CIRCOLARE NAZIONALE MAGGIO 2022
LA MERAVIGLIA DEL SILENZIO
Giorni addietro ho proposto a scuola l’albo illustrato “ La meraviglia del silenzio”.
Dopo la lettura, stimolando la conversazione tra i bambini sul significato delle parole MERAVIGLIA e SILENZIO, una piccola di quattro anni è intervenuta dicendo:
“ Il silenzio è una cosa che ti fa un po’ innamorare”
Esterefatta!
Per giorni ho pensato a quelle parole e con la mente sono approdata in miei viaggi diversi, che, però, avevano un denominatore comune: la mensa fatta di sguardi.
Repubblica Centroafricana. Nella savana, durante una formazione alle maestre del luogo, che parlavano solo sango, sono stata invitata insieme a Carola, dalle stesse a pranzo.
Ognuna di loro ha portato la sua migliore stoviglia da casa per offrirla a noi bianche. Si è pranzato sotto il baobab tra silenzio ed emozione.
Palestina, At – tuwani, Durante un viaggio della Rete, la moglie di Afez, che parlava solo arabo, ci ha accolto con la sua zuppa in ciotole di latta, ceramica e legno. Ognuno di noi sorseggiava con lo sguardo negli occhi dell’altro.
Iran, Isfahan. Nell’immensa piazza una donna, che parlava solo farsi, con la sua famiglia mi chiede di sedermi accanto a lei, con Pier e Ludovica, per condividere la sua cena, in una magica serata estiva. Accetto, mi siedo e piango.
Attimi fatti solo di sguardi, di sorrisi, di parole ( fortunatamente ) non potute dire; attimi fatti d’ innamoramento di un istante che imprime in modo indelebile il tuo io: perché invitare qualcuno a mensa è un atto di profonda fiducia nell’ altro.
Significa desiderare di stare insieme nella condivisione e ancora una volta credere nella relazione.
SIMONA
CIRCOLARE NAZIONALE APRILE 2022 da casa MASINA
Carissimi mi emoziona molto scrivere una circolare per la Rete.
Forse voi non ve lo ricordate ma per me e per Ettore voi siete sempre stati i veri fratelli di elezione, e quando abbiamo lasciato la rete abbiamo pianto.
I veri fratelli sono quelli con cui condividiamo le idee e anche se ho sofferto quest’inverno per la perdita di tre fratelli di carne voi siete sempre quelli con cui mi sento in sintonia.
Avrei voluto partecipare al coordinamento di Savona. Sono una Ligure.
Mi manca il mio mare, mi mancano i profumi della maggiorana e di tutte le erbe odorose selvatiche che mi inebriavano nelle mie passeggiate infantili sulla Capra Zoppa o sulla collina delle Manie sopra Finalpia.
Mi mancano le sabbie delle arene candide, che forse voi non avete mai visto, che arrivavano dall’Africa fino alle grotte, dove noi bambini con una candela e un cordino ci addentravamo da veri incoscienti.
Lascio ora la “ saudade ” per fare discorsi più seri.
Io come sapete non sono una esperta di politica come era Ettore e come è Pietro.
Perciò ho inviato una riflessione di Pietro sulla guerra in Ucraina e una di Emilio su Guerra e Psicoanalisi.
Cosa posso dire a voi? Credo che in questi giorni sentendo le varie discussioni nei media noi ci stiamo rendendo conto che noi siamo stati privilegiati come Rete perché le discussioni che dividono le varie correnti politiche noi le abbiamo già affrontate da anni, le abbiamo condivise, le abbiamo assimilate e hanno cambiato il nostro modo di vivere.
Ettore e i tanti collaboratori che lo hanno aiutato, e che poi lo hanno sostituito, da tanti anni hanno saputo affrontare problemi difficili, e spesso hanno avuto il coraggio di andare contro le opinioni di persone che amavano o di altre che li hanno danneggiati perché non accettavano di assecondare i loro comportamenti corrotti. Quando sono stata a Rimini con Pietro mi sono molto rallegrata che la Rete fosse ancora viva e tante persone anche giovani portassero avanti ideali alti ma difficili.
Da tanti anni abbiamo insieme previsto quello che ora è sotto gli occhi di tutti con le sue conseguenze catastrofiche, che si vuole limitare con una emozionalità pietosa e superficiale a una singola guerra come quella dell’Ucraina, mentre è tutto l’assetto del mondo che va cambiato.
Cerchiamo di ricordarci quanto sia grande il patrimonio culturale che abbiamo costruito in comune anche con momenti di buio e di sofferenza spesso prima di avere soluzioni da proporre.
Noi abbiamo capito quanto gli imperialismi e i nazionalismi fanatici siano portatori di morte non solo ai più poveri ma anche agli stessi ideologi , vi ricordate la signora Goebbels che non poteva vivere in un mondo senza Hitler, e vi ricordate le foto dei suoi sei bambini avvelenati e sdraiati davanti al bunker di Hitler?
Noi siamo in grado di riconoscere ogni forma di imperialismo anche quando sta appena nascendo, e non è poco questa capacità di riconoscere un fenomeno sul nascere quando molti ancora non lo vedono.
Noi non siamo contro ogni tipo di guerra ma siamo contro la fabbrica delle armi: la guerra la ammettiamo solo come sfogo della nostra aggressività come si fa nelle arti marziali.
Giochiamo alla guerra con pistole ad acqua , dipingiamoci la faccia di nero come si fa in certi rituali indigeni per far paura agli avversari. Sono gli armamenti che non vogliamo più costruire.
Sono le armi che costano miliardi che arricchiscono i potenti della terra che portano la guerra: cosa serve la difesa dei nostri aerei costosissimi se l’avversario , che magari sa di stare per morire, sgancia con un desiderio di suicidio collettivo una bomba atomica? Un giornalista dell’Avvenire che non so perché detestava Ettore, tanti anni fa scrisse un articolo dicendo che le pistole erano neutre e diventavano armi solo se le si usava. No le armi sono armi anche se non le usiamo, perché con i soldi degli armamenti si rimetterebbe a posto tutto il nostro continente. Si potrebbe vivere come nel paradiso terrestre circondati nei nostri giardini da colibri e uccelli del paradiso che cinguettano all’alba per svegliarci.
