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Siamo reduci dal nostro Coordinamento di Rete svoltosi a Sezano il 23 e 24 marzo. Come vedrete dal verbale, se la domenica è stata dedicata alla preparazione del Seminario Nazionale sull’informazione (WEB: strumento di liberazione o di controllo?),il sabato, invece, ha visto concretizzarsi il nostro statuto associativo con gli aggiornamenti richiesti dai cambiamenti avvenuti dalla fine degli anni novanta ad oggi. Diciamo questo perché vogliamo sottolineare il fatto che si è scelto di mantenere quello spirito leggero e poco burocratico che ci fa navigare da 55 anni (!).  A dire la verità, qui a Verona siamo reduci anche dal Congresso Mondiale delle Famiglie che ha riunito le destre italiane, europee e statunitensi in un clima pesante,di forte chiusura nei confronti di un’idea di società inclusiva e plurale. Molti dei relatori, come saprete, hanno preso a pretesto motivazioni etiche per seminare odio da “suprematisti bianchi”. Proprio questo è stato l’aspetto più preoccupante del Congresso: la sua dimensione politica in un momento in cui in paesi come la Polonia, l’Ungheria e l’Italia la destra populista è al governo.L’idea del Congresso delle Famiglie è nata negli Stati Uniti nel 2007, grazie all’impegno di personaggi molto vicini ad amministrazioni come quella di Reagan o di Trump. Negli stati Uniti, infatti, sono molto attivi i gruppi prolifeche hanno da sempre legami con la destra suprematista bianca. Altrettanto inquietante è stata la presenza di alcuni esponenti della chiesa ortodossa russa e di uomini molto vicini a Putin, che potrebbero aver contribuito in larga parte al finanziamento di questo congresso mondiale. Uno studio del sito britannico Open Democracy ha analizzato la lista dei partecipanti a tutti i Congressi delle Famiglie e ne è venuto fuori che almeno cento politici, in attività, di 25 paesi diversi hanno partecipato come minimo ad un Congresso; sessanta di loro erano europei e metà di questi provenivano da partiti dell’estrema destra (vedi Internazionale dell’1 aprile). Del resto, Forza Nuova è stata presente a pieno titolo al Congresso di Verona in compagnia di gruppi ultra fondamentalisti cattolici come Militia Christi o Alleanza Cattolica (interessante notare il lessico militaresco) e il comitato Pro Vita, anch’esso legato a FN. Molto interessanti sono state, a questo proposito, le dichiarazioni che l’avvocata della Sacra Rota, Michela Nacca, ha reso durante un incontro alla D. i. Re (Donne in Rete contro la violenza). La Nacca ha parlato del Congresso come “un’occasione per contarsi, partendo dall’Italia dove, in questa fase storica è in atto un esperimento sociale per riaffermare un movimento che sembra avere molti punti in comune con la destra fascista, il cui fulcro è tornare indietro rispetto ai diritti delle donne. Una vera Controriforma che, nella sua grammatica principale prevede anche l’omofobia e il razzismo….Il tema della famiglia, quindi, sarebbe solo un pretesto per arrivare alla creazione di un partito o di un movimento di massa popolare a livello internazionale….” La Nacca ha aggiunto: “Ritengo che noi cattolici non possiamo condividere la visione di famiglia che emergerà da questo Congresso” (fonte www.gaypost.it)
Per fortuna, contemporaneamente al Congresso, il pomeriggio di sabato 30 marzo, Verona è stata invasa, in modo assolutamente pacifico, dalla più grande manifestazione di massa che sia stata mai vista nella nostra città. Poco meno di centomila persone, provenienti da tutta Italia, hanno aderito all’appello di Non una di meno e sono venute a marciare festosamente per sostenere i diritti e la libertà delle donne e dire no ad ogni discriminazione di genere e non solo. Per esempio,tra i moltissimi cartelli portati in corteo si leggeva: “Quanto sono Pro-Vita i lager in Libia?” E’ stata davvero una bellissima festa. L’unico incidente con la polizia, di cui trovate traccia anche su Google, è stato causato da un sostenitore di Salvini, che ha insultato un’agente della DIGOS. Vi raccontiamo questo perché siamo sicuri che il clima pesante di questo periodo durerà a lungo. Ma, mentre sono evidenti le collusioni tra tutti i conservatorismi peggiori, in questo muro non mancano le crepe che anche noi, col nostro agire solidale, contribuiamo ad allargare ogni giorno. Come dice il poeta sardo Bruno Tognolini “non dobbiamo cantare, dunque, dei tempi bui, ma della luce, della gioia e della bellezza, della speranza… che sono sempre disciolte in tutti i tempi”.
BUONA PASQUA!
Maria per la Rete di Verona

Cambia il capitalismo: il fatto che già nel 2011 Apple abbia superato in termini di capitalizzazione Exxon Mobil e che oggi le due persone più ricche del mondo siano Jeff Bezos, capo di Amazon, e Bill Gates, fondatore di Microsoft, sono fatti indicativi. Cambia la nostra vita, sia negli aspetti materiali (cosa e dove compriamo …) che in quelli più immateriali (cultura, informazione, comunicazioni interpersonali …). Cambia il modo di fare politica e la politica stessa: i governanti comunicano non più attraverso conferenze stampa o comunicati ufficiali, ma via Facebook o Twitter, e pretendono di guidare il paese bypassando la prassi istituzionale, fatta di principi, regole e atti formali. Ma cambia anche la comunicazione privata e interpersonale, rendendo più frettolosi e superficiali i rapporti, frammentando la società e rinchiudendoci in una dimensione più individuale. Incapaci di “ricucire le lacerazioni”, siamo consumatori di relazioni usa e getta, sempre più soli con le nostre paure ma con tanti sempre nuovi amici virtuali, amici che non abbiamo mai visto in faccia e negli occhi. Questo porta poi spesso a espressioni virali di violenza un tempo inaudite, violenza che non sempre rimane a livello verbale. Non si tratta di demonizzare le nuove tecnologie o di ignorarle: volenti o nolenti ne siamo tutti condizionati. Se vogliamo che il nostro operare a livello sociale, politico e di solidarietà sia efficace, serve una maggiore e più approfondita consapevolezza e conoscenza della realtà in cui operiamo. E’ sempre una questione di stile di vita. Si tratta innanzitutto di dedicare tempo alla comprensione della realtà, alla ricerca critica, ai rapporti interpersonali. Dobbiamo sforzarci, da un lato di capire i cambiamenti in atto a livello sociale ed economico, e dall’altro di imparare a conoscere e ad usare in modo critico i nuovi strumenti che le tecnologie digitali ci forniscono. Per questo il Coordinamento della Rete ha deciso di dedicare ai temi dell’informazione nell’era digitale il Seminario di quest’anno, cioè il momento formativo e di approfondimento che la Rete promuove negli anni in cui non c’è il Convegno nazionale. La scelta del Coordinamento è stata quella di dedicare due giornate (il 18 e il 19 maggio) a questi temi, chiamando relatori ed esperti che ci aiuteranno ad analizzare e a capire meglio i vari aspetti di questi fenomeni. Il Seminario vuole tenere conto delle differenze generazionali: per i più giovani (i cosiddetti “nativi digitali”) il focus sarà soprattutto su come rapportarsi in modo critico alla realtà digitale, per loro naturale ma spesso vissuta in modo acritico; per i meno giovani si tratterà di acquisire gli strumenti per usarla in modo efficace e consapevole. La sede del Seminario sarà il Centro Congressi Ca’ Vecchia di Sasso Marconi (Bologna). Informazioni più dettagliate saranno fornite in seguito. Intanto la Segreteria invita tutte le reti locali a organizzarsi per garantire una buona partecipazione.
La Segreteria: Maria Angela, Maria Cristina, Fulvio

