si educano a vicenda ma lo fanno da bimbi, vivono la loro infanzia serenamente senza contaminazione da beni superflui o desideri dettati dai media, senza smania di prevaricazione sul prossimo. Tutto viene condiviso con un’educazione che passa dal più grande al più piccolo e rimane per tutta la vita.

Questo è l’aspetto più semplice ed immediato, poi ci si confronta con tradizioni che hanno radici lontane, legate ad un mondo semplice e rurale ma a volte anche difficili da comprendere, come la poligamia che ha un aspetto di naturalità per loro ma ha un impatto surreale su di noi.

Ho vissuto con un certo disagio la conoscenza delle due famiglie del nostro amico, sapendo che divide la sua settimana a metà tra le due case. Ma anche questo è motivo di riflessione sui nostri stereotipi e preconcetti.

Ed ancora il “senso di ovvietà ”, che vede un battello aspettare di essere al completo per partire ed il tempo ed il ritardo diventano relativi rispetto ai numero di persone che devono attraversare il fiume. Raramente si vedrà il battello partire con posti vuoti.

E poi ancora il mangiare condividendo lo stesso piatto, ed il modo di vestire colorato, di pregare o percorrere centinaia di chilometri senza un cartello stradale o un semaforo.

Il tutto in una cornice di natura imponente, gigantesca, capace di accogliere quando si è delicati.

Tutto questo ha un senso se ricollocato nei termini di rispetto e confronto. La nostra cultura per secoli ci ha abituato ad avere un atteggiamento di superiorità da cui spesso faccio fatica a staccarmi e nel viaggio ho ripercorso più volte la tentazione di semplificare, banalizzare o strumentalizzare.

La cultura è ciò che rimane quando si sono dimenticati tutti i concetti ”.

Marco – Rete Locale di Torino & Dintorni

La vera cultura è mettere radici e sradicarsi. Mettere radici nel più profondo della terra natia.
Nella sua eredità spirituale. Ma è anche sradicarsi e cioè aprirsi alla pioggia e al sole, ai fecondi rapporti delle civiltà straniere
Léopold Sédar Senghor

L’incontro con l’Africa Nera è, per me, sempre un incontro con la Vita.
Dal lato misterioso. Quello più corposo ed oscuro. In qualche modo temibile ….
Tutte quelle esistenze perennemente in movimento che scorrono in una realtà fluida. Circolare.
Senza soluzioni di continuità tra Vita&Morte.

Con la mia lanterna della ragione, osservo e misuro.
Un centimetro da sarta steso sull’onda di un flusso liquido.
Ci sarà un senso logico. Penso.

Sono necessarie dense emozioni e sentimenti forti. E … una buona dose di pazienza africana.

Dieci giorni di quotidianità condivisa, nel rispetto delle differenze, con una famiglia che Ti aspetta da anni. Uno scarno sepolcro musulmano. Le lacrime di Fatou, sorella di Mar, che Ti riconosce fratello solo per come Lui ti ha raccontato.

Recupero, nel sottoscala della ragione, qualcosa di ancestrale, sepolto da un oblio di efficientismo.

Allora, con il cuore, colgo davvero il significato delle parole di Senghor:
il reale diventa realtà spezzando il rigido involucro della ragione …….. e ancora ………….
gli oggetti non significano solo ciò che rappresentano ma ciò che suggeriscono o creano.

