Trento, 28 ottobre 2020

Care amiche e cari amici della Rete trentina,

come vi avevamo promesso nella scorsa circolare, vi proponiamo alcuni spunti emersi dall’assemblea di FaRete, la rete delle organizzazioni di cooperazione e solidarietà internazionale del Trentino che riunisce più di 50 associazioni, tra cui la Rete Radié Resch, che è tra i soci fondatori. La sintesi che vi presentiamo è stata curata da Luigi Moser, che ha partecipato all’assemblea in rappresentanza della Rete, con l’aggiunta di alcune riflessioni tratte dalla relazione di Michele Nardelli sul tema “La cooperazione del cambiamento”.

L’assemblea, alla quale erano presenti 38 delle associazioni aderenti, si è svolta il 18 settembre scorso presso l’ex Convento degli Agostiniani, sede del Centro per la Cooperazione Internazionale (CCI), ed è stata introdotta da Pierino Martinelli, presidente di FaRete, il quale ha ricordato la ricorrenza del primo anno di vita dell’organismo (è stata costituita il 15 giugno 2019).

Chiara Sighele, direttrice del CCI, ha sottolineato le criticità relative ai rapporti con le istituzioni provinciali, soprattutto dopo la drastica riduzione dei fondi destinati alla cooperazione internazionale: criticità che hanno portato alle dimissioni del presidente del Centro, Mario Raffaelli, e che hanno fatto temere per la sopravvivenza del Centro stesso. Tra notevoli difficoltà si è deciso comunque di andare avanti, con fondi ridimensionati, con riduzione dell’attività e riassetto dell’organigramma.

La situazione è difficile – ha concluso la direttrice – ma continueremo a fare opera di sensibilizzazione nei confronti della nostra comunità e cercheremo di ragionare su quali siano prioritariamente i servizi da valorizzare”.

L’assemblea è proseguita con l’approvazione del bilancio, che presenta un avanzo di gestione di circa 10.000 euro, accantonato come fondo in vista prossime operazioni/progetti.

Il momento centrale dell’incontro è stata la relazione di Michele Nardelli, che ha invitato gli operatori della cooperazione internazionale ad interrogarsi continuamente per capire il contesto in continua evoluzione in cui operano e il senso profondo della propria azione. In sintesi il pensiero di Nardelli è che la cooperazione internazionale deve essere costruzione di relazioni e non aiuto allo sviluppo. L’idea stessa di sviluppo e sottosviluppo che molti di noi hanno è infatti ampiamente superata. La convinzione che il mondo sia diviso tra paesi sviluppati e paesi sottosviluppati è sempre meno rispondente alla realtà. Questo non significa che non ci siano paesi impoveriti, ma in qualsiasi parte del mondo sviluppo e sottosviluppo si intrecciano. Dobbiamo chiederci, ha commentato Nardelli, se la nostra azione stimola dinamiche di cambiamento. Spesso abbiamo agito pensando di far diventare gli altri come noi, ritenendo che il nostro fosse il migliore dei mondi possibili. Senza pensare che le cause della povertà nascono proprio dal nostro mondo ricco e dalla pretesa che il nostro tenore di vita sia non negoziabile. Dobbiamo capire le dinamiche di potere che generano le povertà. Non è possibile gestire gli aiuti senza consapevolezza dei conflitti. Le crisi con cui abbiamo a che fare a livello planetario – sanitaria, demografica, migratoria, ambientale, economica, sociale, politica … – non sono emergenze, sono crisi strutturali. Prima di fare, di agire occorre studiare, capire. Ci sono tanti segnali che avrebbero potuto farci capire dove stavamo andando. Siamo in un mondo in cui le istituzioni non decidono più niente: sono altri i poteri reali, tra cui la criminalità organizzata e l’alta finanza, spesso intrecciate fra loro.

Nardelli ha citato l’affermazione di papa Francesco secondo cui “siamo dentro una terza guerra mondiale a pezzi”. Secondo il relatore il riferimento non era alle guerre in corso, o almeno non solo, ma piuttosto al conflitto tra inclusi ed esclusi. O cambiamo sistema e facciamo posto a tutti, in modo che nessuno sia escluso – ha commentato Nardelli – o continuiamo ad escludere strati sempre più ampi dell’umanità, fino a mettere in discussione la sopravvivenza stessa dell’umanità. È una guerra più subdola di quelle tradizionali, perché ci coinvolge tutti e ci chiede da che parte stiamo. Una parte dell’umanità sta consumando più di quanto il pianeta è in grado di produrre: viviamo in modo insostenibile e questo significa l’esclusione di qualcuno. Già oggi in Italia a metà maggio abbiamo consumato le risorse naturali dell’intero anno, per cui avremmo bisogno di 3 o 4 Italie per continuare con questo livello di consumo: è questa la terza guerra mondiale di cui parla Francesco, ha concluso Nardelli. Ecco perché non possiamo più guardare la realtà con gli occhiali di prima: dobbiamo riconsiderare il nostro modo di stare al mondo e di relazionarci con gli altri. E’ necessaria una cultura del limite. Il nostro compito non è essere cooperanti ma animatori di comunità. Dobbiamo cambiare rotta. E per farlo non dobbiamo cercare di adattarci alla realtà, ma cambiarla.

La relazione di Michele Nardelli ha suscitato notevole interesse. Per chi fa parte della Rete Radié Resch, in realtà, molti dei concetti espressi dal relatore sono tutt’altro che nuovi. Fin dalla sua nascita la Rete ha posto l’accento sull’importanza delle relazioni più che sulla ricerca del risultato, consapevole che le strutture che generano povertà e ingiustizia nascono dal nostro modello di sviluppo. Per questo la Rete ha sempre privilegiato il sostegno a comunità piccole e significative che si pongono in modo alternativo al modello economico dominante. Questa consapevolezza è stata fin dall’inizio la peculiarità della Rete rispetto a tante altre realtà impegnate negli “aiuti” internazionali. Ne è una prova proprio la Circolare nazionale di questo mese, scritta dalla Rete di Cagliari e allegata alla presente, in cui si esplicitano i valori e le sensibilità della Rete Radié Resch fin dalle sue origini.

A conclusione dell’assemblea, il presidente di FaRete, Martinelli, ha ricordato ancora la difficoltà di rapportarsi con l’amministrazione provinciale. Ci siamo adoperati per evitare lo scontro – ha detto – e abbiamo continuato a tessere relazioni, a volte con senso di frustrazione, ma senza mai perdere la speranza.

E con l’invito a non perdere mai la speranza porgiamo i più cari saluti a tutte e tutti

Fulvio Gardumi e Luigi Moser

 

Rete di Quarrata – Lettera ottobre 2020

Carissima, carissimo
è davvero strano sentire quanto ciò che stiamo vivendo, all’improvviso, non coincide più con qualcosa di conosciuto. Questo insinua in noi una sottile angoscia che tentiamo di esorcizzare muovendoci, inventando,
sperimentando ma, senza fermarci per conoscerla questa paura, schiavi come siamo del nostro pensiero.
La speranza che potessimo trarre un insegnamento dall’esperienza nella tragedia di questa epidemia, sembra ormai svanita. Niente è più come prima  però,  il cambiamento continuerà, indipendentemente da noi. Se lo subiremo soltanto, non potrà essere di nessuna utilità.
Sarà un’altra delusione che daremo a noi stessi. L’umanità sarà in grado di provarlo quel salto che ci aspetta da tanto tempo?
Purtroppo sono coinvolte, in questo, forze sbagliate: la mente al posto del cuore.
Ora, da un autunno inconsueto, stiamo andando verso il silenzio di un inverno nel quale ci si può ritrovare per rivedere e comprendere dinamiche a noi immanenti che potrebbero portare a un profondo risveglio.
Se volgiamo  lo sguardo alla realtà socio-politica nella quale siamo immersi quotidianamente, posso dire  che l’Italia ha raggiunto una china pericolosa che peggiora ogni giorno di più, in particolare nel corso degli  ultimi anni,  di cui non capisco l’esito finale, ma temo non sarà positivo.

