Essere parte della Rete Radiè Resch non può che essere, oggi, per donne e uomini di speranza.

Speranza di intessere relazioni umane significative con coloro che si incontrano, speranza di collaborare concretamente nella giustizia verso un mondo più equo, speranza nella possibilità di umanizzare l’umanità.

Internet oggi ci permette di essere in una connessione perenne e di essere informati su ciò che accade molto lontano e vicino a noi. Sono notizie che entrano nel campo della nostra attenzione, ma accade che il loro valore, la loro significatività dipenda poi da molti fattori: ad esempio può diventare realmente significativa se conosciamo in qualche modo le persone coinvolte, se è possibile che accada anche a noi, può dipendere da cosa ne pensano i nostri amici, ma anche se abbiamo la pancia piena, se stiamo bene in salute…

Ecco… in questo tempo colgo in me – e in molte persone che mi sono vicine – che l’abbondanza di notizie che mi arrivano amplificate dai media, a cui posso aggiungere quelle che cerco per la personale sete di “controinformazione”, il più delle volte sortisce l’effetto non voluto di una spiacevole ansia.

La propaganda della guerra così vicina al cuore dell’Europa, la siccità che avanza e colpisce popoli che non potranno più abitare le terre dei loro avi, i racconti delle donne in Iran, la subalternità dell’Italia a chiunque prometta un rinnovamento economico di cui sappiamo già il prezzo, la distruzione di tanta parte di foresta amazzonica e dei popoli indigeni, ancora i morti nel Mediterraneo, ma anche la Bolivia, Haiti, Taiwan, il Corno d’Africa, e tutto ciò che conosciamo anche dai nostri testimoni sono solo alcune delle realtà che ci raggiungono quotidianamente.

Le risposte individuali alla conoscenza di tante sofferenze possono essere diverse: indifferenza, immobilismo, catastrofismo, ma anche eco ansia, con paura del futuro e rinuncia alla speranza per la preoccupazione degli scenari ambientali.

Alcuni di noi (del gruppo di Torino) lavorano con i più giovani e gli emarginati nel campo della salute mentale: le sofferenze individuali tendono a chiudere lo sguardo ad un sociale più allargato e la partecipazione non è più uno strumento di denuncia. Una “lettura“ del significato dei tagli che i ragazzi infliggono ai loro corpi indica proprio come sia un modo di affermare una qualche volontà, non esprimibile nel sociale, ma solo su di sé.

Come non farsi invadere dalla contemporaneità di tanto male? Come non rifugiarsi nel “piccolo giardino privato”?

Ciascuno di noi avrà certo la propria risposta.

Coltivare la bellezza nei gesti quotidiani. Essere pronti a relazionarsi con tutti in pace. Guardare ai gruppi e alle comunità che si sentono protagonisti del futuro, giovani e meno giovani. Approfondire il proprio credo religioso. Stare in ascolto per cogliere l’energia delle comunità “resistenti“. Frequentare bambini piccoli.

Quali altri modi, oggi, per moltiplicare la speranza? Condividiamoli… “La speranza è come una strada nei campi, non c’è mai stata una strada, ma quando molte persone vi camminano la strada prende forma“ (Yutang Lin)

