Convegno 2023
NELLE CREPE SCOPRIRE VITA
Da padroni a ospiti della terra
Comunita’ trasformative e politiche di ecologia globale
Comunita’ trasformative e politiche di ecologia globale
Seminario nazionale della Rete Radié Resch – Rimini 13-14 Novembre 2021
IL SOGNO DELLA RETE: UN LEGAME CON IL FUTURO
SINTESI:
Introduzione di Lucia Capriglione
Presenta Filomeno Lopes, originario della Guinea Bissau, in Italia dal 1986, lettore di notiziari in lingua portoghese presso la radio vaticana, laureato presso la Gregoriana, giornalista e autore di libri sulla differenza culturale.
Compito di Filomeno: ascolto e relazione finale
Maria Picotti legge la lettera inviata da Carla Grandi
Video di Matteo Mennini
La Rete non è diventata FBO, è rimasta fedele alle sue radici (nello stesso periodo Focsiv e Mani Tese si sono “professionalizzate”
Il tema delle fondamenta nel rapporto con la terra e con la storia: le lettere di Masina
La nostra coscienza e la nostra discendenza
Ercole Ongaro
La Rete nasce da un incontro (Masina e Gauthier). Incontro come valore fondante
La valenza politica: innescare forme di cambiamento in cui i poveri fossero parte attiva
Mettersi periodicamente in discussione
Luci e ombre: nascita e morte di tanti gruppi locali
Una associazione vive se c’è chi la fa vivere. Il mondo si è evoluto in modo diverso
Filomeno Lopes
Rileggere la Rete senza paura e senza nostalgia. Quando è buio non temere di tornare indietro. La sfida intergenerazionale: nel discorso non è ancora uscita la parola futuro. Nella mia cultura il futuro sono i nipoti, più che i figli. Il rito di iniziazione (in Mali?).
La Rete nasce da un incontro per ricordare che la vita sono gli altri
Contro la globalizzazione dell’indifferenza
Pietro Masina (associato di Storia e istituzioni dell’Asia a Napoli, già ricercatore di Fondazione Rothschild, esperto di sud-est asiatico, in particolare di Vietnam)
La Cina è un paese emergente (supererà l’economia USA entro 10 anni, già oggi molti indici sono superiori), con venature di revanchismo rispetto alla sconfitta militare e alla penetrazione commerciale imposta a partire da fine ‘700 (guerra dell’oppio 1839-1842)
Il timore del gruppo dirigente cinese: la frammentazione, gli autonomismi e i conflitti interni (la memoria storica degli “stati combattenti”, V-III sec. a.C.)
Il confucianesimo di Meng-Tzu (370-289): l’animo umano è fondamentalmente buono, ma deve essere educato. In seguito prevale la tesi della cattiveria umana che necessita di norme, su queste basi si è fondata la riunificazione della Cina su base legalistica durante la dinastia Qing.
Sesto plenum del PCC, Xi Jing Ping proclamato “grande leader” per la terza volta, sulle orme di Mao e di Deng. Nella sua relazione si vanta di aver sottratto alla povertà 850 milioni di persone (100 milioni durante il suo mandato). Fra gli obiettivi l’aumento dei salari e la delocalizzazione, mantenendo le produzioni di maggior valore aggiunto.
Nel dibattito intervengono:
Gianni Pettenella: la tensione politica locale
Paolo Guglielminetti: valore dei progetti; relazioni con associazioni giovanili
Caterina Perata: difficoltà nell’incontrare i giovani, hanno linguaggi propri
Laura (Torino): i giovani si esprimono con le immagini dei social più che con le parole
Lucia Capriglione: si trasmette con la testimonianza; il web crea situazioni-bolla
Pier Pertino: far conoscere un diverso modo di incontrare la realtà
Nadia Zamberlan: i giovani sono molto diversi fra loro, non è possibile parlare a tutti
Ludovica (Celle): le esperienze hanno sempre funzionato, manca la continuità
Antonio Vermigli: i problemi hanno un perché, gli impoveriti della storia
Sergio (Quarrata): essere di esempio, sentirsi responsabili
Pietro Masina: i giovani sono bravi a trovare risposte, occorre insegnare a fare le domande giuste. Dare un senso è il compito della Rete
mattina 14 novembre
Testimonianze a partire da alcuni interrogativi: la Rete è mai stata colonialista?
Video del collettivo SE a partire dal progetto in Repubblica Centrafricana
Intervista a Richard Kitienge, riportata da Nadia
Video di Josè Nain sulla situazione dei Mapuche in Cile
La situazione di Haiti (da un filmato)
Discussione sul “konbit”, termine haitiano-creolo per indicare una forma tradizionale di lavoro cooperativo comunitario, ritmato da canti, tramite il quale tutti le persone di una comunità si aiutano reciprocamente a preparare i loro campi.
Antonio Olivieri, Associazione “Verso il Kurdistan”
Come è nata l’associazione: Incontro con Ocalan e con Dino Frisullo (che per la sua solidarietà aveva sperimentato le carceri turche)
Per concludere un saluto curdo: “ti porto sugli occhi” (“ser cha ua”)
La lotta dei braccianti di Castelnuovo Scrivia
Problema locale di sfruttamento di braccianti marocchini, uso del caporalato da parte della proprietà, presidio di 74 giorni con tenda ai bordi della strada.
Il problema dell’emergenza abitativa (pur in presenza di case confiscate alla mafia, in questo momento inutilizzate)
Antonio Vermigli
Il movimento Sem Terra, intervento di Joao Pedro Stèdile (in portoghese)
Dall’accampamento all’assentamento (organizzazione più stabile di occupazione della terra, con produzioni agricole e sistema di vendita al dettaglio a costi accessibili per le popolazioni più povere)
Pietro Masina
Occorre fare attenzione ed evitare idealizzazioni, la ricerca di una identità non ha sempre un valore positivo, talvolta è alla radice dei nazionalismi. In tutte le tradizioni popolari ci sono meccanismi di esclusione (spesso di marginalizzazione delle donne). Incontrare le comunità locali spesso significa incontrare i capi (maschi) della tribù dominante. Stedile ci ricorda che dobbiamo anche fare un’analisi di classe dei movimenti popolari.
Filomeno Lopes, conclusioni in due riprese, intervallate da un dibattito
Le grandi sfide sono oggi quelle delle idee. Le identità tradizionali che sono sopravvissute hanno accettato la sfida del confronto con le idee dei colonizzatori ed hanno assorbito una parte della cultura occidentale, mettendosi in dialogo/contrapposizione.
Al dibattito hanno offerto un contributo (difficile da sintetizzare in poche righe):
Monica Armetta, Paolo Guglielminetti, Fabiano Ramin, Teresa Gavazza
Caterina Perata, Antonio Vermigli, Giovanni Esposito (per voce di Marco Zamberlan)
Ercole Ongaro, Maria Picotti, Pier Pertino, Clotilde Masina
MATERIALI:
Come si specchiano nell’oggi e nel domani i valori fondanti della Rete?
Carla Grandi Lettera
Ercole Ongaro Relazione
Matteo Mennini Video
Filomeno Lopez Video
Visione della realtà globale e nuove frontiere geopolitiche
Pietro Masina Video
Colonialismo e de-colonialismo
Caterina Perata Video
Josè Nain Video
Situazione di Haiti Video
Ascolto dei movimenti
VideoAntonio Olivieri Relazione
Josè Pedro Stèdile Video Traduzione
Conclusioni a cura di Filomeno Lopes
L’INFORMAZIONE AI TEMPI DEL WEB – TRA LIBERTA’ E CONTROLLO
STEFANO DRAGHI
1. GLI SVILUPPI DELLE NUOVE TECNOLOGIE DELL’INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE
Da 70 anni è in corso una rivoluzione microelettronica che ha miniaturizzato i circuiti elettronici e moltiplicato la velocità di elaborazione dei computer. Secondo la celebre legge di Moore, negli ultimi 50 anni la velocità dei microprocessori è raddoppiata ogni 18 mesi. Un tasso di sviluppo formidabile che negli ultimi anni si è avvalso anche del calcolo parallelo. Una tecnologia fino a poco tempo fa riservata ai grandi computer per uso scientifico e militare, oggi disponibile in tutti gli smartphone.
Anche nel campo delle reti di comunicazione, la crescita è stata spettacolare soprattutto con l’introduzione delle reti digitali a pacchetto che hanno sostituto le reti (analogiche) a commutazione di circuito. Internet, la rete delle reti, è basata su questa tecnologia. Fibra ottica e reti mobili digitali hanno coperto l’intero globo con una trama connettiva con velocità e affidabilità impensabili fino a poco tempo fa.
La digitalizzazione delle informazioni, prima numeri e testi, poi suono e immagini, ha riunito nella tecnologia informatica settori industriali prima separati, come editoria, musica, fotografia, cinema e televisione. E ha indotto forti cambiamenti di tipo organizzativo in tutti i settori economici. Questo processo, noto come convergenza digitale, ha cambiato in profondità gli equilibri economici, anche internazionali, e determinato una forte concentrazione di potere nelle nuove grandi aziende high-tech.
Lo smartphone è il simbolo perfetto di questo sviluppo. E’, come ha detto A. Greenfield, “un impressionante capolavoro tecnico racchiuso in un involucro di appena qualche millimetro di spessore”. In virtù di ciò che è in grado di fare e degli oggetti che è in grado di sostituire e rendere superflui, non può che essere considerato come qualcosa di assolutamente stupefacente. Non solo, nella misura in cui – in linea di principio – può connettere tra loro miliardi di persone e tutta l’intelligenza collettiva del genere umano, esso incarna qualcosa che è dell’ordine dell’utopia.
La società della conoscenza, che questi sviluppi hanno contribuito a far crescere, reclama lavoratori e cittadini che quelle tecnologie sappiano utilizzare e manipolare. È sotto gli occhi di tutti il ritardo del nostro sistema scolastico, con conseguenze pesanti sul futuro dei giovani e dell’intero sistema Paese.
Sviluppi ancor più recenti hanno ulteriormente arricchito e reso più complesso lo scenario delle tecnologie disponibili.
a) I Big Data, o il “nuovo petrolio”, come sono stati chiamati. Ognuno di noi, usando un qualsiasi apparato elettronico, produce ogni giorno una grande quantità di informazioni. Tutto ciò che facciamo viene registrato e monitorato e alimenta il software che ci profila come utenti, consumatori e cittadini. Questo enorme patrimonio di dati è la risorsa di base del nuovo “capitalismo di sorveglianza” i cui protagonisti sono i giganti del web.
b) L’intelligenza artificiale (IA). L’informatica tradizionale è in grado di risolvere problemi anche molto complessi di cui però deve essere noto l’algoritmo risolutivo. L’IA va oltre e cerca soluzioni a problemi non traducibili in procedure predeterminate e ha sviluppato metodologie per trovare soluzioni anche non “programmate”. L’apprendimento automatico è una delle tecniche di IA che hanno fatto più progressi in questi ultimi anni. Alimentato dalla grande quantità di dati disponibili, il machine learning addestra la macchina a risolvere problemi di cui non esiste una soluzione algoritmica. Famosi sono gli esempi di Watson, il sistema IBM che ha battuto tutti i più grandi maestri di scacchi, e di AlphaGo, il programma di DeepMind (Alphabet) anch’esso diventato campione assoluto e incontrastato nel gioco del Go. L’IA è dunque in grado di riprodurre in maniera sempre più affidabile e verosimile molti dei comportamenti tipicamente umani, non solo in ambiti governati dalla logica e dalla razionalità, ma anche in settori in cui creatività, cultura e esperienza dell’uomo sembravano al riparo da ogni tentativo di riproducibilità. La robotica, umanoide e non, è il campo in cui più visibili sono gli sviluppi dell’IA, e maggiori le preoccupazioni per le conseguenze nel mondo del lavoro. E i progressi sono stati e saranno assai rapidi proprio perché le macchine sono in grado di imparare molto più velocemente dell’uomo.
c) Internet delle cose (IoT). Le nuove connessioni di rete (ad es. il 5G) permetteranno di far dialogare tra loro gli oggetti. Molti oggetti che abbiamo in casa saranno dotati di microchip, parleranno fra di loro e governeranno gran parte delle nostre azioni quotidiane. Dovremo abituarci a pensare agli oggetti come computer. E già ora possiamo pensare a un’auto come a un computer con delle ruote, che parla con tutti i suoi “simili” che incontra per strada. O a un frigorifero come a un computer che tiene in fresco il cibo. Con l’IoT non solo gli oggetticomunicheranno tra loro, ma invieranno informazioni alle grandi centrali di raccolta, alimentando e facendo crescere ancor più i big-data. Così la colonizzazione della nostra vita quotidiana sarà pressoché completa. Anche per questo è urgente che ai nostri ragazzi sia fornita una adeguata capacità critica sulle nostre azioni quotidiane.
d) Le tecnologie immersive (realtà virtuale) che permettono di avere esperienze quasi dirette indossando opportuni visori che isolano l’utente dal resto del mondo e la realtà aumentata (come i Google Glass) che arricchisce ciò che ci circonda con tutte le informazioni disponibili in rete. Ma chi garantisce che quello che vedo attraverso la visione virtuale sia una visione realistica di ciò voglio vedere?
e) La blockchain: una tecnologia informatica che sostituisce i registri centralizzati con registri distribuiti per garantire la sicurezza dei dati. Un solo registro è molto più vulnerabile. Moltiplicando i registri, a migliaia, si rende praticamente impossibile manipolare i dati.
f) La stampa 3D, ovvero la possibilità di ognuno di fabbricare da sé gli oggetti che desidera, confezionandoli in modo originale o personalizzando modelli già disponibili. Sarebbe davvero una grande rivoluzione, sia nel mondo della produzione che in quello della distribuzione. Un processo che però diversi fattori (tra cui in primo luogo i costi) hanno contribuito a frenare, nonostante un vivace movimento di “makers” e la disponibilità online di molti già in forma digitale e pronti per la stampa 3D.