Accanto ai problemi che affliggono l’umanità intera, come ad esempio la diffusione di notizie false sui social,  la violenza online, che i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri aumentano a dismisura, l’insensibilità a eludere le tasse ecc… ce ne è uno particolarmente  inaccettabile: una parte di coloro che si occupano di “cosa” pubblica, non lo fanno per “servire” [il prossimo], come dovrebbe essere ma,  per potere, per arricchirsi personalmente, appropriandosi di risorse pubbliche  e causando un aumento esponenziale del debito pubblico, a danno dell’intera collettività ma, soprattutto a danno dei nostri figli e nipoti, insomma di chi sarà chiamato a ripianarlo.
Purtroppo non possiamo negare che oggi siamo in crisi, si è rotto il cosiddetto “patto educativo”; il patto educativo che si crea tra la famiglia, la scuola, il mondo, la cultura e le culture. Si è rotto e rotto davvero; non si può incollare o ricomporre. Non si può rammendare, se non attraverso un rinnovato sforzo di generosità e di accordo universale.
Una tale gestione del potere in uno degli Stati più potenti e armati della Terra, tanto più all’ora del suo declino, ha ricadute di indubbia gravità sul resto del mondo. Si ripropone il rischio già sperimentato all’inizio del secolo quando la destra al governo impostò il programma della militarizzazione dello spazio per meglio dominare la Terra e annunciò di voler instaurare il “nuovo secolo americano”, ovvero un’obbedienza planetaria,  che causò la devastazione del Medio Oriente, nell’incentivo all’estremismo islamico e nel terrorismo generalizzato.
Le ricadute negative delle pretese di dominio globale e del contrasto al diritto internazionale possono  essere molto gravi anche oggi.
Basti pensare a quanto accade in Brasile dove è in corso, col patrocinio di Trump, una catastrofe politica, sanitaria, economica e sociale. “La crisi peggiore di tutta la storia del Brasile” ha detto il leader dei contadini Joào Pedro Sedile che partecipò agli incontri  dei movimenti popolari col papa; oggi in Brasile si sta realizzando  l’attacco del neo-liberismo più sfrenato e Bolsonaro (un  altro negazionista colpito dal virus) sta “privatizzando-svendendo tutto”: dalla Petrobras alla Caixa economica federal, dall’Embraer al Banco do Brasil, all’Acqua, alle Foreste, alle Risorse minerarie, all’Amazzonia ecc.

Si pensi ancora  al tentativo americano di intimidire papa Francesco e bloccare il processo di conciliazione con la Cina. O  si pensi al piano congiunto con Netanyahu per l’annessione a Israele delle terre palestinesi, in base ai diritti storici rivendicati dagli ebrei a partire dalla Bibbia;  “Civiltà cattolica” spiega nel suo ultimo numero che la Bibbia può avere una tutt’altra lettura, e che “le rivendicazioni ebraiche nei confronti della terra vanno viste anche alla luce dell’esilio del popolo palestinese dalla sua patria e dalle sue esperienze di discriminazione e occupazione nelle terre oggi governate da Israele”.
È chiaro peraltro che se la tempesta incombe da Occidente, non certo rassicurazioni vengono da Oriente; e l’Europa stessa che sembrava ravvedersi sotto la spinta del Covid, deve ora fare i conti con i suoi sovranisti dell’Est continuando  a sbarrare i suoi mari ai migranti.
Oggi il mondo intero appare immerso nella tormenta.
Perciò è necessaria una risposta politica. L’instaurazione di un sistema di garanzie a livello mondiale – dalla garanzia della pace a quella della salute, della difesa dell’ambiente, della libertà di migrare.

Oggi pur in questa grave situazione la violenza ha mille facce: da quella di un’economia che uccide, esclude e distrugge a quella che si annida in molte delle nostre case, contro le donne, i bambini, i diversi, i migranti, gli scartati.. Quella della corruzione, delle mafie e delle droghe  ma,  anche quella che tutti i giorni esce dalla televisione,  dal web,  alle parole che uccidono, al bullismo diffuso che ci perseguita. Penso alla guerra che si è riaccesa nel Nagorno-Karabakh, a quelle che da 75 anni insanguinano la Terra Santa e il Medio Oriente e a tutte quelle che non fanno mai notizia. Credo inoltre che  ognuno di noi potrebbe giovarsi di una “regola” di vita per resistere alla deriva che ci sta trascinando verso una chiusura sempre più netta tra chi ha e chi soffre..
Una regola che ci permetta di capire cosa è bene e cosa è male, su quali valori va fondata la vita di una comunità, regole importanti, che ci permetteranno di formarci una visione più ampia di ciò che stiamo vivendo e decidere cosa accogliere a far parte della nostra vita.

Con l’enciclica sociale “Fratelli tutti”, papa Francesco continua a stupirci, a donarci il cuore di un pastore, la cui lettura del mondo parte da lontano, da una visione di ampio respiro e interpretazione, dai più poveri, da chi fa più fatica. L’enciclica è rivolta sia ai credenti sia ai non credenti. Papa Francesco sottolinea la necessità di ripartire da una fratellanza universale, dalla pace, affermando che la politica può fare molto. Ma, ovviamente, il Papa invita anche ognuno di noi a piccole azioni quotidiane, di conversione personale, familiare, dei corpi intermedi della società che possono lavorare sui territori e rendere più umani, vivibili e solidali i nostri quartieri, le nostre città, le nostre nazioni.
Per questo auguro ad ognuno di noi un tempo pieno di creativa volontà, di militanza e di solidarietà.

Antonio

R

Circolare nazionale ottobre 2020

a cura della Rete Radiè Resch – gruppo di Cagliari

Quarant’anni di appartenenza alla Rete Radiè Resch di solidarietà internazionale – così si denominava un tempo l’associazione – sono un traguardo che ha visto un gruppo di persone dell’area cagliaritana rimanere fedeli a un’idea e a una pratica di solidarietà che coinvolgesse i singoli nella restituzione di un debito contratto verso le comunità impoverite del Sud del Mondo. Nella convinzione, inoltre, della necessità di un cambiamento nel nostro mondo opulento e, perciò, della “controinformazione” attraverso le testimonianze dirette dei referenti dei nostri progetti. Siamo ricordati all’interno della Rete nazionale in modo particolare per il documento “Parametri di valutazione di un’operazione della Rete”che venne presentato al Coordinamento nazionale di Verona (20-21 giugno 1992) a seguito della grande riflessione sullo stato della Rete del biennio 1990 – 1992. Il documento, frutto di una riflessione collettiva, indicava 7 dei criteri: 1. Tre volte indigeno; 2. Trasparenza; 3. Ecologia; 4. Durata; 5. Autonomia; 6. Cultura; 7. Dimensione e peculiarità. Abbiamo sempre creduto che questi criteri non potessero essere rigidi, ricordando l’invito di Ettore Masina a tener conto dell’amicizia che ci legava ai nostri referenti.

In questi quarant’anni ci sono stati periodi molto fecondi di iniziative, di incontri tra persone, di partecipazione agli avvenimenti della città e del mondo: dibattiti pubblici, seminari di studio, manifestazioni in difesa dei diritti negati, in particolare dei migranti, con una attenzione speciale alla comunità palestinese presente nel nostro territorio. Nel 1992 la Rete di Cagliari si fa carico come referente nazionale dell’operazione Donne indie collas. Sostegno a piccole cooperative di lavoro, nel Nord-Ovest dell’Argentina, nella zona montagnosa della “Quebrada de Huamahaca”; referenti Piera Oria e Carola Caribe (“Taller Permanente de la Mujer”) di Buenos Aires. Il legame con Piera diverrà sempre più forte grazie agli incontri a Cagliari e al viaggio in Argentina (agosto 2000) di due amiche del nostro gruppo. Il momento più coinvolgente che ha creato sinergie singolari è stato il lavoro di traduzione, di pubblicazione e di divulgazione del libro di Piera Oria, Dalla casa alla piazza…, sulle madri e le nonne di Plaza de Mayo. Dopo la morte di Piera e la conseguente chiusura dell’operazione, la Rete di Cagliari non ha avuto più un progetto da seguire; questo fatto può aver avuto un certo peso nel proseguo del cammino del gruppo, sebbene le cause principali della riduzione dei partecipanti siano state di altra natura: la crisi economica, l’età avanzata dei membri, la morte di alcune persone.

