Circolare nazionale Dicembre 2021
Circolare Nazionale Rete Radiè Resch
Dicembre 2021
Il seminario di Rimini (13-14 novembre 2021) è stata un’occasione per respirare l’aria pura che scaturisce dalla storia della Rete. Abbiamo ripercorso il suo cammino guidati da alcuni testimoni, lasciandoci interpellare dagli interrogativi del nostro presente.
Il quadro che ne è emerso richiama fortemente le radici. Secondo Ercole Ongaro la Rete nasce da un incontro (quello fra Masina e Gauthier) ed è terreno di incontri. Uno spazio di amicizia e di condivisione in cui i poveri diventano parte attiva del loro cammino di speranza. Negli anni sono cambiati alcuni riferimenti, ma è ancora forte la fedeltà ad una struttura organizzativa leggera, basata integralmente sul volontariato. La lettera appassionata di Carla Grandi ne è testimonianza preziosa e richiamo profetico. Come mette in evidenza Matteo Mennini, la Rete non si è mai trasformata in una associazione strutturata, inevitabilmente ancorata a figure professionali che fanno dell’impegno associativo il loro “mestiere” e ne condizionano l’evoluzione, nel bene e nel male.
Questa scelta di leggerezza organizzativa corre alcuni rischi inevitabili, il principale è quello della scarsa visibilità, che rasenta, nei momenti difficili, l’inconsistenza. Una limitazione percepita e vissuta da molti aderenti, di fronte alle grandi scelte che a volte la politica pare esigere. Più recentemente le casistiche definite dalla legge sulle organizzazioni di volontariato hanno suscitato un ampio dibattito, concluso tuttavia con soluzioni ancora provvisorie, a tratti carenti di chiarezza nella formulazione fin qui accettata.
Ci sarà ancora la Rete in un futuro ormai prossimo, quando le energie di alcuni grandi appassionati trascinatori potranno venire meno?
Filomeno Lopes ci invita ad accettare la ciclicità di ogni esperienza umana. Anche il tramonto può essere visto senza paura e senza nostalgia. La lotta alla globalizzazione dell’indifferenza ha un senso che va al di là del presente e si proietta nel futuro (oltre i figli, verso i nipoti). L’ascolto degli oppressi ha in sé un momento di riconciliazione con la propria storia, anche con una storia coloniale che gli italiani hanno spesso negato.
La continuità e la durata sono oggi fuori moda. La velocità della nostra comunicazione ci porta ad esigere i risultati di ogni nostro impegno. Il finanziamento tramite autotassazione invece, con la sua lentezza e con la sua esiguità (rispetto alle possibilità operative di organizzazioni no-profit che accedono a fondi pubblici e si danno una organizzazione manageriale), pare provenire da un’altra storia, fatta di testimonianza individuale più che di risultati visibili.
Inoltre il modello assembleare del coordinamento, che induce a prendere decisioni in modo lento e sempre provvisorio, stride fortemente con i modelli comunicativi in cui prevalgono lo slogan immaginifico e la sintesi autoritaria. E tuttavia questa fatica non è inutile. Nel coordinamento si mette in pratica l’esigenza di cogliere la dimensione strutturale e la valenza politica delle idee, nel confronto anche dialettico con altre prospettive convergenti. Stedile ci ha ricordato come i movimenti siano essenziali alla crescita della società: la politica da sola non basta, senza un humus sociale ed organizzativo carico di visioni innovative e di speranze che stimolino all’impegno disinteressato.
Gli schemi economici mondiali stanno cambiando rapidamente, a volte disorientando coloro che erano legati ad alcune abitudini di scontro ideologico (ad esempio: capitalismo di modello nord americano contrapposto al cosiddetto “terzo mondo”). Così la Cina, oggetto dell’intervento di Pietro Masina e di gran parte dell’opuscolo di Pier Paolo Pertino, sta diventando la maggiore potenza economica mondiale con caratteristiche nuove ed in parte inesplorate. In particolare Masina ha segnalato le forme di rivalsa verso le potenze europee che nell’Ottocento hanno imposto all’impero cinese la sudditanza economica. Da questo contrasto è nato uno stato a parole comunista, ma impregnato di legalismo formalista confuciano (che ignora i modelli occidentali di creazione del consenso), con una organizzazione fortemente verticistica del potere politico e con un sistemaeconomico che accetta tutte le logiche capitalistiche (Cina membro del WTO dal 1997). Masina ha accennato anche al timore atavico dei dirigenti cinesi per le forme di autonomia, che nel passato hanno determinato forme di frammentazione dello stato, timore che si concretizza nell’oggi con la repressione delle minoranze (gli uiguri turcofoni del Xinjiang, i tibetani, ma anche gli studenti delle grandi città costiere che vorrebbero spazi di libertà) e con la gestione autoritaria e spersonalizzante dell’emigrazione interna.
