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Lettera Ottobre 2022

Carissima, carissimo,
sabato 9 settembre dal palco della 29a Marcia per la Giustizia di Quarrata, si è alzato forte il grido: si metta fine a questa guerra, facciamo tacere le armi, siamo di fronte ad una crudeltà senza fine, disumana e insensata. Sono ormai 59 le guerre in atto tra locali, regionali e tra Stati.
Oggi urge riappropriarci delle proprie decisioni, partecipando ad un nuovo progetto culturale comune. E’ durante le crisi che la cultura ci permette di guardare lontano.
Il divario tra ricchi e poveri si allarga sempre di più; ormai siamo all’incredibile, sono quasi 3.000 le persone che hanno ricchezze quanto 7 miliardi degli attuali 8 miliardi che abitano la Madre Terra.
Il Grido dei poveri sale sempre più insopportabile e imprevedibile. Siamo incamminati verso un precipizio che ha tanti nomi.
Il primo è la sempre più lontana auspicata coesione sociale proprio quella che servirebbe a neutralizzare le crescenti tensioni sociali. Lo scandalo delle disuguaglianze viene in gran parte dallla speculazione finanziaria che ha come scopo primario il guadagno facile come scopo fondante, da qui una strage che non terminera mai.
Oggi dobbiamo rimettere la dignità umana al centro e su questo pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno.
Urge costruire una nuova fratellanza, il filosofo francese Morin, diceva che “creare fratellanza è l’unico mezzo per resistere alla crudeltà del mondo”. Questa fraternità va consapevolmente coltivata, creando una volontà politica di vera fraternità, per un vero e duraturo dialogo, per scoprire la reciprocità e il mutuo arricchimento attraverso nuovi valori.
All’interno dell’attuale contesto da tempo l’uomo massa ha rinunciato al suo ruolo attivo all’interno del processo democratico, le masse sono completamente distratte dai loro desideri ed i partiti sono il sottoprodotto dell’omologazione e del conformismo. Non a caso una stragrande maggioranza di cittadini ha deciso deliberatamente di esprimere il proprio dissenso boicottando le urne elettorali. Nessuno è capace di ascoltare il dissenso, o meglio è più opportuno ignorarlo.
Non bisogna sottovalutare la capacità della società dei consumi, nel momento in cui viene messa in discussione da atteggiamenti e comportamenti capaci di minare la sua sopravvivenza, di riuscire con un abile stratagemma a rendere inoffensivo il dissenso fagocitandolo e assorbendolo al suo interno. In sostanza ogni forma di protesta, è stata abilmente in questi anni assorbita dal sistema e riutilizzata come strumento per la sua riproduzione. Siamo una società che stiamo generando puro consumo per pochi. Perché questa corsa sempre più tesa versa il consumo? Perché abbiamo sposato il fondamentalismo della crescita.
Urge iniziare a coltivare un sogno, non c’è più tempo! La mia non è una profezia, è solo l’inizio di un pensare che andiamo verso un mondo finito…
Ma allo stesso tempo urge la volontà, il desiderio, la forza e l’impegno che deve essere possibile interrompere questo circolo infinito: produzione-consumo.
Dobbiamo lavorare nuovamente e solertemente per una rivalutazione della politica, per una restituzione ai poveri e alla Madre Terra e resistere, per uscire dalla prigionia dell’impero del consumo dell’accumulazione.
Per questo le azioni individuali possono avere importanti conseguenze ed influenzare il corso della storia umana.Partendo da questa considerazione, non essendo più i Partiti e le loro Leadership, il motore del cambiamento, è necessario, impegno di ogni singolo per convincere le persone che il “sempre di più” non porta ad un benessere superiore, ma che lo stesso benessere può essere raggiunto con meno.
Lo sviluppo delle ingiustizie è direttamente proporzionale alla Società della crescita, i cui membri spinti dal produttivismo esasperato, perdono di vista ogni tipo di coscienza diventando perfino complici della distruzione dell’Ecosistema.
Anche se il futuro è imprevedibile non possiamo ignorare le evidenze del momento, per questo è importante uscire dall’ indifferentismo generalizzato tipico dell’uomo massa, e creare le basi per una ricostruzione dell’immaginario basato su un nuovo modello partecipativo e un luogo d’ascolto e costruzione, in cui sia utile porre le basi organizzative per unire le piazze allo scopo di partecipare realmente ad una nuova società, respingendo il mito storico dell’utilità e del progresso e riscoprire che la felicità dell’uomo non passa dal vivere molto per consumare molto, ma dal vivere bene in relazione con gli altri uomini e donne e la Madre Terra, per questo urge che condividiamo con chi non ha.
Scrivo oggi martedì 11 ottobre, la stessa di sessanta anni fa, il 1962 fu la data che segnò l’inizio del principale evento ecclesiale del XX secolo.
Sessanta anni fa, nella basilica di San Pietro, Giovanni XXIII avvia il Concilio ecumenico Vaticano II. Per conferire nuova vitalità alla Chiesa. Ed aprire nuove vie nel dialogo ecumenico.
Le modalità di attuazione del Concilio sono state profondamente diverse nelle varie parti del mondo, le Chiese più giovani e più povere dei Paesi del Sud del mondo hanno saputo recepire in modo più creativo e innovativo il messaggio conciliare. In Europa, in particolare, la sfida della secolarizzazione e dell’individualismo radicale ha reso più difficile l’accoglienza di quel vento di rinnovamento comunitario originato dal Concilio. Ma anche nelle chiese del Sud America e dell’Africa si presentano oggi sfide altrettanto insidiose, una mancanza di lettura politica del messaggio conciliare, ha lasciato inevasa una domanda di religiosità popolare. Che è stata invece interpretata dal diffondersi di miriadi di Chiese evangeliche pentecostali e del loro radicarsi negli strati più popolari che stanno ostacolando Lula per la corsa alla presidenza.
Non a caso il papa Francesco ha voluto aprire il Giubileo della misericordia -ancor prima che a Roma, a San Pietro- nella cattedrale di Bangui. Capitale della Repubblica Centroafricana.
Penso all’ecumenismo e al dialogo interreligioso, alla custodia del Creato e l’ecologia integrale,all’accoglienza dei immigrati e la convivenza interculturale, alla collegialità nella Chiesa e l’apertura verso i divorziati, infine; la presa di distanza da ogni forma di potere.
Si tratta di prospettive che sono legate tra loro da fondamentali principi: l’inclusione, la comprensione, l’uguaglianza nella dignità e la misericordia. Al quinto Convegno nazionale della Chiesa italiana a Firenze Francesco ha dichiarato con forza il suo no ad una Chiesa ossessionata dal potere. E ha aggiunto, significativamente, che gli piace una Chiesa italiana inquieta. Sempre più vicina agli abbandonati. ai dimenticati, agli imperfetti. Quindi, Francesco non ha certo modificato i principi fondamentali della dottrina della Chiesa, ma ha saputo presentarli non come dogmi lontani dalla vita delle persone. Bensì come vie per trovare un significato pieno alla propria vita, credenti e non credenti.
Papa Francesco appare in tutto e per tutto figlio del Concilio, non può vantare di essere stato uno dei padri conciliari. Ma forse, proprio per questo, è in grado di realizzare le novità conciliari nella loro interezza e integrità, arricchendole, a sessant’anni di distanza, di una ulteriore carica profetica e innovativa contro il fondamentalismo della crescita.
Antonio

