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Circolare Nazionale Rete Radiè Resch

Luglio 2016

CIBO E CITTADINI (!) IN SCATOLA

Cari Amici, mi sembra corretto in questo periodo alzare lo sguardo e parlare …. DELLA SCATOLA (!) che sta al di sopra della nostra vita quotidiana, cioè del CONTENITORE CHE CI CONTIENE e in cui ci muoviamo, esistiamo, respiriamo, e cioè dell’’UNIONE EUROPEA e che cosa lì sta succedendo. Qualche settimana fa alla trasmissione televisiva “Ballarò” non certo particolarmente progressista dicevano che a Bruxelles vivono stabilmente 15.000 lobbisti, e cioè persone a libro paga di multinazionali e aziende del mondo intero per condizionare i lavori del Parlamento di Bruxelles! Queste cose purtroppo ci sembrano normali. Ho subito pensato che sarà difficile quindi che nei prossimi anni a Bruxellese si possano fare leggi a favore dei cittadini! QUESTA E’ LA SCATOLA IN CUI OGGI CI MUOVIAMO, ESISTIAMO, RESPIRIAMO. CI HANNO MESSO NEL SACCO! OGGI, NON IERI O DOMANI, OGGI! Dobbiamo saperlo, esserne consapevoli. Forse è già tardi. SVEGLIAMOCI! Facciamone prendere coscienza agli altri cittadini che stanno intorno a noi! NON POSSIAMO PIU CREDERE ALLE FAVOLE, NON POSSIAMO PIU PERMETTERCELO. RIPETO: DIFFICILMENTE FARANNO UNA LEGGE PER IL BENE DEI CITTADINI CON 15.000 LOBBISTI FORIERI DI INTERESSI A BRUXELLES! QUESTO DOBBIAMO SAPERLO. NON ILLUDIAMOCI! VOGLIONO METTERCI NEL SACCO, IN SCATOLA, COME IL CIBO SPAZZATURA CHE CI VOGLIONO PROPINARE. DOBBIAMO SAPERLO QUESTO, NON POSSIAMO FARE FINTA NON ILLUDIAMOCI. NON SONO PIU’ I NOSTRI RAPPRESENTANTI, SONO I RAPRESENTANTI DELLE MULTINAZIONALI! QUESTO E’ CHIARO. Sentiamo cosa scrive a proposito Alex Zanotelli su Nigrizia di Giugno 2016: Eravamo davvero in tanti a Roma, il 7 maggio scorso, a manifestare contro il Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip), l’accordo di libero scambio sul quale Stati Uniti e Unione europea stanno trattando dal 2013. Un accordo che vuole la liberalizzazione del commercio e degli investimenti, togliendo dazi e barriere non tariffarie. Il Ttip riguarda 800 milioni di persone e quasi il 45% del commercio mondiale. Non possiamo accettare che un accordo del genere vada avanti. 1. Innanzitutto per le modalità poco trasparenti, e quindi poco democratiche, con cui è avvenuta la trattativa: il negoziato è cominciato a porte chiuse e solo in un secondo momento la Commissione europea ha tolto il segreto sul mandato negoziale. Di recente poi Greenpeace ha pubblicato una parte dei testi in discussione. Rimane il fatto che né il parlamento europeo né il congresso Usa hanno avuto informazioni dettagliate in merito. Certo potranno ratificare o meno l’accordo (al pari dei parlamenti dei singoli paesi europei) una volta raggiunto un esito. Rimane il fatto che tutta la partita è in mano alla Commissione europea e al ministero del commercio Usa. Mi pare lecito chiedersi se questo modo di agire è in linea con i principi democratici che ancora reggono gli Stati Uniti e l’Europa. ……CITTADINI IN SCATOLA E NEL SACCO PERCIO! 2. Un altro aspetto che preoccupa, perché va a incidere sulla salute e sull’ambiente, è la possibilità che il Ttip faccia saltare il principio di precauzione. Oggi in Europa se si vuole commercializzare un prodotto occorre dimostrare che non faccia danni alle persone e all’ambiente. Si chiama appunto precauzione ed è prevista nei trattati europei. Negli Stati Uniti avviene il contrario: fino a che non è dimostrato che fa male o inquina, posso commercializzare qualsiasi prodotto. Significa che, una volta attivo il Ttip, gli Usa potrebbero esportare in Europa beni alimentari non proprio salutari. Il Ttip potrebbe anche voler dire l’istituzione di un arbitrato internazionale privato: ciò darebbe modo alle multinazionali di denunciare gli stati se leggi approvate dai singoli parlamenti interferiscono con le loro previsioni di profitto sugli investimenti. In questo quadro non è difficile prevedere una ulteriore diminuzione dei diritti di chi lavora e un peggioramento delle condizioni di lavoro. Temo che questo Ttip possa partorire un mostro. Un mostro che non possiamo accettare. Dobbiamo perciò rimanere mobilitati, anche attraverso il sito stop-ttip-italia.net. Un prossimo momento di attenzione è l’11 luglio (cioè oggi) quando a Bruxelles si incontreranno i negoziatori europei e statunitensi per definire le fasi finali della trattativa.