Il legame con la Rete nazionale si è conservato, nonostante l’insularità con gli aspetti connessi alla mobilità, con la partecipazione ai Coordinamenti nazionali, ai Convegni e ai Seminari, ai viaggi della Rete in Brasile (luglio-agosto 1993) e in Palestina (27/12/98 – 4/01/99). Abbiamo per ben due volte ospitato il Coordinamento nazionale a Cagliari, il 13 e 14 ottobre 1990 e, più di recente, il 19 e 20 giugno 2010 presso la Comunità la Collina, diretta da don Ettore Cannavera, che è stato coordinatore della Rete di Cagliari fino al 1993. Dall’incontro a Salvador Bahia con Giovanni Cara (João), piccolo fratello del vangelo cagliaritano, e con la sua collaboratrice Rita Maria Alves che si occupavano di meninos de rua, si è sviluppato un costante rapporto di collaborazione basato sulla fraternità e sull’amicizia. Pur ridotti a un piccolo gruppo, abbiamo cercato di partecipare assiduamente agli eventi della realtà locale molto provata dal punto di vista economico e occupazionale; aderendo e partecipando alle manifestazioni per la pace, per la Palestina, per la riduzione delle servitù militari, alla lotta per la riconversione della fabbrica di Bombe RWM, alla collaborazione con la Comunità la Collina.

Il mese di ottobre è un mese emblematico per le persone amanti della giustizia e della pace: il 2 ottobre (anniversario della nascita di Gandhi) si è celebrata la Giornata mondiale della Nonviolenza, e il 4 ottobre la festa di san Francesco d’Assisi, uomo che con la mitezza e la povertà si è rivestito d’amore fraterno per tutte le creature. Il forte messaggio di papa Francesco dalla Basilica di Assisi con la promulgazione della sua terza Enciclica, Fratelli tutti, è inequivocabile: abbattere i muri di separazione e creare ponti di comunione, di fraternità universale, di amicizia sociale per costruire una umanità nuova, consapevoli che non ci salviamo da soli, dentro i nostri egoismi individuali e collettivi, ma come ci ha insegnato la pandemia ci si salva uniti nell’accoglienza dei più fragili, quali gli anziani, i disabili, i poveri, i migranti, le persone che vivono nelle periferie geografiche ed esistenziali, che sono considerate lo scarto, rifiuti da eliminare. Non sappiamo se papa Francesco conosca la nostra Rete e la sua storia, ma un passaggio dell’Enciclica ci ha colpito, dove egli parla delle associazioni nelle quali i soci spesso si chiudono negli interessi di gruppo ed escludono gli altri; e di coloro, invece, che praticano l’amicizia sociale, la solidarietà autentica. “Solidarietà – scrive il Papa – […] è una parola che esprime molto più che alcuni atti di generosità sporadici. È pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. È anche lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. È far fronte agli effetti distruttori dell’Impero del denaro […]. La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia, ed è questo che fanno i movimenti popolari» (Fratelli Tutti, n. 116).

Il mese di ottobre è anche il mese del dialogo interreligioso, in particolare il 27 ottobre si celebra la Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico nata per contrastare l’ondata di islamofobia scatenatasi all’indomani dell’attentato alle Torri gemelle e alla proclamazione della guerra preventiva, dentro il paradigma dello scontro di civiltà. L’appello di quest’anno afferma, tra l’altro: “[…] sentiamo forte il bisogno di riscoprire l’umanità che tutti ci unisce […] sentiamo forte il bisogno di impegnarci contro le guerre, la produzione delle armi e contro l’ingiustizia sociale che nega il lavoro, le cure mediche, distrugge l’ambiente e ogni spiritualità basata sul riconoscersi fratelli e sorelle con un’unica Madre Terra da amare e difendere”. Un sentire che accomuna anche noi a tante persone di buona volontà. Siamo convinti che dall’incontro, la conoscenza reciproca, la solidarietà frutto dell’amicizia sociale possa nascere “un altro mondo possibile” dove la fratellanza non sia una mera parola, ma una pratica di vita nella quale la comunità della Rete Radiè Resch ha sempre creduto e si è impegnata a realizzare.

La visita della nuova segreteria al nostro piccolo gruppo (Covid-19 permettendo) rinsalderà di certo i nostri legami. Tutto cambia, ma l’amore è l’orizzonte che unisce passato, presente e futuro.

Cari e care, come abbiamo anticipato, siamo stati al coordinamento nazionale Rete RR che si è svolto a Sezano. Della Rete di Verona abbiamo partecipato in otto, anche se non tutti contemporaneamente. Il dibattito sul nuovo “modello” di segreteria è stato interessante e molto partecipato. Ne è nata l’idea di una segreteria diffusa, nel senso di richiedere a tutti le reti una maggiore partecipazione nella gestione degli aspetti organizzativi e di coordinamento. Ma l’aspetto più importante su cui ci si è confrontati è stata la proposta di realizzare un vero e proprio viaggio tra le Reti e con le Reti per incontrare i vari gruppi e poter così avere una fotografia di ciò che realmente è la Rete oggi. Il coordinamento si è trovato d’accordo su questa proposta perché è importante vedere in profondità che cosa siamo e come stiamo operando per immaginare il possibile futuro della Rete stessa. In questo senso i quattro che si sono offerti di prendere in mano la segreteria), parlano della nuova segreteria come di una “segreteria laboratorio” cioè una segreteria che procede passo-passo senza paura di porsi domande di fronte alla realtà in continuo cambiamento. Una delle novità, per esempio, è che Nadia della Rete di Torino, è una giovane che accetta di fare quest’esperienza e che certamente ci aiuterà a vedere con occhi diversi e a trovare modi di comunicazione più vicini ai giovani. A questo proposito è stato più volte sottolineato che ciò che importa non è riprodurre all’infinito il modello di Rete portato avanti fino ad oggi, ma trasmettere i valori fondanti della Rete, in particolare il modo con cui la Rete ha saputo ascoltare le voci e spesso il grido di dolore dei popoli oppressi del Sud del mondo, senza pretendere di imporre il suo punto di vista, ma lasciandosi guidare da loro; il modo con cui si è assunta la responsabilità di fare contro-informazione (vedi, per esempio, Palestina, Mapuche, Africa), consapevole della valenza politica del sua agire, ogni volta che ha denunciato le ingiustizie causate dal modello di sviluppo imposto dai paesi del Nord del mondo. Ora molte cose sono cambiate, ma restano, anzi, aumentano in modo esponenziale ingiustizie e disuguaglianze; il Sud è arrivato in mezzo a noi con il dramma dei migranti che è sotto gli occhi di tutti. Per questo, ciò che la Rete ci ha spinto a fare nel passato deve spingerci a continuare nella solidarietà, seppure con linguaggi e modalità diversi. La segreteria laboratorio ci stimola ancora una volta a metterci in un atteggiamento di ricerca: probabilmente proprio questo lasciarsi portare dal “vento della storia” ha permesso alla Rete di sopravvivere fino ad ora. Sempre per parlare di nuovi linguaggi è stato presentato il Forum Visioni, cioè uno strumento semplice, una volta presa la mano, per dare spazio al confronto tra noi, senza intasare la mailing list, alla condivisione di piccoli progetti concreti e a percorsi che le reti locali hanno messo in piedi o stanno progettando, soprattutto per sottolineare le esperienze positive, e sono tante, in cui sono coinvolte. Per permettere a tutti e tutte di usufruire di questo strumento, il prossimo coordinamento nazionale che si terrà a Rimini il 21 e 22 novembre affronterà il tema di come diffondere e dare indicazioni pratiche sul forum, in modo che sia accessibile anche a chi non ha dimestichezza con i mezzi informatici.