Fine Dicembre.
L’associazione Repubblica Nomade ci contatta per condividere un pezzo del loro ultimo cammino dal titolo : “ Il crollo e l’unione ”. L’idea è quella di unire simbolicamente l’icona dell’incuria del nostro tempo – il Ponte Morandi a Genova – con l’emblema della chiusura e di una Europa al capolinea – la frontiera di Ventimiglia, raccogliendo contemporaneamente nel tragitto confronti e testimonianze dalle associazioni e dalle realtà operanti sul territorio.

Quel camminare insieme non è puro atto atletico e/o turistico ma elegge spostamento, invenzione ed avventura a strumento per abbattere le barriere e costruire un modello sociale più equo e solidale. Acquisendo così una finalità politica molto forte. Tra i loro significativi percorsi citiamo quello del 2011, organizzato in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia ed il cui cammino ha ricucito la penisola partendo da Milano – una delle metropoli più ricca d’Italia con Napoli -Scampia – una delle periferie più degradate. Questo gruppo di uomini e donne, diversi per età e provenienza, apre e stimola la relazione. Ognuno si può aggregare. Sia in senso fisico che metaforico. E le esperienze di ogni singolo, di ogni associazione diventano patrimonio comune, condiviso. Quell’ << interrogarsi camminando >> genera una reciproca immediata sintonia. Nel vento di Liguria, l’incedere dei passi è accompagnato dallo sventolio di una bandiera. Una bandiera che è simbolo di lotta, di resistenza ben conosciuta e sostenuta anche da noi. Quella del popolo Mapuche. Ci unisce alla Repubblica Nomade dinamicità, leggerezza, quella << ricerca scalza >>, quel non volersi istituzionalizzare per non spegnere lo spirito ma soprattutto la necessità di ascolto e di relazione.

Fine Gennaio.
Il seminario di Studi tenutosi a Roma all’Università Roma Tre ha definito Masina un << cattolico errante >> . Ettore ci ha consegnato come fondamentale la dimensione del cammino, del divenire …. La Rete ha raccolto valori, strumenti e modalità come una “anomalia resistente ” ( definizione dall’intervento al medesimo seminario di Ercole Ongaro ) Per garantirne la sopravvivenza, Ettore e Clotilde hanno avuto il personale coraggio e la profetica lungimiranza di << demasinizzare >> la Rete Radie Resch. Siccome le nostre energie e risorse stanno progressivamente riducendoci, forse noi dovremmo trovare l’ardire di saper rinunciare ad un po’ della nostra auto – referenzialità e decidere finalmente di disegnare in maniera sistematica percorsi comuni con altre realtà sintoniche ed affini. A cominciare dal nostro Convegno prossimo venturo ………………….
La Rete Locale di Celle – Varazze

“Aiutiamoli a casa loro”: questo slogan riecheggia spesso nella nostra epoca di rigurgiti po-pulisti e xenofobi. L’idea, in sé, non sarebbe neppure sbagliata: gran parte dei nostri simili sta bene a casa propria e, se migra, lo fa per bisogno o disperazione. Migliorare le condizioni di vita nei luoghi di provenienza, potrebbe realmente ridurre il fenomeno migratorio. Sbagliato è l’uso ipocrita che se ne fa: chi pronuncia questa frase, quasi sempre non ha la minima idea di come fare o, avendola, non ha la minima intenzione di farlo. Ecco, dunque, cinque “semplici” consigli, per “aiutarli a casa loro”.

1. Riconvertire la nostra industria bellica.
Secondo lo “Stockholm International Peace Research Institute”, l’Italia è al nono posto nel mondo ed al quinto in Europa tra i paesi esportatori di armi, con circa il 2,5 % del totale . Tra i maggiori acquirenti, Emirati Arabi Uniti, Turchia, Algeria, Israele, Marocco, Qatar, Taiwan e Singapore. Il nostro Paese ha una lunga tradizione in materia di produzione armiera: gli aerei e gli elicotteri in provincia di Varese, le mine e le pistole in provincia di Bresca, le navi a La Spezia, sono solo alcune delle “eccellenze”. In teoria, la vendita di armi a paesi stranieri è disciplinata dalla Legge 9 luglio 1990 n° 185 che prevede, tra l’altro, il divieto assoluto di vendita ai paesi in stato di conflitto armato o responsabili di violazione dei diritti umani. Divieto sistematicamente ignorato, come dimostrano le recenti forniture ad Arabia Saudita (conflitto in Yemen) e ad Israele (conflitto a Gaza). Per non parlare del-le c.d. “triangolazioni”, ossia vendite a paesi “puliti”, utilizzati come mere stazioni di transito. Inutile dire che i principali acquirenti di armi sono i paesi in guerra o che, a loro volta, arma-no milizie impegnate in guerre civili. Banalmente, le armi alimentano le guerre e le guerre produco-no morti e rifugiati. Vero è che l’industria armiera, come qualsiasi altra, crea ricchezza: ma a quale prezzo? Tra l’altro, molti studi hanno ormai accertato che l’aumento della spesa bellica non produce automatica-mente lavoro. Un programma di riconversione dell’industria bellica in industria civile potrebbe consentire al nostro paese di “chiamarsi fuori” da una delle principali cause di migrazione, senza incidere negativamente sull’occupazione.