2. SPERANZE E PROMESSE
Come altre tecnologie anche quelle digitali hanno fatto promesse e creato speranze.
3. L’utopia della Silicon Valley. Nasce negli anni ‘60 con le prime contestazioni studentesche in California, per superare il vecchio sistema accademico e quello delle relazioni interpersonali. Gli studenti e il Free Speech Movement (FSM) rivendicavano il diritto alla libertà di espressione e alla libertà accademica e c’era tra loro chi pensava che le nuove tecnologie dovessero essere messe a disposizione di tutti come fonte di libertà e di benessere per tutti. Sulle sue orme il Free Software Movement ha fatto una grande battaglia per il software aperto e gratuito (open source) che ha avuto grandi meriti e successi, ma non è riuscito a ostacolare la concentrazione in poche grandi imprese monopolistiche del mercato delle tecnologie e della comunicazione digitale.
4. La comunicazione globale. Come ha detto uno dei fondatori di Twitter (cito a memoria), “pensavamo che permettere a tutti di parlare con tutti facesse superare le barriere tra culture, etnie e religioni … la gente si confronterà e si capirà e il mondo sarà migliore. Non è andata così”.
5. La Rete ha però avuto un ruolo molto importante: è stata la rete dell’indignazione (come diceva Manuel Castel, un importante sociologo spagnolo), della protesta e della speranza. Ricordiamo tutti le primavere arabe, nel 2010-2011, quando, grazie alle nuove tecnologie da poco introdotte in quei paesi, i giovani si riunivano nelle piazze per chiedere la fine dei regimi, del dispotismo, della corruzione, più libertà, più democrazia, ecc. E’ stata la prova del contributo che le nuove tecnologie della comunicazione avrebbero potuto dare ai processi democratici. La storia non è andata come quei giovani speravano, in Siria, in Libia, in Tunisia, nello Yemen, in Algeria, in Egitto. Se pensiamo a quante promesse quelle nuove tecnologie portavano con sé e alle attuali condizioni di quei paesi, il raffronto è impietoso.
3. GLI EFFETTI POLITICI
C’è una vasta letteratura sugli effetti perversi delle nuove tecnologie. Gli effetti positivi li conosciamo tutti, i vantaggi della rapidità delle comunicazioni sono ad esempio straordinari. Ma vorrei soffermarmi qui sugli effetti negativi soprattutto di tipo politico, che negli ultimi anni hanno creato grande preoccupazione.
Come già visto in precedenza, le tecnologie interattive non hanno affatto aumentato la partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica. Cerchiamo di capire perché. Innanzitutto perché le reti ed i mezzi di comunicazione hanno aggravato il fenomeno preesistente della delegittimazione della classe politica, un processo che va avanti da molti decenni perché anche prima dell’avvento delle nuove tecnologie, il livello di prestigio della classe politica andava lentamente scemando. I sessantottini sono stati la prima grande generazione che non andava a votare perché rifiutava già la casta che faceva i suoi interessi e non quelli dei cittadini.
La democrazia rappresentativa si è indebolita perché c’è stato un forte processo di disintermediazione. I cittadini pensavano che, grazie a queste nuove tecnologie potessero direttamente decidere sulle grandi questioni del paese. Il mito della democrazia diretta in cui ogni cittadino dice cosa vuole fare (la TAV, i vaccini…) perché ormai autorizzato a pensare quello che vuole e fare come crede, senza intermediazioni, dunque senza l’autorità e la mediazione del pensiero competente. Pensiamo al caso recente del medico ucciso perché il marito della paziente deceduta aveva letto su internet che la terapia decisa dal medico era sbagliata.
La democrazia diretta è anche alla base del populismo e questo mito porta la gente a pensare di poter decidere anche su questioni molto complicate pur non avendo alcuna competenza. Alcune forze politiche si avvantaggiano del populismo grazie all’uso spregiudicato dei mezzi di informazione. I social network non hanno dunque incrementato le occasioni di dialogo informato, piuttosto hanno diviso e segmentato le opinioni pubbliche in tanti piccoli sottogruppi, divisi uno dall’altro, ognuno diviso nella sua bubble, in cui ognuno incontra e parla solo con coloro che la pensano come lui, ed hanno disimparato a confrontarsi con i fatti ed in marniera informata sulle grandi questioni.
L’opinione pubblica tende a radicalizzarsi, come mostrano ad esempio le ricerche americane sulle opinioni politiche dei democratici e dei repubblicani. Nel 1994 lo spazio comune, d’intesa, tra elettori democratici e repubblicani era ancora piuttosto esteso, con un’area di sovrapposizione che rappresentava la base delle possibilità di dialogo e di confronto pacato. Vent’anni dopo, nel 2014, quell’area si è fortemente ristretta ed i due elettorati ora sono quasi completamente divisi. Questo effetto di radicalizzazione è in gran parte dovuto al fenomeno della chiusura nella bolla individuale propria dei social network, dove ognuno continua a parlare solo con chi la pensa nello stesso modo. Meno capacità di compromesso e di sintesi: gli individui non sono più in grado di fare sintesi ma solo di più contrapposizioni, più odio. Questo è un elemento che mina alla base la democrazia perché senza una sintesi tra opinioni diverse non c’è più governo, ma c’è un litigio perenne tra le forze politiche.
Uno dei pilastri della democrazia, l’opinione pubblica, viene progressivamente demolita e i cosiddetti watch dog (cani da guardia), cioè gli organi che avrebbero dovuto controllare ed essere portavoce delle opinioni dei cittadini (la stampa, le agenzie indipendenti, i centri di ricerca, le commissioni di garanzia), tutti coloro che avrebbero dovuto svolgere una funzione di controllo del potere, sono diventati dei lap dog, cioè dei cani da grembo, da compagnia, e soggiacciono docilmente ai grandi poteri economici e politici.
L’infiltrazione del processo fondamentale delle democrazie, la campagna elettorale. I social media violano continuamente le regole delle campagne elettorali e costituiscono una delle più grandi “entità criminali” che agiscono senza controllo per determinare l’esito delle elezioni. Lo ha dimostrato in modo impeccabile Carole Cadwalladr, la bravissima giornalista inglese, che ha spiegato come Facebook abbia influito sulla vittoria del sì alla Brexit. E non è difficile ipotizzare che operazioni simili siano state condotte in Italia in occasione del referendum del 2016, delle elezioni politiche del 2018 e forse in altre occasioni. Le infiltrazioni russe nella campagna per le presidenziali americane o il caso Cambridge Analytica sono altri due esempi molto noti di contaminazione della campagna elettorale.
3. COSA SI PUO’ FARE
Si può fare qualcosa, ma le soluzioni non possono essere solo tecniche. Non si può combattere la dittatura dell’algoritmo e dei social network solo con piattaforme e algoritmi più sofisticati, in base a una sorta di feticismo tecnologico secondo cui “se c’è un problema ci sarà un’app capace di risolverlo”. Vediamo in breve cosa si potrebbe fare.
1. E’ una stupidaggine pensare di risolvere tutto semplicemente chiudendo internet. Non si eliminano le automobili perché inquinano, si usa meno l’auto e si producono auto ecologiche. Bisogna cambiare regole e qualcosa sta già cambiando nella comunità europea. Per esempio il nuovo regolamento di recente entrato in vigore (GDPR) va in questa direzione. Altro che sovranismo. Per fortuna che c’è l’Europa.
In democrazia la verità è un diritto, perché la democrazia, come dicevano gli antichi, è verità al potere. E dunque l’eclissi della verità è eclissi della democrazia (ma sappiamo anche che in politica, da Machiavelli in poi, la menzogna può far parte dei mezzi per arrivare ad un fine utile). Lo ribadisce la ricerca, come quella condotta due colleghi dell’Università di Milano, Franca D’Agostini e Maurizio Ferrera, che sono arrivati a definire sei “diritti aletici” (dal greco aletheia=verità), di cui ognuno di noi è titolare solo perché fa parte di una società democratica. Questa battaglia per la verità è il cuore della guerra contro la destra populista e pre-fascista, che della menzogna fa un uso massiccio e spregiudicato.
L’inventore del Web, Tim Berners Lee, uno scienziato inglese del CERN di Ginevra, ha capito che la sua creatura svolge ben altre funzioni rispetto a quella originaria per la quale l’aveva progettata, cioè permettere a tutti i computer del mondo di collegarsi fra di loro. E’ nata così l’idea di sviluppare un progetto che si chiama SOLID, l’idea di una rete nuova che restituirà a tutti i singoli cittadini la proprietà dei loro dati e riconoscerà a ad ognuno i diritti che gli spettano in quanto cittadino di una rete democratica. Spetta a noi il compito di sostenere la battaglia che l’inventore del web sta conducendo per limitare i guasti che il modello di business che domina la rete sta producendo.
4. Bisogna superare il dogma della gratuità dei dati: gran parte della comunicazione è inutile ed odiosa ed è necessario tornare a pagare l’uso del web (l’e-mail, le ricerche su google ecc.) ed i soldi ricavati da chi può permettersi di pagare, potrebbero essere utilizzati per sostenere progetti come quello di Tim Berners Lee che permettono agli utenti di riappropriarsi, con la proprietà dei dati, delle loro stesse identità.
5.Difendersi dagli algoritmi e rompere i monopoli dei giganti digitali. Non significa chiudere Facebook, ma dividerlo in tanti pezzi in modo che non sia più un monopolio. Bisogna che i grandi player del mondo digitale siano semplicemente responsabili, cosa che oggi non sono o sono solo in parte, come dimostra la storia di Facebook. E’ necessario che le funzioni pubbliche tornino sotto il controllo di soggetti pubblici. E non come avviene adesso che la censura, ad esempio, su ciò che può essere o non essere pubblicato su Facebook venga deciso dal team di Facebook, secondo regole e criteri stabiliti di volta in volta da un’azienda privata.
6. Va dunque cambiato il modello di business dei social network, l’uso dei dati va retribuito, va combattuto l’anonimato, internet va regolamentata, il web decentralizzato, vanno separate Facebook, Google e tutte le loro controllate, così come a suo tempo sono stati divisi i monopoli telefonici negli USA. Roosevelt dichiarò illegali 146 monopoli ed eravamo nell’America democratica. Così come sono state divise le più grandi compagnie petrolifere, con grande scandalo della destra. Le radio e televisioni oggi vivono di concessioni governative e dunque sono obbligate, in qualche modo, a rispettare regole stabilite dall’autorità pubblica e svolgere anche una funzione di tipo pubblico. Perché i social network non sono soggetti ad alcuna concessione governativa, pur occupando uno spazio pubblico enorme?