La riflessione di Antonio Olivieri, animatore dell’associazione “Verso il Kurdistan”, ci ha aiutato a leggere il complicato mosaico medio-orientale da un’altra prospettiva, quella di una identità etnico- linguistica dispersa fra cinque diversi stati e perennemente alla ricerca di qualche forma di autonomia (oggi particolarmente difficile in un’area egemonizzata dalle mire espansionistiche del governo turco guidato da Erdogan). Antonio ci ha parlato di piccoli progetti di sostegno sanitario e scolastico in zona curda, in cui le donne hanno un ruolo importante (vera eccezione in uno spazio culturale che sembra andare in altre direzioni) e ci ha lasciato nel cuore il saluto tradizionale curdo “ti porto sugli occhi”
Molto ricca è stata la riflessione sulle tradizioni popolari che esprimono lo spirito di un popolo. Così
abbiamo attraversato con lo sguardo i simboli della cultura Mapuche sempre a rischio di ghettizzazione e di emarginazione nel difficile incontro con la situazione politica cilena (la bandiera “cosmica”, l’albero sacro, il gioco collettivo del palin, la casa comunitaria). Dal filmato su Haiti abbiamo imparato a conoscere il “konbit”, termine haitiano-creolo che designa una forma tradizionale di lavoro comunitario, ritmato da canti, che valorizza l’aiuto reciproco nella preparazione dei campi.
Secondo Masina occorre fare però attenzione agli approcci idealizzanti a questi simboli identitari. La
ricerca dell’identità è anche una radice di tutti i nazionalismi. In tutte le tradizioni popolari ci sono meccanismi di esclusione e spesso riti ancestrali giustificano un ruolo marginale delle donne.
Da questo punto di vista Joao Pedro Stedile ci ricorda, fra le altre cose, la necessità di una attenta analisi di classe dei movimenti popolari, citando il pensiero di Gramsci.
Un discorso a parte merita la ricerca di un incontro con i giovani, a lungo discusso negli incontri di coordinamento e tema di iniziative importanti, come i seminari e i viaggi. Con efficacia e semplicità i giovani presenti ci hanno ricordato l’inutilità di catalogazioni collettive, che non appartengono agli individui concreti. I giovani sono molto diversi fra di loro, a volte distanti dagli schemi riassuntivi con cui proviamo ad incontrarli. La Rete è spesso in difficoltà con il loro modo di comunicare perché usa un linguaggio prevalentemente verbale, mentre le nuove generazioni si muovono con più agilità e partecipazione nel mondo delle immagini, in particolare quelle ricche di emozioni.
Fra i messaggi ripetuti nella comunicazione giornalistica di questi giorni emerge l’appello a “salvare
il Natale”. Naturalmente è l’invito legittimo alla prudenza contrapposto ai comportamenti che possano espandere il contagio, ma questa “salvezza” è spesso connessa alle stime sui consumi previsti (per lo più dai centri studi delle associazioni dei commercianti). Insomma dobbiamo “salvare” 14 miliardi di euro di spesa, sulla base dell’ultima previsione che ho letto per l’Italia. Difficile non fare il collegamento. E per noi difficile non pensare alle centinaia di persone che sono state respinte a colpi di acqua gelata nelle foreste della Bielorussia. O di quelle lasciate alla deriva nel cuore del Mediterraneo.
Il nostro augurio è quello di “salvare il Natale” nello spirito di questa storia della Rete. Una storia che
ha un percorso diverso rispetto alla logica che comunemente ci viene proposta come normale. Una storia che abbraccia tutte le profezie di questo tempo difficile. E getta un ponte fra tutte le persone che le condividono. Vi portiamo sugli occhi!
Il gruppo della Rete di Casale Monferrato