Circolano nel mondo tantissimi soldi che ora servono solo a pochi ricchi di fare altri soldi con investimenti finanziari velocissimi, soldi svalutando il lavoro umano che non è solo una fonte di guadagno ma dà senso alle nostre vite. Si potrebbe fare scuole, disinquinare gli oceani da plastiche e rifiuti , si potrebbe aumentare la capacità della ricerca, si potrebbero istruire tanti poveri ignoranti, che non per colpa loro, sostengono che le fabbriche delle armi procurano lavoro. “ Ma signora ”, mi ha detto l’altro ieri un operaio che ho incontrato dal ferramenta, “ lo sa che in Italia le fabbriche di armi danno lavoro a 150 mila persone ? ”.
Ettore invano da parlamentare ha cercato di tramutare la produzione di armi in pentole a pressione e invano a cercato di far passare una legge che impediva che i paesi aiutati dalla cooperazione comprassero dall’Italia armi con pagamenti uguali ai soldi che venivano elargiti.
E’ inutile che vi ricordi quello che sapete meglio di me riguardo alla distruzione delle foreste, alla possibile mancanza di ossigeno per tutta l’umanità, alla carenza probabile di acqua, alla distruzione dell’habitat di tante specie animali che non solo impoveriscono il pianeta ma che portano i virus con salti di specie a cercare la loro casa nell’uomo.
Su questi punti voi ne sapete molto più di me, noi avevamo solo intuito i primi accenni di coscienza ambientale e voi state portando avanti quello che era meno chiaro anni fa.
In questi giorni noi dobbiamo soprattutto pensare di salvare il pianeta.
Sto leggendo e comprando libri di Stefano Mancuso sull’importanza di riforestare il mondo.
Con mia grande sorpresa, ho letto in “ L’ incredibile viaggio delle piante ” di questo autore che a Hiroshima alcuni bambini di un asilo si sono salvati dalle radiazioni della bomba atomica perché l’asilo era coperto da alberi e che intorno a Cernobyl c’è una foresta rossa perché le piante hanno trattenuto le radiazioni della centrale. Se fossi venuta a Savona, ma ho 88 anni e sono troppo vecchia per viaggiare da sola, avrei chiesto a tutti voi di convogliare dei soldi per piantare alberi.
Non vi scrivo per darvi consigli ma perché continuiate ad avere fiducia in voi e speranza nell’uomo. Come nell’emergenza Covid si sono costruiti vaccini in un anno, quando prima ne occorrevano almeno quattro, se gli uomini di buona volontà vogliono possono trovare soluzioni ancora non immaginabili attualmente.
Noi abbiamo avuto tanta paura ai tempi della guerra in Italia, temevano le leggi razziali di Mussolini, temevano che il male avrebbe vinto il bene, ma non è stato così e non sarà mai così anche se a volte abbiamo la tentazione di crederlo.
Ci sono aspetti di crescita del male nel mondo ma la coscienza globale sta maturando, dobbiamo avere fede. Un amico esperto di Sud Sudan ci ha raccontato che pochi anni fa uno stregone era stato sepolto vivo perché aveva previsto una pioggia che non era arrivata. Oggi i social, che per certi versi aborrisco e non so usare, però permettono più di prima che si venga a conoscenza di tante aberrazioni, come quelle dei bambini che in Congo scavano a mani nude nei cunicoli di fango per cercare il cobalto necessario per le pile delle automobili elettriche.
Nel mondo ci sono tante realtà terribili che una volta venivano tenute nascoste e che oggi si cerca in tutti i modi di celare o di ritrasmettere in maniera menzognera, ma noi non dobbiamo permettere la propagazione delle bugie. Oggi chi vuol sapere che cosa accade nel mondo può farlo facilmente ed è soprattutto lo svelamento delle azioni malefiche che è temuto da chi le compie ma che è il solo modo per ostacolarle.
Io sono quasi alla fine del mio viaggio ma sono una donna felice perché ho partorito figli come voi, migliori di me e posso andarmene in pace. Abbiate speranza. Vi abbraccio
Clotilde
Seguendo il dibattito sulla guerra in Ucraina gli psicoanalisti due o tre cose le possono dire, e sono cose legate fra loro.
Primo: trovarsi a prendere decisioni, come l’invio di armi a uno dei Paesi belligeranti, in condizioni di emergenza, quando la sollecitazione emozionale è massima non è mai un buon affare. In queste condizioni, la razionalità rischia di essere travolta e di non fare argine alla tensione angosciosa. Si tende infatti ad appiattire la complessità della realtà su dimensioni estreme, come nelle curve degli stadi: amico/nemico, eroe o disertore, arrendersi o combattere. Le differenze fra fatti e persone sono minimizzate e si procede per ampie generalizzazioni, il dialogo con l’altro, e fra parti di sé, viene interrotto; la mente entra in una modalità autoritaria. Se non c’è tempo per pensare le emozioni, la scarica liberatoria e l’errore, più o meno grave, sono dietro l’angolo.
Secondo: l’essere umano spesso non ha memoria, o meglio ha una memoria selettiva che cancella i momenti difficili della sua storia e di quella del mondo. Cerca di buttare dietro le spalle quello che lo ha turbato per non faticare troppo a capirne il senso e le cause. Se questo meccanismo rappresenta una sorta di scorciatoia esistenziale in parte fisiologica, un eccesso di dimenticanza impedisce di utilizzare il passato per prevedere e organizzare il futuro. Ad esempio, si dimentica che le guerre non solo hanno insanguinato il mondo ma hanno traumatizzato gravemente chi è sopravvissuto e persino le generazioni successive. Inoltre, hanno devastato l’ambiente in modo irreparabile (in Vietnam, a più di cinquanta anni di distanza dalla guerra nascono ancora bambini deformi per effetto del napalm usato per defoliare le foreste). Non si ricorda più che solo gli sforzi per costruire la pace sono riusciti a produrre una convivenza prospera e serena. Vivere all’insaputa di una parte di sé stessi o della realtà esterna può provocare brutti scherzi: ciò che si pensava dimenticato ritorna in gioco in maniera improvvisa e destabilizzante, come in questo momento la minaccia nucleare.