La sinistra e tutte le forze progressiste non hanno trovato ancora una loro modalità di stare in rete. La destra invece ha messo in campo una grande quantità di attori digitali e di troll che creano disinformazione, aizzano i progressisti gli uni contro gli altri, generano conflitti, ostacolano il dialogo alimentando quella guerra di cui Putin è il comandante in capo, e il suo cavallo di battaglia lo smembramento dell’Europa. Solo nella campagna americana del 2016 sono stati creati 10 milioni di tweet finti, 1000 video su youtube, 100 mila foto su instagram, 60 mila foto su facebook, creati ad arte da troll russi. Ecco come ha vinto Trump, il candidato anti-europeista che serviva a Putin.
Non è chiaro perché non abbiamo saputo reagire per tempo a tutto questo. Mentre nessuno, in Italia, ha pensato di organizzare il nuovo partito digitale della sinistra. La sinistra ha con la rete un rapporto molto particolare e cioè, come si dice, “usa la coda lunga”: sta in rete per sopravvivere, non per diventare l’esercito che combatte la battaglia per la democrazia, la libertà, la giustizia. La sinistra si accontenta di sopravvivere, vendendo le sue idee ad una nicchia del mercato politico digitale, mentre il suo avversario ha un esercito, molto ben organizzato e dotato di armi potenti, capace di parlare a vaste platee popolari.
La sinistra dovrebbe imparare a parlare ai milioni di “pollicini”, come li ha definiti Michel Serres in un delizioso libretto. Sono i tanti ragazzi e i tantissimi adulti che hanno sotto i loro pollici – che sfiorano il touchscreen dello smartphone – il più grande patrimonio di informazioni che mai l’umanità abbia avuto. Sono loro, ma soprattutto le pollicine, i soggetti della terza grande rivoluzione pacifica, quella, dopo la scrittura e la stampa, del digitale. Il compito della sinistra è insieme semplice e gigantesco: trasformare quella infinita palude di informazioni in dati e conoscenza utile per cambiare il mondo.
GRUPPI DI LAVORO – SINTESI GRUPPO 1 (COORDINATO DA FULVIO GARDUMI)
Come introduzione al lavoro di gruppo viene letta una pagina del libro di Alessandro Baricco “The Game” (Einaudi, 2018), in cui l’autore sintetizza in 8 punti le criticità del “sistema” nato dalle tecnologie digitali unite all’intelligenza artificiale, alla robotica e alla telefonia cellulare e satellitare, quello che lui appunto chiama “Game” (videogioco). Baricco elenca queste criticità per poi contestarle, ma la sintesi è ritenuta molto buona e centrata:
Gli interventi dei partecipanti al gruppo sono numerosi (tutti intervengono) e toccano diversi aspetti del tema del Seminario, in base alle relazioni ascoltate nei due giorni di lavori.
A. Considerazioni sul tema in relazione alla nostra attività di Solidarietà internazionale
Occasioni come questo Seminario ci fanno riscoprire la solidarietà internazionale tramite il web. Quando abbiamo incontrato Freire che ci ha presentato la pedagogia degli oppressi, o Zanotelli che ci parlava di Korogocho, abbiamo messo in pratica i loro insegnamenti con la controinformazione, i boicottaggi, le raccolte di firme, gli incontri, i convegni. E abbiamo avuto dei risultati. Dobbiamo continuare a farlo, utilizzando i “loro” strumenti, come dice la Zuboff. Lo abbiamo sempre fatto ma a partire da oggi lo possiamo fare in modo forse più competente.
Dobbiamo re-imparare a essere umani dalle popolazioni che lottano per la loro liberazione, con metodi che possono insegnare molto anche a noi.
Anche molte reti locali, se non avessero ad esempio Whatsapp, non potrebbero avere contatti con i referenti dei vari progetti in paesi con cui è difficile comunicare. Spesso questo è l’unico modo per mantenersi in relazione.
C’è però un grosso problema con i referenti di progetti in corso in paesi dominati da dittature, perché possiamo metterli a rischio. E’ necessario proteggere anche loro. E’ successo anche con un progetto (in Congo): sono stati rubati i cellulari dei referenti e chi li ha rubati ha potuto avere accesso a tutto quello che avevano scritto, ai contatti, agli incontri, alle informazioni.
B. Considerazioni sulla relazione di Giorgio Gallo “Capitalismo della sorveglianza”
Il “Basta” invocato da Soshana Zuboff alle degenerazioni del sistema come lo diciamo? Con quali strumenti, in che modo? Uno dei modi possibili per reagire a certe derive del controllo sarebbe forse quello di introdurre forme di pagamento dei contenuti attualmente veicolati gratis. Se è tutto gratis, vengono usati i nostri dati come pagamento. Ma chi può costringere questi colossi del web a far pagare i contenuti? Il vero problema è che manca il controllo di qualsiasi autorità in grado di intervenire. E poi è difficile far pagare i contenuti: chi li pagherebbe? La gente è contenta che sia tutto gratis.
In realtà un tentativo è stato fatto a livello europeo con l’approvazione recente (26 marzo 2019) da parte del parlamento europeo e poi del Consiglio dell’Ue (15 aprile 2019) di una “Direttiva sul diritto d’autore nel mercato unico digitale”, che prevede, tra l’altro, la possibilità per gli editori di chiedere il pagamento per l’uso di brevi frammenti di testo che i siti web a scopo di lucro utilizzano. La Direttiva è stata molto controversa: 145 organizzazioni nei settori dei diritti umani e digitali, della libertà dei media, dell’editoria, delle biblioteche, delle istituzioni educative, degli sviluppatori di software e dei fornitori di servizi internet hanno firmato una lettera di opposizione a questa proposta, ritenendola lesiva della libertà di parola online. Una petizione su Change.org ha raccolto 5 milioni di firme. Invece favorevoli alla Direttiva erano: editori e case discografiche, società degli autori, creatori ed artisti. Le multinazionali del web, in particolare Google, hanno speso milioni di dollari in attività di lobbying in Europa contro questa legge. Gli eurodeputati sono stati sommersi da maree di mail. Qualcuno ha anche denunciato minacce esplicite. In Italia, favorevoli alla legge sono stati anche i sindacati Cgil-Cisl e Uil e il sindacato dei giornalisti Fnsi, contrari allo sfruttamento economico dei lavori creativi operato dalle piattaforme multinazionali. Tra i partiti italiani, favorevoli alla legge il Pd e Forza Italia, contrari il M5S. Ora il problema principale sarà la conversione in legge di tale direttiva da parte dei vari governi dei Paesi membri dell’Ue.
Molti interventi si richiamano all’invito della Zuboff a recuperare le relazioni umane. Nei nostri rapporti con gli altri, occorre rivalutare la dimensione umana, il riconoscimento dell’altro, le relazioni interpersonali, che spesso non coltiviamo più, neanche tra amici, parenti, vicini. Oggi si tende a scontrarsi spesso sul poco che ci divide anziché valorizzare quello che ci unisce.
Questo sistema, questa “rete”, non la possiamo battere sul suo terreno. Dobbiamo lavorare su un altro terreno, quello delle relazioni umane. E’ importante usarli questi strumenti: ci sono campi in cui non ci possono controllare. C’è un candidato alle Europee nel Veneto che si presenta con un unico slogan: “per una Europa umana”. Dobbiamo recuperare i rapporti tra le persone, anche se sembra che si stia tentando di chiudere le stalle quando i buoi sono ormai scappati. Con queste nuove tecnologie il rapporto umano sparisce. Fa piacere che la Rete abbia deciso di approfondire questo tema.
Una nota positiva: un gruppo parrocchiale sta cercando di “ricostruire comunità”, non solo tra i parrocchiani, ma con tutti. E’ stata chiamata una docente dell’Università di Firenze a parlare di come i ragazzi utilizzano i nuovi strumenti tecnologici. Lo smartphone è la loro terza mano: il compromesso è utilizzare bene questa terza mano. Questi incontri che puntano a ricostruire comunità attraverso i rapporti umani diretti e a superare la comunicazione fatta solo attraverso i social è l’unica strada per tentare di reagire all’omologazione.
E’ importante incontrarsi fisicamente, di persona, ma anche saper usare la rete. Bisogna ricucire, ad esempio, le lacerazioni che ci sono state in passato con altri gruppi con cui collaboravamo. Non può essere fatto tutto attraverso il web. E poi occorre vincere le paure, che ci rendono più manipolabili. Anche nella nostra Rete ci sono tante persone che un tempo erano molto attive mentre oggi tendono a isolarsi. Dobbiamo sforzarci di tornare agli incontri. E’ vero che spesso c’è poco tempo, soprattutto per chi lavora. Ma è importante trovare il tempo per cercare la verità.
B. Considerazioni generali sul tema da parte del gruppo
Questo Seminario è stato molto utile per aiutarci a capire. Le soluzioni non sono né facili né a portata di mano. Si possono creare gruppi di persone competenti che aiutino gli utenti a diventare critici.
Dobbiamo auto-educarci continuamente sul discorso della critica al sistema, come abbiamo fatto negli anni ’70. Questo passaggio epocale è un’altra occasione per togliere libertà e democrazia ai cittadini, solo che questo avviene con strumenti nuovi e molto potenti. Il problema è come reagire. Occorre acquisire consapevolezza. E poi lavorare, fare controinformazione con gli strumenti che abbiamo, creare gruppi critici.
Questo lavoro di controinformazione e di critica lo possiamo fare assieme ad altri gruppi con cui come Rete collaboriamo.
Al termine di questi due giorni di Seminario da una parte ci sentiamo un po’ sollevati perché abbiamo avuto più informazioni, dall’altra è aumentata la preoccupazione per la consapevolezza delle manipolazioni cui siamo sottoposti. E’ importante informare su quello che sta accadendo per compiere un primo passo sulla via della consapevolezza e della ripresa di potere. La democrazia sembra compromessa. Come si può ricostruire? Ci sono cose da fare subito, altre da proseguire nel tempo, con costanza. La prima è la denuncia di quello che succede, facendo informazione, educazione, con particolare attenzione ai giovani, che passano da un social all’altro con grande velocità ma con poca capacità di riflessione. Fa piacere vedere i giovani attivi per il clima, ma sarebbe bene se si attivassero anche su questi temi. Dobbiamo costruire anche reti web di informazioni attendibili per far loro capire la differenza tra reti credibili e no. Dobbiamo allargarci e costruire reti a livello nazionale e internazionale.
Bisogna cercare di recuperare informazioni in rete, ad esempio su Pandora Tv, che però non è sempre affidabile, per cui è importante trovare fonti serie alternative. Nella sua relazione Orlowski ci ha detto che può aiutare la nostra Rete ad avere informazioni corrette, ad esempio utilizzando #facciamorete.
Bisogna ricostruire reti di “lillipuziani”, di tanti piccoli utenti della rete che messi insieme possono fare la differenza. Ad esempio, anche Banca Etica ti indirizza alle casse automatiche, che sono la negazione dei rapporti umani interpersonali. Si deve allargare l’opposizione a questa schiavitù delle macchine, che sembrano fatte per semplificarti la vita, mentre invece alla fine ti controllano e inaridiscono le relazioni umane. Le nostre Reti hanno rapporti diretti con i propri referenti: è una cosa fondamentale.
Non tutti hanno il cellulare e questo rischia di isolarti. Ad un recente incontro con il presidente del Commercio Equo internazionale erano presenti solo 15 persone, invitate attraverso i canali classici. Invece alla presentazione del libro di una scrittrice palestinese c’erano 200 persone, perché la libraia aveva diffuso l’invito attraverso Facebook. Demonizzare questi strumenti non serve, dobbiamo utilizzarli, come è stato fatto nelle “primavere arabe”, che senza questi mezzi non ci sarebbero state. Durante il fascismo e il nazismo non c’erano questi strumenti, ma c’erano altre forme di propaganda, molto efficaci, come ad esempio il cinema.
Anche la politica ormai fa le campagne elettorali attraverso i telefonini: per questo chi non ha il telefonino non riceve alcuna informazione.
Infine è stata avanzata la richiesta di una sintesi di quanto emerso in questo Seminario da diffondere a tutta la Rete, in modo da poterci lavorare sopra ed arrivare al prossimo Coordinamento con qualcosa di propositivo.
GRUPPI DI LAVORO – SINTESI GRUPPO 2 (COORDINATO DA PIERPAOLO PERTINO)
La generale sensazione è uno “sconforto e smarrimento diffuso” ma il tema del Seminario è risultato essere assolutamente centrato e fondamentale per la consapevolezza e conoscenza della comunicazione con strumenti digitali.