Pier – Rete Locale di Celle Ligure – Varazze

Circolare nazionale di Novembre 2019 dalla Rete di Castelfranco Veneto

L’Africa in positivo

Guerre, povertà, migrazioni, siccità, terrorismo, parole chiave che abitano il senso comune quando pensiamo al continente africano, spesso intrappolati nel pregiudizio piuttosto che ancorati nella realtà. Secondo una ricerca condotta dalla DOXA, con riferimento alle previsioni future, alle aspettative e alle speranze dei cittadini, l’Africa è il continente più OTTIMISTA di tutto il mondo … e non potrebbe essere diversamente avendo la popolazione più giovane in assoluto. Nell’ultimo incontro della Rete di Castelfranco Veneto l’abbé Richard, referente del progetto e scrupoloso testimone, per la prima volta, dopo tanti anni, ci ha portato notizie positive dalla REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO, segni concreti di speranza nel nuovo corso avviato dal nuovo Presidente Felix Tshiesekedi: liberazione dei prigionieri politici e rientro degli esiliati con chiusura delle carceri segrete; lotta alla corruzione, istruzione primaria gratuita, significativo aumento degli stipendi degli insegnanti, miglioramento delle strutture ospedaliere (in proposito, è stato assegnato un medico permanente al centro di sanità di Mwamwayi, sostenuto dalla Rete). Avviata pure la ricostruzione dell’esercito nazionale, con abolizione dell’esercito presidenziale e degli eserciti privati; ricerca di risoluzione dei conflitti minerari nel Nord Est, revisione delle concessioni estrattive predatorie alle multinazionali. In politica estera, promozione della pace con i paesi confinanti soprattutto Rwanda e Uganda. Il popolo appoggia e sostiene con speranza questo rinnovamento politico, pur con la presenza ingombrante dell’ex presidente Kabila che, tuttora, controlla il 70% dei parlamentari. In generale, sul versante ambientale, l’Africa è la prima vittima del cambiamento climatico, ma anche qui emergono segnali importanti. Nella lotta ai rifiuti in plastica, l’Africa si è mossa in anticipo rispetto al mondo industrializzato, adottando misure rigorose in 34 paesi; il RWANDA ha introdotto una legge per bandire i sacchetti di plastica fin dal 2008 e punta a diventare il primo paese plastic-free. In KENYA, un giovane studente, TOM OSBORN, preoccupato per l’uso della carbonella nelle necessità domestiche, con conseguente deforestazione, ha fondato una società, la Green Char per produrre combustibile ecologico a partire dagli scarti della canna da zucchero. Piccolo risultato che però si sta moltiplicando in altre esperienze simili. Il Nobel alternativo 2018 è stato assegnato ad un anziano contadino YA COUBA SAWA DOGO per la sua lotta alla desertificazione nel nord del BURKINA FASO. Recuperando tecniche agricole tradizionali ha rigenerato la fertilità del terreno, nel villaggio di Gourga, trasformando zone desertificate in foresta. “Questa terra mi ha dato la vita e volevo farla rinascere a tutti i costi”. Il movimento ambientalista in KENYA è riuscito a bloccare la costruzione di una centrale a carbone vicino a LAMU (insediamento swahili patrimonio dell’umanità). Energia geotermica e idroelettrica forniscono già i 2/3 della produzione del paese a cui si stanno affiancando le nuove tecnologie del sole e del vento. Rispetto ai numerosi conflitti armati, va segnalata la rivoluzione politica virtuosa in atto in ETIOPIA che ha portato alla Presidenza della Repubblica Shale-Work Zewde (in Africa attualmente unico capo di Stato donna) e al riconoscimento del premio Nobel per la pace 2019 al più giovane leader africano, il primo ministro Abyi Ahmed Ali, protagonista nella risoluzione dello storico conflitto con la vicina Eritrea. Anche se le violenze etnico-religiose non sono cessate e forte è l’opposizione all’agenda riformatrice di Abyi Ahmed. Così come nell’agosto di quest’anno, è stato siglato l’accordo di pace definitivo tra il presidente del MOZAMBICO Felipe Nyusi e il leader della RENAMO Ossufo Momade. L’Africa di oggi è ricca di una grande varietà di movimenti nati tra società civile, contadini, studenti, donne, sindacati. Dal MOZAMBICO una straordinaria storia di resistenza da parte di piccoli agricoltori per contrastare il progetto statale “Pro Savana”, basato sulla privatizzazione delle terre a favore di grandi aziende di esportazione della soia. Con un capillare lavoro di informazione nei villaggi e con l’ aiuto di organizzazioni locali e internazionali, la mobilitazione sociale in 19 distretti è riuscita a bloccare la cessione dei terreni. La scrittrice e analista keniana Nanjala Nyabola lo chiama “pan-africanismo dell’era digitale”. Il riferimento è alla circolazione sempre più diffusa, attraverso i social network, di idee e riflessioni tra i giovani di diversi paesi, coalizzati attorno a campagne comuni per la rivendicazione dei diritti sociali e politici, persone sparse in tutto il continente. “Negli ultimi anni – ha spiegato l’analista – giovani attivisti in Togo, Zimbabwe, Repubblica Democratica del Congo, Camerun, Tanzania e Uganda hanno manifestato sui social media. Un movimento nato in rete che si è concretizzato in iniziative pubbliche attraverso proteste e petizioni a sostegno di tante piccole grandi cause più o meno locali che attraversano l’Africa ed a sostegno della causa pan africana”. Ed intanto nel vecchio Occidente, c’è chi pretende di liquidare la questione Africa e immigrati con la chiusura dei porti e con lo slogan ipocrita AIUTIAMOLI A CASA LORO. Per mettere in chiaro il bilancio economico tra i due continenti (chi deve dare e chi deve avere) torna utile lo studio condotto da Maurizio Marchi ed altri esperti «QUANTO L’EUROPA DEVE RESTITUIRE ALL’AFRICA» (ed. Gedi), così presentato nel Blog di Daniele Barbieri: Gli autori e le autrici, dopo aver tracciato un quadro aggiornato e particolareggiato, da un punto di vista economico, storico e culturale dell’Africa nel colonialismo, nel neo-colonialismo e nei rapporti attuali con l’Europa, abbozzano una sorta di «Processo di Norimberga» dei misfatti europei nei secoli, arrivando a “tirare le somme” di quanto l’Europa deve restituire al continente nero. Una cifra enorme, ma realistica, fondata e perfino prudente, quantificata in oltre 70.000 miliardi di euro: se gli africani ottenessero questo risarcimento (è questa la parola chiave del libro) avrebbero diritto almeno a 70.000 euro ognuno, uomo, donna, bambino, vecchio. La vita cambierebbe per tutti, per gli africani ma anche per gli europei e per un mondo che ha fatto finora dell’ingiustizia e della sopraffazione la sua linea guida. La tratta degli schiavi, la colonizzazione storica, lo scambio ineguale di merci a prezzi fissati dagli europei, i genocidi di interi popoli inermi o resistenti, fino all’emigrazione forzata, un vero espianto degli organismi migliori (più giovani e forti) dal tessuto sociale africano: sono questi i principali crimini che vanno risarciti all’Africa, un continente ricchissimo di risorse umane e naturali che è stato ridotto nell’estrema povertà dall’aggressione europea e dal neoliberismo, recentemente dall’indebitamento e dalla militarizzazione.