2. Porre termine alle nostre “missioni di pace”.
L’art. 11 della nostra Costituzione stabilisce che “l’Italia ripudia la guerra … come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Infatti, ogni volta che, in ambito NATO, i nostri mili-tari sono impegnati all’estero, si parla di “missioni di pace”. Ma lo sono davvero? Iraq, Afghanistan, Libia, Siria sono terreni in cui abbiamo portato la pace? Con quali criteri sono stati scelti questi terreni? Perché, per esempio, non ci sono state “missioni di pace” per fermare le guerre civili in Repubblica Democratica del Congo o in Repubblica Centrafricana? Gheddafi era certamente un dittatore, ma non era l’unico e, probabilmente, neppure il più sanguinario. E’ evidente che l’impiego dei nostri militari risponde a logiche geopolitiche, più che umanitarie. E queste guerre, comunque si voglia definire la nostra partecipazione, hanno prodotto profughi, immigrati, richiedenti asilo. Basti pensare alla Libia divenuta, da paese accogliente per gli immigrati dell’Africa equatoriale, “porta” per il loro ingresso in Italia, attraverso il Mediterraneo.

3. Lottare concretamente contro i cambiamenti climatici.
Siccità, carestie, riduzione delle terre coltivabili sono la principale causa delle migrazioni c.d. “economiche”. Sempre che vi sia qualche differenza tra chi emigra per non morire in guerra e chi lo fa per non morire di fame. I cambiamenti climatici in atto stanno, del resto, colpendo principalmente i paesi poveri, in cui l’ecosistema è più fragile e l’economia si regge, in gran parte, sull’agricoltura di sussistenza. Con il triste paradosso che chi ne subisce le maggiori conseguenze è responsabile solo in minima parte della produzione dei “gas serra”, ormai quasi unanimemente indicati come causa del riscalda-mento globale. Eppure, il nord del mondo, che ne è invece il principale responsabile, non riesce assolutamente a trovare un accordo per limitare concretamente la loro produzione, malgrado l’esistenza, ormai da decenni, di valide tecnologie per la produzione di energia più pulita: basti pensare al foto-voltaico o ai motori ibridi, per le autovetture. E’ anche chiaro che, in questo ambito, l’iniziativa individuale serve a poco: è del tutto inutile, ad esempio, acquistare un’auto elettrica se, poi, l’energia che si usa è ancora prodotta da fonti fossili. Non solo: manca addirittura il coraggio di pubblicizzare e sostenere iniziative di “restituzione”, quale, ad esempio, la realizzazione, con il contributo di ONU e Banca Mondiale, della “Great green wall”, una muraglia di alberi larga 15 chilometri e lunga 8.000, destinata ad attraversare l’Africa dalla costa atlantica a quella dell’oceano indiano, per fermare l’espansione del deserto .

4. Boicottare le multinazionali agroalimentari e favorire il commercio equo.
Le multinazionali del settore alimentare fanno certamente parte del problema. Occupano il territorio con enormi appezzamenti di monocultura, distruggendo l’agricoltura di sussistenza ed impoverendo i terreni. Si appropriano delle risorse idriche, spesso scarse e le sfruttano in maniera indiscriminata (i nostri amici Mapuche ne sanno qualcosa). Utilizzano fertilizzanti chimici e pesticidi, senza preoccuparsi delle ricadute sull’ambiente e sulla popolazione. Sfruttano il lavoro dei locali, retribuendoli con paghe da fame. Tutto per portare sui banchi dei nostri supermercati le banane a 2 €. il chilo o il caffè a 2,5 €. la confezione e realizzare enormi profitti. Già molti anni fa, padre Alex Zanotelli diceva che oggi è possibile fare politica anche tra i banchi di un supermercato, semplicemente decidendo cosa comprare. Boicottare le grandi multinazionali e favorire il commercio equo, anche a costo di spendere di più, potrebbe essere un buon modo per “aiutarli a casa loro”.

5. Assumere iniziative internazionali contro il “land grabbing”.
Il “land grabbing” (accaparramento della terra) è un fenomeno geopolitico che consiste nel-l’acquisizione di terreni agricoli su scala globale da parte si soggetti stranieri, spesso con la connivenza del governo locale. Poco importa l’uso che poi se ne faccia: in realtà rurali, ciò causa l’allontanamento delle popolazioni che quella terra coltivavano da generazioni e la loro migrazione, nella migliore delle ipotesi, nelle grandi periferie urbane. Non si creda, poi, che tale modo di procedere sia una prerogativa esclusivamente cinese: basti pensare agli enormi latifondi della famiglia Benetton, in Argentina. E’ evidente che accordi internazionali volti a limitare il “land grabbing”, se concretamente rispettati, potrebbero rimuovere una delle cause del fenomeno migratorio.

Facile, vero? Sarebbe un modo per riconsegnare loro la speranza, l’unico vero motivo per non partire. Mentre ci organizziamo dovremmo, però, tutelare davvero chi, anche per causa nostra, attraversa deserti e mari per cercare, da noi, un mezzo per sopravvivere dignitosamente. Sarebbe un’occasione per restituire almeno una parte di quanto abbiamo loro tolto.
Rete di Varese