Senza dimenticare che il governo italiano sta sostenendo con forza questo trattato, attraverso Carlo Calenda che fino a ieri era il rappresentate dell’Italia preso l’Unione europea. Non è un bel segnale che, ai primi di maggio, Calenda sia stato scelto da Renzi come ministro dello sviluppo economico. Amici, forza e coraggio, abbiamo tanto da fare per noi e i nostri figli. Muoviamo per diffondere la buona parola, cioè questa!

Buona estate a tutti.

La Rete di Genova, 11 luglio 2016

Circolare Nazionale Rete Radiè Resch

Giugno 2016

DOVE ANDARE? A VENTIMIGLIA?

Cosa dite, confermiamo il prossimo coordinamento in sede Sezano/Verona o stravolgiamo il programma e partiamo tutti per Ventimiglia a dare supporto a coloro che provano ad affrontare i fatti di cronaca che riguardano i Migranti? A guardare in faccia la storia, la nostra storia? Cosa dite, passando da Savona facciamo carovana con Ba – presente per una bellissima tre giorni di animazione sensibilizzazione – e lo coinvolgiamo, certi del suo potere mediatico? La tentazione per me sarebbe grande. A Ventimiglia mentre la polizia sgomberava, il Prete accoglieva, ed in molti cercavano tende e pasti, sull’autostrada passava un pulmino colorato, pieno di atleti che andavano a Barcellona per un meeting internazionale: uno era salito – simbolicamente – dal greto del Roja al cavalcavia, con documenti regolari e libero transito alla frontiera. A rendere questo possibile è stata una Rete: un progetto CARITAS, la Rete Radiè Resch, una famiglia accogliente, una società di Atletica. Ogni passaggio ha richiesto un preciso assetto giuridico, una filosofia, una disponibilità, una visione utopica: c’erano ONLUS, associazioni, società. La Rete di Castelfranco ha bisogno di essere ONLUS, le Reti che lavorano con i Mapuche hanno bisogno di fondi straordinari, la Rete di Salerno ha bisogno di diventare ASSOCIAZIONE e quanti altri esempi e scusate per quelli sbagliati. Siamo sicuri di avere il tempo la voglia la capacità di trovare una linea comune? E’ così necessario? Forse potremmo soffermarci su quello che è il nostro patrimonio:

-Autotassazione vuol dire che ogni mese ognuno investe qualcosa di proprio, sempre meno saranno soldi sempre più sarà tempo (per un futuro possibile: CREIAMO LA NOSTRA BANCA DEL TEMPO!)

-Non abbiamo sedi, dipendenti, strutture che costano.

-Vantiamo criteri di adozione delle operazioni meditati e condivisi.

-Investiamo sulla “ricerca”, sull’azione politica dal basso.

Questo è il nostro patrimonio e dobbiamo farcene garanti e custodi.