Circolare nazionale Ottobre 2019 – A cura della Rete di Roma

Carissime e carissimi, il riscaldamento globale o questione ambientale, espressioni che racchiudono tutti i problemi della natura provocati dall’uomo col suo comportamento e che rischiano di condurre il pianeta al disastro con un’accelerazione sempre più rapida, destano profonde preoccupazioni e perfino i negazionisti ne trattano variamente. Inutile quindi esporne le cause e le terribili conseguenze, ormai ben note a tutti. Ne parlo perché la Rete, associazione di solidarietà e perciò umanitaria non può tenersene fuori, essendo evidente che i primi a esserne danneggiati sono i popoli poveri delle regioni più colpite, ai quali rivolgiamo abitualmente la nostra attenzione solidale. Causa infatti delle migrazioni di massa massicce e disperate – oltre le guerre, guerriglie, terrorismo – sono appunto i disastri naturali in pauroso aumento. Sorprende anzi che la Rete, almeno a livello nazionale, non si sia mossa per tempo, non foss’altro che per discutere del problema. L’ultimo numero della nostra rivista reca in merito un interessante articolo di U. Mazzantini ma che giunge però con qualche ritardo. Prima notazione da fare è l’indifferenza con la quale in Italia, popolazione e media, hanno guardato al riscaldamento globale. Seconda osservazione: mentre circa 150 Paesi hanno indetto grandi manifestazioni sul tema, da noi le dimostrazioni sono state poche e in piccoli centri, anche se la partecipazione, soprattutto giovanile, è stata convinta e vivace. Per esempio a Bra, nel cuneese, un giovane ha esposto un cartello con su scritto: “Nel 2050 voi sarete morti di vecchiaia – noi lo saremo per le vostre scelte”. Ecco, i giovani. E’ stranoto che loro si interessano numerosi all’inquinamento e alle colpe dei potenti, che tutto è cominciato con la sedicenne svedese Greta Thunberg e poi con la più giovane deputata degli Stati Uniti Alexandria Ocasio-Cortez (leggete il loro dialogo su Internazionale n.1324). In questi giorni e in queste ore per fortuna la mobilitazione sta crescendo e Greta il 23 settembre ha parlato all’ONU, finendo col dire che i giovani “terranno gli occhi addosso” ai responsabili dei cambiamenti climatici. Intanto però gli eurogruppi fanno poco o nulla e il nostro Paese non brilla in attivismo; tanto che bisogna salutare con piacere la decisione del ministro dell’Istruzione di consentire agli studenti di partecipare alle manifestazioni di venerdì 27 settembre (con la contrarietà di diversi presidi). Vogliamo parlare di speranza? La più decisa è Alexandria Ocasio-Cortez, che nella citata conversazione così si esprime a un certo punto: “Da quel momento ho capito che la speranza non è una cosa che hai: devi crearla con le tue azioni. La speranza è qualcosa che devi mostrare al mondo, e può essere contagiosa. Altre persone cominciano ad agire e la speranza cresce”. Ipotetica, più che fiduciosa, invece Greta (cito da pag. 58 del libretto di Luigi Ciotti Lettera a un razzista del terzo millennio): lei ha ricordato ai potenti del mondo che “se le soluzioni all’interno del sistema sono così impossibili da trovare, forse dovremmo cambiare il sistema”. Non si può trascurare quanto afferma papa Francesco nell’enciclica Laudato si’: “L’ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l’umanità e responsabilità di tutti. Chi ne possiede una parte è solo per amministrarla a beneficio di tutti. Se non lo facciamo, ci carichiamo sulla coscienza il peso di negare l’esistenza degli altri”. In chiusura citiamo le sagge, ammonitrici parole del notissimo esperto Luca Mercalli (il Fatto Quotidiano del 9 agosto): “Con una destra negazionista che ignora i problemi climatici e ambientali, una sinistra che si fa paladina di Greta Thunberg e poi dà man forte a costruire l’inutile supertunnel Susa-Saint-Jean-de Maurienne che emetterà almeno dieci milioni di tonnellate di Co2 contribuendo ad accelerare la catastrofe climatica, e in mezzo un micropartito verde che non approfitta di questo incredibile momento storico per riqualificarsi e conquistare i milioni di italiani che forse lo sosterrebbero se fosse presentabile. Si salvini chi può”. Aiutiamo i giovani e speriamo con loro.
Un sentito abbraccio
Mauro Gentilini

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