Circolare nazionale di dicembre 2018 – Clotilde Buraggi

27 novembre 2018
Carissimi amici della Rete, sono molto lieta di essere rientrata nella Rete e di essere stata accolta con tanto affetto. E’ stato giusto che Ettore abbia allontanato la sua presenza di fondatore per lasciare che la Rete si espandesse in modo più libero e comunitario, e i fatti hanno dimostrato che aveva ragione, sono poche infatti in Italia le associazioni che durano da tanti anni. Ma voi sapete che nonostante la nostra scelta voi siete rimasti sempre i nostri fratelli, se non di carne, di elezione e quando ci siamo allontanati abbiamo sofferto molto. Nel coordinamento Piemontese mi è stato affidato l’incarico di scrivere la circolare di dicembre, non l’ho mai fatto e mi sento abbastanza imbarazzata. Non essendo in grado di parlare delle operazioni, su cui non sono più aggiornata, ho pensato di riflettere con voi su un argomento che mi è venuto in mente proprio nel momento in cui lasciavo la Rete. Quale è il collante che ha tenuto insieme per tanti anni questa strana organizzazione senza capi e senza tessere? Sicuramente l’adesione a valori comuni che abbiamo cercato di incarnare. Ne elencherò solo alcuni non in modo esaustivo. La ricerca della giustizia e della verità anche in paesi lontani che presuppongono la conoscenza di realtà a noi sconosciute nel nostro ambito locale; la considerazione della profonda uguaglianza di tutti gli esseri umani anche diversi da noi e il rispetto per il loro ambiente. La consapevolezza come europei di dover risarcire quei popoli che con il nostro colonialismo abbiamo danneggiato. La particolare considerazione per i poveri e per gli impoveriti del pianeta a causa di sciagurate scelte politiche di cui magari siamo stati anche noi responsabili. L’attenzione al vicino, oltre che al lontano, una attenzione magari meno gratificante ecc. E’ ovvio che tutti questi sono valori umani, però la caratteristica peculiare e direi straordinaria della Rete è che convergono su questi valori persone che vi hanno aderito per motivazioni diverse, religiose e non religiose e stando tanti anni nella rete non mi è mai interessato sapere da quale motivazione derivasse il loro impegno e il loro generoso operare per gli altri. E ho osservato anche come tra gli uni e gli altri vi sia sempre stato un reciproco rispetto. I valori umani proprio perché sono valori sussistono come tali e quindi non hanno bisogno di altre spiegazioni, sono valori laici. Però si può arrivare alla scelta di questi valori per una motivazione religiosa e vorrei esplicitare che a questo riguardo la dottrina postconciliare si contrappone meno di quella preconciliare alla posizione laica e crea quindi meno divergenze tra le diverse motivazioni. Cerco di spiegarmi. Nella Chiesa preconciliare era prevalente l’opinione che non si potesse essere dei giusti, ossia vivere secondo certi valori, se non si apparteneva alla Chiesa. Infatti si riteneva che solo attraverso persone che avevano ricevuto gli ordini sacri potessero essere trasmessi i doni dello Spirito: ricevere cioè la grazia della giustificazione che dava l’accesso alla vita eterna. I membri ordinati della Chiesa avevano il compito di annunciare la buona novella della salvezza ma soprattutto il Pontefice aveva anche il grande potere di governare e di discernere quali valori fossero buoni o cattivi. Come sappiamo in alcuni momenti particolarmente oscuri nella vita della Chiesa vi fu l’uso della scomunica e della vendita delle indulgenze con cui si poteva barattare la grazia. Il Concilio Vaticano II non ha eliminato la sostanza di questa dottrina, (pur condannando le aberrazioni) però si sono aperte le porte della Chiesa. Durante il Concilio si sono infatti coniate le espressioni” Chiesa ad intra e ad extra”, ed è chiaro che l’espressione ad extra significava l’apertura della Chiesa a soggetti che non erano stati presi in considerazione in epoche precedenti. Se si volesse ricordare il Vaticano II per uno solo dei suoi pronunciamenti, e forse il più importante, si dovrebbe nominare il riconoscimento della libertà di coscienza, che ha dato anche a soggetti non credenti la piena responsabilità delle proprie convinzioni e del proprio operato. Nella Lumen Gentium (la costituzione dogmatica sulla Chiesa votata da tutti i Padri conciliari e dal Papa) è scritto: “Coloro che si sforzano di compiere fattivamente la volontà di Dio conosciuta attraverso il dettame della coscienza, costoro possono raggiungere la salvezza”. (LG pag.305, cap.327). Ma vi sono altri pronunciamenti che vale la pena di ricordare e che in qualche modo ribaltano una certa ottica ecclesiastica, perché invece di partire dalla grazia di Dio, che permette di fare il bene, partono dalla base, ossia che sono coloro che fanno il bene, sono coloro che mettono in pratica certi valori che ottengono la grazia di Dio e quindi la vita eterna. Nelle scritture ci sono entrambi questi punti di vista ma sappiamo che la Chiesa è anche un organismo terrestre e qualche volta ha privilegiato una dottrina che le dava più potere e cioè che la grazia per ottenere la salvezza poteva passare solo attraverso i suoi ministri. Nella Lumen Gentium è scritto: “Chiunque pratica la giustizia è gradito a Dio. (Atti 10,35) LG pag.309, cap.308. Ma forse il passo più forte è il seguente: “Ma lo Spirito Santo non si limita a santificare il popolo di Dio per mezzo dei sacramenti e dei ministeri… ma distribuisce pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali §dispensando a ciascuno i propri doni come piace a lui§ (1 Cor. 12, 11)…§ la manifestazione dello Spirito viene data per l’utilità comune§ (1 Cor. 12,7) LG pag. 491, cap.317”. Lo Spirito Santo soffia dove e come vuole, non è un dato acquisito riservato ai membri della Chiesa, non può essere imbrigliato, e può anche abbandonare chi parla solo di certi valori ma non cerca di metterli in pratica.

Con tanto affetto la vostra Clotilde

Circolare nazionale di novembre 2018 – Rete di Alessandria

Care e cari,

La circolare è per noi un momento di riflessione e di discussione.

Oggi, più che mai, abbiamo bisogno di un’informazione alternativa a quella dei poteri.

Intendiamo poteri al plurale, ovvero politico, economico, sociale e anche culturale.

I mezzi di comunicazione ufficiali sono spesso ritenuti faziosi e non obiettivi.

A partire dal 68 la politica irruppe nella vita quotidiana e divenne patrimonio dei movimenti.

I vari soggetti – donne, giovani, operai – scoprirono che i poteri avevano livelli occulti e criminali, pronti a colpire le lotte e a negare le coscienze. (Il caso più clamoroso fu la strage di Piazza Fontana e i depistaggi seguiti nel corso del tempo).

Dobbiamo fare una controinformazione globale, ricordando che oggi la conoscenza è potere. Non solo in Europa, anche in America Latina i popoli sono stati nutriti di false notizie, tanto da scegliere con il voto pericolosi personaggi, razzisti e antidemocratici.

In Italia l’uso pubblico della storia inganna giovani e non, sul senso delle leggi razziali, sulle emigrazioni, sulla natura del fascismo.