Per il resto fidiamoci, nella diversità le Reti agiscono ed agiranno sicuramente bene. E’ una proposta di federalismo? No Amiche ed Amici davvero cari e stimati, è dare valore al tempo ed ai soldi che costano i coordinamenti e farne uso oculato; dirci che forse dovrebbero diminuire da 5 a 3 poiché nessun lavoratore può sostenere un appuntamento Rete ogni due mesi; renderci conto che sempre più dovrebbero tendere al concreto con autocensura sugli interventi e le polemiche. Chiederci se sono ancora un “parlamento” riconosciuto o un’entità che sostanzialmente organizza seminari e convegni e rivede operazioni con malcontento diffuso. Coraggio! E perdonate la franchezza. Noi siamo convinti che possiamo lasciare uscire il nostro meglio per questo investiremo euro ed ore per venire a Sezano perché se lavoreremo bene le “Ventimiglia” diminuiranno e la ragione di essere Rete è questa. Sarà bello abbracciarvi, questo è, resta e non è in discussione. Come sarebbe bello tornare – ci siamo già stati – ad abbracciare i Profughi a Ventimiglia. Questo è, sarà sempre di più ed è in discussione.

Riflessioni sparse della rete di Quiliano

Maggio 2016 (bis-2)

Proponiamo una riflessione particolare: la preoccupata comunicazione della segreteria:

Cari amici e care amiche, in questo mese la circolare nazionale, assegnata alla segreteria, è una vera e propria lettera circolare, un appello di solidarietà, che trova motivazione nella difficile situazione economica della nostra associazione, con cui in ultimamente è stato necessario fare i conti. Già negli ultimi anni il bilancio mostrava chiaramente una costante diminuzione della raccolta, ma senza che questo comportasse, di conseguenza, problemi per il sostegno ai progetti di solidarietà (avendo una certa riserva, dovuta ai lasciti). E’ invece durante la revisione dei progetti con scadenza 2015, che in Coordinamento (a Quarrata in Gennaio, prima, poi a Pescara in Marzo) si è dovuta costatare l’insufficienza delle risorse per la loro riconferma, anche considerando una “naturale” diminuzione per alcuni, in relazione a possibilità interne agli stessi progetti. I progetti di cui stiamo parlando sono: Donne palestinesi (Palestina), Scuola Nazionale del Movimento Sem-Terra (Brasile), Alli Causai (Ecuador), Sembrando amor como el mais (Ecuador), Clara Mattei (Brasile), Assistenza socio-sanitaria a Cochabamba (Bolivia), Produzione sapone a Roranapolis (Brasile), Progetto Nino (Bolivia), I Bambini di Timbuctu (Mali), Cofinanziamento scuole di Pace (Palestina), Appoggio alle donne capofamiglia (Ecuador), Mapuche associazione Folilko (Cile). Non è stato inoltre possibile approvare, neppure per una sua parte, il nuovo progetto “Eduposan” a favore di una popolazione indigena argentina, seppur ritenuto interessante, o a prendere in considerazione la richiesta di Don Panichella per un nuovo sostegno al suo lavoro di strada. Ne è scaturita una vivace e bella discussione sul senso del nostro fare solidarietà, sulla temporaneità del sostegno economico (si diceva “li accompagniamo per un tratto del loro cammino…”), sulle logiche della solidarietà, sulla consapevolezza che i progetti sono i progetti di tutta la Rete e non solo del gruppo locale referente (su questi aspetti vi rimandiamo ai verbali di Quarrata e Pescara). In una logica meramente economica, la situazione delle entrate comporterebbe una drastica riduzione delle somme necessarie al sostegno dei progetti (circa il 26%). Ci siamo invece, infine, ritrovati tutti concordi su una logica ed un’idea diversa dal fare meramente i conti con la realtà e con il bilancio, cioè, con l’idea di richiamare le nostre più profonde motivazioni al fare solidarietà e condivisione della nostra vita con gli ultimi, con gli impoveriti della terra. Eccoci, perciò, a lanciare un appello per un grande sforzo collettivo, per una raccolta straordinaria che arrivi a coprire la somma mancante di euro 7600.

