Rete di Quarrata Ottobre 2022
Lettera Ottobre 2022
Carissima, carissimo,
sabato 9 settembre dal palco della 29a Marcia per la Giustizia di Quarrata, si è alzato forte il grido: si metta fine a questa guerra, facciamo tacere le armi, siamo di fronte ad una crudeltà senza fine, disumana e insensata. Sono ormai 59 le guerre in atto tra locali, regionali e tra Stati.
Oggi urge riappropriarci delle proprie decisioni, partecipando ad un nuovo progetto culturale comune. E’ durante le crisi che la cultura ci permette di guardare lontano.
Il divario tra ricchi e poveri si allarga sempre di più; ormai siamo all’incredibile, sono quasi 3.000 le persone che hanno ricchezze quanto 7 miliardi degli attuali 8 miliardi che abitano la Madre Terra.
Il Grido dei poveri sale sempre più insopportabile e imprevedibile. Siamo incamminati verso un precipizio che ha tanti nomi.
Il primo è la sempre più lontana auspicata coesione sociale proprio quella che servirebbe a neutralizzare le crescenti tensioni sociali. Lo scandalo delle disuguaglianze viene in gran parte dallla speculazione finanziaria che ha come scopo primario il guadagno facile come scopo fondante, da qui una strage che non terminera mai.
Oggi dobbiamo rimettere la dignità umana al centro e su questo pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno.
Urge costruire una nuova fratellanza, il filosofo francese Morin, diceva che “creare fratellanza è l’unico mezzo per resistere alla crudeltà del mondo”. Questa fraternità va consapevolmente coltivata, creando una volontà politica di vera fraternità, per un vero e duraturo dialogo, per scoprire la reciprocità e il mutuo arricchimento attraverso nuovi valori.
All’interno dell’attuale contesto da tempo l’uomo massa ha rinunciato al suo ruolo attivo all’interno del processo democratico, le masse sono completamente distratte dai loro desideri ed i partiti sono il sottoprodotto dell’omologazione e del conformismo. Non a caso una stragrande maggioranza di cittadini ha deciso deliberatamente di esprimere il proprio dissenso boicottando le urne elettorali. Nessuno è capace di ascoltare il dissenso, o meglio è più opportuno ignorarlo.
Non bisogna sottovalutare la capacità della società dei consumi, nel momento in cui viene messa in discussione da atteggiamenti e comportamenti capaci di minare la sua sopravvivenza, di riuscire con un abile stratagemma a rendere inoffensivo il dissenso fagocitandolo e assorbendolo al suo interno. In sostanza ogni forma di protesta, è stata abilmente in questi anni assorbita dal sistema e riutilizzata come strumento per la sua riproduzione. Siamo una società che stiamo generando puro consumo per pochi. Perché questa corsa sempre più tesa versa il consumo? Perché abbiamo sposato il fondamentalismo della crescita.
Urge iniziare a coltivare un sogno, non c’è più tempo! La mia non è una profezia, è solo l’inizio di un pensare che andiamo verso un mondo finito…
Ma allo stesso tempo urge la volontà, il desiderio, la forza e l’impegno che deve essere possibile interrompere questo circolo infinito: produzione-consumo.
Dobbiamo lavorare nuovamente e solertemente per una rivalutazione della politica, per una restituzione ai poveri e alla Madre Terra e resistere, per uscire dalla prigionia dell’impero del consumo dell’accumulazione.
Per questo le azioni individuali possono avere importanti conseguenze ed influenzare il corso della storia umana.Partendo da questa considerazione, non essendo più i Partiti e le loro Leadership, il motore del cambiamento, è necessario, impegno di ogni singolo per convincere le persone che il “sempre di più” non porta ad un benessere superiore, ma che lo stesso benessere può essere raggiunto con meno.
Lo sviluppo delle ingiustizie è direttamente proporzionale alla Società della crescita, i cui membri spinti dal produttivismo esasperato, perdono di vista ogni tipo di coscienza diventando perfino complici della distruzione dell’Ecosistema.
Anche se il futuro è imprevedibile non possiamo ignorare le evidenze del momento, per questo è importante uscire dall’ indifferentismo generalizzato tipico dell’uomo massa, e creare le basi per una ricostruzione dell’immaginario basato su un nuovo modello partecipativo e un luogo d’ascolto e costruzione, in cui sia utile porre le basi organizzative per unire le piazze allo scopo di partecipare realmente ad una nuova società, respingendo il mito storico dell’utilità e del progresso e riscoprire che la felicità dell’uomo non passa dal vivere molto per consumare molto, ma dal vivere bene in relazione con gli altri uomini e donne e la Madre Terra, per questo urge che condividiamo con chi non ha.
Scrivo oggi martedì 11 ottobre, la stessa di sessanta anni fa, il 1962 fu la data che segnò l’inizio del principale evento ecclesiale del XX secolo.
Sessanta anni fa, nella basilica di San Pietro, Giovanni XXIII avvia il Concilio ecumenico Vaticano II. Per conferire nuova vitalità alla Chiesa. Ed aprire nuove vie nel dialogo ecumenico.
Le modalità di attuazione del Concilio sono state profondamente diverse nelle varie parti del mondo, le Chiese più giovani e più povere dei Paesi del Sud del mondo hanno saputo recepire in modo più creativo e innovativo il messaggio conciliare. In Europa, in particolare, la sfida della secolarizzazione e dell’individualismo radicale ha reso più difficile l’accoglienza di quel vento di rinnovamento comunitario originato dal Concilio. Ma anche nelle chiese del Sud America e dell’Africa si presentano oggi sfide altrettanto insidiose, una mancanza di lettura politica del messaggio conciliare, ha lasciato inevasa una domanda di religiosità popolare. Che è stata invece interpretata dal diffondersi di miriadi di Chiese evangeliche pentecostali e del loro radicarsi negli strati più popolari che stanno ostacolando Lula per la corsa alla presidenza.
Non a caso il papa Francesco ha voluto aprire il Giubileo della misericordia -ancor prima che a Roma, a San Pietro- nella cattedrale di Bangui. Capitale della Repubblica Centroafricana.
Penso all’ecumenismo e al dialogo interreligioso, alla custodia del Creato e l’ecologia integrale,all’accoglienza dei immigrati e la convivenza interculturale, alla collegialità nella Chiesa e l’apertura verso i divorziati, infine; la presa di distanza da ogni forma di potere.
Si tratta di prospettive che sono legate tra loro da fondamentali principi: l’inclusione, la comprensione, l’uguaglianza nella dignità e la misericordia. Al quinto Convegno nazionale della Chiesa italiana a Firenze Francesco ha dichiarato con forza il suo no ad una Chiesa ossessionata dal potere. E ha aggiunto, significativamente, che gli piace una Chiesa italiana inquieta. Sempre più vicina agli abbandonati. ai dimenticati, agli imperfetti. Quindi, Francesco non ha certo modificato i principi fondamentali della dottrina della Chiesa, ma ha saputo presentarli non come dogmi lontani dalla vita delle persone. Bensì come vie per trovare un significato pieno alla propria vita, credenti e non credenti.
Papa Francesco appare in tutto e per tutto figlio del Concilio, non può vantare di essere stato uno dei padri conciliari. Ma forse, proprio per questo, è in grado di realizzare le novità conciliari nella loro interezza e integrità, arricchendole, a sessant’anni di distanza, di una ulteriore carica profetica e innovativa contro il fondamentalismo della crescita.
Antonio