Molti affascinati da Casa Pound, scendono nelle piazze a contrastare movimenti antifascisti e di lotta.

Le giovani donne fanno controinformazione sul tema dell’aborto, sul pensiero patriarcale diffuso in alcune scuole come in Piemonte, sulla aggressività globale misogina e intollerante verso il diverso.

L’inchiostro e il suo uso ai giorni nostri è come una bomba – una vera guerra -, basti pensare a quanti giornalisti, donne e uomini, vengono uccisi e messi a tacere.

(cfr. Aldo Giannuli, Bombe a inchiostro, BUR, 2008)

Mai come oggi si può dire con Carlo Levi che le parole sono pietre.

Maria Teresa e Gigi

CIRCOLARE DI OTTOBRE

a cura della Rete di Padova

Pensando a Serena

Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo.

Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra forza.

Studiate, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza”

Antonio Gramsci

è tempo di riflessione e dibattito sui valori e le pratiche della Rete.

Vogliamo partire da questa citazione di Gramsci che compariva sotto una bella foto di Serena sul fascicoletto preparato per la celebrazione del suo funerale presso la Comunità Cristiana di Base di San Paolo a Roma, una bella cerimonia, molto partecipata con tante persone, vecchie e giovani, italiane e straniere, con storie diverse, ma unite dal condividere il desiderio di giustizia e l’impegno per realizzarla che hanno contraddistinto tutta la vita di Serena.

Una donna che ha saputo prendersi cura di chi le stava accanto come di chi, dall’altra parte dell’oceano, lottava per cambiare la realtà, una donna che sapeva entusiasmarsi, organizzarsi, una donna che studiava, rigorosa, senza fare sconti a nessuno.

Entusiasmo, forza, intelligenza: la Rete è ancora capace di entusiasmarsi, di organizzarsi, studiare, in questi tempi così difficili che mettono a dura prova la nostra umanità?

O è troppo vecchia, non sa staccarsi dai modelli del passato, non capisce chi è giovane e precario, è troppo concentrata sulle sue pratiche, non sa comunicare, ha paura del cambiamento, di intraprendere nuove strade?

E la discussione interna alla Rete risente – e non potrebbe essere altrimenti – delle trasformazioni che investono la nostra società segnata da crescente sperequazione tra poveri e ricchi, esclusi e titolari di diritti civili, politici, economici e sociali. Tra “noi” (i cittadini) e “loro” (gli stranieri provenienti da paesi anche appena più poveri e i loro figli esclusi dalla cittadinanza anche se di fatto italiani).

Dove è giusto agire ora? In quale scenario è più urgente e importante essere presenti con la nostra solidarietà?

Come rispondere a queste domande?

Quest’anno in marzo alcune/i di noi sono state/i ancora una volta ad Haiti. Tre settimane, girando per il paese, incontrando tante persone, ascoltando, osservando.

Haiti è un paese di emigrazione. Gli haitiani da anni cercano di sopravvivere anche fuggendo, nella vicina Repubblica Dominicana, ma ora anche in Brasile e in Cile. E questo esodo impoverisce ulteriormente il paese. Chi resta lo vive come una tragedia.

Ma questa tragedia viene da lontano: le cause della povertà (prime fra tutte la distruzione dell’ambiente, l’accaparramento delle terre fertili nelle mani di pochi) hanno una storia lunga, iniziata col colonialismo francese, continuata con l’occupazione e lo sfruttamento statunitense e i regimi dittatoriali che l’occupazione lasciò in eredità. Una storia che continua, sotto il segno delle politiche neoliberiste imposte dal Fondo Monetario Internazionale e dai paesi creditori.

Dai nostri amici e dalle nostre amiche di Haiti stiamo imparando ancora una volta come “il nostro mondo” continui ad opprimere, sfruttare, impoverire “gli altri mondi”.

Sostenere il loro lavoro quotidiano – difficile, faticoso, messo a dura prova dalle difficoltà quotidiane che ci possono sembrare insuperabili ma che sono la loro quotidianità – non ha nulla a che fare con l’ipocrita retorica dell’“Aiutiamoli a casa loro”. Né la scelta della solidarietà deve essere vista in contrapposizione con quella dell’accoglienza.

è vero, “gli altri mondi” vengono qui nel “nostro mondo” e noi dobbiamo accoglierli. Ma non basta. Dobbiamo studiare, capire le cause e cercare i rimedi, cogliere i legami tra quanto accade qui e là, avere uno sguardo che sappia andare oltre “il nostro mondo”. E per questo le relazioni con i nostri referenti lontani sono fondamentali.

Relazioni solidali che si traducono in sostegno materiale. Qualcuno potrebbe dire che non è uno scambio alla pari. È proprio così? Non riceviamo niente in cambio del nostro denaro? Ognuno rifletta su quanto queste relazioni hanno cambiato la propria vita.

Ma è proprio il sostegno materiale ad essere messo in discussione: molte persone – si dice – soprattutto giovani, sono precarie, vivono situazioni difficili, non hanno la possibilità di autotassarsi. Al seminario nazionale della Rete che si è tenuto a Brescia – dove già tutti questi temi erano stati discussi – padre Moussa Zerai ci disse: “Ci sentiamo impoveriti perché va in crisi il nostro stile di vita: finché possiamo dare il superfluo siamo solidali, se dobbiamo sacrificare qualcosa, allora c’è la crisi. Solidarietà vuol dire fare posto all’altro nel mio spazio, devo stringermi per accoglierlo, questa è vera solidarietà”.

Allora l’autotassazione è una scelta politica: ci permette di essere a fianco di chi spesso si sente solo nel suo cammino verso il cambiamento di società ingiuste. Ad Haiti questo l’abbiamo toccato con mano tante volte. Non stiamo facendo beneficienza, stiamo restituendo quel che è stato sottratto, rapinato, quel che si continua a sottrarre e rapinare, stiamo cercando di fare un po’ di giustizia.

Ha scritto Carla intervenendo sul dibattito in rete riguardo al sostegno da dare o meno all’esperienza di accoglienza dei migranti nel comune di Riace: occorre “dare una mano nel momento del bisogno perché chi ha fame e soffre non può morire mentre noi tentiamo di cambiare cose nel sistema… e contemporaneamente è del tutto necessario ‘cercare le cause’ dei disastri che succedono… e affrontarle per cambiare”.