Buon lavoro ed un grande abbraccio a tutti ed a tutte!

la Segreteria

Maria, Gigi, Maria Rita

Maggio 2016 (bis)

Carissima, carissimo,

da pochi giorni siamo rientrati dal Convegno della Rete a Trevi dove abbiamo dato la parola ai nostri amici profughi e migranti, evidenziare che è stato meraviglioso è poca cosa in rapporto a ciò che abbiamo ascoltato, vissuto. Un’umanità nuova in cammino verso ognuno di noi, verso ogni comunità, verso ogni Stato per sentirsi insieme: mondo. Siamo nel pieno dell’anno della Misericordia, al convegno abbiamo compreso che ha mille strade, mille modalità, che la solidarietà si esprime in mille modi, che è un aspetto essenziale della misericordia. Che offrire misericordia non può essere un peso o una noia da cui liberarci in fretta. Il bisognoso, la vedova, lo straniero, l’orfano: Dio vuole che guardiamo a questi nostri fratelli, vuole metterci alla prova se siamo capaci di fermarci a guardare negli occhi la persona che mi sta chiedendo aiuto? Sono capace? Oggi dobbiamo amare le persone in modo che esse siano libere di amare gli altri più di noi, perché è il volersi bene che fa sentire le persone uguali. Oggi facciamo i conti con il caos, con male, con i disastri della natura, con le violenze, con le guerre, con le ingiustizie, con la sopraffazione di un popolo sull’altro. Oggi il male è così invadente da poter pensare che forse l’uomo, prima ancora di essere colpevole, ne é vittima. Oggi gli errori, l’imperfezione, il limite sono quindi insiti nella storia, ma sono anche la chiave del progresso. I momenti più caotici, e noi probabilmente ne stiamo attraversando uno, sono però spesso anche quelli che danno origine ad una nuova coscienza, ad un salto di qualità, alla capacità di un radicamento più interiore, ad una maggior crescita umana. L’Europa ha chiuso le frontiere sulla rotta dei Balcani percorsa dai profughi, lo ha annunciato come una vittoria. Un volto, quello dell’Europa, senza vergogna. Doveva organizzare la distribuzione dei profughi, siamo ancora al caos, peggio, si ergono muri ovunque, in questi giorni anche l’Austria, governata dalla sinistra, ma presto chiamata al voto, per paura di perdere le prossime elezioni, ha iniziato a costruire un muro al Brennero, e sta pensando di ergerlo anche con la Slovenia. I ventotto paesi hanno siglato l’accordo ma nessuno è interessato a metterlo in pratica. Dove sono l’umanità, la solidarietà, la compassione? Una vittoria dei ciechi egoismi, del cinismo e dell’indifferenza, sbandierata proprio da una istituzione che vanta nel proprio curriculum un “immeritato” Premio Nobel per la Pace nel 2012. Le frontiere chiuse a migliaia di profughi senza documenti regolari in fuga dai conflitti in Siria, in Afghanistan e in Iraq, dal terrorismo nel Pakistan, dalla siccità, dalla fame e dai regimi dittatoriali dell’Africa sub-sahariana. Sono porte sbattute in faccia a famiglie intere, a madri e bambini. Ad Idomeni, al confine tra Grecia e Macedonia, sono bloccati 14 mila migranti e rifugiati, in condizioni drammatiche. Ho ricevuto notizie tragiche dagli amici preti di Ambivere (BG) che avevano eretto nel tempo di Quaresima una tenda e vi avevano preso posto, che sono andati ad incontrarli. Ma allo stesso tempo quanta voglia di vita, quanta creatività ci fatto conoscere attraverso l’invio di notizie e grossi murales fatti con i bambini. Ad ogni loro movimento ricevono, contro ogni legge internazionale vigente, lanci di lacrimogeni, proiettili di gomma e acqua gelida con gli idranti. Stiamo assistendo alla crudeltà dell’umanità nel fango! Dove è finita l’Europa della democrazia e dei diritti? Ma soprattutto dove ha smarrito la sua umanità di fronte al genocidio in atto nel Mediterraneo, mare di sangue, che ha falcidiato dal 1988 oltre 28 mila vite? Ma questi non sono numeri! come ci hanno insegnato padre Zanotelli e don Ciotti, questi non sono numeri, sono volti, vite, quante volte dovremmo ancora ripeterlo? Che ne è rimasta della commozione di tutto il mondo davanti alla foto del piccolo Aylan sulla spiaggia turca? 330 bambini inghiottiti solo dall’inizio dell’anno da un mare più nero dell’inferno senza una lacrima versata, se non il dolore eterno, di cui non sapremo mai, delle madri. E se fossero stati bambini italiani, annegati durante una crociera sul Mediterraneo? Solo questo è un orrore impronunciabile, vero? Chi li avrà sulla coscienza quando tra venti o trent’anni si leggerà sui libri di storia di un genocidio mai riconosciuto, mai affrontato con soluzioni possibili e praticabili, come quella dei corridoi umanitari? Continuiamo a voltare tutti gli occhi da un’altra parte, continuiamo a far finta di non vedere. C’è da vergognarsi di essere europei. Punto e basta. Ci domandiamo quali sono i motivi dei conflitti, chi li determina, chi li arma, quali interessi economico e geopolitici ci sono dietro, e a vantaggio di chi? Chiudo ricordando che, seicentomila italiani ricevono la pensione ogni anno grazie ai contributi versati dai lavoratori emigrati, che hanno versato all’Inps contributi per circa 8 miliardi di euro.