La profilazione non è una novità del nostro tempo. Tutti i “non allineati al sistema” sono stati da sempre, in qualche modo, segnalati e schedati.
Siamo in un sistema comunque totalitario ma, rispetto al passato, oggi è difficile dare un volto al dittatore. E’ tutto molto meno delineato e tutto più sfuggente.
Il nome, senza volto, del dittatore dei nostri tempi è il “Mercato”, un nemico subdolo difficile da combattere [ne nasce una discussione sulla attuale efficacia di mercato equo – solidale, consumo critico e boicottaggi mirati].
Considerazioni sul tema in relazione alla nostra attività di Solidarietà Internazionale :
Sulla base delle profilazioni e di quanto ascoltato in questo seminario ci si pone il problema della sicurezza fisica delle persone che svolgono un certo tipo di attività. Alle nostre latitudini il problema non è considerata a rischio la nostra incolumità fisica quanto piuttosto “credibilità e reputazione “. Attraverso l’uso di fake news e false informazioni è letteralmente possibile fare a pezzi una persona. Es. la campagna di discredito mirata su Padre Mussie Zerai, ns testimone al Convegno 2016 della Rete ma in generale ciò che sta avvenendo oggi nei confronti del mondo del volontariato e delle ONG.
Per i nostri testimoni e referenti locali (almeno in certi luoghi ad es. l’Africa) c’è invece un concreto rischio di sicurezza fisico della persona.
Considerazioni generali sul tema da parte del gruppo :
1. Strumenti possibili di contro – informazione per opporsi alla circolazione di eventuali false informazioni e fake news
Nessuno del gruppo è in grado di dare una risposta ma viene comunque auspicata la realizzazione di giornate come questa che formino e coscientizzino su ciò che sta accadendo. Altra possibile via è la cura della qualità della relazione interpersonale. La conoscenza diretta difficilmente può essere incrinata da fake news generiche circolanti.
2. Come identificare le fake news e come reperire informazioni certe dal web. Esigenza emersa in varie fasi del confronto. Da tenersi in considerazione come argomento per eventuali altri incontri.
3. I contenuti di questo Seminario devono arrivare ai giovani.
I giovani sono la categoria che maggiormente usa strumenti digitali perciò quella che andrebbe maggiormente sensibilizzata agli effetti collaterali degli stessi. In questo senso il lavoro nelle scuole e nelle università è fondamentale. Si auspica la formazione di una equipe, formata e competente che possa veicolare con maggiore facilità contenuti di questo tipo. E’ fondamentale sostenere le nuove generazioni e fargli respirare un clima di fiducia e collaborazione in contro tendenza ai cupi scenari di paura e puro individualismo sostenuti in questo periodo. Il miglior servizio che possiamo render loro è:
“Renderli consapevoli del proprio percorso nel loro tempo
4. “Come mai le destre stanno maggiormente usando per comunicare l’uso degli strumenti digitali”.
Difficile rispondere a questa domanda. Vengono riportate alcune impressioni di Draghi, ascoltate ad un Seminario a Milano, in cui veniva ribadito che la sinistra non ha riconosciuta la priorità del tema della comunicazione digitale ed è abissalmente indietro rispetto all’utilizzo che ne fanno le estreme destre. Quella digitale è considerata una vera e propria battaglia in cui ogni spazio concesso risulta esser una sconfitta. Discredito e fake news sono uso comune. Non è facile combatterle ed orientare l’opinione pubblica con sistemi legali e metodi etici.
GRUPPI DI LAVORO – SINTESI GRUPPO 3 (COORDINATO DA GIORGIO GALLO)
Il gruppo era formato da persone provenienti da diverse reti locali, età media abbastanza alta ma con qualche presenza (relativamente) giovane. La valutazione del Seminario da parte di tutti i componenti del gruppo, anche se con qualche distinguo, è stata molto positiva: argomento interessante e stimolante che ci ha messi di fronte a una realtà di cui non si aveva tutti consapevolezza.
Sono emersi diversi temi che riportiamo sinteticamente.
Riprendendo anche le parole del libro di S. Zuboff, che sono state molto apprezzate, si è detto che bisogna impegnarsi a livello locale per creare reti di vera amicizia e vere comunità; questo vale soprattutto con riferimento ai giovani. Sempre su questa linea si è insistito sul fatto che il lavoro nelle scuole deve essere prioritario per la Rete. In questo si inseriscono i seminari giovani che andrebbero ripresi. Si è parlato anche della necessità di lavorare con le famiglie: le reti familiari possono aiutare i giovani sempre più inseriti nel mondo dei social. C’è il rischio, è stato detto, di essere trasformati antropologicamente.
E’ importante non lasciare cadere il discorso affrontato nel Seminario, riprendendo e approfondendo ulteriormente le ricadute politiche di quanto abbiamo visto, e in particolare, qualcuno ha aggiunto, i rapporti tra internet, democrazia e pace.
E’ stata molto sostenuta la necessità di contribuire a diffondere e sviluppare lo spirito critico: informarsi bene, ma anche leggere i messaggi e le notizie fino alla fine, non fermandosi alle prime righe, e sviluppare l’autonomia di pensiero.
E’ stato detto che è importante partecipare a iniziative che non organizziamo noi, collaborando con altri gruppi. Va accettato il fatto che non sarà necessariamente possibile avere un ricambio generazionale.
Arrivano troppe informazioni si è detto: come fare? Ricordare sempre che troppa informazione equivale a nessuna informazione; da qui l’importanza di imparare a usare in modo sobrio le diverse chat alle quali partecipiamo.
Il più giovane del gruppo ha detto che questa era la sua prima esperienza con la Rete e l’ha trovata molto interessante. Ha invitato a far emergere una generazione di attivisti digitali che combattano le fake news e a stare molto attenti a chi controlla i nostri dati.
Ad esempio ha ricordato che l’INPS ha affidato, con regolare appalto, a un privato come l’IBM la gestione di tutti i nostri dati. Altri hanno parlato dell’importanza di lottare contro la privatizzazione della rete promovendo sistemi/piattaforme pubbliche per accedere al web e raccogliere dati.
GRUPPI DI LAVORO – SINTESI GRUPPO 4 (COORDINATO DA MARCO ZAMBERLAN E MARIA MINNITI)
Per rompere il ghiaccio abbiamo fatto prima un giro di presentazioni con prime impressioni a caldo.
Stella di Associazione Sportiva e Cultura di Vicenza ci ha riportato una sua esperienza di un viaggio recente a Roraima in Brasile, raccontandoci di quanto i giovani indios fossero influenzati dalle politiche di Bolsonaro veicolate attraverso il cellulare che è presente anche in quelle realtà ai margini della foresta, e di quanto credessero a quelle politiche ancorché a loro sfavorevoli.
Ci si è soffermati cosi sul senso di impotenza e depressione di fronte allo strapotere delle notizie non controllabili alle fonti, ribadendo quanto sia importante la conoscenza, non ritirarsi ma approfondire. Stupisce questa inesistenza del peso della Politica alta, anche delle politiche di sinistra che non riescono a dare risposte serie ed unitarie alla manipolazione economica e sociale in atto. Ci si interroga anche sulla possibilità di conoscere più approfonditamente la legislazione italiana in merito, anche se purtroppo i movimenti e le notizie dei social sono transnazionale e non rispondono in maniera diretta alle leggi nazionali.
Persino in carcere dove i social non sono presenti perché i cellulari non sono ammessi, e la televisione è l’unico canale di informazione transitano le false notizie.
Francesca ci sollecita però a diffondere il bello. Soprattutto come RRR a tenere vivo il nostro sito, aggiornarlo, magari a rendere partecipi altre persone attraverso il canale Youtube…Ci ricorda che i giovani vivono con senso di passività tutta la vita politica, che il singolo non ha la sensazione di incidere nel mondo, si sente depotenziato dalla rete anche se collegato all’universo intero.
Ma come incidere e dare continuità in questo mondo social? Spesso usato solo per recuperare vecchie amicizie o crearne di nuove, sembra non avere alcun appoggio nella vita politica reale, anzi c’è anche la possibilità che veniamo tracciati, registrati e schedati per ogni opinione espressa. È preoccupante. Soprattutto perché i luoghi di incontro tra persone diminuiscono, le stesse biblioteche un tempo teatro di scambio di cultura sono ormai in dismissione, la ricerca di un argomento non è più un percorso personale tra i libri ma digitale e pilotato dai grandi gruppi di informazione, spesso attraverso algoritmi di interesse.
Tutto è legato alla velocità di fruizione, tutto è accelerato. Cosi anche la fiducia è stata esasperata e distorta, perché tutto è pubblico, il senso di intimità e di privato tende a scomparire, così come la libertà di scegliere. Le informazioni su di noi, sul nostro modo di vivere, diventano il nuovo petrolio, venduto alle multinazionali per pubblicità spesso non richieste ed invasive. Quindi è importante mantenere un atteggiamento diffidente ed una formazione critica sulle fonti, perché il rischio è l’omologazione.
Ecco quindi la necessità di creare degli anticorpi capaci di resistere con il pensiero e la rielaborazione alla facile manipolazione mediatica, cambiare l’atteggiamento verso il modo di apprendere, perché la realtà è dispersiva. C’è bisogno di mantenere le relazioni tra persone e la capacità di dialogo perché questa modalità possa rimanere e diventare di nuovo voce e stimolo per una nuova politica.
Convegno nazionale 2018
La solidarietà non è reato: reSIstiamo umani
INTERVENTO DI GHERARDO COLOMBO
Chissà quanto ci sarebbe da dire sul tema della solidarietà! Secondo me è un tema che o si risolve in due parole o c’è bisogno di un trattato. Cominciamo dalla definizione. Sappiamo di cosa parliamo quando parliamo di solidarietà? Intendo proprio la definizione della parola. Che cos’è la solidarietà?
Pubblico: Aiutare il prossimo.
E qui si pone subito il problema: chi è il prossimo?
P: E’ l’umanità.
E chi ci sta nell’umanità?
P: Io non sono d’accordo sulla parola “aiutare”.
Perché?
P: Io sono d’accordo con la parola ”condivisione”, con la parola “scambio”. La parola “aiuto” mi fa pensare a qualcuno che dà e qualcuno che riceve; sono d’accordo con “condivisione”, “scambio” di quello che ciascuno ha da dare all’altro.
Condivisione, solidarietà: sì, certo, ci sta! Andiamo un pochino oltre. Solidali con chi? Secondo me questo è il problema. Per riuscire a capirci: solidarietà è reato; può esistere un reato di solidarietà? Il nostro codice penale, per esempio, prevede un reato di solidarietà. Il favoreggiamento personale unisce chi è solidale nei confronti di chi ha commesso un reato. Chi aiuta chi ha commesso un reato è solidale o no? Compie un gesto di solidarietà o no?
P: No!
Perché no? Attenzione, le parole sono importanti!
P: La solidarietà con gli ebrei!
Dopo le leggi razziali del 1938 chi ha aiutato gli ebrei commetteva reato o no?
P: Era la legge del tempo!
La legge del tempo, la legge di oggi… Attenzione! Se Lei fosse oggi negli Stati Uniti d’America e si trovasse a decidere se consegnare alla giustizia una persona già condannata alla pena di morte, la consegnerebbe perché venga eseguita o avrebbe dei problemi a farlo? Eppure è una legge di oggi. Il fatto è che noi dobbiamo stare un pochino attenti a distinguere la legalità dalla giustizia.