Terzo: la massima latina: “ si vis pacem para bellum ” è palesemente falsa. Investire sulla probabilità che il nemico si spaventi della tua forza non fa altro che indurlo a pensare nello stesso modo, secondo il noto proverbio “chi la fa, l’aspetti”; e può provocare una escalation di emozioni e azioni improvvide. Già Freud, il fondatore della Psicoanalisi, ci aveva avvertito che il prezzo che l’uomo deve pagare per convivere serenamente con i suoi simili, protetto dalla civiltà, comporta un disagio: quello di rinunciare ad esprimere liberamente tutti i propri bisogni sessuali e aggressivi, lavorando costantemente per tenerli a bada. Perché la nostra libertà termina dove comincia quella dell’altro.
Emilio
Questa guerra è il risultato di errori politici gravi – o addirittura di un disegno di destabilizzazione – che proseguono dalla caduta del Muro. Solo affrontando quegli errori si può mettere fine al conflitto. La strategia politica e la resistenza all’aggressione militare non possono essere due cose separate. L’aveva spiegato già von Clausewitz all’inizio dell’800: la guerra è la prosecuzione della politica con altri mezzi. Se la politica fallisce, allora si arriva alla guerra. Ma è solo la politica che può porre fine alla guerra (a meno della distruzione completa dell’avversario, ed è improbabile che la Russia venga annientata) ed impedire guerre future.
Francia e Germania sono state in guerra dal 1870 al 1945. La capacità politica del gruppo dirigente che ha gestito la fase post-bellica ha saputo trasformare le ragioni del conflitto in ragioni di collaborazione: oggi i due paesi vivono in pace ed anzi rappresentano insieme l’asse della politica europea. Sono stati uomini come Altiero Spinelli che nel mezzo del conflitto più sanguinoso che l’Europa abbia conosciuto ad aver sviluppato le idee necessarie per costruire una pace duratura. Sono queste le idee che mancano oggi per l’Europa centro-orientale.
La mancanza di queste idee – di una politica alta – non solo ha portato alla guerra in Ucraina, ma anche alla nascita di sovranismi estremisti e di regimi politici illiberali (vedi Ungheria e Polonia) all’interno dell’Unione Europea. Se non ripartiamo da qui sarà impossibile portare al tavolo di negoziazione con la Russia una proposta credibile per una pace duratura. Neutralità dell’Ucraina o ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europa sono due idee che da sole non risolvono e addirittura possono essere fonte di nuove crisi senza una visione globale forte. Continuare a ripetere “l’Ucraina è aggredita, aiutiamola con le armi”, e intanto rinviare a chissà quando un ragionamento su un possibile futuro di pace, vuol dire prolungare questa guerra indefinitamente.
L’Ucraina riceve enormi quantità di armi dal 2014, come lo stesso Biden ha rivelato. Di armi ne sta ricevendo moltissime anche in questi giorni. Ma intanto la stiamo lasciando sola, come abbiamo fatto in tutti questi anni, nel mezzo di una crisi che non può trovare soluzione senza una nuova visione politica che faccia uscire la Russia dal suo isolamento, offrendole una partnership politica con l’Unione Europea – cosa che potrebbe trovare sponde politiche a Mosca, mettendo in crisi la politica putiniana. In mancanza di una visione di questo tipo è inevitabile che anche la rimozione di Putin lascerebbe inalterate le ragioni del conflitto. Questa occasione l’Europa l’ha avuto sia con Gorbaciov che nei primi anni ‘90: ma l’Occidente scelse di sostenere il regime illiberale e corrotto di Yeltsin, saccheggiando le risorse russe, invece di trovare un’intesa duratura. Oggi tutti i nodi sono venuti al pettine e la politica europea non sa dire altro che armi e guerra.
Pietro
Rete Radiè Resch, Circolare nazionale del marzo 2022
A cura della Rete di Pisa-Viareggio
Quando abbiamo iniziato questa circolare, l’attenzione dei nostri media era tutta concentrata sulla elezione del presidente della repubblica. Cominciavano a venire fuori i primi nomi, e Salvini, nel presentare una possibile candidata, aveva detto che era espressione della destra, una destra moderata, liberale e «identitaria». Emergeva una autodefinizione della nostra destra politica: “moderata”, cosa su cui qualche dubbio è lecito nutrire, “liberale”, certamente in senso economico ma molto poco in senso culturale e politico, e infine “identitaria”. E qui si poneva il problema di cosa questo termine davvero significasse. Considerato chi lo aveva usato, ci è venuto subito da pensare agli immigrati, a quei disperati che tentano di raggiungere le nostre coste e che Salvini, quando era ministro degli interni, aveva cercato in tutti i modi di respingere e lasciare in mare. D’altra parte, erano quelli i giorni in cui era molto presente sui giornali la crisi dei profughi ai confini fra Polonia e Bielorussia. Si parlava della costruzione di un muro, mentre migliaia di persone, intere famiglie, erano bloccate al confine, abbandonate a se stesse, con temperature polari, senza nessuna assistenza né prospettiva.
Tutto questo, anche lì, in nome dell’identità, la nostra identità europea e cristiana minacciata da masse di non europei e musulmani. Qualcuno aveva tirato fuori anche la cosiddetta “teoria della sostituzione”. Sostituzione, voluta naturalmente dai poteri forti, Soros in testa, che avrebbe come obiettivo un cambiamento etnico radicale della popolazione europea.
