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Circolare nazionale Giugno 2022

GUERRA E SOLIDARIETA’

Nel vento della storia”: questo il titolo dato da Ercole Ongaro, molti anni fa, al suo primo libro sulla Rete1. Il messaggio era chiaro: la Rete è immersa nel flusso della storia, ne vive pienamente le vicende e cerca di interpretarle, con una visione aperta e solidale e qualche volta – si spera – anche profetica.

Credo che, nel corso degli anni, chi ha operato nella Rete non si sia sottratto a questa sfida, sia “sporcandosi le mani” in Palestina, in Centro e Sud America, in Africa, sia affrontando dibattiti in-terni, a volte laceranti, sul se e sul come operare in quei luoghi2.

Ora, insieme a tutti coloro che credono ancora nella solidarietà, siamo di fronte ad un’ennesima sfida. Dopo molti decenni, infatti, la guerra è tornata in Europa: una guerra crudele, sporca, maledettamente novecentesca, con il suo portato di morte, odio, distruzione, ideologia e propaganda. Come tutte le guerre, essa ha radici profonde, che non ho la capacità di indagare. Non è, però, difficile capire come essa metta in discussione molte nostre intime convinzioni, approdi di decenni, che davamo ormai per scontati.

Anzitutto, l’accoglienza dei profughi. É bello (e non lo dico con ironia) vedere l’enorme mobili-tazione del popolo italiano, sia per l’accoglienza degli ucraini fuggiti dal loro Paese, sia per la raccolta e l’invio degli aiuti a chi vi è restato. La mobilitazione è stata grande, spontanea e gratuita: ha coin-volto anche moltissime persone estranee a qualsiasi precedente circuito solidale.

Resta l’amaro di constatare come si siano creati profughi di “Serie A” (gli ucraini, appunto) e di “Se-rie B” (tutti coloro che, ora come in passato, scappano altre guerre, dittature, carestie). Tale distin-zione emerge non solo dalla comune percezione del fenomeno, ma anche da numerosi provvedimenti legislativi, che hanno creato canali preferenziali per chi scappa da quella guerra3.

Con l’ulteriore paradosso che il trattamento “di favore” viene riservato solo al fuggiasco di cittadi-nanza ucraina e non a chi, residente in quel Paese, abbia altra origine.

Ciò pone molte domande: perché ciò è avvenuto? Questo ha in qualche modo cambiato la condizione degli “altri” migranti? Cosa resterà di questa mobilitazione una volta che – speriamo presto – tutto sarà finito?

Facile rispondere alla prima. Questa guerra è in territorio europeo ed ha ricevuto una copertura me-diatica come mai in passato. Il nostro coinvolgimento emotivo è enormemente superiore, rispetto a qualsiasi altro conflitto, dalla Seconda Guerra Mondiale in poi. Non solo, è facile immedesimarsi negli ucraini: sono relativamente vicini, bianchi, cristiani, di cultura abbastanza omogenea alla nostra, minacciati da un Paese che, per tutta la guerra fredda, ci è stato additato come il maggiore spaurac-chio4. Infine, la comunità ucraina era già abbondantemente presente ed integrata in Italia, prima del conflitto.

Più difficile dire come tale situazione incida sulla condizione di tutti gli altri migranti. Sicuramente è cambiata la copertura mediatica e, quindi, la percezione del fenomeno. Malgrado gli sbarchi non siano certo terminati, non se ne parla più ed il tema ha cessato di essere strumento di lotta politica. Ciò è probabilmente un bene, perché chi continua ad interessarsi di immigrazione (e sono molti) potrà farlo in silenzio e con molte meno pressioni. Purtroppo, per usare un eufemismo, è improbabile un aumento dei fondi stanziati a sostegno di queste persone. Si corre, inoltre, il rischio di una guerra tra poveri, per ottenere aiuti, servizi e lavoro, in cui gli ucraini partono oggettivamente favoriti.

Credo, infine, che nulla resterà della mobilitazione, una volta finita la guerra. Chi già si occupa di so-lidarietà continuerà a farlo, mentre gli altri torneranno alle loro comuni occupazioni. La storia recente ci ha insegnato che siamo in grado di superare eventi traumatici a livello globale (la pandemia, ad esempio) senza che ciò, nel medio-lungo periodo, incida minimamente sul nostro stile di vita.

Dubito, inoltre, che gli strumenti emergenziali sperimentati in questi mesi possano essere estesi anche ad altre categorie di richiedenti asilo.