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Passando al nostro progetto in Ghana, desideriamo condividere con voi qualche foto che ci è arrivata da Adjumako, il villaggio dove stiamo portando avanti il progetto “Maame Adjeiba” . Come sapete, il progetto è nato per promuovere l’inclusione scolastica di ragazze provenienti da famiglie che non hanno la possibilità di sostenere le spese per la scuola delle loro figlie. E’ ormai da cinque anni che il progetto va avanti con successo, tanto che altre famiglie in difficoltà economiche hanno chiesto che ne possano far parte anche i figli maschi. Ci sembra importante sottolineare che questo progetto sta stimolando la gente di Adjumako a sentirsi più responsabile di se stessa e a provare a fare da sola. Del resto, questo è lo scopo principale della solidarietà come l’ha sempre intesa la Rete: stimolare il più possibile le comunità a fare da sé. Le foto che alleghiamo si riferiscono alla costruzione del sistema fognario che la gente di Adjumako si sta costruendo autonomamente.
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Da ultimo, un accenno sulla Palestina che appare solo sullo sfondo dei vari trattati tra Israele e i paesi Arabi del Golfo. In realtà la pandemia non ha fatto altro che aggravare la situazione di sofferenza della gente che da troppi anni vive sotto occupazione. Per questo, anche quest’anno, vorremo organizzare almeno uno o due incontri pubblici perché l’ingiustizia e i soprusi subiti dal popolo palestinese non vengano dimenticati: il nostro impegno di contro-informazione è iniziato proprio là. Per riprendere i nostri incontri dopo l’estate e confrontarci sui punti che abbiamo toccato, ci troveremo martedì 6 ottobre alle 21 in una sala della parrocchia di s. Luca, sufficientemente grande per rispettare le norme anti Covid (l’entrata della sala è dal portico attiguo alla chiesa).

Un caro saluto a tutti e tutte
Maria Picotti

Il 19 e il 20 settembre il coordinamento della Rete si è riunito presso il monastero degli Stimmatini a Sezano (VR) per rinnovare la segreteria, essendo la precedente giunta alla scadenza biennale. E’ stato un incontro di profonda relazione umana (ne avevamo bisogno tutti) ancor prima del trattare la situazione dei problemi, sia locali che mondiali. Ne è risultato un impegno ad essere positivi e continuare a credere nella possibilità che attraverso le azioni quotidiane, a mettersi insieme in piccoli gruppi e a vedere il mondo nella sua universalità, siamo tutti interdipendenti. Ricominciare! Sembra una parola d’ordine. Ma da dove ricominciamo? E come? La quarantena è alle nostre spalle, o quasi, ma nulla sembra superato… o almeno non con quella tranquillizzante sensazione di soluzione trovata in tutti gli ambiti che forse qualcuno tra noi sperava. Però ricominciare si deve. Lo dobbiamo a noi stessi, al nostro futuro, ma anche al mondo che ci ruota intorno. Ricominciare si può, perché la resilienza è una forza innata di cui tutta la natura è capace da sempre, dalla prima comparsa sulla Terra. Siamo capaci di mutare, anche radicalmente, adattandoci alle nuove condizioni di esistenza. Certamente pur riportando ferite profonde, ce la faremo anche questa volta. Ce lo chiedono con forza i referenti dei progetti che condividiamo in Guatemala, in Brasile, ad Haiti, in Bolivia, in Cile, in Argentina, in Perù, ad Haiti, in Nicaragua, in Congo, in Centrafrica, in Ghana, in Palestina, senza un’assistenza reale. Un nostro referente ci ha raccontato che i cadaveri sono abbandonati ai lati delle strade, dove spesso si accaniscono gruppi di cani o che vengono comparsi di benzina per essere bruciati. E’ un urlo straziante che sale dal tutte queste realtà e purtroppo molte altre nei tanti Sud del mondo, dove la salute può permettersela solo chi può pagare. Ricordiamo anche il progetto a favore dei Medici contro la Tortura, operativo a Roma che accompagnano i profughi che provengono dalla Libia e da altre realtà dittatoriali. Abbiamo vissuto i tempi drammatici di Covid-19 dove la malattia e la morte sono state durissime nel nostro paese, questo mantello di sofferenza e tristezza si sta estendendo su tutta l’umanità. Sono ormai un milione le vittime contabilizzate in tutto il mondo. La malattia e la morte si stanno quasi naturalizzando nelle aree più povere, leggendo l’attuale contaminazione. Non basta vedere il Covid-19 isolato e di per sé. Dobbiamo vedere il suo contesto. Viene dalla natura che è stata attaccata dal tipo di rapporto che il nostro sistema produttivo mantiene. Non bastano scienza, tecnica, input, isolamento sociale, evitando gli assembramenti e l’uso della mascherina. Tutto questo è essenziale, ma la cosa più importante è sviluppare un rapporto amichevole con la natura e i suoi animali. Se continueremo con l’irresponsabile aggressione, la natura e la Terra reagiranno inviandoci virus ancora più pericolosi. Dobbiamo cambiare il paradigma, invece dell’intrusione, urge un lavoro di rispetto e di cura, perché la natura non ci appartiene. Noi apparteniamo alla natura, ne facciamo parte, tutto ci dà per la nostra vita, se non invertiamo la rotta, noi scompariremo ma la Natura continuerà. La svolta però sta nel come ricominceremo. Se sceglieremo cioè di trattare questo momento storico come uno dei tanti passaggi della nostra vita, fatto di traslochi, spostamenti, chiusure in un posto ed aperture in un altro, lasciando tutto esattamente uguale in noi, attorno a noi, nelle nostre aspettative, nello stile della nostra esistenza. Oppure se sceglieremo di ripartire con un’altra marcia, un altro passo, un altro stile, altre priorità. Mettendo al centro tutta l’umanità, nessun escluso.
E’ incomprensibile come poche decine di persone, oggi, posseggano la ricchezza di più della metà della popolazione mondiale.
E’ incomprensibile che si spendano ancora 1.875 miliardi di dollari all’anno per le armi.
E’ incomprensibile vedere come il mondo non va nella direzione del Bene comune ma verso la ricerca sempre più ossessiva della ricchezza privata.
E’ incomprensibile che 70 milioni di persone sono state costrette a fuggire dal proprio Paese.
E’ incomprensibile che 12.000.000 di ettari siano stati bruciati in Amazzonia in poco meno di un anno.
Urge una ricomposizione dell’umanità contro questa economia che uccide e crearne una nuova, per la vita, che includa e non escluda, per la salvaguardia di ogni donna e ogni uomo e del Creato.