Con la consapevolezza dei nostri limiti: non possiamo salvare il mondo. Ma possiamo prenderci cura di quante e quanti abbiamo incrociato nel nostro cammino, chi in Palestina, chi in America Latina, chi in Africa, chi in Italia. Senza creare gerarchie di dolore e necessità, cercando insieme soluzioni sostenibili a situazioni che possiamo affrontare con le nostre forze, mettendoci in gioco.

Alle domande poste all’inizio possiamo rispondere che dobbiamo metterci in ascolto di chi chiede giustizia e cercare insieme di cambiare le cose, accettando i nostri limiti, ma riconoscendo i percorsi compiuti.

Ti pa ti pa nap rive”, era scritto sulla carriola di un contadino haitiano: a piccoli passi arriveremo. Continuiamo a camminare.

Al termine del mandato biennale di Segreteria, abbiamo cercato di fare un breve bilancio del nostro servizio reso tirando le fila del tragitto percorso e di ciò che, in qualche modo, è rimasto in sospeso. Analogamente a quando accaduto quest’anno, anche noi, nel Giugno 2016, siamo stati nominati in contumacia. Auguriamo alla Nuova Segreteria che le analogie continuino perché seppur impegnativa la nostra esperienza è stata positiva. Ci siamo conosciuti, confrontati ed insieme siamo cresciuti facendo tesoro delle peculiarità di ciascuno sperimentando un circuito di affetti profondissimi che va ben oltre la funzione del mandato specifico.

Un testimone raccolto, in un momento particolare della storia della Rete. La dipartita di Ettore e dei tanti amici/amiche ci consegnano una non facile eredità. La sfida di restare “Nel vento della Storia camminando le strade degli esodi dei popoli”.

Il filo conduttore di questi due anni di cammino potrebbe riassumersi, in estrema sintesi, nel tentativo di: “Ridefinire un noi (associativo), capace di dare continuità a quella grande intuizione di Solidarietà che attinge la sua linfa vitale dall’alterità, dai sofferenti, dai popoli oppressi ma pieni di speranza “.

Usando narrazione e memoria siamo partiti dalle radici della Rete per riscoprire e rinnovare l’adesione a quei valori riconosciuti come irrinunciabili, cercando poi di contestualizzarli nella nostra contemporaneità. Un esempio, per meglio spiegarsi. Data per assodata l’adesione al valore restituzione, ci sembra importante riflettere se nell’attuale situazione socio – economica l’unica declinazione possibile, sia davvero soltanto l’autotassazione? L’analisi del presente non può prescindere da uno sguardo al futuro. Individuando le nuove sfide ed i nuovi attori. Immaginando e disegnando nuove strade. In questo caso l’esempio più significativo emerso ci pare la necessità di confronto con le nuove generazioni. Non per esigenze di proselitismo ma piuttosto per una fame di giustizia verticale, una sorta di restituzione generazionale. Nell’ipotesi di un percorso che mettesse a disposizione la nostra ricerca, le nostre consapevolezze come occasione di esperienza e relazione con “l’altro da sé ”.

Per far ciò, oltre agli abituali coordinamenti, si sono resi necessari dei momenti di incontro capaci di coinvolgere in maniera più allargata gli aderenti alla Rete. Ecco allora i Seminari Macro Regionali, il Seminario Nazionale di Brescia fino alle ultime recenti esperienze di Trevi con il Seminario Giovani ed il Convegno Nazionale dal titolo: “La solidarietà non è reato: Resistiamo umani”.

Questa frase, ci pare contenga contemporaneamente il punto di arrivo del nostro tragitto ed una proposta di riflessione per il cammino prossimo venturo.

La necessità di esprimere che la solidarietà non sia e non potrà mai esser un reato inquadra bene il clima in cui siamo chiamati ad operare. A ciò è strettamente legato il concetto di resistenza che segue perché con molta chiarezza dobbiamo riconoscere il nostro presente come un tempo di Resilienza. Cronaca ed esternazioni politiche, se fosse necessario, sono lì a ricordacelo. In questa eclissi dei diritti resta assolutamente necessario conservare tenacemente accesa la fiaccola del Restare Umani.

Perché una flebile luce può significare speranza ed appartenenza, per tutti coloro che, nel mezzo di questo crescente, disumano oscurantismo, si sentano profondamente alieni.

Non siamo mai stati neutrali. Abbiamo scelto con Chi camminare tra coloro che detengono il potere economico-finanziario, culturale, politico, religioso e color che ne sono vittime. In questo momento, è però assolutamente necessario, rendere evidente per Chi ci siamo schierati. Non solo a livello personale o di azioni locali ma fornendo un segno significativo ed inequivocabile a livello nazionale. In grado di rappresentare la Rete Radiè Resch tutta.

Nella mailing list si è acceso un interessante scambio di opinioni a proposito dell’esperienza di Riace. Quale significanza può avere una adesione della nostra piccole Rete? Certo abbiamo forze ed energie sempre più ridotte. Con tale realtà dobbiamo fare i conti, ma questo non può essere la ragione che frusta immaginazione e inventiva per la ricerca di nuove soluzioni.

Dovremo certo approfondire le collaborazioni con le altre realtà che hanno percorsi e temi comuni ai nostri. Nel dopo Convegno, abbiamo ricevuto numerosi attestati di stima da parte di diverse associazioni che sono rimaste colpite dal clima e dallo stile con cui i lavori si sono svolti. Cominciare con loro, ad esempio, non dovrebbe esser difficile.

Per concludere, dovremo affinare la comunicazione facendo diventare nostri quei linguaggi che sempre più persone usano e comprendono. In un generale “collasso della parola e della complessità ” al pari della testimonianza diventa necessario investire sul sito, sui social e su tutti quegli strumenti che possono, in tal senso, risultare utili.

Genova pare il palcoscenico adatto per le rappresentazioni tragiche e simboliche della nostra contemporaneità. E’ accaduto nel Luglio del 2001, con il G8 e la morte di Carlo Giuliani. Accade oggi, nell’Agosto del 2018 con il crollo del ponte Morandi. Una icona drammatica del livello di noncuranza e di indifferenza raggiunta. Risultato di una incuria strutturale, certo, ma primariamente politica. Quel ponte spezzato è il vallo tra popolo e rappresentanza, tra il potere ed il diritto. E’ la crudele, palese immagine della “mancanza di cura”.