In conclusione, penso che la vicenda ucraina sia del tutto peculiare e non modificherà l’atteggiamento dei nostri connazionali nei confronti degli “altri” migranti. Del resto, come già ci insegna un fine in-tellettuale leghista, questa è una guerra “vera” mentre, par di capire, tutte le altre sono finte …

La situazione attuale ha poi creato ulteriori profonde crepe in quello che resta del fronte pacifista. É sufficiente disapprovare la guerra e chiedere la pace? É giusto schierarsi? In concreto: è giusto, per il nostro Paese, aiutare economicamente e militarmente l’Ucraina?

Non vi nascondo che, avendo partecipato in passato a campagne contro le produzioni armiere, queste domande mi mettono in crisi. Non ho risposte, ma non credo sia giusto sottrarsi al confronto.

Come dicevo, non ho gli strumenti, né le competenze, per analizzare la genesi del conflitto. Posso so-lo dire che chi attacca militarmente uno Stato sovrano, indipendentemente dalle ragioni che accampa, ha comunque torto.

Aggiungo che la ultracinquantennale vicinanza al popolo Palestinese ci ha insegnato che, in questi casi, l’imparzialità è pura ipocrisia. Chi non si schiera, chi resta equidistante, sostiene di fatto l’ag-gressore e lo fa indipendentemente dalle colpe che anche l’aggredito può avere.

Neppure credo nell’atteggiamento – passivo ed in fondo comodo – di chi si limita a disapprovare la guerra ed a chiedere la cessazione delle ostilità. Serve un impegno concreto.

Durante la nostra guerra di liberazione dal nazifascismo i partigiani erano armati, sparavano, uccide-vano. Pochi lo facevano volentieri, ma questo è un dato di fatto storico. Non solo: spesso i partigiani utilizzavano armi paracadutate dalle forze aeree americane.

Quanti di noi avrebbero disapprovato questo modo di agire5?

Evidentemente ci sono situazioni limite in cui l’uso della violenza e l’invio di armi sono moralmente leciti. La situazione ucraina rientra tra queste? Dobbiamo valutarla con i nostri occhi di borghesi co-modamente seduti ad una scrivania o con quelli di chi si è arruolato volontario e combatte su un fronte?

Come dicevo, non ho una risposta.

Infine, come sempre, anche questa guerra incide pesantemente sulla libera manifestazione del pensiero. Assistiamo – spesso impotenti, talvolta indifferenti – ad una censura strisciante: l’accesso ai media viene progressivamente precluso a chi non condivide il pensiero generale, che sostiene acri-ticamente la causa ucraina, o, più semplicemente, cerca di offrire un’analisi più articolata e meno “ti-fosa” sulla genesi della guerra. Un atteggiamento, tra l’altro, sintomo di debolezza: è molto più utile ed efficace confutare un argomento, che impedire che sia espresso.

Sia chiaro: alcune posizioni sono davvero cervellotiche e sembrano animate più da interessi economi-ci o di mera visibilità, che da intime convinzioni. Questa, però, non è una valida ragione per metterle a tacere.

La varietà di opinioni è comunque una ricchezza. Possiamo non condividere un’opinione, criticarla aspramente, ritenerla folle o prezzolata, ma tutto ciò non deve incidere sul diritto di manifestarla. Lo dice l’art. 21 della nostra Costituzione che, non a caso, nasce dalle macerie di un regime totalitario. Torna, se vogliamo, di attualità la frase “non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa dirlo”, spesso attribuita erroneamente a Voltaire6.

Marco Rete di Varese

1 Ercole Ongaro “Nel vento della storia”, Cittadella Editrice, 1994.

2 Sempre Ercole Ongaro descrive la frattura verificatasi all’interno della Rete nel 1972, a seguito delle azioni terroristi-che perpetrate dal gruppo palestinese “Settembre Nero” all’aeroporto di Tel Aviv e durante le Olimpiadi di Monaco (“Nel vento della Storia” cit., p. 86).

3 Vedi, ad esempio il Decreto Legge 21 marzo 2022 n° 21, che prevede, a favore dei profughi ucraini, forme di acco-glienza diffusa sul territorio per 15.000 persone, contributi al sostentamento per tre mesi e l’accesso automatico al Sistema Sanitario Nazionale, nonché il riconoscimento automatico per tutte le qualifiche sanitarie conseguite in quel Paese. Sul sito della Protezione Civile è stata, addirittura, creata una piattaforma, denominata “Offro Aiuto”, dedicata alla sola popolazione ucraina.

4 Oggi è facile dimenticare che anche l’Ucraina era parte dell’Unione Sovietica.

5 Non avendo, per fortuna, conoscenza diretta, la mia opinione si è formata nella lettura di molti racconti, più o meno romanzati, sulla resistenza. Mi viene in mente Beppe Fenoglio “Il partigiano Jonny”, Einaudi.

6 In realtà, è della scrittrice inglese Evelyn Beatrice Hall.

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