Mentre scriviamo è in pieno svolgimento un’altra crisi, la crisi Ucraina. Una crisi estremamente pericolosa, con possibili derive verso guerre più ampie, se non globali e anche nucleari. Le motivazioni di questa crisi sono tante, e non possiamo trattarle qui, ma anche in questo caso ricompare il tema dell’identità. Vediamo, scrive Politi sul Corriere della sera, “le immagini fino a ieri inimmaginabili di «sovranisti» polacchi e ungheresi che accolgono generosamente i profughi, perché europei come loro, e a loro accomunati dalla minaccia russa.” Quelle frontiere davanti alle quali fino a poco fa si accalcavano migliaia di disperati, respinti senza alcuna pietà, ora si aprono. È l’identità che fa la differenza. E lo stanno sperimentando in questi giorni le migliaia di studenti asiatici e africani, iscritti alle università ucraine, che si vedono respinti alle frontiere, a quella polacca in particolare, quando cercano di tornare a casa per fuggire dalla guerra. “Gli ucraini passavano con i loro cani e gatti. Anche loro sono trattati meglio degli studenti indiani”, Dice a un giornalista Muhammad, uno studente indiano che non riesce a lasciare il paese. Ma qualcosa di simile accade anche in Israele, pronta ad accogliere i profughi provenienti dall’Ucraina, purché ebrei. Gli altri “vengono espulsi o obbligati a versare costosi depositi per garantire che alla fine se ne andranno.”1
Ma cosa è l’identità? È intesa troppo spesso come qualcosa che divide, che distingue/separa, «noi» da un lato e «loro» dall’altro. È proprio questa identità, vista come qualcosa di statico, definito una volta per tutte, che ci permette di respingere chi riteniamo «altro» da noi, portatore di una identità diversa, dalla quale non vogliamo essere inquinati. È anche qualcosa per cui crediamo che valga la pena morire, ma anche uccidere! E, curiosamente, di questo sembrano particolarmente convinti proprio coloro per cui la vita è sacra e inviolabile, soprattutto quando si parla di aborto e di eutanasia.
Che l’identità possa essere all’origine di violenze lo abbiamo visto negli ultimi decenni in tanti posti, Kosovo, Bosnia, Ruanda, Timor, Israele-Palestina, Sudan, …, e ora anche in Ucraina. Noi che seguiamo con interesse e solidarietà le vicende della Palestina lo abbiamo visto recentemente ad esempio nei tentativi di ebraicizzare Gerusalemme con l’espulsione delle famiglie palestinesi, e lo vediamo quotidianamente nella politica di apartheid perseguita sistematicamente dal governo israeliano.
Il rapporto fra identità e violenza è proprio il tema di un bel libro del premio Nobel Amartya Sen, economista e filosofo. Indiano, Sen non può non partire dalla sua memoria di bambino, ai tempi della decolonizzazione dell’India, ricordando la “velocità con cui gli esseri umani di gennaio si trasformarono negli implacabili indù e negli spietati musulmani di luglio”, e le violenze sofferenze che portarono alla formazione di due stati, uno indù e uno musulmano. Dobbiamo sempre ricordare, ci dice Sen che “siamo diversamente differenti. La speranza di armonia nel mondo contemporaneo risiede in gran parte in una comprensione più chiara delle pluralità dell’identità umana, e nel riconoscimento che tali pluralità sono trasversali e rappresentano un antidoto a una separazione netta lungo una linea divisoria fortificata e impenetrabile.” Dovremmo riuscire a capire che l’identità è in realtà qualcosa di molteplice e soprattutto dinamico/fluido. Non siamo quello che siamo, ma quello che “siamo essendo”.
Viene da pensare a un filosofo particolarmente amato da un caro amico della Rete, a cui molto dobbiamo, Arturo Paoli. Si tratta di Emmanuel Lévinas: “Il Messia è il giusto che soffre, che ha preso su di sé la sofferenza degli altri […]. E, concretamente, questo significa che ognuno deve agire come se fosse il Messia.” Se vogliamo realizzare un mondo nuovo, una società più giusta, quella che la tradizione ebraica definisce come «messianica», dobbiamo accogliere l’altro/altra e identificarci con lui/lei. È esattamente l’opposto della difesa dell’identità. È richiesto un cambiamento radicale. Questo ha diverse conseguenze. Ne vogliamo qui considerare due, apparentemente molto diverse. Ma lo sono davvero?
Noi, gli «autoctoni» ci sentiamo nel diritto di «respingere» chi pensiamo non lo sia, o, magari invece, siamo disponibili ad «accogliere», ma comunque siamo sempre noi che ci arroghiamo il diritto di decidere se accogliere o respingere. Ma che vuol dire essere «autoctono», e chi si può legittimamente considerare tale? In realtà siamo tutti migranti in una terra che non è «nostra», che non possiamo possedere. Semmai, siano noi, tutti, a essere «suoi», della terra. E questo ci riporta al nostro rapporto con la terra, il «Creato», che stiamo distruggendo.
Il concetto di «autoctonia» è strettamente legato a quello di «patria». Per i sacri confini della «patria» è bello morire, e naturalmente si può uccidere. E per difenderli si può anche respingere il migrante, fino a permettere che muoia, di freddo e fame in un campo o annegato in mare. Ma per difendere i confini bisogna anche armarsi. Non è un caso che Minniti che ha fortemente contribuito a definire la politica dei respingimenti (a lui si deve l’accordo con il premier della Libia Fayez al-Sarraj che l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ha giudicato “disumano”), e che ha contribuito alla persecuzione giudiziaria di Lucano, ora guidi Med-Or, la nuova fondazione di Leonardo, la ex Finmeccanica, partecipata dallo Stato, che opera nei settori di difesa, aerospazio, sicurezza (cyber e non).