Luciana Gaudino, Rete Torino e dintorni

Carissima, carissimo
alcune settimane si è celebrata la giornata sul cibo, secondo l’indagine, gettiamo in media 524,1 grammi pro capite a settimana, ovvero circa 75 grammi di cibo al giorno e 27,253 kg annui: ca il 12% in meno rispetto alla medesima indagine del 2022 (595,3 grammi settimanali). Un dato che si accentua a sud (+ 8% di spreco rispetto alla media nazionale) e per le famiglie senza figli (+ 38% rispetto alla media italiana). Nella hit degli alimenti più spesso sprecati svetta la frutta fresca (24 grammi settimanali), quotidianamente quindi gettiamo circa 3,4 grammi di frutta al giorno e 2,3 di pane: in un anno poco più e poco meno di 1 kg pro capite; nella hit anche insalata, verdure, aglio e cipolle. Uno spreco di cibo che secondo l’agroeconomista Andrea Segrè, fondatore di Spreco Zero, vale complessivamente 6,48 miliardi € solo nelle nostre case. Nel 2022 sono andate sprecate invece nella filiera italiana oltre 4 milioni di tonnellate di cibo (per la precisione 4.240340 tonnellate), per un valore complessivo nella filiera italiana dello spreco di € 9.301.215.981. Uno spreco del cibo di filiera che pesa al 26% in agricoltura, al 28% nell’industria e all’8% nella distribuzione.
Di fronte a ciò il nostro problema più grande non è economico, non è politico, non è ideologico né religioso. Il nostro problema più grande è la mancanza di sensibilità per i nostri simili. Non sentiamo il loro grido di dolore, non vediamo la mano tesa che aspetta del cibo, non vediamo nemmeno i loro occhi supplicanti. Passiamo oltre le sofferenze che vediamo nella strada, come biblicamente hanno fatto il levita e il sacerdote nella parabola del buon samaritano. C’è voluto un samaritano disprezzato per interrompere il suo viaggio, averne compassione, guarire le sue ferite e portarlo all’osteria, lasciando tutto pagato e se ne aveva ancora bisogno, avrebbe pagato al suo ritorno. Chi è qui il prossimo, chiese il Maestro: è sempre e unicamente  il fratello ferito che ha bisogno di un altro fratello che lo aiuti.
Il nostro problema più grande non è economico, non è politico, non è ideologico né religioso. Il nostro problema più grande è la mancanza di sensibilità per gli schiavizzati, per gli impoveriti”. Perchè non sentiamo il loro grido di dolore, non vediamo la mano tesa che aspetta del cibo, non vediamo nemmeno i loro occhi supplicanti.
Noi cristiani oggi siamo solo cristiani culturali che non hanno imparato nulla del Gesù storico che è sempre stato dalla parte della vita, dei poveri, dei ciechi, degli zoppi e dei disprezzati. Ecco perché c’è così tanta disuguaglianza sociale, la più grande del mondo. Perché manca la sensibilità, la solidarietà, il senso umano, quello di trattare umanamente un altro essere umano, suo fratello e sua sorella.
Oggi si dice che il sale non è salutare e viene considerato nocivo per la salute dell’uomo. L’espressione “essere sale” assume quindi una connotazione non del tutto positiva. Non c’è da stupirsi: in tempi in cui l’indolenza e la futilità la fanno da padrone, è preferibile non essere espressivi, non avere gusto – per non rischiare di incorrere in un rifiuto. Evitando di esporci il più possibile, alla lunga le nostre qualità si affievoliscono. Non solo non entrano in conflitto con gli altri, ma sono anche facili da modellare a seconda delle esigenze di questi ultimi sentendoci continuamente autoassolti.
Lo stesso vale per quanto riguarda la luce; averla in modo così facile, spesso schiacciando un semplice pulsante di uno dei numerosi dispositivi di cui disponiamo, non ci rende realmente consapevoli di questo bagno di luce in cui siamo continuamente immersi. Proprio per questo la luminosità della notte può essere equiparata a quella del giorno e spesso ci troviamo a viverla come se fosse tale. La presenza costante di luce o di qualche oggetto luminoso intorno a noi ci dà un senso di sicurezza, ma allo stesso tempo raccoglie e danneggia anche l’intimità. Di conseguenza, a volte preferiamo fuggire dalla luce, ridurla, in modo da creare uno stato d’animo di cui l’oscurità è una componente frequente.