il laboratorio segreteria: Caterina, Lucia, Nadia e Antonio

Rete di Quarrata – Lettera di Settembre 2020

Carissima, carissimo,
il 19 e il 20 settembre il coordinamento della Rete Radiè Resch si è riunito presso il monastero degli Stimmatini a Sezano (VR) per rinnovare la segreteria, essendo la precedente giunta alla scadenza biennale. E’ stato un incontro di profonda relazione umana (ne avevamo bisogno tutti) ancor prima del trattare la situazione dei problemi, sia locali che mondiali. Ne è risultato un impegno ad essere positivi, a continuare a credere nelle azioni quotidiane, attraverso il mettersi insieme in piccoli gruppi e a vedere il mondo nella sua universalità e interdipendenza. Ricominciare! Sembra una parola d’ordine. Ma da dove ricominciamo? E come? La quarantena è alle nostre spalle, o quasi, ma nulla sembra superato… o almeno non con quella tranquillizzante sensazione di soluzione trovata in tutti gli ambiti che forse qualcuno tra noi sperava. Però ricominciare si deve. Lo dobbiamo a noi stessi, al nostro futuro, ma anche al mondo che ci ruota intorno. Ricominciare si può, perché la resilienza è una forza innata di cui tutta la natura è capace da sempre, dalla prima comparsa sulla Terra. Siamo capaci di mutare, anche radicalmente, adattandoci alle nuove condizioni di esistenza. Certamente pur riportando ferite profonde, ce la faremo anche questa volta. Ce lo chiedono con forza i referenti dei progetti che condividiamo in Guatemala, in Brasile, ad Haiti, in Bolivia, in Cile, in Argentina, in Perù, ad Haiti, in Nicaragua, in Congo, in Centrafrica, in Ghana, in Palestina e in Armenia senza un’assistenza reale. Un nostro referente ci ha raccontato che nelle favelas i cadaveri sono abbandonati ai lati delle strade, dove spesso si accaniscono gruppi di cani o che vengono comparsi di benzina per essere bruciati. E’ un urlo straziante che sale dal tutte queste realtà e purtroppo molte altre nei tanti Sud del mondo, dove le cure possono permettersela solo chi può pagare. Ricordiamo anche il progetto che sosteniamo a favore dei Medici contro la Tortura, operativo a Roma che accompagnano i profughi che provengono dalla Libia e da altre realtà dove vige l’oppressione. Abbiamo vissuto i tempi drammatici di Covid-19 dove la malattia e la morte sono state durissime nel nostro paese. Questo mantello di sofferenza e tristezza si sta estendendo su tutta l’umanità. Sono ormai un milione le vittime contabilizzate in tutto il mondo. La malattia e la morte si stanno quasi naturalizzando nelle aree più povere, leggendo l’attuale contagio. Non basta vedere il Covid-19 isolato e di per sé. Dobbiamo vedere il suo contesto. Viene dalla natura che è stata attaccata dal tipo di rapporto che il nostro sistema produttivo mantiene. Non bastano scienza, tecnica, input, isolamento sociale, evitando gli assembramenti e l’uso della mascherina. Tutto questo è indispensabile, ma la cosa più importante è sviluppare un rapporto amichevole con la natura e i suoi animali. Se continueremo con l’irresponsabile aggressione, la natura e la Terra reagiranno inviandoci virus ancora più pericolosi. Dobbiamo cambiare il paradigma, invece dell’intrusione, urge un lavoro di rispetto e di cura, perché la natura non ci appartiene. Noi apparteniamo alla natura, ne facciamo parte, ci nutre e fornisce quanto necessario per la nostra vita ma, se non invertiamo la rotta, noi scompariremo, la Natura sopravvivrà anche senza di noi. La svolta però sta nel come ricominceremo. Se sceglieremo cioè di trattare questo momento storico come uno dei tanti passaggi della nostra vita, fatto di traslochi, spostamenti, chiusure in un posto ed aperture in un altro, lasciando tutto esattamente uguale in noi, attorno a noi, nelle nostre aspettative, nello stile della nostra esistenza. Oppure se sceglieremo di ripartire con un’altra marcia, un altro passo, un altro stile, altre priorità. Mettendo al centro tutta l’umanità, nessun escluso.
E’ incomprensibile come poche decine di persone, oggi, posseggano la ricchezza di più della metà della popolazione mondiale.
E’ incomprensibile che si spendano ancora 1.875 miliardi di dollari all’anno per le armi.
E’ incomprensibile vedere come il mondo non va nella direzione del Bene comune ma verso la ricerca sempre più ossessiva della ricchezza privata.
E’ incomprensibile che 70 milioni di persone sono state costrette a fuggire dal proprio Paese.
E’ incomprensibile che 12.000.000 di ettari siano stati bruciati in Amazonia in poco meno di un anno.
Urge una ricomposizione dell’umanità contro questa economia che uccide per crearne una nuova, per la vita, che includa e non escluda, per la salvaguardia di ogni donna e ogni uomo e del Creato.
la segreteria laboratorio: Caterina, Lucia, Nadia e Antonio

Alcune ore fa è giunto un SOS da alcuni nostri amici brasiliani, tra cui un nostro referente di un progetto in cui ci comunicavano che attualmente in Brasile, aumentano i bambini che soffrono la fame, aumentano le ragazze costrette alla vita di strada, che le foreste bruciano e con loro ogni forma di vita che racchiudono, in particolare l’area del Pantanal, che le associazioni che aiutano e i loro volontari sono continuamente osteggiati, una cosa è certa, non abbandoneremo i nostri amici, piccoli o grandi che siano. Con poco in tanti si può fare molto.
Antonio

“Se voi però avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri” don Lorenzo Milani, “L’obbedienza non è più una virtù”

“Sono qui perché gli uomini camminano, le parole corrono.
Gli uomini sono lenti, le parole sono veloci.
Gli uomini si stancano, le parole volano.
Gli uomini vengono fermati.
Da altri uomini, dai muri, dai fili spinati. Le parole no.”
(Moussa Molla Salih. Dal palco delle “Sardine” di Bologna)

Carissime/i, anche le nostre mensili lettere sono fatte di parole. Parole che raccontano le nostre storie, i nostri
impegni e, specialmente, ci descrivono le situazioni dei nostri lontani progetti di aiuto solidale. Sempre parole sono, che ci aiutano a camminare assieme e con gli amici di Haiti.

 

Cari e care,

vogliamo innanzitutto augurarvi buona estate, in questa particolare estate, sia a chi resterà a casa, sia a chi potrà concedersi un periodo di vacanza.

In secondo luogo, ci pare giusto informarvi su quanto è emerso nei nostri incontri nazionali di Rete, che si sono svolti a distanza, tramite video-conferenza.

Sintetizziamo qui di seguito le decisioni più rilevanti

1 è stato confermato lo spostamento del Convegno al 2021 (rimarrebbe comunque la cadenza biennale)

2 si è discusso a lungo sulla formazione della nuova segreteria e su eventuali cambiamenti delle sue funzioni e modalità di lavoro (fino al coordinamento di settembre rimarrà in carica quella attuale).

Proprio in questi ultimi giorni si è concretizzata la proposta di una segreteria/laboratorio formata da Caterina Perata della Rete di Quiliano (Savona), da Lucia Capriglione della Rete di Salerno, da Antonio Vermigli della Rete di Quarrata (Pistoia) e da Nadia Zamberlan (gruppo giovani), della Rete di Torino

3 è stato riconfermato il progetto sostenuto dalla Rete di Verona in Guatemala di cui, di seguito, troverete la relazione.

4 I prossimi 19 e 20 settembre è stato confermato il coordinamento di Sezano, con la partecipazione fisica dei referenti delle reti locali, e non in video-conferenza. Come rete di Verona, organizzeremo l’ospitalità, salvo eventuali contrordini non dipendenti da noi. A questo proposito si sta pensando di affidare sempre più la preparazione e la gestione dei coordinamenti alle reti locali, in modo da sollevare il lavoro della segreteria.

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Come ReteRR, ci sembra importante ricordare la situazione veramente drammatica della Palestina, aggravata in questo periodo dall’emergenza Covid.

Il governo Netanyahu ha rimandato l’annessione unilaterale di una buona parte dei Territori Occupati palestinesi che comprende quasi per intero la Valle del Giordano. L’annessione, prevista per il 1° luglio in violazione di tutte le risoluzioni dell’ONU, gode dell’appoggio di Trump. Purtroppo la comunità internazionale sembra ignorare completamente la cosa e la UE non ha preso una posizione tale da incidere a favore dei Palestinesi. Contemporaneamente, però, le grandi manifestazioni contro il razzismo negli USA hanno provocato un lieve indebolimento del clima a favore di Trump e ciò ha sconsigliato, per ora, questa prepotenza ingiustificabile.

Ricordiamo che la Valle del Giordano è una zona strategica per l’agricoltura e il controllo delle riserve idriche di tutta l’area. L’acqua viene quasi completamente sottratta ai Palestinesi, nonostante le costanti azioni di resistenza pacifica della popolazione. Per esempio, provengono da lì i datteri “israeliani”, insieme ad altri prodotti agricoli di esportazione, coltivati sulle terre espropriate ai contadini palestinesi. Anche questa è una violazione delle convenzioni internazionali che riguardano le zone occupate militarmente. Ma purtroppo, Israele viola sistematicamente risoluzioni e convenzioni internazionali.

Alleghiamo questo link che ci ha mandato un’amica dagli USA, e mostra la vita quotidiana nella Palestina occupata. Il commento è in inglese, ma le immagini sono talmente eloquenti che non necessitano di traduzione.

WATCH: Daily Life in Occupied Palestine

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Il progetto che stiamo seguendo in Ghana e che ha preso il nome di Mama Ageiba (nome della mamma di Olivia), sta dando i suoi frutti. Speravamo, però, di poter avere notizie fresche sull’andamento dell’ultimo anno scolastico e per questo abbiamo chiesto ad Emma, la nostra referente ad Adjumako, un aggiornamento sulla situazione, ma siamo ancora in attesa di una sua risposta.

Purtroppo, a causa della pandemia, è stato rimandato anche il viaggio in Ghana che alcuni di noi avevano programmato per fine agosto.

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Ed ora, dal Guatemala, qualche nota curata da Dino Poli e Aldo Corradi:

1 – P. Clemente e Nicolasa (i nostri referenti) ci dicono che attualmente il problema più grave è dato dall’aumento delle persone che non hanno la possibilità di alimentarsi. La fame è una tragedia che grava su molte famiglie. E’ causata dalla mancanza di lavoro e dai limiti imposti dall’emergenza Covid-19: il blocco di molte attività, la riduzione dei mercati paesani, l’impossibilità di spostarsi o di recarsi (per molti stagionali) sulla costa del Pacifico per la raccolta dei prodotti agricoli ecc. causano situazioni veramente difficili.