Più volte come Rete abbiamo condannato le politiche riguardanti le spese per gli armamenti (+2,6% nel 2020, anno della piena pandemia, arrivate a 1981 miliardi di dollari e in continua crescita. Fonte SIPRI), in un mondo in cui le guerre non si sono MAI fermate. Nel 2021 erano 30 effettive + 15 situazioni di crisi, inclusa l’Ucraina, dove una delle guerre più mortifere tra quelle cosiddette ‘a bassa intensità’ si è protratta dal 2014, mentre i Salvini e i Berlusconi di turno lodavano “il grande statista” Putin. Particolare e ‘dimenticata’ recrudescenza hanno poi avuto, recentemente, i conflitti in Etiopia e nel Sahara Occidentale (Fonte Atlante delle guerre e dei conflitti del mondo, 2021).
Ci preme qui sottolineare: lo stato permanente di guerra nel mondo; il fatto che le guerre non nascono a caso, come funghi, ma che ci sono sempre cause complesse che le determinano e attori diversi che le originano; il rapporto tra armi e affari, e il nesso tra sistema economico ed escalation militare; la totale deregulation delle vendite di armi; la quotazione in borsa delle aziende produttrici di armi, sia private che pubbliche (sono ben 195 le aziende italiane produttrici di armi quotate in borsa), per cui per sostenere il titolo si va a caccia di mercati e c’è una continua accelerazione degli investimenti2; il fatto che il nostro paese sia, a livello mondiale, all’11° posto per le spese militari, passate nel 2021 da 64 a 70 milioni di euro al giorno, e sia presente, con le sue forze armate, in 50 teatri di guerra.
Invitando tutte e tutti a riascoltare la lezione magistrale di Gino Strada “Verso un mondo senza guerre”, alla festa Scienza filosofia del 15/06/20183, intervento di un’attualità stringente, ricordiamo qui alcuni temi su cui ci sembra importante continuare a lavorare e riflettere:
Vogliamo ricordare infine, in chiusura, l’importanza della piena applicazione della Legge 185/90 sull’export di armi, attraverso un severo controllo del Parlamento, in attuazione dell’Art 11 della Costituzione. Va ricordato che lo spirito della legge è quello di promuovere una politica estera basata sul rispetto delle norme internazionali, con l’obiettivo anche di promuovere la costituzione di una agenzia europea per il controllo delle esportazioni di armi. Pertanto, non può essere considerata una legge sull’“industria militare”: deve controllare, non FAVORIRE l’export di armi! La legge contiene poi anche programmi relativi alla riconversione al civile, purtroppo mai realizzati in trenta anni.
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1 Zehava Galon, “Does ‘never again’ only refer to Jews?”, Haaretz, 7/3/2022.
2 Raoul Caruso, relazione su “Spese militari, industria di armi e conflitti al servizio del sistema economico”, seminario dell’Accademia delle Alpi Apuane, 4/03/2022.
3 https://www.arcoiris.tv/scheda/it/16880/addC
Febbraio 2022
La circolare di questo mese vuole presentare le ragioni della scelta del Coordinamento di accogliere l’invito lanciato dall’associazione Linea d’ombra ad aderire all’ICE “STOP BORDER VIOLENCE” (vedi e-mail inviata da Lucia Capriglione il 6 febbraio)
Di proposito non la chiameremo campagna in quanto si tratta, ben oltre la richiesta di adesione, di dare il nostro contributo a un’azione dal basso volta a produrre un cambiamento delle politiche migratorie della UE. Chiediamo un cambiamento che arrivi a mettere a nudo, ancora una volta, l’ingiustizia che segna i rapporti tra il mondo occidentale e tutto ciò che sta ai suoi margini, perché finalmente si trovino nuove e diverse modalità di co-abitare questa nostra terra. Come dice la filosofa Donatella Di Cesare “coabitare la terra impone l’obbligo permanente e irreversibile di coesistere con tutti coloro che, più o meno estranei, più o meno eterogenei, sulla terra hanno uguali diritti”(Cfr. D. Di Cesare, Stranieri Residenti).
L’iniziativa è resa possibile grazie a uno strumento di partecipazione diretta alla politica della UE che prende appunto il nome di ICE: Iniziativa Cittadini Europei. Attraverso questo strumento i cittadini possono chiedere alla Commissione Europea di proporre nuovi atti legislativi. Per ottenere che un’ICE venga accolta si deve raccogliere almeno un milione di firme distribuite su sette Paesi europei; dopo di che la Commissione decide quali azioni intraprendere.
L’ICE “STOP BORDER VIOLENCE” chiede che abbiano termine le torture e i trattamenti degradanti perpetrati nei confronti dei migranti dalle polizie dei vari stati alle frontiere d’Europa. Questo in ottemperanza all’articolo 4 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea che afferma: “Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.
L’ iniziativa è nella prima fase: si sta tessendo una larga rete di realtà il cui scopo è assicurare la metà delle firme necessarie, cinquecentomila, già alla partenza. In realtà in un primo tempo gli organizzatori avevano pensato di consegnare l’ICE tra fine febbraio e inizio marzo; ma poi è sembrato più sicuro per la riuscita dell’iniziativa presentare l’istanza avendo già raccolto metà delle firme.
Riteniamo che sia molto utile darsi più tempo. L’iniziativa, infatti, diventa l’occasione per sensibilizzare e offrire spazio a un confronto serio e articolato sulle politiche migratorie della UE, con tutte quelle realtà che si riuscirà a coinvolgere. Sta qui forse l’aspetto più propriamente politico dell’impegno a cui ogni rete locale è invitata, nel territorio in cui si trova ad operare, al di là del successo a livello istituzionale, pure sperato e importante.
Come recita il manifesto di “STOP BORDER VIOLENCE” (questo è il link:
https://www.stopborderviolence.org/it/eci-sbv-ita/#manifesto) dobbiamo davvero
“Riprenderci l’Europa” di fronte alla “militarizzazione e alla esternalizzazione delle frontiere interne ed esterne; ai respingimenti brutali; alle violenze perpetrate nell’ambito degli Stati membri e nei Paesi terzi con cui l’Europa ha stretto accordi per impedire l’ingresso nel proprio territorio dei richiedenti asilo.” La spaventosa vicenda ai confini tra la Polonia e la Bielorussia ne è soltanto la più recente e violenta dimostrazione.