Antonio Vermigli,

Rete di Quarrata

Circolare Nazionale Rete Radiè Resch

Marzo 2016 

Come barca in rada

vele afflosciate

annuso il vento

E urlo, a compagni di riva,

soci di sconfinamenti

il sogno dell’azzardo.

(Angelo Casati) 

Eccoci, cari amici e care amiche, a pochi “passi” dal convegno nazionale 2016. Tappa di un cammino che già da tempo abbiamo sentito il bisogno di percorrere per incontrare “l’altro”, che da terre lontane viene a bussare alle porte di questa Europa, che accoglie e respinge contemporaneamente. I Migranti. Sono tanti piedi che percorrono deserti, che si allontanano da città distrutte, da case sgretolate, da focolari vuoti, da un tempo senza futuro… Attendono stremati e fiduciosi di poter salire in un barcone che li porti sull’altra riva e che spesso invece li consegna per sempre al mare. In queste terre, le nostre terre, incontrano braccia che li sollevano e muri che li abbattono. Guardano sgomenti quest’umanità a cui chiedono dignità, casa, lavoro, pace… E camminano decisi verso i loro diritti. “Piedi che camminano nessuno li ferma…” dice don Luigi Verdi nella sua ultima veglia “Dio cammina a piedi”. Ecco, in definitiva, questi sono i Migranti. Non un’emergenza sociale, non un problema politico, non un effetto collaterale delle guerre in corso. Sono piedi, mani, volti, di donne, uomini, bambini, che ci richiamano ad un’umanità comune, all’accoglienza, oltre le difficoltà di un’integrazione tra esseri umani portatori di cultura, abitudini, religiosità diverse. Essi ci obbligano anche ad interrogarci sulla nostra paura. Ci fanno prendere coscienza di come la paura dell’altro, sia esso lo straniero od il vicino di casa, lo zingaro o l’omosessuale … abbia ormai da tempo impregnato la nostra società, sempre più chiusa, indifferente, avara di sogni. L’essere chiusi in se stessi, arroccati nella propria identità ed individualità, sia personale che sociale, se da un lato può dare sicurezza (o l’impressione della sicurezza…), dall’altra rende sterile, asfittica, vecchia, triste, malata, una persona, una famiglia, un gruppo sociale, una società intera. E’ dall’incontro tra diversi che la vita si rinnova (ce lo insegna la stessa biologia), dal superare le difficoltà insite in questo incontro, dall’affrontare l’inedito, che una persona, una famiglia una società prende aria, trova nuove energie, si rinnova. “Non si tratta di cancellare le identità, ma di mettere in comunicazione le terre, lasciandoci fermentare gli uni e gli altri dalla luce che ci abita” (Angelo Casati “Le paure che ci abitano” Ed. Romena 2010). Ciò comporta ascolto, conoscenza, informazione, politiche di accoglienza ed inserimento. Il diritto alla libera circolazione è un diritto che è stato di fatto esercitato da sempre, perché la storia dell’umanità è fatta di spostamenti, di mescolamenti di popoli e culture. E’ un diritto che invece oggi vediamo negato a tanti popoli del Sud del Mondo che si trovano stretti tra guerre, prevaricazioni, violenze, dittature, fame da una parte e muri, fili spinati e scafisti dall’altra. Non vogliamo in questa sede neppure dimenticare i muri che dividono la Palestina da Israele, il Messico dagli USA ed anche le ordinarie difficoltà di visto che incontrano tanti che dal Sud vanno nel Nord del Mondo e che abbiamo toccato con mano anche con l’esperienza di tanti nostri testimoni … Ma è ancor più sacrosanto diritto poter restare nella propria terra e vivervi in pace, libertà e dignità. Le vicende dei Migranti, che ora conosciamo anche dalle loro presenze qui, ci devono indurre ad interrogarci su cosa li spinge a fuggire dalla loro terra, sulle responsabilità di questo esodo epocale. Potremmo scoprire che tanti fuggono da terre ferite e depredate da inconfessabili interessi che hanno origine nel Nord del Mondo, da guerre “necessarie” perché i mercanti di armi possano smaltire gli arsenali prodotti (negli ultimi 5 anni gli scambi internazionali di armi sono aumentati del 14%, con un boom di acquisti del 61% in più in Medio Oriente), da regimi dittatoriali eredi di colonialismi antichi e moderni e tanto altro che concorre a mantenere privilegi ed interessi del Nord che vorrebbe ora respingerli. Migranti oltre l’accoglienza. Uomini e donne verso l’inedito. Questo è il cammino che invitiamo tutti voi a fare durante i due giorni del convegno 2016 della Rete Radié Resch. Il Coordinamento nazionale, grazie anche al lavoro della commissione interna, lo ha pensato come un momento di ricerca collettiva di comprensione della realtà delle migrazioni, di ascolto di rifugiati/ testimoni, di conoscenza di realtà positive di accoglienza ed inserimento. Di apertura verso questo tempo inedito che va profilandosi. L’idea sottesa nel titolo è stata rappresentata da due giovani ragazze, con due bozzetti diversi ma ugualmente significativi. Ragazzi e ragazze ci accompagneranno in questi due giorni. Dopo tanti anni, cambia la sede del Convegno. Saremo in Umbria, a Torre Matigge, una località ai piedi di Trevi (Perugia). Speriamo che la nuova sede incontri il gradimento di tutti, anche di quelli ai quali dovesse comportare qualche disagio per raggiungerla. Vi ricordiamo che sul sito della RRR sono pubblicati il programma, la scheda d’iscrizione, le indicazioni logistiche ed un depliant, che alleghiamo comunque alla circolare e che vi preghiamo di diffondere.