Nicolasa e p. Clemente hanno acquistato (grazie anche al nostro contributo) mais e fagioli che hanno consegnato alle persone più bisognose. P. Clemente ha scritto anche che un tornado ha colpito la loro regione e ha causato danni notevoli: case (catapecchie) crollate, frane, allagamenti.

2 – Una bella notizia, che hanno accolto con grande piacere, riguarda la decisione del Coordinamento Nazionale della Rete RR che ha deciso di sostenere con 3000 euro annui per 2 anni (ma probabilmente saranno tre) il “Progetto del Fondo parrocchiale di Microcredito”. Questo progetto ha soprattutto lo scopo di sostenere iniziative di sviluppo e di formazione dei giovani e delle donne della loro comunità, persone che difficilmente possono ottenere finanziamenti dalle istituzioni. Il sostegno di questo progetto è stato possibile grazie all’interessamento dei nostri amici Dino e Silvana.

3 – Per quanto riguarda l’epidemia del coronavirus, in giugno il Guatemala contava già una decina di migliaia di contagi e qualche centinaio di morti (dati ufficiali). Ma le possibilità di rivolgersi ai centri di salute e di cura sono molto scarse, per cui è anche difficile avere il numero reale delle persone contagiate e dei decessi. Si prevede che, alla fine, i contagiati saranno oltre 40.000.

4 – Ci segnalano, infine, un fatto tragico accaduto sabato 6 giugno: l’assassinio di una persona accusata di “stregoneria”. Episodi come questo ci ricordano quanto sia importante l’attività dei nostri amici guatemaltechi per una promozione umana e culturale che porti a orizzonti di giustizia e di pace.

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Vi salutiamo e vi auguriamo una buona estate.

Maria, Gianni, Dino, Aldo, Silvana.

Lettera Giugno-Luglio 2020

Carissima, carissimo,
transizione ecologica, cambiamento nello stile di vita e una forte azione politica nella società sono i tre elementi centrali che hanno caratterizzato la Settimana della Laudato Si appena conclusa.  L’obiettivo è quello di generare una forte contrapposizione alla  “cultura dello scarto”, più volte denunciata da  Papa Francesco, nella convinzione che solo lavorando assieme verso la vera conversione a nuovi stili di vita si possano apportare cambiamenti non più  rinviabili.
Tre sono le dimensioni attraverso le quali viene affrontata la crisi climatica:
La dimensione spirituale per favorire una vera e propria “conversione ecologica”;
la dimensione dello stile di vita invita la famiglia cristiana ad essere d’esempio nel ridurre l’impatto negativo sull’ambiente;
la dimensione della sfera pubblica mira a mettere in discussione il paradigma della “crescita illimitata” e a promuovere l’utilizzo di energie rinnovabili.
L’economia di Francesco, dopo la Laudato si’, ha tracciato di fatto un percorso rivoluzionario di speranza, scandito da alcuni “battiti del tempo” come le Settimane sociali dei cattolici, il “Tempo del creato”, il Sinodo per l’Amazzonia, gli scioperi per il clima della Giornata della Terra, le migliaia di azioni intraprese da tante comunità in tutto il mondo.
In particolare i giovani, sulle orme di Greta, (scendono) mobilitati nelle  piazze per difendere il loro futuro. (Molto è stato approfondito:  dal  respiro della terra alla conversione ecologica.) Nell’omelia della Domenica delle Palme, Francesco ha sottolineato che “la difesa del creato, dell’ambiente in cui viviamo, riguarda direttamente la nostra esperienza di cristiani, ovvero la nostra fede. Non è un aspetto accessorio o secondario!”.
Nel corso del Regina Coeli di domenica 24 maggio, al termine della Settimana Laudato Si, papa Francesco ha lanciato un anno speciale dedicato alla celebrazione dell’anniversario della Laudato Si, augurandosi che questo anno e il decennio a venire possano realmente costituire un tempo di cambiamento, creando un tempo di “Giubileo” per la Terra, per l’umanità e per tutti gli esseri viventi. L’anno di anniversario, aperto con la Settimana Laudato Si 2020, proseguirà con una serie di iniziative a partire dalla Salvaguardia del Creato che porranno l’accento su una “conversione ecologica in azione”. L’urgenza della situazione è tale da richiedere risposte immediate e unificate a tutti i livelli, sia locali che regionali, nazionali e internazionali. In particolare, è necessario creare “un movimento popolare” dal basso, e un’alleanza tra tutti gli uomini di buona volontà.
Come Papa Francesco ci ricorda, “tutti possiamo collaborare come strumenti per la cura della creazione, ognuno con la propria cultura ed esperienza, le proprie iniziative e capacità.” (LS, 14) “Il cammino della Settimana Laudato Si ci ha resi consapevoli e responsabili del destino della nostra Casa Comune e della necessità che ogni uomo sulla terra abbia il diritto e l’opportunità di vivere dignitosamente. In effetti, il Pianeta sta urlando il suo disagio ed altrettanto stanno facendo i poveri, ma nonostante la crescente criticità della condizione umana e della condizione delle risorse naturali, tutto il nostro pensiero, ci piaccia o non ci piaccia, è strutturato attorno all’economia. Si direbbe che nel mondo finanziario sacrificare sia normale. Non abbiamo dato ascolto alle catastrofi parziali. Oggi  (è che) chi parla degli incendi in Australia? (E del fatto che) Un anno e mezzo fa una nave ha attraversato il Polo Nord, divenuto navigabile perché il ghiaccio si era sciolto? (Chi parla) Delle inondazioni? Non so se sia la vendetta della natura, ma di certo è la sua risposta.
È indispensabile rallentare un determinato ritmo di consumo e di produzione (Laudato Si, 191) e imparare a comprendere e a contemplare la natura. E a riconnetterci con il nostro ambiente reale. La traduzione concreta di questa connessione è – come dice papa Francesco – “vedere il povero. Gesù ci dice che ‘i poveri li avete sempre con voi’. Ed è vero. È una realtà, non possiamo negarla. Sono nascosti, perché la povertà si vergogna. Sono là, gli passiamo accanto, ma non li vediamo. Fanno parte del paesaggio, sono cose. Santa Teresa di Calcutta li ha visti e ha deciso di intraprendere un cammino di conversione. Vedere i poveri significa restituire loro l’umanità. Non sono cose, non sono scarti, sono persone. Non possiamo fare una politica assistenzialistica come con gli animali abbandonati. E invece molte volte i poveri vengono trattati come animali abbandonati. Non possiamo fare una politica assistenzialistica e parziale. Mi permetto di dare un consiglio: è ora di scendere nel sottosuolo. È celebre il romanzo di Dostoevskij, Memorie del sottosuolo. E ce n’è un altro più breve, Memorie di una casa morta, in cui le guardie di un ospedale carcerario trattavano i poveri prigionieri come oggetti. E vedendo come si comportavano con uno che era appena morto, un altro detenuto esclamò: «Basta! Aveva anche lui una madre!». Dobbiamo ripetercelo molte volte: quel povero ha avuto una madre che lo ha allevato con amore. Non sappiamo che cosa sia successo poi, nella vita. Ma aiuta pensare a quell’amore che aveva ricevuto, alle speranze di una madre. Noi depotenziamo i poveri, non diamo loro il diritto di sognare la loro madre. Non sanno che cosa sia l’affetto, molti vivono nella dipendenza dalla droga. E vederlo può aiutarci a scoprire la pietà, quella pietas che è una dimensione rivolta verso Dio e verso il prossimo. Scendere nel sottosuolo, e passare dalla società disincarnata, alla carne sofferente del povero, è una conversione doverosa. E se non cominciamo da lì, la conversione non avrà futuro”.
Siamo oggi di fronte ad una ingiustizia climatica, che rileviamo nelle grandi distruzioni (Filippine, Amazzonia, Australia,… solo per citarne alcune) come nella costante e quotidiana aggressione del Creato per interessi speculativi. La Laudato Si rappresenta, rispetto a tutto questo e rispetto all’incapacità dei Governanti di trovare soluzioni credibili ed efficaci, il faro verso cui dirigersi, ci fa comprendere a quale Speranza siamo chiamati. “Dio, che ci chiama alla dedizione generosa e a dare tutto, ci offre le forze di cui abbiamo bisogno per andare avanti. Nel cuore di questo mondo rimane sempre presente il Signore della vita che ci ama tanto. Egli non ci abbandona, non ci lascia soli, perché si è unito definitivamente con la nostra terra, e il suo amore ci conduce sempre a trovare nuove strade (L.S. 245)”.
Scegliere la Laudato si vuol dire assumersi concretamente ed in prima persona l’impegno a seguire quella strada con tutte le nostre forze, andando allo stesso tempo lentamente e velocemente. La “lentezza” è legata al bisogno di spiritualità, di ringraziamento per il dono della Vita e del Creato, perché “la continua accelerazione dei cambiamenti dell’umanità e del pianeta si unisce oggi all’intensificazione dei ritmi di vita e di lavoro. Gli obiettivi di questo cambiamento veloce e costante non necessariamente sono orientati al bene comune e a uno sviluppo umano, sostenibile e integrale”. Di fronte all’andamento del mondo, vi è la “grande ricchezza della spiritualità cristiana, generata da venti secoli di esperienze personali e comunitarie…Non si tratta tanto di parlare di idee, quanto soprattutto delle motivazioni che derivano dalla spiritualità al fine di alimentare una passione per la cura del mondo. Infatti non sarà possibile impegnarsi in cose grandi soltanto con delle dottrine, senza una mistica che ci animi, senza «qualche movente interiore che dà impulso, motiva, incoraggia e dà senso all’azione personale e comunitaria».
La parola chiave per vivere la spiritualità è che l’azione personale non basta, occorre quella comunitaria, il reciproco sostegno per scelte forti e coraggiose che nascono dalla riflessione comune. Se «i deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, è perché i deserti interiori sono diventati così ampi». Dobbiamo anche riconoscere che alcuni cristiani impegnati e dediti alla preghiera, con il pretesto del realismo e della pragmaticità, spesso si fanno beffe delle preoccupazioni per l’ambiente. Altri sono passivi, non si decidono a cambiare le proprie abitudini e diventano incoerenti. Manca loro dunque una conversione ecologica, che comporta il lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che li circonda. Vivere la pratica di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana.(L.S. 216-217)
Accanto e dopo la spiritualità, va sviluppata “velocemente” l’azione, “le previsioni catastrofiche ormai non si possono più guardare con disprezzo e ironia. Potremmo lasciare alle prossime generazioni troppe macerie, deserti e sporcizia. Il ritmo di consumo, di spreco e di alterazione dell’ambiente ha superato le possibilità del pianeta, in maniera tale che lo stile di vita attuale, essendo insostenibile, può sfociare solamente in catastrofi, come di fatto sta già avvenendo periodicamente in diverse regioni. L’attenuazione degli effetti dell’attuale squilibrio dipende da ciò che facciamo ora, soprattutto se pensiamo alla responsabilità che ci attribuiranno coloro che dovranno sopportare le peggiori conseguenze. (L.S. 161)”.
Se non si arriva a questa formulazione concreta noi siamo dei teorici che però, con la loro vita, scacciano quello che affermano, perché la paura dell’altro è la malattia peggiore che esista nella società. Quanto più uno si difende, tanto più parla della gratuità, perché deve coprire la sua difesa. Il problema lo risolviamo solo se diventiamo noi un mondo nuovo, quel mondo che è secondo il cuore di tutti gli uomini; lo risolviamo solo se creiamo una nuova umanità, basata sull’amore veramente gratuito.