Forse dovremmo semplicemente tornare a prenderci cura.
Del proprio lavoro. Del privato e del pubblico.
Del Presente e del Futuro.
Della Vita e della sua fragilità.
Della Natura e del Creato.

Promuovere un programma essenziale, il cui semplice testo sotto cui raccoglierci, potrebbe suonare così: “Torniamo ad occuparci e preoccuparci delle persone e delle cose”

Perché l’essenza dell’essere umano sta nella capacità di prendersi cura. Ed è forse questo il modo più pieno per riuscire a Resistere umani.
Angelo, Monica e Pier

Facciamo “circolare” frasi semplici.

La Rete di Quiliano è nata nel 2013 da azioni semplici – il gruppo Ginnastica Solidale garantisce l’autofinanziamento – fondate su concetti semplici quali mutualismo e reciprocità. Viviamo un tempo di ricerca in campo politico e di conseguenza nei modi della solidarietà. Nelle persone di G. e C. la rete si è impegnata a stendere tre bozze di operazioni “a impegno finanziario zero” , interamente sostenute con restituzione in ore di lavoro che saranno presentate ai prossimi coordinamenti.

Alcune immagini di solidarietà internazionale: M. ha un figlio adolescente,non gli ha mai proposto di partecipare ad attività di solidarietà, convegni, formazioni eppure si è spontaneamente impegnato con il gruppo Migrantes di Savona: ha respirato il messaggio portato dalla mamma; A. ed il marito vivono con una pensione che dedicano in parte a sostenere un percorso riabilitativo per un nipote in difficoltà, non manca mai il loro contributo per il Centrafrica; G. si è impegnata ad accompagnare una minore straniera per l’intero corso di studi, partite dalle elementari quest’anno hanno finito la terza superiore, G. ha qualche problema motorio per cui viene raggiunta a casa dalla sua allieva.

Alcune immagini di impegno politico: H. è titolare dell’attività “Africa Market” di Savona, martoriata da petizioni, irruzioni e perquisizioni, ha chiesto aiuto al coordinamento antifascista, abbiamo organizzato un partecipato presidio di fronte al negozio con volantinaggio e, a seguire, aperitivo e festa sulla spiaggia. Nel quartiere V. di Savona verrà aperta una sede di casa pound, è nato un comitato di resistenza, lunedì 16 ci sarà una fiaccolata, si sono già tenute due assemblee ed è sorto un presidio sociale nella SMS. I “Giornalisti de SE”, presenti al convegno RRR 2018 continuano la loro attività politica per la Repubblica Centrafricana condotta con la modalità dell’”esserci” silenzioso e carico di simboli.

Qualcuno di noi è stato attivo in campagna elettorale per le elezioni politiche 2018. La percezione è quella che al momento non esistano organizzazioni politiche mature per costruire un grande cambiamento. Ma esistono molte Persone mature, pronte e capaci di questo. Di diverse razze e culture. Lavorando concretamente stanno ricominciando a ritrovarsi. Nude dei simboli, loro stesse unite simbolo. Il grande coraggio della semplicità restituirà la Luce e la Strada da percorrere. Perché storicamente l’ha sempre fatto.

Con Fiducia
Rete di Quiliano

Perché usare le iniziali puntate? Perché il senso è nel gruppo.