Per limitarci solo ad alcune note sulla politica migratoria dell’Italia, sappiamo la vergogna del Memorandum d’Intesa con la Libia il cui 5° anniversario è stato proprio il 2 febbraio 2022. Amnesty International scrive nel suo rapporto che le morti in mare nel 2021, di cui è stato possibile avere documentazione, sono state 1.553 e che le persone riportate in Libia sono state 32.425, un vero e proprio record (vedi articolo di “Domani” del 2/2/2022). E questo mentre la Corte Europea dei Diritti Umani, con una sentenza del 2012, aveva sancito che intercettare persone in mare e riportarle in Libia equivaleva a torturarle. Dunque, il Memorandum si è rivelato un trucco per aggirare il diritto internazionale. Lo stesso Ammiraglio Stefano Turchetto, capo della missione Irini (pace in greco) che opera nel quadro della difesa e della sicurezza della UE nel Mediterraneo, in un rapporto confidenziale di poco più di una settimana fa (fonte Associated Press) ha dovuto riconoscere che i guardiacoste libici continuano a macchiarsi di “uso eccessivo della forza” piuttosto che seguire “standard comportamentali adeguati…. in linea con i diritti umani”. Tra parentesi ricordiamo che l’Italia ha la facoltà di ritirare la firma dal Memorandum entro il 2 novembre prossimo, prima che si rinnovi automaticamente per altri tre anni.
Anche per quanto riguarda la frontiera orientale è risaputo che la polizia italiana ha compiuto gravi atti di violenza, compresi respingimenti di minori. Il settimanale on line Comune-info (Comune-info.net.) del 18 dicembre 2021, pubblica un’intervista a Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà, tra i fondatori del sistema di accoglienza Sprar (oggi Sai) e aderente all’ASGI (Associazione studi giuridici sull’immigrazione). Schiavone, nell’analizzare il sistema di accoglienza italiano, sottolinea che con una “decisione politica totalmente illegale” erano state date “istruzioni alla polizia di frontiera terrestre del Friuli Venezia Giulia di impedire, tutte le volte che ciò fosse possibile, ai cittadini stranieri che arrivavano dalla rotta balcanica di presentare domanda d’asilo in Italia e contestualmente respingerli in Slovenia. Non come richiedenti asilo, perché ciò non sarebbe stato possibile secondo la legge, ma come semplici “clandestini” che non avevano mai presentato la domanda di protezione internazionale”. Solo nel maggio 2020 la cosa è venuta alla luce.
Scriviamo questo per ribadire, ancora una volta, che la solidarietà per essere tale deve continuare ad assumersi la responsabilità di azioni che possano incidere politicamente contro le ingiustizie e in particolare le violazioni dei diritti umani.
Il Testo dell’Iniziativa, che si trova di seguito al Manifesto, invita a dare la massima diffusione all’ICE usando tutti i canali possibili e sottolineando che non basta condividere il sito su facebook, ma che è necessaria un’azione politica capillare, come dicevamo all’inizio. Dal punto di vista pratico le firme potranno essere raccolte sia on line che in cartaceo, ma riguardo alla raccolta attendiamo indicazioni più precise sui tempi e le modalità.
Per concludere ci sembra molto calzante quest’altro pensiero della filosofa Donatella Di Cesare che vorremmo diventasse l’augurio della buona riuscita di questa Iniziativa: “Occorre una politica che prenda le mosse dallo straniero, inteso come fondamento e criterio della comunità”.
Un caro saluto a tutti e tutte
Maria, Rete di Verona
Circolare Nazionale Rete Radiè Resch Gennaio 2022
Sempre più arrabbiati.
Sempre negativi.
Siamo a quasi due anni dall’inizio della pandemia in occidente.
Cresce la paura, aumentano i numeri dei contagiati, diminuiscono le informazioni dal mondo, già scarse ed ora nulle.
Tutti concentrati sul virus.
Quando si dice “gli altri siamo noi”: il covid comincia a Whuan in Cina alla fine del 2019 e arriva in occidente all’inizio del 2020.
Oggi a quasi 2 anni dalle prime informazioni ufficiali, gli auguri di un nuovo anno sono velate da insicurezza e speranza, prima fra tutte quella di essere sempre “negativo”.
Mai come in questo periodo la parola “negativo” ha il significato più positivo di tutte! Provate a cercare “essere negativo” su Google: vengono fuori link di quarantena, green pass, contatti, tamponi, FFP2, al quinto posto il significato della parola “negativo” con i suoi sinonimi e i suoi contrari.
Nel frattempo:
Raccontare un percorso, quello della nostra Rete di Torino sembra quasi innaturale, come se lo scorreredelle vicende dipenda unicamente dal virus. Ma proprio per questo, per rientrare nel vivo della nostra umanità, vogliamo condividere con voi la nostra scelta del progetto in Niger. Per lungo tempo siamo rimasti senza un prospetto specifico dopo la chiusura della collaborazione con il giornale di quartiere del Gapa di Catania e spesso ci siamo interrogati sulle possibilità da cogliere. Un progetto nuovo per noi rappresentava una forma viva di interazione con altre persone, di conoscenza, di condivisione di vita che sicuramente rivitalizzava la nostra coscienza, rispondendo ad un bisogno di dare un senso alle parole delle nostre riunioni. Cosi abbiamo preso contatto con diverse realtà; da Operazione Colomba in Palestina ( ci sarebbe piaciuto dare ancora un contributo per una terra alla Rete cosi familiare e martoriata) ad altre realtà che operano sul territorio, che però non ci hanno mai convinto…ma un “fil rouge” sembrava accompagnare silenziosamente le nostre vite: l’Africa ha cominciato a bussare ai nostri cuori quasi in contemporanea ed in vari modi, chi con l’accoglienza in casa di ragazzi, chi con un matrimonio (la nostra Laura è convolata a nozze con Moussa), chi ancora con progetti di affido di migranti non accompagnati. Sembrava proprio un destino segnato, e quando Moussa, durante una riunione, ci ha timidamente parlato del suo sogno di far costruire un pozzo d’acqua (il forage d’eau) per il villaggio in cui è nato è come se avesse tolto un velo davanti ai nostri occhi e ci siamo ritrovati uniti e solidali nell’appoggiare questa iniziativa. E’ bizzarro a volte il destino, ci si incaponisce a cercare con la logica delle risposte alle nostre domande ma magari è già tutto sotto gli occhi e non lo vediamo, non lo riconosciamo.Concentriamoci su quello che abbiamo e non su quello che ci manca.
