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Rete di Quarrata Marzo 2021

Lettera Marzo 2021

Carissima, carissimo,
quando una società può dirsi giusta? Una domanda che ognuno di noi dovrebbe porsi per trovare il suo piccolo-grande contributo da dare alla realizzazione di un mondo migliore.
La nostra Costituzione, all’articolo 3 recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge” ed anche che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.
La giustizia sociale si intreccia inevitabilmente con le opportunità economiche e la libertà. Concetti questi, tutti relativamente recenti. Appartiene infatti al dibattito moderno la riflessione sulla giustizia sociale perché nella pratica, riguarda soprattutto il mondo post rivoluzione industriale nel quale lo sviluppo economico ha determinato la crescita esponenziale delle differenze tra le persone, in particolare in termini di opportunità.
La giustizia sociale più che un obiettivo, dovrebbe essere una metodologia di lavoro della politica e di tutte le istituzioni mondiali chiamate a decisioni che incideranno sulla vita dei cittadini. Giustizia sociale non è solo un insieme di diritti e doveri di ordine sociale; è anche – e soprattutto – la realizzazione della libertà delle persone: libertà dalla fame, dalla povertà, dall’ignoranza, dalla disoccupazione. E’ un concetto dinamico che cambia con la società, è un percorso storico culturale, che avanza con il raggiungimento del benessere collettivo e non certo con quello di pochi.
Per i cristiani invece, il tema della giustizia sociale è parte integrante della loro stessa fede: la carità e la condivisione sono le principali forze propulsive per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera e la manifestazione concreta e operativa dell’amore è la forza straordinaria che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della lotta alle ingiustizie sociali e della affermazione della pace per realizzare una piena e completa dignità di ogni persona oltre che per la difesa della nostra Madre Terra.
Papa Francesco ha spesso affrontato questi temi, a lui molto cari, sottolineando come il problema della povertà non sia solo della Chiesa. Oggi è anche un problema dei singoli e delle comunità. Bergoglio ha ricordato più volte come non può esserci giustizia sociale “che possa fondarsi sull’iniquità” rappresentata dalla “concentrazione della ricchezza” e ha poi insistito sul valore del lavoro come mezzo di liberazione dalla povertà e dalle disuguaglianze: “la precarietà uccide la dignità, uccide la salute, uccide la famiglia”.
Dopo la crisi finanziaria, il terrorismo e la pandemia è ormai evidente come tutto il mondo sia interconnesso. Questo richiede un cambio di prospettiva e l’aggiunta di un ulteriore termine: giustizia sociale globale. Cresce l’impegno sociale dei giovani. A certificarlo è la Conferenza nazionale del servizio civile. C’è un boom di domande presentate. Urge aumentare i posti messi a disposizione. Accogliere giovani al servizio della comunità rende la nostra società più giusta e umana, creando un’empatia contagiosa.
Leggo che sono 125.286 le domande di partecipazione al Servizio civile universale presentate, un numero altissimo, a ennesima dimostrazione della disponibilità dei giovani a impegnarsi. Record di domande significa anche forte varietà di condizioni sociali, culturali, territoriali dei giovani. Le nuove generazioni prendono sul serio l’obiettivo del Servizio civile universale per conoscere i veri bisogni delle comunità, cosa che i politici dovrebbero non solo accogliere ma sostenere nei loro programmi. La pratica favorisce la conoscenza e la realtà dei problemi del Paese. Il Servizio ancora una volta raccoglie l’entusiasmo dei giovani. La loro voglia di darsi da fare. Di contribuire a costruire una società più giusta, inclusiva, resiliente e incentiva il protagonismo attivo nei territori. Un anno di pandemia ha fortemente condizionato e limitato le esperienze formative e relazionali. Il boom di domande è un messaggio esplicito. Il nuovo governo è chiamato a farsene carico. Sosteniamoli, non deludiamoli.
Il tempo quaresimale ci domanda di ritornare all’essenziale. Per molte delle grandi cose bastano poche parole. Le cose essenziali parlano da sé, sono opere, gesti che racchiudono un’eloquenza più grande. Non possono essere sostituite o mascherate con un discorso – anche se fosse molto bello. Le opere hanno il loro peso. Generano le parole, ma solo per toccarci, per arrivare in fondo al nostro cuore. Il resto è solo un’interpretazione. Non si devono confondere le opere coi fatti. I fatti sono la realtà che vediamo da fuori. Le opere – i frutti delle nostre azioni – scendono più a fondo. Non possono essere pienamente visibili. Ciò che facciamo deve arrivare nella nostra parte più profonda perché è destinata ad operare e trasformare. Nessuna delle nostre opere rimane indifferente. Tutte portano con sé conseguenze di cui non sempre ci accorgiamo. Le parole non potranno mai avere la forza delle opere. Possono solo raccontarle, interpretarle. Ma non basteranno mai.
Il Vangelo vive di questo rapporto opere-parole. Il testo di Marco che stiamo leggendo in queste settimane di Quaresima ne è uno degli esempi migliori: riduce le parole per mettere in rilievo le opere di Gesù. Anche le sue parole sono sempre inserite in un contesto operativo. La vita di Gesù non è nient’altro che la pratica del Vangelo annunciato e vissuto, quel vangelo che papa Francesco ha tolto dal cassetto e ce lo ripropone continuamente per praticarlo non per raccontarlo come una storiella. Per questo Gesù vive, agisce piuttosto che parlare. Le sue parole risultano dalle sue opere, le accompagnano. Buona Pasqua. Antonio

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