A cura della Rete di Pisa-Viareggio

L’ultimo nostro convegno e i seminari che lo hanno preceduto avevano come tema la solidarietà. Da un lato ci siamo chiesti quale possa essere per noi, a 54 anni dalla nascita della Rete, il senso di questa parola, e dall’altro, più in generale, ci siamo chiesti quale sia il senso di questa parola nell’Italia di oggi, abbastanza diversa da quella di 50 anni fa, ma anche da quella di soli cinque o dieci anni fa. Crediamo che proprio i fatti di questi ultimi giorni, con l’Aquarius e il suo carico di disperati utilizzati come ostaggi in una vergognosa prova di forza, abbiano fatto tornare molti di noi con il pensiero al nostro convegno e in particolare alla “spiazzante” relazione di Gherardo Colombo. Colombo è riuscito a metterci in discussione. Alla sua domanda “Cosa è la solidarietà?” abbiamo risposto in diversi modi, tutti abbastanza scontati: “aiutare, condividere, …”. Colombo ci ha portato alla radice: dietro tutto ciò c’è il “riconoscimento” dell’altro, dell’altra, della sua dignità e della sua umanità. E quindi anche dei suoi diritti. E questo vale per tutti, indipendentemente dal colore della pelle (questo ci viene facile), dalla simpatia o antipatia, e anche dalle posizioni etiche e politiche (e questo è già più difficile). Ricordate la sua lettura dell’articolo 3 della Costituzione, dove si dice che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale”? Per cittadino qui, ci ha spiegato, si intende persona, chiunque essa sia, indipendentemente dalla sua cittadinanza giuridica. E ricordate quando ci ha letto il punto XII delle Disposizioni transitorie, in cui si dice che le limitazioni “al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista” sono comunque limitate a 5 anni? Questo in qualcuno ha creato un po’ di sconcerto. È facile per noi riconoscere i diritti e la dignità di chi del sistema è vittima, molto meno di chi del sistema che produce vittime è artefice. Questo essere rigorosi nel riconoscere pari dignità e diritti a tutti, anche a … Salvini (e capisco che non è facile), è quello che ci rende veramente credibili quando condanniamo chi fa distinzioni fra persone, chi nega i diritti e la dignità di chi è diverso o lontano. E qui ritorniamo di nuovo a Salvini. Quello che è successo in questi giorni è veramente ignobile. Oltre 600 persone (uomini, donne, anche incinte, e tanti bambini) usati come ostaggi per potere rivendicare qualcosa di fronte all’Europa, per dimostrare la linea dura del nuovo governo, un governo populista, autodefinitosi “governo del cambiamento”.
Certamente si tratta del governo più a destra della Repubblica, e questo è confermato dal fatto che nei media in questi primi giorni di vita si è presentato con la faccia di Salvini piuttosto che con quella del suo capo nominale, il premier Conte. Si tratta di un governo in linea con il crescente supporto che godono le forze politiche autocratiche, xenofobiche e populiste in tutta l’Europa. Un supporto che trova nel rifiuto dell’immigrazione la sua motivazione immediata, quella su cui fare leva. Da qui l’importanza che ha il nostro impegno come Rete sui temi delle migrazioni, dell’accoglienza e soprattutto del riconoscimento della dignità e dei diritti di tutti, proprio i temi al centro del nostro ultimo convegno. Ma questo non basta, per almeno due ordini di ragioni: La prima ce la suggerisce Carlo Freccero in un articolo apparso nel Manifesto del 6 giugno scorso, quando scrive: “Sono stupefatto di vedere che il buonismo di sinistra si limita all’accoglienza ma non si pone mai il problema delle cause”. Troppo spesso la sinistra con grande miopia ha guardato solo alle ultime fasi del processo migratorio. Si sono fatti accordi con la Turchia e con la Libia cercando di bloccare i flussi, poco preoccupandosi delle condizioni in cui i migranti venivano trattenuti in quei Paesi. Non è un caso che a Minniti, autore degli accordi con poteri locali libici, è arrivato un riconoscimento anche da Salvini. Ci si è preoccupati di contrastare i trafficanti di esseri umani (per altro con minore successo), poco curandosi del fatto che i “trafficanti” sono nei fatti l’unico mezzo di trasporto che noi, con la chiusura di tutti i canali legali, lasciamo a chi cerca di fuggire dalla violenza della guerra o anche dalla violenza di un sistema economico più neo coloniale che neo liberale, e del fatto che di entrambe queste forme di violenza noi portiamo una non trascurabile parte di responsabilità. Per ogni linea di traffico che noi chiudiamo altre più lunghe e più pericolose se ne aprono, ma il flusso di migranti difficilmente si ferma. Da qui la necessità per la Rete di non distogliere lo sguardo dall’altra parte del mondo, dal “rovescio della storia”, di non cedere alla tentazione di concentrarsi sul “qui” trascurando il “li”. Le realtà con cui siamo in contatto, i “nostri testimoni” sono le lenti che ci permettono di leggere, decifrare e svelare la vera faccia del sistema di oppressione che, come “Nord”, abbiamo creato e continuiamo a mantenere e alimentare. Questo è anche il “lascito” dell’impegno con i Sem Terra di Serena, la notizia della cui morte, inattesa e sconvolgente, ci ha raggiunti mentre scrivevamo questa lettera. Nel 1995, Serena, insieme a Maurizio Serra, andava, su incarico del coordinamento, in Brasile per rappresentare la Rete ad un Convegno del Cehila (Commissione di Studi di Storia della Chiesa in America Latina). Nel suo bel resoconto del viaggio, pubblicato sul numero del dicembre 1995 del nostro Notiziario, Serena inizia raccontando la sua emozione nel visitare, vicino a Goias Velho, un occupazione di terre, l’“assentamento Agapito”. Da questa prima esperienza nasce il suo fortissimo e quasi totalizzante impegno con i Sem Terra. Caratteristica dei Sem Terra brasiliani, e credo che proprio questo fosse all’origine della scelta fatta da Serena, è la capacità di avere uno sguardo globale, di vedere la loro lotta all’interno di un cammino che porti a quel “nuovo mondo possibile” che, dopo l’entusiasmo dei primi Social Forum mondiali, è rimasto un po’ in margine. La seconda ragione per cui l’impegno con i migranti non basta è che in realtà le cause di questa crescita dei movimenti populisti e xenofobi sono più profonde. Si chiamano insicurezza, precarietà e disuguaglianze. Già nel primo dopoguerra era stata la crisi economica all’origine della nascita dei fascismi, sia in Italia che in Germania. Nelle elezioni tedesche del 1928, in situazioni di relativa stabilità economica, il partito nazista era rimasto sotto il 3%. All’inizio della grande depressione nelle elezioni del luglio 1932 questa percentuale era salita al 37%, e il partito nazista era diventato il maggiore partito del Reichstag. Nel secondo dopoguerra abbiamo invece avuto inizialmente, almeno in Europa, una forte crescita economica, che ha portato benessere e sicurezza crescenti, crescita dei sindacati e dei movimenti operai, ampliamento dei diritti sociali e anche maggiore democrazia. Sono tante le cause che hanno prima rallentato e poi interrotto questo processo. Fra queste certamente il progresso tecnologico, che ha cambiato la struttura del lavoro nei processi produttivi, riducendo il ruolo e l’importanza del lavoro materiale, e soprattutto frammentandolo e precarizzandolo, e la finanziarizzazione dell’economia che ha portato non solo alla crisi economica di dieci anni fa, ma anche e soprattutto a un aumento fortissimo delle disuguaglianze. Quali siano state le cause, certamente la risposta della sinistra è stata del tutto inadeguata. Da un lato la logica del sistema economico neoliberale è stata nei fatti accettata (vedi la cosiddetta “Terza Via” di Blair), così come è stata accettata la riduzione dei diritti dei lavoratori e la precarizzazione del lavoro (vedi ad esempio il cosiddetto Job Act). Disuguaglianze, redistribuzione del reddito, tasse patrimoniali sono argomenti che non compaiono nei programmi e nelle azioni dei governi che si sono succeduti negli ultimi anni e di cui anche le opposizioni di sinistra parlano con molta cautela. Dall’altro la stessa prassi politica della sinistra ha contribuito alla crisi dei partiti come spazio di partecipazione e di elaborazione politica, o comunque nulla ha fatto per ostacolarla. Lo slittamento progressivo dalla partecipazione/rappresentatività alla governabilità/comando, ben illustrato dalle leggi elettorali che si sono succedute in Italia negli ultimi anni, dall’introduzione delle cosiddette primarie, e dalla retorica del “dobbiamo sapere chi governa la sera stessa delle elezioni!”, è tipico dei processi che portano alla nascita dei populismi. Processi in cui si passa da una cittadinanza in cui tutti hanno pari dignità e pari potere decisionale all’identificazione del popolo/massa con l’io ideale incarnato dal capo. L’argomento è molto complesso e meriterebbe una trattazione ben più articolata di quel che si può fare nello stretto spazio di una circolare. Forse potrebbe essere un interessante argomento per uno dei nostri seminari. Certamente è un tema, quello della democrazia nel nostro Paese e più in generale in Europa, da tenere sempre presente nel nostro impegno quotidiano come Rete se non vogliamo rischiare di ridurci alla sterilità della pura testimonianza. E questo era proprio il senso di un intervento di Serena, che in questi giorni è particolarmente presente nei nostri pensieri, in occasione di una discussione sullo stato della Rete nel coordinamento del 25 marzo 1995.

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