Il Brasile registra il record di 1.349 decessi in un solo giorno, per un numero totale di vittime che ha ormai superato i 40.000. La Nazione carioca si conferma così il secondo Paese al mondo con il maggior numero di morti dopo Usa. Un trend costantemente in crescita le cui reali dimensioni non sono però quelle ufficiali.
Favelas:
Preoccupa infatti la vasta sacca di “invisibili” delle favelas, le baraccopoli brasiliane costruite generalmente alla periferia delle maggiori città. Problemi comuni in questi quartieri abusivi sono il degrado, la criminalità diffusa e gravi problemi di igiene pubblica dovuti alla mancanza di idonei sistemi di fognatura e acqua potabile. Sebbene le più famose fra esse siano localizzate nei sobborghi di Rio de Janeiro, vi sono favelas in tutte le principali città del paese. Rio, con oltre 1000 favelas, è la città con più favelas di tutto il Brasile. Il numero delle persone che vive in favela a Rio è molto elevato: secondo lo studio realizzato del Comune “Favelas nella città di Rio de Janeiro: il quadro della popolazione che ci vive in base al Censimento del 2010”, il 29% dei 6 milioni e mezzo di abitanti di Rio de Janeiro vive qui. Poco si sa dei contagi e dei decessi effettivi in queste “città nella città”.
Tensioni politiche
A preoccupare non è solo il coronavirus, ma le grosse tensioni politiche che sta vivendo il Paese dall’elezione di Jair Bolsonaro, Presidente del Brasile dal 1º gennaio 2019, in seguito alla caduta di Lula. Il nuovo presidente ha prima sottovalutato la pandemia definendola “una semplice influenza”; poi, di fronte alle cifre ufficiali che fanno del Brasile il secondo Paese più colpito al mondo dopo gli Usa, ha dichiarato che “tanto moriremo tutti”: “Mi dispiace per tutti i morti, ma è la fine di tutti noi”, ha detto ieri a una sua sostenitrice.  Intanto, la gente scende in piazza per chiedere più democrazia. La miccia delle proteste popolari è scattata dopo le accuse mosse dall’ex-ministro della giustizia e della sicurezza Sergio Moro proprio a Bolsonaro; secondo Moro quest’ultimo avrebbe cercato di “interferire” con le indagini della polizia. Lo scorso aprile un giudice della Corte Suprema brasiliana ha ordinato un’indagine sulle accuse mosse dall’ex ministro contro il presidente concedendo alla polizia federale 60 giorni per interrogare Moro sulle sue accuse esplosive. L’inchiesta potrebbe sfociare in una richiesta di rinvio a giudizio per Bolsonaro o in un atto d’accusa contro Moro per falsa testimonianza. Moro, ex giudice anticorruzione, si è dimesso dopo essersi scontrato con Bolsonaro sul licenziamento del capo della polizia federale.
La testimonianza
“Nel bel mezzo della pandemia dilagante, con tutte le curve di infettati e deceduti ancora in forte crescita la società brasiliana deve affrontare problemi ancora più gravi che mettono in forse la giovane democrazia del paese. Il presidente Bolsonaro infatti non vuole lockdown, non invita a proteggersi, prende in giro chi si preoccupa del coronavirus. Contravvenendo alle più semplici norme contro la pandemia, accorre a salutare e sostenere i pochi manifestanti (le statistiche danno ormai i suoi fans sotto il 30%) che periodicamente si accalcano davanti al suo palazzo (con striscioni contro parlamento e suprema corte di giustizia) sorvolandoli con l’elicottero o esibendosi in una galoppata prendendo a prestito un cavallo dalla sua scorta della polizia. Così, mentre generali e malavita acquistano sempre più potere, l’epidemia impazza e a subirne gli effetti sono soprattutto i diseredati degli slum”.
Le accuse di Moro
“Il disegno del presidente si rivela con sempre maggior chiarezza a causa delle accuse dell’ex-ministro della giustizia Sergio Moro che, dopo aver propiziato l’elezione di Bolsonaro, processando con accuse da farsa l’ex-presidente Lula suo maggior competitor, si è dimesso quando lo stesso presidente ha sostituito i vertici della polizia con suoi amici fidati. Rivela ora Moro che poco tempo prima Bolsonaro aveva intenzione di legiferare per permettere alla popolazione di armarsi liberamente come accade negli Usa. Collegando questa intenzione agli slogan della sua campagna elettorale (basati sui gesti di imbracciare pistole e fucili) alla ripetuta dichiarazione che dovessero morire 30.000 persone, assieme al suo confessato “sogno” di eliminare la sinistra dal Paese, diventa palese il suo recondito disegno di provocare una guerra civile per raggiungere i suoi scopi di potere assoluto”.
Guerra civile
“Non si giudichi esagerato il termine ‘guerra civile’ – puntualizza il prof. Tosti – perché questa in alcune megalopoli del Brasile e specialmente a Rio de Janeiro è una realtà permanente. Nelle quotidiane sparatorie tra polizia e trafficanti di droga che avvengono nelle ‘favelas’ chi ne fa le spese è la popolazione indifesa: i morti tra i civili, in special modo giovani neri, si contano con cadenza quasi settimanale. In uno degli ultimi casi, avvenuto il 18 maggio scorso, la polizia ha mitragliato con con armi pesanti una casa al cui interno giocavano dei bambini uccidendo João Pedro di 14 anni. Le mura, fatte di mattoni forati come tutte le case dei poveri, sono state colpite da 70 proiettili, sbriciolandosi. La morte di un innocente di soli 14 anni e il ferimento di altri bambini ha sollevato sconcerto. Ma qui – evidenzia il professore – non accade quello che si sta vendendo in questi giorni negli Usa a causa dell’omicidio dell’afroamericano George Floyd, con migliaia di persone che scendono in strada a protestare nonostante la proibizione. Qui solo alcuni parenti hanno avuto il coraggio di protestare. Gli altri, forse troppo assuefatti alle ingiustizie quotidiane, sono restati in silenzio“.
Milizia
“Oltre a questo nelle favelas e nelle periferie delle metropoli esiste un’altra realtà minacciosa: si tratta della ‘milizia’, una specie di mafia primordiale costituita da ex-militari e poliziotti riformati o cacciati, che governano tutta la vita commerciale ed economica dei quartieri, compreso lo spaccio. E proprio a questa milizia sembra sia legata la famiglia Bolsonaro, sia per parte dei suoi figli che della attuale terza moglie. Recenti indagini stanno portando alla luce che sono state le milizie i mandanti dell’uccisione dell’attivista per i diritti dei neri Marielle Franco avvenuta il 14 maggio 2018. Così come della possibile correlazione tra persone vicine a Bolsonaro e il cosiddetto ‘gabinetto dell’odio’, un gruppo di bloggher che, dalle elezioni del 2019 in poi, hanno diffuso sul web menzogne e fake news contro gli avversari politici di Bolsonaro e anche contro le istituzioni dello stato e i suoi rappresentanti lontani dalle idee del 38º presidente della Repubblica Federale del Brasile, eletto il 28 ottobre scorso col 55,13% dei voti. E proprio tali indagini avrebbero portato il presidente a voler controllare la polizia decapitando e sostituendone i vertici con i suoi ‘amici’. Ma finalmente i massimi vertici sia del parlamento che della magistratura, avendo percepito il pericolo di una nuova dittatura di destra a cui sono esposti, stanno correndo ai ripari accelerando le indagini e prendendo i primi provvedimenti restrittivi verso gli autori di tali misfatti”.
Rivoluzione
“Nel frattempo, anche la società si sta risvegliando: dopo le quasi accademiche ‘padellate’ (abitudine di battere sulle padelle a mo’ di tamburo dalle finestre dei palazzi in segno di protesta contro il governo), ora è iniziata la mobilitazione di cittadini giovani e meno giovani che scendono in piazza in molte città a difesa della democrazia e le sottoscrizioni di richiesta di impeachment da parte di associazioni pubbliche e private si moltiplicano. Insomma, il coronavirus è solo uno dei molti problemi del grande Paese latinoamericano ma ne rappresenta le evidenti contraddizioni interne. Sono infatti soprattutto i poveri a pagare per le tante ingiustizie sociali, come il limitato accesso alle cure e ai tamponi. Un prezzo altissimo che pagano sulla propria pelle“.
Il Brasile è in ginocchio: si rischiano 29 milioni di nuovi poveri. L’economia è sulla soglia della debacle. In Brasile e in molti Paesi dell’Amaerica latina il quadro già compromesso prima del Covid-19: in Sud America prende forma la possibile crisi del secolo con il Brasile capofila. Un rischio enorme per popoli che, prima della pandemia, avevano vissuto un periodo di gravissima crisi sociale, fra piazze, cortei, scontri e carovita che li aveva messi in ginocchio. Metterci il corpo è diventata la linfa delle piazze del mondo. Giovani, donne e attivisti di ogni età, continente, etnia e religione chiedono un’altra umanità. Queste manifestazioni indicano con chiarezza fame e sete di giustizia. Fisicità in marcia verso il nuovo come la forza straripante di un fiume in piena, pressione costante sui regimi di turno.
Il Virus ci ha barricato in casa togliendo fiato oltre a chi è deceduto, alle proteste popolari, rimpolpando le autorità che hanno in mano le redini del potere, dando respiro ai loro regimi più o meno militarmente arroccati, con eserciti che tengono in casa la gente per silenziarla e disperderla.
Di fronte a tutto ciò dobbiamo reagire formando una coesione culturale, sociale, politica ed economica affinchè si comprenda che nessuno si salva da solo. oggi urge entrare con scelte chiare e nette, con il corpo nella pratica solidarietà.
Il segreto per fare ciò è assumere dentro di noi l’amore. Perchè non c’è vita persa quando hai amato.
Quando si ama non è mai buio.
Antonio