CIRCOLARE NAZIONALE OTTOBRE 2022

LA CARTA DELLA RETE

La Rete Radié Resch si avvicina rapidamente al suo sessantesimo compleanno. Sarebbe ipocrita negare che inizia a mostrare i segni dell’età. Molti amici non ci sono più. Molti altri, che non abdicano al proprio impegno, sono invecchiati: il tempo, le energie e le motivazioni calano fisiologicamente. Anche la raccolta dell’autotassazione diminuisce. Ciò che è più grave, abbiamo fallito il ricambio generazionale. A Varese, la Rete locale si è ricostituita nel 2007: nei quindici anni trascorsi da allora, ai Coordinamenti si sono viste ben poche “facce nuove”. Fa eccezione la nuova Rete di Lecco, la cui nascita ci è stata comunicata allo scorso Coordinamento. Ma è comunque presto per pensare ad un’inversione di tendenza. La difficoltà di trovare tre persone disponibili ad assumersi l’incarico della Segreteria ha condotto, di necessità, all’esperienza della Segreteria Laboratorio, con una maggiore suddivisione dei compiti e delle incombenze. L’esperimento si è rivelato molto positivo, sia perché ha consentito di rispondere comunque a tutte le esigenze organizzative, sia perché ha coinvolto persone che mai sarebbero entrate in una Segreteria “tradizionale”. Non dobbiamo, però, nasconderci che la soluzione è stata dettata dall’emergenza.