P: In Italia c’è il reato di omessa solidarietà. Ad esempio, in caso di una persona travolta per strada…
Si chiama omissione di soccorso. E attenzione, non ci è chiesto di soccorrere solo chi è vittima, siamo tenuti a soccorrere chiunque, anche chi ha provocato l’incidente, anche chi ha torto. O pensiamo che la solidarietà sia un dovere soltanto nei confronti di chi ha un comportamento che condividiamo? Per parlare del reato di solidarietà in realtà bastano due parole: solidarietà e riconoscimento. Se io sono solidale solo con chi riconosco, be’ allora… io sono solidale col mio prossimo, ma chi è il mio prossimo lo decido io! Basta, non c’è più niente da dire, tutti hanno ragione: hanno ragione quelli che dicono: “Ma guarda quello lì che dà da mangiare a chiunque viene qua!”, così come ha ragione quello che dice che si deve dare da mangiare a tutti. Si tratta appunto della dimensione del riconoscimento. Quanto più riconosco, tanto più si allarga lo spettro della solidarietà, nel senso della misura della solidarietà. Quanto meno riconosco, tanto più si riduce la misura della solidarietà. Attenzione perché è una cosa nuova, nuovissima quella che è scritta nell’articolo 2 della nostra Costituzione (“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo“), perché il mondo è andato avanti sempre a solidarietà estremamente ristretta. Pensiamo ad esempio alla solidarietà tra maschio e femmina, ancora adesso! Allora, io penso che questo tema “la solidarietà non è reato” sia un tema che non riguardi tanto gli altri, ma che riguardi noi, ciascuno di noi. Siamo abituati a dire: “Guarda quelli come sono disgraziati, non sanno essere solidali!”, ma guardiamo piuttosto in quale misura noi stessi siamo disposti ad essere accoglienti, altrimenti non facciamo nemmeno mezzo passo avanti. Usiamo il paradigma del nemico: io posso essere solidale nei confronti del mio amico, ma non sono solidale, anzi sono aggressivo e respingente nei confronti del mio nemico. E’ esattamente la logica di chi dice: “Ma perché dai da mangiare a quello lì?”. E’ dentro di noi la questione della solidarietà: quanto più riconosciamo, tanto più siamo solidali. Ma facciamo fatica! Riconosciamo il migrante, sì, certo, ma riconosciamo un po’ meno il migrante che per sopravvivere fa dei piccoli furti. Se poi per sopravvivere entra per rubare in casa nostra, comincia a essere diverso. Non abbiamo tutti quanti una scala di solidarietà? Questo sì, questo un po’ meno, questo ancora meno. Non è con l’essere umano che siamo solidali, ma con quell’essere umano, e va a finire che lo decidiamo noi con quale essere solidali. Più che la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani è la nostra Costituzione che se ne è curata, chi l’ha scritta, magari con qualche incertezza, con qualche titubanza, ma ha pensato a questo. E che l’ha pensato lo capiamo proprio se guardiamo alla Costituzione come sistema. Comincia dall’articolo 1, ma sotto il profilo del contenuto comincia dall’articolo 3, e precisamente da quella parte dell’articolo 3 che noi generalmente dimentichiamo: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale”, cioè tutte le persone, per il fatto che sono persone, sono degne. Attenzione, tutte sono degne, tutte. Qui c’è già tutta la Costituzione, o no? Sarebbe interessante andare a vedere la 12^ disposizione di attuazione della Costituzione: “E’ vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. In deroga all’articolo 48 sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dall’entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista”. Ciò significa che oggi questi limiti al diritto di voto e alla eleggibilità non ci sono più perché tutti i cittadini hanno pari dignità sociale. Capite a cosa arriva? Questa è una rivoluzione, assolutamente pacifica, ma è una rivoluzione rispetto a ciò che esisteva prima. Articolo 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Le discriminazioni ci sono ancora oggi. Pensiamo alla discriminazione di genere, a quella religiosa. Pensiamo alla discriminazione politica: chi ha scritto la Costituzione alla 12^ disposizione dice “5 anni”, poi basta. E chi è in prigione? Quante persone sono convinte che chi ha commesso un reato debba essere degradato! Perché obbligare alla sofferenza vuol dire degradare. La Costituzione rovescia il modo di stare insieme. Ma la Costituzione ha 70 anni, li ha compiuti l’1 gennaio, e 70 anni rispetto alla storia dell’umanità che cosa sono? Niente! E allora fa di più la storia di millenni rispetto a quello che fa la storia degli ultimi 70 anni! Ma attenzione, fa di più anche per noi, che per autodefinizione facciamo parte dei buoni. E’ da questo punto di partenza che deriva tutto il resto, reato di solidarietà, la solidarietà è bene o è male: tutto deriva dalla considerazione che abbiamo per chi non è d’accordo, dalla considerazione dell’altro inteso proprio come colui che non ha la stessa appartenenza, sotto tutti i profili, genere, etnia, religione. E lì è dove si fa fatica. Siamo un pochino tutti colpevoli di reato di solidarietà nel momento in cui non accettiamo le persone con le quali non siamo d’accordo. E allora facciamo a meno di scandalizzarci che altri commettano reati di solidarietà perché la differenza sta nello stare da questa parte piuttosto che dall’altra. Quanta solidarietà esiste con coloro che escludono l’altro? Pensiamo alla nostra storia, noi siamo diventati stato in questo modo, al prezzo dell’esclusione dell’altro. E allora bisogna riuscire a capirla questa Costituzione, perché se riusciamo a capirla entriamo in un’ottica che ci mette sulla strada del lavorare su noi stessi per riuscire a testimoniarla: è una cosa difficile per ciascuno di noi, perché la cultura è cultura, quello che abbiamo dentro ci è stato tramandato praticamente da sempre. Non si tratta di genomi, non si tratta di DNA, si tratta proprio di educazione. Pensiamo com’era l’Italia 40, 50 anni fa, e vediamo come la solidarietà e la Costituzione c’entravano poco con la mentalità corrente. Pensiamo ai disabili: non erano “visibili”, andavano tenuti “nascosti” perché diversi, e c’era collegato a questo un qualche calvinistico senso di colpa, erano il segno della lontananza da Dio.
P: La legge sull’integrazione scolastica dei disabili è del 1977.
Solo negli anni ‘70 sono state fatte la riforma del diritto di famiglia, la riforma dell’ordinamento penitenziario. E si è arrivati fino ad un certo punto, poi è prevalsa la cultura e si è tornati un po’ indietro. La legge può esistere, ma poi può essere applicata o può non essere applicata. Esistono delle leggi che sono applicate ed esistono delle leggi che non sono applicate. E abbiamo proprio l’esempio clamoroso della nostra Costituzione, che esiste e non è applicata, dal cittadino molto spesso, però a volte anche dalla magistratura. Perché tutte le volte che esiste conflitto fra la cultura e la legge, a perdere è la legge. Non c’è niente da fare, tutte le volte che il sentire comune dei cittadini non coincide con la legge, la legge non trova applicazione. Hai voglia a dire che tutti hanno uguali dignità, e poi scopri che una donna che svolge le stesse mansioni lavorative di un uomo guadagna anche il 30% in meno. Fino al 1975 il Codice Civile sotto la rubrica “autorità maritale”, e il titolo già la dice lunga, diceva che il marito è il capo della famiglia: altro che articolo 3 della Costituzione!
P: Don Rito cosa faceva di fronte alle ordinanze del sindaco che vietavano di dar cibo e ospitalità ai migranti a Ventimiglia? Non le osservava.
Di fronte ad un conflitto si hanno due possibilità: o si obbedisce alla legge mettendo da parte il proprio senso di giustizia oppure si obbedisce al proprio senso di giustizia e ci si assume la responsabilità di non osservare la legge. Come si è giunti in Italia all’abrogazione del servizio di leva obbligatorio? Ha cominciato qualcuno a dire che si rifiutava di fare il servizio militare perché per lui ammazzare una persona sarebbe stata la cosa peggiore che potesse succedergli e fare il servizio militare senza imparare ad ammazzare le persone è impossibile. Ma non fare il servizio militare era reato, perciò quella persona andava in prigione. E quando usciva dopo un paio d’anni, siccome la chiamata alla leva era valida, mi pare, fino ai 45 anni d’età, quella persona subiva un altro processo e andava in prigione un’altra volta. Questo fintanto che non si sono decisi e accanto al servizio militare hanno introdotto il servizio civile. Per introdurre il servizio civile è stato necessario che cambiasse la finalità del servizio. Pensate a don Milani, pochi anni prima soltanto era stato processato per la sua lettera ai cappellani militari.
P: Abbiamo sempre bisogno di martiri?
Abbiamo bisogno di testimoni, e i martiri sono i testimoni. Siamo noi che cambiamo le cose; nella vita, se vogliamo andare avanti, le cose dobbiamo farle. Ma perché possiamo fare le cose è necessario anche che abbiamo le idee chiare. E non si dica che la solidarietà è una bella cosa, però con chi sono solidale, chi riconosco, lo decido io! E il nostro paese, poveretto, è in difficoltà sotto questo punto di vista, basta vedere il numero dei partiti politici che abbiamo, ci si distingue anche solo per una virgola: ciò dimostra l’esistenza di un’estrema difficoltà a riconoscersi. Nonostante la Costituzione, anzi, direi a dispetto della Costituzione, siamo molto più disponibili a non riconoscerci piuttosto che a riconoscerci. La Costituzione dà l’idea del riconoscimento universale, mi chiede di riconoscere che tutti i cittadini hanno pari dignità, e tutti i cittadini vuol dire tutte le persone, e poi vi riferisco il meccanismo attraverso il quale io posso sostenere che qui cittadini vuol dire persone.
P: Ma ci sono limiti rispetto a chi devo riconoscere dignità? Quando la dignità umana può essere ridotta?
Mai, mai! Quella persona che in Norvegia ha sterminato più di 70 giovani sta in carcere, non per tutta la vita, e sta in un carcere nel quale la sua dignità è rispettata. Mai! Questo è un principio che non può essere messo in discussione. Per la verità la Costituzione in un articolo, il 22, lo mette in discussione quando dice che “nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome”. Questo implica che nome e cittadinanza per motivi non politici possono essere persi, cancellati. E’ una particolarità non in linea con tutto il resto della Costituzione, però c’è.
P: Nel caso dell’articolo 2, secondo il quale la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, possiamo certamente dire che la legge è più avanti della cultura. Come dobbiamo comportarci nei confronti di coloro che non rispettano l’articolo 2? Noi sappiamo che stanno per essere elette persone che non rispettano l’articolo 2, abbiamo il diritto di opporci?
Abbiamo il diritto di opporci, abbiamo tutta una serie di diritti, ma questi diritti vanno esercitati tenendo conto che chiunque va rispettato.
P: Come si fa a perdere il nome?
Fino alla riforma del 1975 i detenuti erano chiamati per numero; credo che negli Stati Uniti d’America succeda ancora così. E pensiamo ai malati in ospedale, o peggio ai campi di sterminio. In Italia ci sono diversi pensieri sul tema dei diritti: provate a pensare qui dentro, tra di voi, che pure costituite un’assemblea di persone solidali perché appartenete tutti alla Rete, quanti opinioni diverse ci possono essere sul tema della fine vita. C’è sicuramente tra voi chi pensa che è giusto che uno decida sulla propria fine vita, e c’è sicuramente anche chi invece pensa che sia da vietare che uno decida in ordine alla propria vita. Sono cose serie. Torniamo alla dignità. Dignità vuol dire riconoscibilità, vuol dire identificazione dell’altro nella stessa natura di sé. Siccome noi in genere ci consideriamo degni, ci piace essere rispettati, ci sentiamo importanti, banalizzando possiamo dire che tutti i cittadini sono importanti tanto quanto me.
P: Per quanto riguarda il diritto al lavoro ci sono vari modi di interpretare la legge. C’è chi si permette di licenziare, chi nella stessa situazione riammette al lavoro…
La Costituzione è un sistema, tutto è legato naturalmente, perciò andiamo all’articolo 4 che dice che “la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. Cosa vuol dire? Che il diritto al lavoro non si ha naturalmente, è complesso, ha bisogno che esistano le condizioni grazie alle quali la gente trovi da lavorare, è necessario che ci si attivi per fare in modo che esista il lavoro. Problema non semplice, in nessun paese al mondo credo ci sia l’occupazione piena, 0% di disoccupazione. La Costituzione si preoccupa anche di non essere eccessivamente teorica, tiene conto delle situazioni concrete. Torniamo infatti all’articolo 3, che afferma che tutti hanno pari dignità e le loro peculiarità (genere, lingua, religione…) non possono essere causa di discriminazione: poiché esiste tutta una serie di ostacoli che si oppongono a rendere vero ciò che è detto nella prima parte dell’articolo, si aggiunge che è compito della repubblica, cioè di tutti noi, di ciascuno di noi, rimuovere quegli ostacoli. E’ importante che giungiamo a condividere la Costituzione, perché in realtà la condividiamo fino ad un certo punto: siamo disposti ad essere solidali sì, ma solo con chi ci piace, non con tutti, cioè non riconosciamo tutti come degni allo stesso modo. Ad esempio fatichiamo a riconoscere la dignità di chi commette reati odiosi, di chi ha idee sociali estremamente diverse dalle nostre, e così via. Dunque, dicevo, per condividere la Costituzione chiediamoci perché l’hanno scritta ancor prima della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, perché a chi l’ha scritta è venuto in mente di rovesciare una direzione millenaria, ultramillenaria, che aveva avuto peraltro delle affermazioni di una pesantezza eccezionale. Pensiamo alle leggi razziali, che in Italia sono state scritte nel 1938: neanche 8 anni dopo hanno cominciato a scrivere la Costituzione. Non tutti si erano indignati per le leggi razziali, tanti ne hanno tratto vantaggi, anche qualche padre della patria, della democrazia era stato contento di guadagnarci una cattedra universitaria prima occupata da un ebreo.