Circolare nazionale Rete Radié Resch – luglio agosto 2020

A cura della Rete di Casale Monferrato

Carissimi tutti,

la riflessione che, come gruppo, proponiamo a tutti i gruppi della Rete nasce dalla nostra discussione del 21 giugno, la prima nuovamente in presenza (all’aperto, a Quarti) dopo la lunga pausa dovuta alla epidemia di Covid e ai conseguenti divieti. A causa di queste norme è stato rinviato, tra l’altro, il convegno nazionale a Rimini (indicativamente riproposto nel 2021) e sono stati trasformati in incontri on-line i coordinamenti nazionali di questa primavera.

Nel nostro incontro abbiamo parlato, fra le altre cose, di scuola. Una scuola che in Italia è stata coinvolta in una chiusura prudenziale che ha suscitato malumori, ma poche riflessioni approfondite. Per lo più si è parlato della collocazione dei figli al momento in cui i genitori ritornano al lavoro, accentuando la percezione della scuola come forma di parcheggio sociale. Da parte dell’istituzione le difficoltà organizzative si sono sovrapposte ad una certa ossessione per la sicurezza (sia sul fronte normativo, sia sul fronte delle attese dei genitori).

Ora si è aperta una riflessione sugli spazi scolastici, nella prospettiva di un rientro a settembre. Gli edifici adibiti a scuole scontano però investimenti modesti negli anni, non facilmente recuperabili nel corso di una estate. Inoltre una scuola bloccata sull’organizzazione attuale della didattica, di fatto rende impossibile evitare assembramenti e contatti ravvicinati fra gli alunni. Mancano idee nella direzione di una scuola più aperta e mancano gli investimenti per realizzarla.

In questi mesi molti insegnanti hanno lavorato con impegno nella direzione della didattica a distanza e si sono resi conto delle ambiguità di questo modello. Non solo per le difficoltà tecnologiche (che ci sono, ma si possono superare), ma per le carenze motivazionali di molti ragazzi, soprattutto di quelli più fragili. In una situazione relativamente più “libera” occorre che i ragazzi stessi trovino motivazioni intrinseche all’apprendimento e per queste motivazioni occorre il supporto non solo della famiglia, ma anche del clima sociale nel suo complesso. Più che di un aiuto per i compiti, i ragazzi hanno bisogno di percepire nel loro contesto che la scuola è importante e vale la fatica che richiede. Nessun approccio accattivante della didattica può annullare il momento dello sforzo che aiuta a crescere (e per certi aspetti questo sforzo implica momenti di rifiuto e di ribellione che vanno elaborati).

Crediamo sia importante riprendere la questione scolastica, anche come forma di “restituzione” ai nostri ragazzi, a cui viene chiesto molto, in termini di formazione e di occupazione, pur essendo loro stessi meno coinvolti nelle implicazioni sanitarie di questa pandemia.

In chiusura crediamo sia doveroso ricordare, a 25 anni dalla morte, la figura di Alexander Langer, soprattutto per chi ha incontrato questo appassionato costruttore di ponti in alcuni momenti della propria formazione umana ed intellettuale.

Vi sentiamo vicini, come sempre, vi auguriamo un’estate serena.

Arrivederci a settembre.

Per la Rete di Casale

Roberto, Beppe e Cristiana

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