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Eppure, le urgenze che hanno interpellato Ettore Masina, inducendolo a fondare la Rete, non sono certo cessate. In Palestina, in Sud e Centro America, in molti Paesi dell’Africa, abbiamo semmai assistito ad un arretramento dei diritti e delle opportunità. Non solo: anche nel nostro Paese, che una volta consideravamo “ricco”, sono emersi nuovi bisogni, sia legati ed un generale impoverimento economico, sociale, spirituale, sia dovuti ai flussi migratori dal Sud del Mondo, certo non nuovi ma aumentati in quantità e, ancora di più, in percezione. Difficile dire se abbiamo sbagliato noi o, più semplicemente, sono cambiati i tempi. Da un lato, forse, negli ultimi due decenni la Rete si è dimostrata meno aperta al nuovo, meno accogliente, meno stimolante per chi la avvicina. Dall’altro, le modalità di comunicazione sono cambiate con una velocità che ci ha sorpreso. Dalla circolare stampata a ciclostile e diffusa per posta, siamo passati, in pochi anni, ed internet ed ai social network: una realtà della comunicazione fluida e pressoché impermeabile a qualsiasi velleità di analisi articolata e di ragionamento complesso.

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Tutto ciò ha indotto il Coordinamento ad interrogarsi, a più riprese, sul senso del nostro fare solidarietà. Il dibattito è stato acceso e, sinora, non ha portato a conclusioni definitive. Sono emerseè veroalcune soluzioni, certamente interlocutorie, ma che dimostrano comunque che la Rete è, e resta, in cammino. Oltre alla Segreteria Laboratorio, ad esempio, molti cambiamenti hanno interessato la gestione del denaro: forte (e condivisa dagli amici che si sono succeduti nella Tesoreria) è stata soprattutto l’esigenza di razionalizzare e rendere più trasparente il flusso, in entrata, dell’autotassazione e quello, in uscita, del finanziamento delle nostre operazioni. A proposito: nell’ultimo Coordinamento, gran parte dei presenti si è pronunciata a favore del vecchio nome e non di quello, più burocratico, di “progetti”.
Sono sorte, invece, difficoltà nella fase dell’approvazione e del rinnovo delle operazioni. Da un lato, infatti, la diminuzione delle risorse imporrebbe più rigore ed attenzione. Dall’altro, le proposte che ci giungono dai referenti sono numerose e variegate; inoltre, sono in parte mutati sia il contenuto delle possibili operazioni, che le modalità con cui esse ci vengono sottoposte. Inevitabile, dunque, chiedersi se i criteri definiti, ormai molti anni fa, grazie al contributo della Rete di Cagliari, siano ancora attuali. Per tutte queste ragioni, il Coordinamento tenutosi a Pescia nello scorso mese di giugno ha stabilito di creare un documento scritto, che sintetizzi i principi fondanti della Rete ed elenchi i criteri generali a cui dovrà ispirarsi il suo futuro operare.

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E’ facile comprendere la difficoltà di una simile operazione: da un lato, infatti, la Rete è sempre stata ostile ad ogni tentativo di formalizzazione; dall’altro, vi aderiscono persone con principi, ideali e sensibilità molto diverse. Oggi, però, si sente forte la necessità di creare un documento agile e sintetico, da utilizzare per spiegare “chi siamo”, sia a chi potrebbe essere interessato ad aderire, sia alle organizzazioni con cui potremmo essere chiamati a collaborare sia, infine, ai referenti delle operazioni presenti e future. Inoltre, è necessario rivedere i criteri del nostro operato, soprattutto per fare in modo che l’approvazione, il rinnovo e la gestione delle operazioni garantisca una giusta parità di trattamento tra tutte le comunità in cui esse si svolgono. Per tutte queste ragioni, è stata creata una Commissione, a cui è stato affidato il compito di una prima stesura del documento. La Commissione ha stabilito di presentare al Coordinamento la prima parte di tale documento, contenente l’enunciazione dei principi generali, riservandosi di predisporre la seconda, solo dopo che la prima avrà ricevuto una definitiva approvazione. La questione è stata affrontata nello scorso Coordinamento di Sezano: i partecipanti hanno formulato numerose osservazioni, precisazioni e proposte di modifica. La Commissione ha, quindi, ricevuto il mandato di rielaborare il documento, alla luce di tutti tali contributi, per sottoporre il testo definitivo di questa prima parte allapprovazione del prossimo Coordinamento. In essa saranno descritti le origini, lo scopo e la struttura della Rete e, tenendo conto di tutti i contributi ricevuti, saranno enunciati alcuni aspetti fondanti, come il generale ricorso al metodo del consenso, l’importanza delle relazioni sia all’interno della Rete che con i referenti delle operazioni, l’attività politica e di controinformazione, il significato ed il contenuto delle operazioni e, infine, l’importanza della restituzione, non solo economica ed i criteri di gestione del denaro.
La speranza è quella di fornire a tutti noi uno strumento semplice ed agile che esprima il senso del nostro fare solidarietà.