P: Solidarietà verso chi? L’articolo 3 parla di tutti i cittadini. E i non cittadini? Nella percezione comune cittadino è solo chi ha la cittadinanza.
La percezione comune va resa meno superficiale. Per la Costituzione cittadini sono tutte le persone. Andiamo coi piedi di piombo: tutti i cittadini hanno pari dignità sociale, dice l’articolo 3, ma subito prima l’articolo 2 aveva detto che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”, non del cittadino, dell’uomo.
P: Non la donna!
Di questa precisazione linguistica allora ancora non ci si curava. 11 mesi dopo la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, scritta in inglese, parla di essere umano. Se noi scrivessimo la Costituzione oggi al posto di “tutti i cittadini” metteremmo “tutti gli esseri umani” o “tutte le persone”. Nella Costituzione stessa, comunque, ci sono altri passi che confermano che il senso da dare alla parola “cittadini” è quello di “persone”. All’articolo 13 si dice che la libertà personale è inviolabile, non la libertà dei cittadini; al 14 che il domicilio è inviolabile, non il domicilio dei cittadini; al 15 che la corrispondenza è inviolabile, e poi al 32 che la tutela della salute è fondamentale diritto dell’individuo, e al 43 che la scuola è aperta a tutti. Le differenze riguardano pochissime cose, la più evidente riguarda il voto. Facendo un bilancio complessivo vediamo che “cittadino” corrisponde a “persona”. Nell’articolo 10 è scritto che “lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”. Capite come non esiste differenza: se lo straniero a casa sua ha tutti gli stessi diritti che abbiamo qui, è uguale al cittadino; se per caso a casa sua non ha gli stessi diritti, lo accogliamo, ha il diritto di essere accolto. Tutto questo conferma che per cittadino si intende persona, essere umano.
Torniamo indietro: ci stavamo chiedendo perché chi ha scritto la Costituzione si è permesso di rovesciare il sistema che ha sempre retto il mondo, compreso quando hanno fatto la rivoluzione francese. E’ stato un guardare al passato e insieme un guardare al futuro. Nel giro degli ultimi 20, 30 anni c’erano state due guerre mondiali, quanti milioni di morti, e quanti invalidi, quanti senza lavoro, quante case distrutte, e che fame! Certo, anche la Shoah, ma io credo che ad impressionare maggiormente le persone che vivevano a quel tempo sia stata la bomba atomica. A quasi tutti noi la bomba atomica non ha cambiato la vita, quando sono nato la bomba atomica c’ era già. Noi sentiamo di tante morti terribili dovute a siccità, maremoti, vulcani, carestie, e la bomba atomica è una disgrazia come ce ne sono molte altre. Alle persone di quel tempo invece la bomba atomica ha cambiato il futuro: prima non c’era, all’improvviso invece si scopre che esiste un’arma talmente potente da fare quello che nessun’arma fino ad allora aveva saputo fare. Per quanto impegno ci abbiano messo gli Alleati a lanciare bombe su Berlino, se andate ora a Berlino trovate edifici costruiti prima della guerra ancora in piedi, e quanti berlinesi si sono salvati! A Hiroshima e Nagasaki invece… Nel Preambolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani si dice che essa è stata scritta anche considerando che “il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità”. Essa poi inizia con una specie di parafrasi dell’articolo 3 della Costituzione Italiana. La nostra Costituzione, a parte quel dettaglio che vi ho citato dell’articolo 22, ha una coerenza estrema al suo interno. Per esempio, l’articolo 27, a proposito del riconoscimento della dignità di tutti, dice che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”. Alla luce di questo articolo io personalmente ho qualche perplessità sul regime carcerario 41 bis, ma certamente altri hanno perplessità contrarie e adducono esigenze di sicurezza; io però dico che queste esigenze di sicurezza devono essere contemperate. L’articolo 13, che esordisce dicendo che “la libertà personale è inviolabile”, aggiunge che “è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”: violenza fisica e psicologica, la parola violenza viene usata qui per la prima e unica volta in tutto il testo della Costituzione. Allora capite come sia importante, quando si parla di solidarietà, uscire da degli schemi limitati, altrimenti continuiamo ad opporci e non riusciamo a trovare una soluzione. La soluzione secondo me si trova attraverso un cammino necessariamente di mediazione, ed è lì il problema, quello di essere capaci di uscire dalla logica secondo cui solidarietà va insieme con la parola “parte”. Solidarietà non ha limiti, però i limiti glieli mettiamo noi. Pensiamo a Gesù che va in casa di Zaccheo, il più odiato da tutti. Ancora noi ci misuriamo coi lavoratori dell’ultima ora…
P: Come faccio ad essere solidale con una persona che ha commesso crimini odiosi ed è stata condannata? Come faccio a essere solidale con Riina?
Io sono di quest’idea anche nei confronti di Riina, ma lei può pensare quello che vuole, io non la giudico, ho passato la mia vita ad emettere sentenze. Se la logica è quella di cui abbiamo parlato, io non posso dire che siccome Riina nella sua vita ha commesso le più grandi nefandezze lui in carcere ci muore. Nel momento in cui le sue condizioni di salute sono tali per cui non è più pericoloso, devo rispettare la sua dignità. Ci sono due articoli del codice penale che prevedono la sospensione obbligatoria e la sospensione facoltativa della detenzione.
P: Concordo su ciò che ci siamo detti, che legalità e giustizia sono due concetti che non sempre vanno d’accordo, che la solidarietà non deve avere limiti, ma io vorrei che non si uscisse da questa stanza senza dire che il fascismo non è un’opinione, e quindi lì un limite lo poniamo.
Una cosa secondo me essenziale è separare i fatti dalle persone: il fascismo è una cosa terribile, però le persone che sono state fasciste continuano ad essere persone. Martin Buber, ebreo, si è battuto chissà quanto perché Ben Gurion commutasse la pena di morte inflitta ad Eichmann in ergastolo. Questo significa distinguere il fatto da chi l’ha commesso, indipendentemente dalla circostanza che chi ha commesso il fatto si sia ravveduto. Ma Eichmann è stato condannato a morte. Io, Gherardo Colombo, non posso dire: “Sono contrario alla pena di morte, ma…”, dico: “Sono contrario alla pena di morte” e basta! Perché la dignità della persona sta qui.
Don Rito Alvarez
Per chi a Ventimiglia si occupa un po’ anche di dare una mano a passare una persona che ti chiede, tu diventi davvero uno che fa un reato.
E’ bello il titolo del convegno, ma vi dico una piccola cosa: se io andassi nella comunità?????? indigena in Colombia e dicessi: “Il reato di solidarietà…”, mi direbbero: ” Ci spieghi cosa vuol dire! Ma la solidarietà é una cosa buona! Come é possibile che diventi un reato una cosa buona che tu fai perché tu sei un umano? Perché tu hai una coscienza e perché tu ti rendi conto quando fai una cosa per l’altro, quando quell’altro é tuo fratello, chiunque esso sia… ma mi spieghi questo concetto!”
Badate che noi in questo momento dobbiamo elaborare nuovi concetti, perché se avessimo detto, a mio nonno, a mia nonna, “il reato di solidarietà…”; a casa mia, dove le porte erano sempre aperte a chiunque passasse, e siccome noi abbiamo sempre vissuto in prima persona proprio questa situazione, noi a casa nostra abbiamo aiutato chiunque; a chiunque passava davamo da mangiare a dei guerriglieri, da bere, se necessitava davamo un angolo dove dormire. Una volta é arrivato l’esercito regolare ed ha portato via mio padre, perché avevamo dato da mangiare a dei guerriglieri, ma noi non sapevamo che erano guerriglieri! L’hanno portato via tre giorni e volevano metterlo in galera. Perciò già da un po’ di tempo comincio a capire. In questo mondo in cui viviamo, dove i grandi poteri e la mancanza di buon senso, perché oggi io davvero vorrei parlarvi di coscienza, di umanità e di buon senso. ma quando noi parliamo di reato subito pensiamo che stiamo andando contro la legge e che stiamo facendo una cosa gravissima.
Pensa che noi con la Caritas il 31 Maggio 2016, vedendo centinaia di persone che erano centoottanta quella sera, che abbiamo aperto la Chiesa. Non avevano dormire e dove mangiare, la polizia li stava perseguitando, perché erano sotto un ponte, però il sindaco aveva fatto un’ordinanza di sgombero e quindi in un primo momento un sacerdote aveva aperto il salone parrocchiale ma poi non li poteva tenere lì e così la popolazione ha cominciato proprio a ribellarsi. Andavano a nascondersi di quà e di là come i topi e la polizia li inseguiva. A un certo punto si sono rifugiati anche nel cortile della caritas, dove abbiamo uno spazio molto piccolo. Mi chiama Maurizio, il responsabile della Caritas: ” Don, cosa facciamo?” Io gli ho risposto, guarda a pochi metro dal ?????? c’é la chiesa di San Bertoldo, ho degli spazi, ho due tre bagni e una cucina: accogliamoli. Quella sera del 31 Maggio abbiamo aperto le porte, ma con questo gesto di solidarietà io sono diventato un criminale per tanti della popolazione, anzi, per tanto dei miei parrocchiani, che venivano a Messa, io non sono stato più il loro parroco, ma uno che stava facendo delle cose brutte e che meritava di essere cacciato via da Ventimiglia, perché… E io non dovevo comportarmi in questo modo, anzi altri mi dicevano che avevo fatto un sacrilegio, perché mai avevo pensato di aprire gli spazi della Chiesa anche per dei musulmani. Pensate che da quel giorno che abbiamo aperto questa chiesa cominciano dei problemi seri. La prima settimana di giugno pioveva tutti i giorni, non avevano dove dormire, dormivano sul campo, nei saloni, sul sagrato, però a un certo punto ho detto.- facciamo una cosa un po’ fuori dal diritto; io tolgo il Santissimo, lo metto da parte, offro la Chiesa e faccio dormire in Chiesa almeno i bambini, le donne, i minori. Tra questi c’era anche una signora incinta che ha partorito dopo tre giorni ed un bambino di 3 anni e così via dicendo… Apriti cielo! me ne hanno detto di tutti i colori. Pensate che un giorno passava di lì una signora che di solito veniva a cantare nel coro e che veniva spesso con sua figlia e me ne ha detto di tutti i colori: -Don Rito, io spero che ti venga qualche malanno o che il Vescovo ti mandi da qualche parte, perché hai rovinato la nostra parrocchia ed hai consegnato la Chiesa ai musulmani. Ed hanno messo le voci cattive che io avevo tolto tutti i segni sacri dalla chiesa. Ed allora ho detto:- Ma perché nessuno é venuto a chiedermi chi erano quelle persone? Presentavo ???????, che aveva 3 anni, la sorella che era incinta ed ha partorito dopo tre giorni, l’altra bambina e l’altra donna, gli altri… perché per noi l’esperienza che abbiamo vissuto a Ventimiglia é stata quella; perché io pensavo: – i migranti, che a volte tu ti fermi a guardare i social, ti fermi, guardi quello che la gente scrive e cominci a pensare davvero ci sono situazioni cattive, che qualcuno sta per invaderti, che magari qualcuno uccide, qualcuno ti toglierà???????????