A Capodanno di ogni anno speriamo che l’anno che verrà sia migliore.
Quest’anno speriamo che nell’anno che verrà saremo noi ad essere migliori.
Un abbraccio fraterno a tutti
RRR Torino
Carissima, carissimo, anno nuovo, vita nuova? Dipende. Possiamo continuare a ingozzarci di carne e dolci, inzuppati di bevande alcoliche, come se la gioia uscisse dal forno e la felicità venisse imbottigliata. O l’opzione di un momento di silenzio, una preghiera, l’effusione di umanità in abbracci affettuosi. Dobbiamo ritrovare l’umanità. Spogliarci dal lupo vorace che, nell’arena competitiva del mercato, ci rende estranei a noi stessi. Perché accelerare così tanto se dobbiamo fermarci al semaforo rosso? Perché tanta dipendenza dal cellulare e difficoltà nel dialogare faccia a faccia? In politica, la tolleranza è complicità.
Anno di nuova qualità della vita. Meno ansia e più profondità. Urge rinascere. Immergerci in noi stessi, facendo spazio, braccia e cuori si aprino agli altri. Ricreare e appropriarsi della realtà circostante, libera dalla pastorizzazione che ci massifica nella mediocrità bovina di chi rimugina sulle meschine abitudini, come se la vita fosse una finestra da cui contempliamo, notte dopo notte, la realtà che sfila negli illusori sogni ad occhi aperti di una telenovela.
La pandemia del coronavirus sta rigettando tutte le tesi del neo-liberismo e dello stesso capitalismo. Entrambi difendono la competizione, mentre adesso l’importante è la cooperazione e la solidarietà. Difendevano l’individualismo quando ora ci rendiamo conto del fatto che tutti siamo interdipendenti.
Sfruttavano in una forma impietosa la natura e ora ci rendiamo conto che dobbiamo rispettare e prenderci cura della Madre Terra, in quanto il virus è una reazione e una rappresaglia della stessa Terra contro le aggressioni che gli facciamo da più di due secoli. Il piccolo sta sconfiggendo il grande.
Il coronavirus rende ridicolo tutto l’apparato bellico dei paesi militaristi che hanno costruito armi di distruzione di massa, nucleari, chimiche e biologiche. Ci sta dando una lezione: cosi come stiamo trattando la Casa Comune, con pochissimi miliardari a spese di miliardi di poveri e della sistematica depredazione della natura, non possiamo continuare. Il virus non distingue ricchi e poveri, gente di potere e altri senza potere. Attacca indistintamente tutti.
Sicuramente non distruggerà la specie umana, ma la Madre Terra ci sta dando segnali. Questa è la prima guerra globale dentro un mondo globalizzato. Tutti sono colpiti: o stabiliamo relazioni di solidarietà e cooperazione, prendendoci cura gli uni degli altri o ingrosseremo la processione di quelli che spingono nella direzione di un abisso. Possibilmente il mondo sarà un altro dopo che avremo attraversato la crisi del coronavírus. O il sistema si imporrà con ancora più violenza, o dovremo cambiare la direzione del nostro destino su questo pianeta.
La pandemia ci fa scoprire le nostre false sicurezze e la nostra incapacità di vivere insieme. Questo tempo così difficile ci aiuta a comprendere che ci sono anche altre malattie sia fisiche che spirituali. Abbiamo bisogno gli uni degli altri e soprattutto di qualcuno che dia un senso profondo alla nostra vita.
Gesù è venuto nonostante le barriere, le umiliazioni, le negazioni che vengono disseminate, nonostante gli scenari di guerra in Yemen, Siria, Afghanistan, Ucraina, Bielorussia e delle decine di conflitti dimenticati in Africa e in Asia.
Donne, uomini e bambini trovano rifugio solo nelle capanne della marginalità globalizzata di un mondo che cancella tutto ciò che contrasta con l’effimero e l’utile economico.
Quanti discendenti dell’assassino Erode ci sono oggi, dallo sterminio dei bambini ai quali mancano i farmaci basilari mentre si spendono miliardi per armamenti sempre più sofisticati e crudeli, all’infanzia ridotta alla fame e al gelo lungo le frontiere di “nonna Europa”. Ma quale nonna lascerebbe i nipoti morire di freddo davanti ai muri dell’indifferenza spietata e del calcolo geopolitico?
Mai quanto in pandemia l’egoismo uccide: che senso ha vincolare ai brevetti la diffusione di un vaccino che, come disse lo scienziato Sabin per l’antipolio, deve essere patrimonio dell’umanità e non strumento di tornaconto per l’industria farmaceutica? Papa Francesco ha ribadito la necessità di rendere universale l’accesso alla vaccinazione perché “nessuno si salva da solo”, lasciare miliardi senza immunizzazione equivale a condannarsi a continue mutazioni del virus e ad una emergenza senza uscita. Anche questa è l’avidità omicida dei moderni Erode.