Marco Rete di Varese

Ciao a tutti, vi giro un allegato con notizie da Haiti (purtroppo drammatiche) che mi arrivano tramite l’associazione ABC solidarietà e pace di Roma che ha un referente sull’isola.
Valentina
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Cari amici 13 OTTOBRE 2022

Le conseguenze della mancanza di carburanti in Haiti si fanno sentire sempre di piu. Da un paio di settimane si parla anche di colera che si manifesta ovviamente dove la gente non ha facile accesso all’acqua potabile, quindi in bidonville, nelle prigioni e persino in ospedali. E una bomba pronta ad esplodere inesorabilmente che potrebbe causare la morte di migliaia di persone se non si riesce ad arginare la cosa in maniera decisa.

Pero continua purtroppo il blocco quasi totale delle attivita in tutto il paese da 5 settimane, da quando il governo provvisorio ha deciso di aumentare il prezzo dei carburanti anche piu del doppio. Questo ha scatenato il malcontento della popolazione che da allora e scesa per le strade e ha bloccato tutte le attivita con manifestazioni, barricate infiammate, saccheggi e attacchi a strutture statali sia qui nella capitale che in quasi tutte le citta di provincia. Le bande di criminali che controllano ormai il 70% della capitale, si fanno passare per dei Che Guevara che lottano per la liberazione del paese mentre invece approfittano della situazione per cercare di occupare indisturbati altre zone della capitale. C’e per esempio la potente banda di un certo IZO, la stessa banda che controlla l’uscita sud della capitale, la famosa Martissant, e da quasi un’anno applica tariffe su macchine, camion, bus e persino moto per riuscire a passare da quella zona e andare verso il sud del paese. Venerdi scorso, via mare con delle barche di fortuna, hanno invaso una zona a nord della capitale, a 10 Km da dove siamo noi. Hanno gia cominciato a seminare il terrore fra gli abitanti della zona e infatti centinaia di famiglie sono scappate verso il nord e altrettante sono arrivate nella nostra zona e in altre zone della capitale. La prima vittima della banda di IZO e la “minoterie”, l’unica fabbrica dove si produce farina e derivati vari nel paese, quindi le conseguenze si faranno sentire presto. Manchera pane ma anche altri derivati tipo il mais, il bulgar (diversi grani integrali insieme) e il pitimi (millet).

A quanto si dice ‘per le strade’ l’intenzione della banda di IZO e quella di occupare la zona di Canahan, bidonville che ha visto la luce dopo il terremoto del 2010, una vasta zona occupata ormai da migliaia di famiglie e da dove arrivano anche molti dei nostri bambini. E una zona strategica che permetterebbe il controllo su tutto il traffico in uscita e entrata della capitale. Ovviamente le famiglie in tutta questa vasta zona teme un’invasione di questa banda reputata crudele. La presenza della polizia in tutto questo e zero. Queste bande hanno armi che nemmeno la polizia ha.

Venerdi scorso, 8 Ottobre, il governo provvisorio ha inoltrato una richiesta ufficiale alle Nazioni Unite per un aiuto militare internazionale che possa arginare la criminalita, portare la calma necessaria per poter organizzare elezioni e cercare di far ripartire il paese. L’opposizione politica vede in questo la volonta del primo ministro provvisorio di restare al potere e per ora non appoggia la cosa, anzi, manipola l’opinione pubbica contro forze militari straniere e da Lunedi le manifestazioni hanno preso un tono violento anche contro I ‘bianchi’, americani soprattutto, e il ricordo del colera, portato dalle forze delle Nazionio Unite nel tempo del terribile terremoto del 2010, e ancora vivido nella coscenza popolare.