Come possiamo praticare e comprendere la forza di queste due cose di cui spesso non ci rendiamo conto dell’importanza che hanno per ognuno di noi, l’essere il sale della terra e la luce del mondo?La risposta si pone su due livelli. Sul primo si può notare che oggi questo grido è decisamente fuori luogo. Non piace a molte persone e ambienti perché disturba la pace e i loro interessi. Per molte delle forze che operano nel mondo, la mancanza di gusto e l’eccesso di luce sono molto vantaggiosi perché confondono, deviano e fanno si che possano prosperare il loro interessi.
In Italia i clochard sono 96 mila secondo l’ultima rilevazione Istat. Nell’immaginario collettivo i clochard sembrano individui senza volto né identità. In Italia sono morti di freddo 28 senza fissa dimora in tre settimane. Il 2023 è iniziato con una strage di innocenti ai margini della società. In questa sconvolgente si succedono tragedie sconosciute al mondo come quella di Younous Gueye Cherif, 52 anni, ucciso a Milano dalle temperature killer della notte gelida. Di lui tutto ciò che resta è un giaciglio di cartoni e coperte. A pochi passi dalla stazione percorsa ogni giorno da migliaia di pendolari. Fuori dal dormitorio del mezzanino di Milano Centrale sono decine i clochard che rischiano la vita. A soccorrerli sono gruppi solidali di volontari come i City Angels. Altri due senzatetto che si riparavano in strada come Younous sono morti nei giorni precedenti. In 22 giorni del nuovo anno le vittime di questa strage silente sono 28 in tutta Italia di cui 9 in Lombardia).
E’ stato necessario il viaggio di papa Francesco perchè i media dedicassero qualche attenzione per il Congo, dove migliaia di bambini sono sfruttati nelle miniere a cui si dedicano  40.000 bambini e adolescenti. Si dice che per ogni chilogrammo di coltan estratto nella Repubblica Democratica del Congo (RdC) muoiano due persone. E secondo uno studio dell’Institut d’études de sécurité dell’ottobre 2021, all’estrazione della maggior parte del coltan congolese si dedicano oltre quarantamila bambini e adolescenti. Il sottosuolo congolese è ricco di diamanti (la RdC è al quarto posto al mondo per quantitativi di diamanti estratti), oro (sedicesimo posto), ma ancor più significativa è la presenza di cobalto, rame e coltan, tre minerali sempre più importanti per i processi di produzione tecnologica. Ciononostante, la Repubblica Democratica del Congo è tra le cinque nazioni più povere del mondo secondo i dati UNDP: nel 2021 il 64 per cento circa della popolazione, poco meno di 60 milioni di persone, viveva con meno di 2,15 dollari al giorno. D’altronde, in buona parte proprio a causa di queste immense ricchezze del sottosuolo, è dal 1994 che quasi senza sosta il Paese è scosso da guerre civili e feroci conflitti con Stati confinanti, costati milioni di morti.
«Questo Paese immenso e pieno di vita, questo diaframma d’Africa, colpito dalla violenza come da un pugno nello stomaco, sembra da tempo senza respiro» ha detto papa Francesco al suo arrivo il 31 gennaio a Kinshasa; aggiungendo poi che «si è giunti al paradosso che i frutti della sua terra lo rendono straniero ai suoi abitanti. Il veleno dell’avidità ha reso i suoi diamanti insanguinati».
Un dramma generato dall’avidità «davanti al quale il mondo economicamente più progredito chiude spesso gli occhi, le orecchie e la bocca. Ma questo Paese e questo Continente meritano di essere rispettati e ascoltati, meritano spazio e attenzione». Un gesto forte come un viaggio di una delle poche voci forti che si levano contro le ingiustizie e lo sfruttamento dei più deboli, nella speranza che le luci sul Congo non si spengano ancora una volta subito dopo.
Antonio

