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Rete di Macerata maggio 2020

Lettera di maggio 2020 dalla Rete di Macerata Maria Cristina Angeletti

Sono confuso, ho paura, ho sbagliato.

Non dovevo usare quelle banconote false, ma ero disperato.

Sono seduto nella mia auto, so di essere nei guai. Li vedo dallo specchietto che si avvicinano.

Non mi muovo.

In quattro mi tirano fuori con la forza, mi spingono contro un muro, finisco a terra.

Quando mi rialzo mi strattonano, mi dicono che devo seguirli nella loro macchina, oppongo resistenza, mi trascinano via, cado di nuovo.

Sono agitato, in tre mi sono addosso. Uno di loro ha infilato il ginocchio tra la mia spalla e la testa. Mi schiaccia il collo, comincia a mancarmi l’aria.

Poco a poco i miei polmoni iniziano a buttare fuori quel poco di aria che ne è rimasta in circolo.

Ho paura, ma soprattutto ho fame di ossigeno e comincio a supplicare…

Fermati, fermati. Non ho fatto niente di serio… Per favore, per favore, non riesco a respirare.

Per favore amico, per favore.

Non riesco a respirare.

Non ri- e- sco – a – re – spi – ra – re.

Non ho più la forza di dir nulla…

Non riesco a muovermi.

Ho finito l’aria.

Ho finito…

Mi sento schiacciato,

mi fa male il collo,

mi fa male lo stomaco,

mi fa male il petto.

Tutto fa male.

Mi stanno uccidendo.

Sono morto.”

Cari amici,

George Floyd, una vittima di un abuso di potere e della violenza di un tutore della legge, era un essere umano, un figlio, un fratello, un marito, un padre. Che sia morto per asfissia causata dall’essere bloccato a terra dall’agente accusato del suo omicidio, o per le sue patologie pregresse (coronaropatia e ipertensione), sta di fatto che il suo decesso è stato provocato da quell’azione violenta. Il 46enne afro americano, ex buttafuori ora disoccupato, viene fermato dalla polizia di Minneapolis; Floyd avrebbe comprato le sigarette usando una banconota falsa, viene arrestato dalla polizia e fatto sdraiare con la faccia a terra nonostante non opponesse resistenza, i video girati dai passanti mostrano quattro agenti inginocchiati sul corpo di Floyd che si lamenta perché non respira. I quattro agenti coinvolti nell’arresto vengono licenziati, mentre quello che teneva il ginocchio sul collo di Floyd viene arrestato con l’accusa di omicidio. Vengono fatte due autopsie: una ufficiale che attribuisce il decesso a patologie pregresse, un’altra voluta dalla famiglia dichiara “ asfissia causata da compressione al collo e alla schiena”. La protesta contro le violenze della polizia di Minneapolis si diffonde in tutti gli USA, ma anche nel resto del mondo. Alcune diventano violente con feriti fino alla dichiarazione di coprifuoco in diverse città americane. Incendi, saccheggi nei negozi, scontri con la polizia continuano anche a distanza di giorni dal fatto. Avvengono aggressioni sui poliziotti. In tanti manifestano pacificamente, anche alcuni poliziotti.

Per morire soffocato o riportare danni irreparabili, un adulto in buona salute impiega tra i 4 e i 6 minuti. George Floyd, un omone di quasi due metri, ha resistito 9 minuti, 540 secondi con un ginocchio che gli schiacciava il collo mentre disperato continuava a dire che non poteva respirare. E il suo aggressore non era un criminale comune. No. Era un poliziotto. O almeno questo diceva il suo distintivo. Invece questo individuo ha assistito alla sua fine con le mani in tasca. Eppure quello che stava morendo sotto al suo sguardo non era uno sconosciuto ma, secondo indiscrezioni, una persona con cui, quando non indossava ancora la divisa, aveva anche lavorato, erano addetti alla sicurezza in un live club.

Un agente di polizia bianco che stava uccidendo un uomo nero sogghignando e guardando l’obiettivo di uno smartphone che immortalava per sempre quell’orrore.

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