Quindi, clima di totale anarchia, mancanza di carburanti che blocca di fatto tutte le attivita del paese, un’economia bloccata dall’impossibilita di trasportare le mercanzie, violenza, sequestri di persona che continuano tuttora, manifestazioni violente, saccheggi e ora il ritorno del colera, stanno creando una vera e propria crisi umanitaria in un paese che e perennemente in crisi. Donne, vecchi e bambini sono I piu vulnerabili e pagano il prezzo di tutto questo in silenzio e rassegnazione.

Ovviamente con questo clima sociale che peggiora di giorno in giorno, non si parla nemmeno della riapertura delle scuole, e questo vale per tutto il paese. Anche la scuola di Jeremie e costretta a restare chiusa. Nei paesi di provincia c’e vera carestia di tutto. Riso, olio, sardine, spaghetti, aringhe e tante altre cose si trovano a prezzi esorbitanti. Per esempio il riso costava circa 480 Dollari Haitiani fino a fine Agosto e ora costa 1250 Dollari Haitiani, e non si trova facilmente perche I trasporti dalla capitale sono quasi nulli. Sono le 6h30 del mattino, e ancora buio, aspettimao di vedere cosa succede oggi. La paura recente dalle nostre parti e che questa banda di IZO decida di scendere velocemente verso questa zona. Il capo della banda locale, Chien Mechant (cane cattivo) sta gia mobilizzando le sue truppe posizionandole in punti strategici e facendo questo ha bloccato completamente la zona e nemmeno le moto possono passare da Lunedi.

In tutto queste le donne che fanno le ambulanti, camminano kilometri ogni giorno per cercare di trovare cose da vendere tipo pane, frutta, biscotti, sapone, polvere da bucato, spezie, cipolle, carote e tante altre cose per continuare a vendere e guadagnare qualcosa. Queste ambulanti sono una vera benedizione e in questo momento difficile riusciamo a comprare il necessario per dar da mangiare a tutti gli anziani e dipendenti e occupanti della Missione, me compreso. Abbiamo due pozzi d’acqua alla missione, acqua usata per tutti I bisogni pero non siamo sicuri che sia buona da bere e quindi compriamo acqua ‘trattata’ da una piccola fabbrica di ghiaccio e acqua della zona ma hanno chiuso 10 giorni fa e da allora non e facile trovarla ma per ora non e un problema.

Ovvimente penso tanto ai bambini che non possono venire a scuola e agli insegnanti che continuiamo a pagare malgrado tutto. Non e colpa loro per quello che sta succedendo e non dare lo stipendio sarebbe crudele. Sono 110 fra insegnanti e membri delle varie Direzioni. Per ora va bene cosi ma se la situazione perdura vedro cosa fare.

Tutti qui alla Missione dicono che e la prima volta che vivono una situazione del genere. Certo, I problemi in Haiti non mancano mai ma una situazione cosi grave, c’est du jamais vu, anche per gli Haitiani stessi. Sono qui dal 1994 e anche per me e di gran lunga la peggiore crisi che il paese sta vivendo. Spero comunque che una soluzione salta fuori entro breve e che si possa riprendere le attivita. Vi ringrazio di continuare a essere vicini alla missione e vi chiedo di non abbandonarci proprio in questo momento critico. Nel corso degli anni ho constatato in prima persona quanto sia reale la forza della preghiera, dei pensieri positivi, della premurosa ‘attenzione’. Spesso sono un po timido a parlare di questo ma oggi chiedo le vostre preghiere per noi tutti e spero che la mia prossima lettere non sia il solito tragico bollettino di guerra.

Grazie per tutto, Maurizio

José Nain: nel territorio mapuche invaso dalle imprese forestali, solo il dialogo risolverà il conflitto

Claudia Fanti 25/09/2022, 19:13

Tratto da: Adista Notizie n° 33 del 01/10/2022

41222 SANTIAGO DEL CILE-ADISTA. Solo qualche mese fa le forze della destra cilena – screditate e messe all’angolo dalla rivolta antigovernativa del 2019 e poi dal “plebiscito di entrata” del 2020 sulla nuova Costituzione, con il successivo avvio dei lavori della Convenzione costituzionale (per di più presieduta da una attivista mapuche e con forte partecipazione dei movimenti sociali) – non avrebbero mai potuto immaginare, neanche nei loro sogni più felici, che il cosiddetto “plebiscito di uscita” avrebbe restituito loro il protagonismo che avevano perso. Perché è chiaro che, dopo la clamorosa sconfitta dell’Apruebo – il Cile è il primo Paese della storia a respingere una proposta di Costituzione scritta da un organismo eletto dal voto popolare –, si trovano ora decisamente in una posizione di forza per negoziare la continuità del processo costituzionale.