La stessa che costringe famiglie sempre più disperate ad affidare i loro piccoli, alle acque in tempesta del Mediterraneo: ottomila bambini arrivati nel 2021 senza genitori, il doppio dello scorso anno. Quali ferite rimarranno nel cuore di questi bambinelli sopravvissuti alla brutalità di un tempo ostile e privo di Misericordia? Che adulti diventeranno i bambini che il terzo millennio rifiuta?
don Tonino Bello ci esortava così a non avere paura: “La speranza è stata seminata in te. Non avere paura, amico mio. Dio è sceso su questo mondo disperato. E sai che nome ha preso? Emmanuele, che vuol dire: Dio con noi. Coraggio, verrà un giorno in cui le tue nevi si scioglieranno, le tue bufere si placheranno, e una primavera senza tramonto regnerà nel tuo giardino”
Antonio
Adesso segue “Felice Anno Nuovo” del nostro fratello Frei Betto
Desidero un Anno Nuovo dove, a Dio piacendo, tutti i bambini, quando accendono i loro apparecchi elettronici, ricevano un bagno di Mozart, Pixinguinha e Noel Rosa; imparino la differenza tra impressionisti ed espressionisti; vedano spettacoli e dormano dopo aver detto le preghiere.
Desidero un Anno Nuovo in cui, in campagna, ognuno abbia il suo pezzo di terra, dove prosperino arance e ortaggi, e volino i passeri tra le vacche da latte. In città, un tetto sotto il quale brilli la cucina con pentole piene, la sala sia tappezzata di rammendi colorati, la foto a colori degli sposi esposta in una cornice ovale sul divano.
Aspetto un Anno Nuovo in cui le chiese aprano le porte al silenzio del cuore, l’organo sussurri il canto degli angeli, la Bibbia sia condivisa come il pane. La fede, di pari passo con la giustizia, faccia sì che il cielo smetta di fissare lo sguardo su coloro a cui è negata la felicità su questa terra.
Un Anno Nuovo Felice con le coppie oziose nell’arte dell’amore, la casa che odora di profumo, i figli che contemplano i volti appassionati dei loro genitori, la famiglia così assorta nel dialogo da non rendersi nemmeno conto che TV e cellulari sono dispositivi muti e ciechi in un angolo della stanza.
Auguro un Anno Nuovo in cui i sogni libertari siano così forti che i giovani, con il cuore che pulsa di ideali, non ricorrano alla chimica delle droghe, non temano il futuro, né si esprimano in dialetti incomprensibili. E che si presentino alle urne di ottobre per salvare le politiche pubbliche di protezione sociale, la riduzione delle disuguaglianze sociali, l’autostima del popolo brasiliano e la sovranità nazionale.
Spero in un Anno Nuovo in cui ciascuno di noi eviti di accumulare rancori nelle pieghe del proprio cuore e che lavi le pareti della memoria dalle ire e dai dolori; non scommetta su corse con il tempo né registri la velocità del tempo in base alla frequenza cardiaca.
Un Anno Nuovo per assaporare la brevità della vita come se fosse perenne, in compagnia di orafi di incanti.
Auguro un Anno Nuovo, in cui a tutti sia garantito il diritto al lavoro, l’onore di un salario dignitoso, le condizioni umane di lavoro, le potenzialità della professione e l’allegria della vocazione.
Prego per un Anno Nuovo nuovo anno in cui la polizia sia conosciuta per le vite che protegge e non per gli omicidi che commette; i detenuti rieducati alla vita sociale; e che i poveri riescano a restituire agli occhi della Giustizia il disegno della cecità che li esenta.
Un Anno Nuovo senza politici bugiardi, autorità arroganti, funzionari corrotti, adulatori di ogni tipo. Liberi da estasi infantili, la politica sia la moltiplicazione dei pani senza miracoli, dovere di alcuni e diritto di tutti.
Spero in un Anno Nuovo in cui le città tornino ad avere piazze alberate; le piazze, panchine accoglienti; le panchine, cittadini a cui è concesso il sano svago di contemplare la natura, ascoltare in silenzio la voce di Dio e festeggiare con gli amici le piccole cose della vita – una serie di ricordi, una partita a carte, le risate provocate da chi si distingue come il migliore narratore di aneddoti.
Auguro un Anno Nuovo dove l’uomo non umili mai la donna; l’insegnante di cittadinanza non getti carta per terra; i bambini lascino il posto ai più vecchi; e la distanza tra pubblico e privato sia rispecchiata dalla trasparenza.
Desidero un Anno Nuovo di libri saporiti come i popcorn, il corpo meno intasato di grasso, la mente libera dallo stress, lo spirito inserito in una sala da ballo al suono di misteri più profondi.
Attendo un Anno Nuovo il cui evento principale sia l’inaugurazione del Salone della Persona, dove vengano presentate alternative, affinché mai più un essere umano si senta minacciato dalla povertà o privato del pane, della pace, della salute, dell’educazione, della cultura e del piacere.
Un Anno Nuovo in cui la competitività lasci il posto alla solidarietà; l’accumulazione alla condivisione; l’ambizione alla meditazione; l’aggressività al rispetto; l’idolatria del denaro allo spirito delle Beatitudini.
Aspiro a un Anno Nuovo di uccelli orchestrati dall’alba, fiumi denudati dalla trasparenza delle acque, polmoni che esultano per l’aria fresca e una tavola piena di cibo non inquinato.
Un Anno Nuovo che sia l’ultimo dell’Era della Fame.
Auguro un Felice Anno Nuovo di molta salute e pace ai miei pazienti lettori – quelli che sono d’accordo e anche quelli che non sono d’accordo.
Prego per un Anno Nuovo che non invecchi mai, così come le querce che ci danno ombra, la filosofia dei greci, la luce del sole, la saggezza di Giobbe, lo splendore delle montagne del Minas, la letteratura di Machado e Rosa.
Auguro un Anno Nuovo così nuovo che dia l’impressione che tutto rinasca: il giorno, l’esuberanza del mare, la speranza e la nostra capacità di amare. Tranne quello che in passato ci rendeva meno belli, generosi e solidali.
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