Carissima, carissimo,
è uscito in questi giorni l’Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo. Quante cose sono cambiate in questi 12 mesi? C’è una guerra vicina, la Russia ha invaso l’Ucraina, stato sovrano in nome della liberazione dei popoli e della guerra al nazismo. E’ strano, ora è diventata la scusa per una guerra che mette in discussione tutto: equilibri, diritti e ambiente.
Quante cose sono cambiate in 12 mesi?
Il mondo è diverso, inutile negarlo, siamo tornati indietro sulle questioni ambientali, su tutto ciò che stavamo facendo per fermare i cambiamento climatico., abbattere l’inquinamento e frenare lo sfruttamento delle risorse. Nel 2022 l’inquinamento causato dalla guerra in Ucraina renderà l’atmosfera più pesante e satura. Pensate: un aereo militare consuma fino a 16.000 litri di carburante l’ora. Quanta CO2 rilascia nell’aria? Poi, la paura di restare di restare senza energia per il taglio di forniture di gas e di petrolio all’Europa e per le speculazioni nate attorno alle materie prime ha fatto riaprire all’istante le centrali a carbone e a petrolio e ha rimesso al centro del dibattito il possibile rilancio dell’energia atomica.
Infine, gli eserciti si sono riposizionati, riarmati, hanno riaffermato il loro ruolo. Ogni briciola di cooperazione internazionale è stata bruciata dalle bombe in Ucraina, dai missili nello Yemen, in Siria, dai colpi di stato in Africa e Asia. I fatti parlano chiaro, sono li, visibili.La Cina rivendica spazio e schiera la flotta per controllare il mar della Cina e riprendersi Taiwan. Gli Stati Uniti riposizionano le sue sei flotte e fanno nuove alleanze con Australi e regno Unito per controllare l’Oceano Pacifico. L’Unione Europea mette in campo una nuova brigata di pronto intervento e i singoli Paesi decidono di usare il 2% del PIL per riarmarsi.
Quante cose sono cambiate in un anno? Tante se si pensa ai diritti perduti, poche, se contiamo chi ancora muore di fame, cioè  più di 800milioni di esseri umani. Se pensiamo che un miliardo di persone vivono con 2 dollari al giorno.
Nel suo rapporto annuale di gennaio a Davos, Oxfam ha denunciato che nel mondo 2.153 miliardari detengono più ricchezza di 4,6 miliardi di persone, circa il 60% della popolazione globale.
Questi ultimi 12 mesi ci hanno tolto il fiato, sono arrivato come un uragano a rendere ancora più drammatico il tempo della pandemia da Covid-19, che non è passato, ma è ancora presente con il suo carico di morte e dolore.
Mai come in questi ultimi mesi, l’idea di un cambiamento necessario e inevitabile si è fatto strada. E’ un cambiamento che deve passare da ognuno di noi, dalle scelte che facciamo ogni giorno.Passa da modo pratico che ognuno di noi ha, di guardare ciò che accade.
Dobbiamo cambiare strumenti, parametri, dobbiamo valutare ciò che accade non con la logica di sistema, con la geopolitica che tutto spiega e giustifica. Proviamo a fare un salto in avanti. mettiamo al centro la visione della geografia dei diritti, stabilendo quali relazioni avere e che tipo di cooperazione mettere in campo sulla base del rispetto reciproco, dei diritti umani in ogni loro forma.
A tutt’oggi ragioniamo come ai tempi degli imperi e dei nazionalismi sfrenati.
Tutto è connesso ormai. Tranne noi. E questa mancanza di connessione con gli altri ci spaventa, ci fa sentire insicuri.
Una insicurezza che diventa lo strumento fondamentale di chi ci vuole convincere che dobbiamo armarci di più, consumare di più. odiare di più.
Il 2022 è stato un anno lungo,un anno di cambiamenti, trasformiamolo nel primo di tanti futuri, anni migliori.
Nel 2023 bisogna vigilare sui diritti. Perché rischiano di rotolare in un fosso.
I diritti delle donne e le libertà che hanno conquistato. I diritti degli omosessuali e di tutti quelli che una mentalità fascista ritiene “sbagliati”. Bisogna non staccare mai gli occhi dai Migranti. La legge dell’accoglienza è la garanzia di un Paese felice, il suo rifiuto è la via per un Paese infelice. Servono visionari e visionarie. La politica che ha il passo dell’anatra ci porta in un precipizio. Serve mettersi in volo.
La sinistra con le sue gelosie interne, ha favorito questo tempo buio. Se non si ripensa e non trova una forza creativa e critica contribuirà a rendere l’Italia un Paese infelice. La “questione morale” posta da Enrico Berlinguer va rimessa al centro dei loro programmi.
Oggi c’è una classe politica che sembra non conoscere quella “bellezza morale” di cui parlava Pierpaolo Pasolini. Che la sinistra, quando serviva, la sapeva criticare eccome! Chiunque ama la democrazia oggi deve “gridare le sue sconvenienti verità” come scriveva Maria Zambrano della poesia.
Su tutte le porte delle nostre città va attaccato un cartello: ”Cercasi visionari. Urgente”.
Antonio

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