E se un accordo sembrava ormai raggiunto attorno alla proposta di affidare il compito di elaborare una nuova Costituzione a un organismo interamente eletto dal popolo, con parità di genere, con la presenza di rappresentanti indigeni e di indipendenti e con il sostegno di un comitato di esperti, la coalizione di destra Chile Vamos lo ha di fatto sconfessato, prendendosi altro tempo per presentare le proprie proposte. Le quali sembra che includano, tra altre cose, proprio l’eliminazione di quel principio di plurinazionalità che era stato uno dei tratti innovativi della Costituzione bocciata.

Una pessima notizia per il popolo mapuche, già molto tiepido, perlomeno in una sua parte consistente, nei confronti del processo di redazione di una nuova Costituzione, in parte per l’assenza di informazioni e in parte per il peso esercitato dal movimento più radicale di lotta per l’autodeterminazione, con il suo esplicito rifiuto del processo costituente in quanto tale.

Ne abbiamo parlato con José Nain Pérez, rappresentante delle comunità mapuche della provincia di Temuco unite nell’Associazione Folilko, in lotta per il recupero del territorio, l’espulsione delle imprese forestali e la promozione di un dialogo costruttivo, in uguaglianza di condizioni, con lo Stato cileno. 

Tra le ragioni della bocciatura della nuova Costituzione c’è stato il timore che la costruzione di uno Stato plurinazionale potesse provocare la divisione del Paese. Eppure, nei Paesi che hanno riconosciuto la plurinazionalità non c’è mai stato tale rischio…

La destra politica ed economica si è molto allarmata di fronte al testo della nuova Costituzione. Perché il riconoscimento dei popoli indigeni, per la prima volta dopo più di due secoli, avrebbe comportato da parte dello Stato cileno l’avvio di un processo di restituzione dei nostri diritti territoriali, economici, sociali e culturali. Esiste una miopia trasversale della classe politica cilena, la quale, ogniqualvolta si parla del debito storico contratto con i popoli originari, si mette sulla difensiva come se ciò rappresentasse una minaccia per lo stato di diritto e per le sue istituzioni. E ciò malgrado i progressi raggiunti nel mondo in materia di diritti indigeni, a livello tanto di Nazioni Unite quanto di Organizzazione degli Stati Americani.

D’altro lato, per le organizzazioni più radicali, la plurinazionalità lascia intatti gli interessi del grande capitale nel Wallmapu, senza favorire il recupero del territorio e l’autodeterminazione…

In realtà, al di là del concetto assai ampio di plurinazionalità, la proposta di Costituzione riconosceva il diritto alle terre, ai territori, alle risorse naturali, alla giustizia indigena, obbligando lo Stato a realizzare politiche di riparazione del danno. Sarebbe stato un importante passo avanti in vista di un negoziato tra Stato cileno e nazione mapuche per una possibile soluzione del conflitto. Quello che è chiaro è che il popolo mapuche e le imprese forestali non possono coesistere nello stesso territorio e che ad andarsene devono essere le imprese, le quali hanno provocato un danno irreparabile alla biodiversità e agli ecosistemi, hanno impoverito, isolato ed espulso le nostre comunità e hanno determinato la scomposizione del tessuto socio-culturale del nostro popolo.

In cosa ha sbagliato la Convenzione costituzionale?

Penso che abbia peccato di ingenuità e di esperienza politica. Perché, nella misura in cui avanzava nel riconoscimento dei diritti sociali e nell’ambito delle riforme strutturali, non si rendeva conto che la destra stava preparando un’imboscata e che occorreva rispondere con un’adeguata strategia comunicativa.

Perché non tutti i mapuche hanno votato per l’“Apruebo?”

Ci sono mapuche della linea più radicale che non sono andati a votare, nella convinzione che il conflitto possa risolversi con la ribellione. A mio avviso si tratta di un’utopia: è un’azione legittima, ma nella pratica non produce alcun progresso nella riconquista dei nostri diritti.