Quando invece ho cominciato a conoscere le persone per me non erano più migranti , erano i nomi, quando cominci a conoscere queste persone, la storia di queste persone, ti rendi conto che non é un problema, che non siamo più umani, che non abbiamo più una coscienza e allora ho cominciato ad accoglier tutti, in un momento in cui le istituzioni erano completamente assenti, quindi i migranti non avevano nessuna assistenza. Abbiamo iniziato e sono arrivate tante persone volontarie, sono arrivate tantissime persone che sono venute ad aiutarci, a chiederci di cosa avete bisogno?????????, per cominciare a raccogliere viveri. Dopo un po’ di tempo, il 15 Luglio la Prefettura ha deciso di aprire un luogo dove accogliere questi migranti, un campo, anche se ci sono dei passaggi molto particolari. A un certo punto io non ce la facevo più, é arrivata l’ASL che ha fatto un verbale che non finiva più, dicendo che io non ero in regola, che quelle aule del catechismo non erano adatte per accogliere queste persone, che c’erano pochi bagni, ecc.. Io ho detto, ci vuole proprio l’ASL per capire che nello spazio della parrocchia non possono stare mille persone e che stiamo facendo veramente i miracoli. Dopo il verbale dell’ASL mi arriva anche il verbale del comune, dicendo che io ero veramente fuori regola, che stavo violando le regole e che mi stavo comportando davvero come un cattivo cittadino. E allora tutto questo ha portato all’apertura del campo della Croce Rossa, una cosa molto bella , però per andarci occorreva fare 4 km a piedi, attraversano una superstrada senza passaggio a livello, dove dopo un po’ purtroppo alcuni sono finiti sotto le macchine, ci sono stati 3 morti. Noi abbiamo protestato. Io nella chiesa, a seguito di accordi con la Prefettura potevo accogliere le donne, i bambini, i minori non accompagnati ed i malati Tutti gli altri dovevano andare nel campo. però alcuni non volevano andare, perché vicino alla chiesa c’era la stazione ed anche l’inizio dei sentieri. Perché capite che uno che poi deve farsi 4 km per trovare qualcuno che lo passa o qualcuno che gli indica la strada. Ed allora la gente si é organizzata ed hanno detto:- Siccome ci sono alcune persone che stanno fuori, qui ci sono alcuni solidali noi andiamo a dargli da mangiare a queste persone, fuori, gli diamo dell’acqua, qualcosa da mangiare. Un giorno hanno fatto delle foto a questi che mangiavano, li hanno cariato su facebook dicendo:- guardate come i migranti hanno distrutto la nostra città. Pochi giorni dopo l’ordinanza del Sindaco: ” Reato dar da mangiare a chiunque per strada e dare da bere a chiunque”. Mi viene da piangere. Una volta sono arrivati i solidali, é arrivata la polizia ed ha fatto il verbale a tutti quanti, tutti quanti avevano violato la legge, perché avevano dato da mangiare a delle persone che avevano fame. Guardate che certe cose dovremo cercare di distinguerle e capirle bene. Tu rimani là pensare:- ma da quanto é reato dar da mangiare al povero?
Ed il Vangelo dice “Avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere…”
Ma la cosa più triste é vedere le persone, anche quelle che venivano a messa , dalle finestre e dai balconi gioire, oppure chiamare la polizia “Guardate che là, in quell’angolo ci sono due che stanno dando da mangiare. Ragazzi, non abbiamo coscienza, ma c’é qualcosa che non funziona, c’é qualcosa che non va nel nostro cuore, nella nostra mente e nella nostra società. Noi dobbiamo muoverci, fare qualcosa, ma questo non é normale, questo é un mondo inumano, un mondo dove non possiamo assolutamente capire!
Pensiamo che vicino alla chiesa a un certo punto io potevo accogliere quelle persone, ma dovevo dare da mangiare a quelli oltre il cancello, ma non potevo dare neanche una bottiglia d’acqua. Pensate che più di una volta ho fatto la spedizione, la polizia, perché avevano scoperto che noi, alcuni dei miei volontari avevano dato delle coperte o una bottiglia d’acqua o avevano passato un pacchettino da mangiare o magari la signora lì o però il fratello e qualcun altro era fuori, per cui di nascosto dal cancello e consegnava un pacchettino…; però il giorno dopo il comitato di quartiere : ” Don Rito, ti dobbiamo parlare. – Cosa é successo? Ieri sera guarda che i tuoi volontari hanno dato delle bottiglie d’acqua, hanno dato da mangiare ai migranti quà e là. Oh ragazzi! io dicevo.-sì. é vero, era una cosa grave? ma non sai dell’ordinanza del sindaco? Ed alla fine, cosa vuoi rispondere a queste persone? Non c’é niente da rispondere, c’é solo da metterti a piangere. E allora i solidali hanno organizzato , c’era un tubo, vi hanno piazzato un rubinetto vicino a questo posto di fortuna che hanno organizzato i solidali, dove dormivano sotto i tunnel, ferrovia e così via dicendo, noi di nascosto sempre violando la legge, davamo i sacchi a pelo, qualche materassino, ma sempre di nascosto, in sacchi neri, facendo finta che era della spazzatura, e poi loro venivano, la prendevano e potevano dormire. Pensate, se qualcuno ci sentisse e non sanno di cosa parliamo…..
E allora ecco che in tutto questo ti rendi conto che davvero la situazione é complessa. Io poi nei prossimi giorni avrò l’occasione di condividere con voi la mia esperienza, vi potrei raccontare mille cose. Ma quando tu sei dentro e cominci a conoscere le persone a conoscere queste situazioni, in italiano si direbbe “mi piange il cuore”, di rendermi conto di in quale mondo si vive. Io come sacerdote per me é una sofferenza, poi come alcune delle persone fedelissime, che venivano a messa non mi hanno parlato più perché avevo fatto una cosa grave ed ancora oggi io devo essere mandato via da Ventimiglia perché sono una persona che causa tanti danni a Ventimiglia perché incentivo la popolazione ad aiutare i migranti.
Solidarity Watch
[Chiara Pettenella]
Buongiorno a tutte e a tutti. È vero, il sito alla fine non è ancora online, ma non tarderemo. Vorremmo ringraziarvi non solo per averci invitato questo fine settimana, ma anche per la fiducia che si è espressa nei nostri scambi di questi mesi via mail, e del vostro sostegno non solo spirituale…ma anche economico.
Ci presentiamo un po’. Solidarity Watch è una squadra di quattro persone, ci manca la quarta collega, che è rimasta a Marsiglia, che è il nostro campo-base. [Solidarity watch nasce] lì, nell’estate del 2017. Siamo tutte ricercatrici, le [colleghe] francesi, e io, che sono il lato italiano. Stiamo facendo tutte un dottorato di scienze politiche all’università di Aix-en Provence, che si trova appunto vicino a Marsiglia. Il lavoro che proponiamo con Solidarity watch è un lavoro di riflessione. Perché? Perché è un lavoro in cui mettiamo in gioco le competenze che ci vengono dalla ricerca, e il fatto di essere delle persone mobili. Contrariamente a molte e molti di voi che sono attive e attivi in modo molto concreto su dei territori – locali o internazionali, non importa -, noi ci troviamo ad essere per forza di cose poco legate a un territorio in particolare. Ci spostiamo attraverso il territorio, e questa è la nostra dimensione. Queste sono le competenze che mettiamo in gioco nella costituzione di questo progetto di Solidarity watch.
Partiamo dall’inizio, dal momento in cui ci siamo ritrovate a lavorare insieme. Era il novembre del 2016. Eravamo, tanto per cambiare, una in Turchia, una a Bruxelles, le altre in Francia…quindi cominciamo a lavorare insieme via skype e via mail. Succede che un collega, ricercatore dell’università di Nizza, Pierre-Alain Mannoni, viene incriminato per aver trasportato nella sua macchina delle persone migranti, senza documenti, alla frontiera franco-italiana. Circola questa voce nelle mailing-list universitarie, e ci ritroviamo ad agire, di fronte a questa cosa: scriviamo una lettera aperta che raccoglie, nel giro di pochi giorni, più di settecentocinquanta firme, mandiamo questa lettera alla presidenza della repubblica francese, al primo ministro e al ministro degli interni francesi, per denunciare la criminalizzazione di questa persona. Per la cronaca, Pierre-Alain Mannoni è stato assolto in primo grado, poi condannato in appello a due mesi con condizionale ed è attualmente in attesa del giudizio in cassazione.
Quello che capiamo immediatamente nel novembre del 2016 è che non si tratta di un caso non è isolato, e che questa storia che si svolge alla frontiera franco-italiana ricorda storie simili che si stanno svolgendo nel nord della Francia, a Calais, in Italia, e a molte altre frontiere dell’Europa. E la moltiplicazione di questi casi ci spinge a porci due domande: la prima, molto semplicemente, quanti ne stanno succedendo di questi casi; e la seconda, che cosa questi casi di criminalizzazione di persone che hanno fatto degli atti di solidarietà nei confronti dei migranti, che cosa questi casi ci dicono della società in cui viviamo. E nasce Solidarity watch per cercare di dare una risposta a queste domande. E quello che osserviamo quasi subito è che quello che questi casi di criminalizzazione ci dicono va molto al di là della “semplice” criminalizzazione di atti di solidarietà nei confronti dei migranti, perché fanno vedere che l’attacco dei diritti delle persone, la criminalizzazione di pratiche solidali, si producono in spazi molto diversi e colpisce pratiche molto diverse: dai militanti ecologisti [mobilitati] per la difesa di certe regioni, di certe zone, al lavoro di informazione – c’è un fotografo che, poco dopo il caso del nostro collega ricercatore, è stato anche lui messo sotto processo mentre stava documentando quello che succedeva alla frontiera; [le manifestazioni in opposizione alle] violenze della polizia, agli abusi di potere… A partire da questa prima osservazione, la necessità che diventa centrale nel nostro progetto di pensare in modo desettorizzato. Se non fossimo arrivate a questa prima conclusione…il rischio era quello di riprodurre e rinforzare il discorso pro- o anti-migranti, cioè, avremmo fatto il gruppo pro-migranti, riproducendo il discorso che fa molto comodo alle destre xenofobe.
Quindi, il nostro lavoro è di ripensare la solidarietà come parola, come valore sociale, come pratica di resistenza. Ed è un lavoro che richiede una dimensione politica, che si fa in una dimensione politica. Ed è un lavoro indispensabile. Quello che diciamo noi è che una società solidale è un pleonasmo. Che cosa vuol dire? Dire “società solidale” è usare un’espressione sovrabbondante, che si forma con l’aggiunta di una parola o di un concetto che è già presente: la società è solidale, la società è legame. Diceva il sociologo francese Durkheim che la solidarietà corrisponde “a quei legami invisibili che legano tra di loro gli individui e che fanno in modo che la società resti unita”. Diceva che la solidarietà è il “cemento della società”.
Quindi parleremo, nel tempo che ci è dato, di solidarietà cercando di ricontestualizzare questa parola in modo storico; della solidarietà come pratica – quindi facendo una riflessione sull’organizzazione della solidarietà: che cosa vuol dire concretamente essere solidali nel 2018, nel mondo, nella società in cui viviamo; e poi avremo ovviamente il tempo di raccontarvi qualcosa in più proprio sulle tappe molto concrete del progetto di Solidarity watch che stiamo costruendo.
Il primo punto, dicevo, è un tentativo di ricontestualizzare la nozione, la parola solidarietà, in una prospettiva un po’ più storica, un po’ più lunga, per capire che cosa vuol dire oggi, nel 2018. Facciamo una premessa. Dicevo prima, siamo quattro ricercatrici, e stiamo facendo un dottorato in scienze politiche su temi diversi, però, ognuna di noi in realtà sta studiando – a partire da punti di vista lontani – i processi di costruzione di categorie di popolazione che dividono, creano delle frontiere all’accesso di questo o quell’altro gruppo di popolazione a determinati diritti, e sul ruolo che i governi e le istituzioni svolgano nella produzione e nella messa in atto, nella concretizzazione di queste frontiere giuridiche e amministrative. Dico questa cosa perché, per presentare la nostra riflessione, il nostro lavoro sulla solidarietà, dobbiamo per forza mostrare il legame tra queste due nozioni: “categoria” e “solidarietà”.