Ci sono poi i mapuche che si sono schierati con il Rechazo. Ma non è una sorpresa per le nostre comunità, perché si tratta di mapuche nati in città, immersi nel consumismo capitalista e diventati militanti dei partiti politici, senza alcun radicamento nella madre terra e senza legame con il proprio popolo e la propria cultura. Ragionano come cileni e basta, vittime di un colonialismo feroce che li ha condotti a rinunciare ai propri diritti come popolo. Molto diversa è invece la visione di noi che viviamo nelle comunità, che soffriamo la mancanza d’acqua e la perdita di biodiversità, che dipendiamo dalla terra e da ciò che essa produce, che parliamo la nostra lingua, pratichiamo la nostra cultura e lottiamo permanentemente per la restituzione delle nostre terre e dei nostri luoghi sacri.

Di quanto appoggio godono le organizzazioni armate come il Coordinamento delle Comunità in Conflitto Arauco-Malleco (Cam)?

Negli ultimi anni le organizzazioni mapuche hanno a poco a poco radicalizzato la loro posizione, come risposta all’incapacità dello stato cileno di assumersi la propria responsabilità politica nel conflitto: è stata la latitanza dei partiti e della classe politica in generale, con le sue espressioni discriminatorie e razziste, a indurre i giovani mapuche a prendere le armi come misura di pressione. Tuttavia questa pratica non gode di grande consenso tra le organizzazioni tradizionali della nazione mapuche, le cui autorità sono consapevoli che non solo la via armata non risolverà il conflitto, ma, al contrario, potrebbe addirittura aggravarlo, sacrificando la vita di molti giovani. Secondo le autorità mapuche, questa è una questione di carattere politico e va risolta attraverso il dialogo e con una forte volontà da parte dello Stato e delle sue istituzioni.

Qual è la migliore forma di lotta per il recupero del territorio e la conquista dell’autodeterminazione?

Credo che il popolo mapuche debba avviare un processo di riorganizzazione interna, respingere ogni forma di colonialismo e qualsiasi ingerenza esterna e avanzare verso l’unificazione politica. Solo così potrà affrontare nelle condizioni migliori un processo di dialogo franco con lo stato attorno a un piano di azione che porti al ritiro delle imprese forestali e minerarie e di altri invasori dai territori indigeni e al riconoscimento del diritto all’autodeterminazione, come via per garantire la pace nel Wallmapu.

I sabotaggi contro l’industria forestale, idroelettrica, mineraria sono legittimi?

Le imprese forestali si sono introdotte nel nostro territorio con il sostegno dello Stato e della dittatura di Pinochet. La loro presenza, la presenza dello Stato cileno nel nostro territorio, sono viste dal popolo mapuche come un’azione di invasione e di occupazione militare, nel segno della violenza e del genocidio. In questo quadro il sabotaggio deve essere uno strumento deciso dalle comunità e non da piccoli gruppi armati che pretendono di sostituirsi alle nostre autorità tradizionali. Ritengo però che la lotta mapuche debba svolgersi mediante l’azione politica e la mobilitazione sociale, non mettendo a repentaglio vite umane con il ricorso alle armi. Perché, trovandoci di fronte a uno Stato militarmente potente e aggressivo, il rischio è quello di un massacro delle nostre comunità.

Come valuti il governo Boric?

La sua vittoria era stata vista come una svolta storica rispetto alla vecchia, corrotta e screditata politica dei governi precedenti, e le aspettative che aveva generato erano enormi. La sua leadership, però, sta perdendo forza e questo mette in pericolo il suo programma di governo, indebolendo la sua azione in materia di giustizia, di diritti sociali, di riconoscimento dei popoli indigeni. La pressione della destra politica ed economica gli ha impedito di portare avanti la sua agenda, soprattutto in relazione al conflitto in territorio mapuche, che è ancora sotto il controllo dell’esercito cileno nel quadro dello stato d’eccezione costituzionale.

Che succederà ora?

La polarizzazione del Paese mostra quanto sia fragile la democrazia. La vittoria del Rechazo ha rafforzato la destra conservatrice e pertanto saranno i partiti di destra a fissare l’agenda per un possibile nuovo processo costituente. In realtà è difficile capire cosa passi per la testa dei cileni, che prima hanno lottato per cambiare la Costituzione e poi, di fronte al nuovo testo, lo hanno bocciato.

È il momento che il presidente Boric prenda il toro per le corna e guidi un nuovo processo costituzionale coerente con i principi del suo programma, incorporando i popoli indigeni come soggetti di diritti.

 

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