Allora, un pochino di storia, veramente una goccia. Guardiamo la questione dal punto di vista dello stato: la solidarietà dello stato, la solidarietà istituzionale. Lo stato sociale, nella sua costruzione, nasce come strumento che ha per obiettivo di mantenere lo status quo ed evitare le manifestazioni più estreme di disuguaglianza sociale. Il concetto di “assurance universelle” in francese – di garanzia universale – mira proprio a mantenere sotto un certo livello di rischio le disuguaglianze sociali, ridistribuendo determinate risorse. Questo ha funzionato, più o meno, finché c’è stata un’idea di stato sociale. E poi, poi arrivano le cosiddette crisi economiche, lo stato sociale si ripiega, e questa nozione di garanzia universale viene sostituita dall’idea, dalla nozione di assistenza selettiva. Perché? Perché in questo contesto, in particolare a partire dagli anni novanta, di ripiegamento dello stato sociale e di crisi economica – cioè del potere che si giustifica attraverso il discorso della crisi economica – è il modello del cosiddetto new public management che si impone nella gestione dello stato. Che cosa vuol dire? I teorici di questa teoria del new public management dicono che lo stato deve comportarsi come un’impresa privata, deve fare profitto. E quindi si comincia a selezionare sempre di più quei gruppi di persone che avranno un diritto. E si diffonde sempre di più, in parallelo – dinamica fondamentale per capire quello che diremo dopo -, si diffonde sempre di più un sistema fondato sul sospetto che queste popolazioni a cui accordiamo un certo diritto siano degli approfittatori. Visto che il new public management dice che lo stato deve fare profitto, bisogna stare attenti a distribuire il budget, queste risorse, solo a chi ne ha veramente bisogno, e quindi si va a selezionare sempre di più, sempre di più, sempre di più, delle parti sempre più fini e sottili di popolazione a cui attribuiremo queste risorse. E quindi si sospetta che i richiedenti asilo siano dei falsi richiedenti asilo – per no parlare di migranti, che in realtà sono sempre migranti economici che ne approfittano -, ma si sospetta anche che i disoccupati siano dei finti disoccupati, che chi chiede un aiuto per pagare la casa sia in realtà un approfittatore, eccetera eccetera.
Io ho detto prima che stiamo facendo di tutto, nel nostro progetto di Solidarity watch, per non restare ancorate a questa divisione pro/anti migranti. Adesso mi ritrovo a parlare di migranti: dicevo, i falsi e veri richiedenti asilo, eccetera. C’è un senso, se si parte da qui. C’è un senso perché c’è una specificità dei migranti, o meglio, c’è una specificità delle politiche migratorie. Qual è questa specificità? Le politiche migratorie sono un laboratorio, molto semplicemente, delle politiche neoliberali, delle politiche di sicurezza, delle politiche di restrizione o di negazione di diritti fondamentali, sociali, politici. Perché? Perché i migranti, come categorie che non ha voce, per definizione – pensate semplicemente al diritto di voto – sono la categoria di popolazione più facilmente attaccabile, la categoria sulla quale si possono testare delle pratiche liberticide, delle politiche liberticide. Quindi attenzione, quando si parla di politiche liberticide nei confronti dei migranti, questa cosa è uno specchio di quello che succede nelle nostre società a un livello molto più generale. La cosiddetta “crisi dei migranti” – questo non lo diciamo noi, lo dicono in tanti e in tante – è chiaramente una crisi delle nostre società.
L’ultimo punto, prima di dare la parola a Sarah. Parliamo di criminalizzazione di persone solidali, giusto? Quello che succede è che, se si pensa che delle persone assistite, che hanno – avrebbero – diritto, che hanno bisogno dell’aiuto dello stato, se si pensa che queste persone, secondo la logica del sospetto, approfittano del sistema, per forza di cosa, chi si mostra solidale con queste persone, cerca di aiutarle ad avere accesso a questi diritti è considerato come qualcuno che contribuisce a approfittare di queste poche risorse che lo stato dichiara di avere. E quindi c’è un legame molto chiaro e diretto tra la delegittimazione delle persone che chiedono l’aiuto dello stato – ancora una volta, non solo i migranti, i richiedenti asilo [, ma anche] i disoccupati, le persone che hanno bisogno di aiuto per la casa, eccetera – e la delegittimazione delle persone che si muovono, con gesti solidali di vario tipo per aiutare chi è delegittimato, chi [dovrebbe essere] aiutato dallo stato. E su questa nozione di delegittimazione e di criminalizzazione è Sarah che continua.
[Sarah Sajn]
Buongiorno. Il mio italiano non è buono, devo leggere un testo che abbimo scritto.
La questione della criminalizzazione della solidarietà, e quindi della delegittimazione di certe forme di solidarietà, solleva la questione della definizione e della forma dominante dell’organizzazione della solidarietà nei nostri paesi europei. Questa questione è profondamente politica. Ma spesso viene trattata in termini umanitari, e in modo molto settorizzato, in particolare perché ci sono delle figure professionali, dei ministeri, delle linee budgetarie, degli strumenti particolari…in funzione dei settori d’intervento dello Stato e delle categorie: migrazioni, sicurezza, ambiente, questioni sociali…
Ma è il funzionamento stesso della nostra società che è rimesso in questione, come diceva Chiara prima. Non è una questione di aspetti marginali, di settori particolari, o delle categorie di persone, perché la criminalizzazione della solidarietà tocca direttamente le regole e i criteri del nostro vivere insieme.
Per rispondere a questa sfida è quindi necessario uscire dalle categorie imposte.
È in particolar modo situandosi ai margini di ciò che è legittimo per lo stato che possiamo trovare delle forme di solidarietà che sono in rottura con le categorie imposte [e] che tendono a escludere le forme primarie di solidarietà, piuttosto che a includerle.
Alcune forme di solidarietà resistono, esistendo ai margini del riconoscimento da parte dello stato e costituiscono il terreno dove possiamo ripensare il nostro sistema di vita in comune. Ma attenzione perché si tende a pensare che delle forme individuali, auto-gestite, di solidarietà [pre-esistono] ai margini della solidarietà legittima definita dallo stato. In realtà, lo stato resta la forma più importante di organizzazione politica in Europa e continua ad avere il monopolio della violenza legittima. Questo è un punto importante della riflessione, perché lo stato controlla queste forme di solidarietà, di fatto, e ha il potere di distruggerle usando la violenza. Quello che vediamo in Francia in questi giorni è un uso disproporzionato della forza per reprimere dei movimenti sociali che tendono a convergere e a rimettere in causa le categorie [d’azione e di selezione delleapopolazione] usate dallo stato. Abbiamo studenti, degli operai; abbiamo la questione di questo aeroporto – non so se conoscete – Notre Dame de Landes [comune a 30 km dalla città di Nantes che vede una forte mobilitazione contro la costruzione di un nuovo aeroporto e in difesa della regione e dell’ambiente, violentemente repressa da parte forze dell’ordine.] Abbiamo molte forme di solidarietà che convergono e questo sembra essere un problema per lo stato.
Riprendendo le parole e la definizione di Gherardo Colombo che abbiamo ascoltato all’inizio di questo congresso: lui diceva che la solidarietà funziona su una comunità ristretta, e [attraverso l’identificazione di] un nemico; un Noi e un Loro. Dunque ci sono dei criteri per includere e escludere le persone, per definire chi merita di essere [incluso nei legami di] solidarietà. Ora, se torniamo alla questione degli “assistés” – delle persone assistite – dobbiamo chiederci chi abusa di questi legami [sociali]. Chi prende senza dare? Chi si serve delle risorse comuni per il suo proprio interesse? Chi approfitta delle risorse comuni per arricchirsi personalmente? E se guardiamo bene, non sono i più poveri, loro beneficiano – in proporzione, in volume, in euro, diciamo – poco della solidarietà. Quelli che sono i veri assistiti sono in realtà gli evasori fiscali e le multinazionali che beneficiano di tanto aiuto da parte dello stato e quindi della comunità. Ecco perché dobbiamo riappropriarci la solidarietà come nozione, come valore; ma anche riappropriarci i criteri che la definiscono. Non posso sviluppare, ma c’è sicuramente [in gioco] una questione di democrazia, alla fine. Chi decide di questi criteri?
Il nostro progetto richiede ambizione ma anche modestia. Evidentemente non pensiamo di essere le prime a pensare queste questioni, di essere più rivoluzionarie, di partire da zero. Abbiamo molti strumenti sviluppati dalla sociologia, dai partiti, sindacati, organizzazioni come la Rete…Sono in molti ad aver riflettuto sulla questione della solidarietà.
Oggi, quello che constatiamo non è facile[, ma deve farci reagire]. Le idee fasciste e le forme di solidarietà che queste idee propongono guadagnano terreno. Lo stiamo vedendo in tante elezioni in giro per l’Europa: le idee fasciste stanno ridefinendo la solidarietà, la sua organizzazione politica, i criteri identitari sui quali si fonda, cioè l’identità di gruppo. Per esempio, a marzo a Marsiglia ha aperto un centro che si chiama Bastione sociale, che si ispira all’esperienza italiana di Casapound e che propone un’azione di solidarietà nei confronti delle persone francesi, solo francesi, di cui lo stato non si occupa, in nome di quella che in francese viene chiamata la “priorità nazionale”. Usano il linguaggio umanitario che sentiamo usare dalle ONG e se non si fa attenzione, se non siamo vigilanti, sembrerebbe un discorso semplicemente umanitario.
Allora abbiamo un problema: qualcosa non ha funzionato [nelle idee] di sinistra.
Come diceva il filosofo Walter Benjamin, “dietro ogni fascismo, c’è una rivoluzione fallita”. Il fascismo si avvicina, stiamo attenti a non mancare il tempo della rivoluzione!
[Chiara Pettenella]
Concludo con due informazioni sull’evoluzione del nostro progetto.
L’idea è molto semplice. Sarebbe quella di legare le emozioni , il sentimento di ingiustizia quotidiano che tante persone vivono, a una riflessione politica [collettiva]. Questo è quello che vogliamo fare sul nostro sito di Soidarity watch che sarà ben presto online.
Come vogliamo farlo? Il fatto di cominciare dall’idea della criminalizzazione della solidarietà nei confronti migranti – anche se abbiamo detto che vogliamo uscire da questa logica di [opposizione tra] aiutare i migranti/non aiutare i migranti -, il fatto di cominciare da questo fatto, ci permetti di rimettere al centro delle cose un po’ essenziali come il diritto a mangiare, dormire, non avere freddo; poter partorire in un luogo normale anziché in mezzo alla neve attraversando le montagne; mangiare del cibo sano, bere dell’acqua pulita senza aver paura di ammalarci… I principi di base della vita! Ed è da lì che bisogna ripartire, chiaramente, per ricostruire i legami che uniscono tra di loro gli esseri umani che vivono su uno stesso territorio, che è la nostra definizione di società, indipendentemente da dove vengono. Quindi per rispondere alle domande che sollevava Sarah sull’organizzazione della solidarietà.
Sul sito, concretamente: partire dalla criminalizzazione della solidarietà significa, prima di tutto contare le persone che sono confrontate a questa delegittimazione, renderle visibili, anche per prendere coscienza del nostro potenziale di cambiamento rispetto a questi fenomeni di criminalizzazione della solidarietà – lo diceva Sarah -[, ristabilendo] dei criteri di solidarietà che non sono necessariamente quelli imposti dallo stato e che funzionano per categorie sempre più strette, sempre più sottili. Quindi ci sono tre cose che facciamo sul sito: la prima, è la costruzione di un database in cui raccogliamo nel modo più ampio possibile su scala europea i casi di criminalizzazione delle solidarietà; seconda cosa, raccogliamo testimonianze, cioè facciamo in modo di ricordare che questi fenomeni sono le storie di persone – dare dei volti e delle voci: quindi video, audio, racconti, immagini…; terza e ultima cosa, vogliamo proporre su questo sito delle analisi più concettuali, o più globali, con contributi di ricercatori, esperti, militanti, associazioni…che possono avere una visione più astratte e politica di queste problematiche.
E su questo ultimo punto concludo dicendo che vi ringraziamo tantissimo del vostro sostegno e del vostro aiuto anche economico, e che vorremmo chiedervi di partecipare. Cioè, questo lavoro che stiamo lanciando è un lavoro fatto collettivamente, [che si costruisce ]attraverso contributi – a partire da tanti punti di vista: militanti, politici, eccetera – che devono incontrarsi sul nostro sito per ridefinire la solidarietà come parola, coma valore sociale e come pratica. Abbiamo degli obiettivi grandissimi, l’utopia è la nostra parola d’ordine, e abbiamo tante piccole cose da fare. Per esempio, permettere a tante persone di tanti paesi europei di poter utilizzare la nostra piattaforma, e quindi un lavoro di traduzione di testi, di ricerca di testi in altre lingue – tutte le lingue dell’Europa… [Questo] spazio di scambio che esiterà solo se arriveranno contributi dalle persone più varie, compresi voi, quindi sentitevi assolutamente chiamati in causa.
Saremo molto felici di avere le vostre domande e commenti e vi ringraziamo molto.
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Per questo seminario non esiste una relazione scritta, ma potete vedere la relazione di Padre Zerai premendo sul comando sottostante
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