Arrivederci a Trevi!

la segreteria

Maria, Gigi, Maria Rita

Circolare Nazionale Rete Radiè Resch

Febbraio 2016

L’OSSERVATORIO IMMIGRAZIONE E LAVORO IN ITALIA, DATI REALI E LUOGHI COMUNI.

Oltre all’Immigrazione vissuta come “emergenza” drammatica ed epocale (gli immigrati nel mondo nel 2015 sono circa 240 milioni secondo l’UNHCR e l’OIM) , poco si sa di quello che accade quando i cittadini stranieri si inseriscono nel tessuto sociale ed economico locale riguardo alla loro integrazione lavorativa e culturale; anche in questo caso c’è una grande quantità di parole e luoghi comuni su cui si costruiscono miti e paure che è importante decifrare e quando occorre smontare ricorrendo a dati di fatto e a fonti attendibili: ISTAT, Ministero del Lavoro, INPS, Ag. Openpolis, Eurostat, Ocse, Miur, Fondazione Leone Moressa, Agenzia UNAR, Caritas, ecc).

LUOGHI COMUNI

E’ vero che gli immigrati ci portano via i posti di lavoro? Che con le loro iniziative commerciali ed artigianali invadono i nostri mercati? Che campano di sussidi, mentre gli italiani muoiono di fame. Che hanno uno stile di vita incompatibile con il nostro? Che è meglio che stiano a casa loro, magari mandando loro degli aiuti?

QUANTI SONO GLI IMMIGRATI REGOLARI RESIDENTI IN ITALIA

Sono 5.014.000 gli immigrati regolari residenti in Italia (8% della popolazione italiana), di questi, quelli di provenienza extra-Ue, pervenuti attraverso i flussi contingentati dallo Stato, sono circa 3.900.000 (INPS 2015-Ministero del Lavoro-Dossier Immigrazione).

DA DOVE PROVENGONO

Gli immigrati residenti appartengono a ben 190 nazionalità diverse. La comunità più numerosa proviene da un Paese europeo: la Romania (oltre 1 milione i rumeni residenti in Italia) mentre gli immigrati extra-UE con permesso di soggiorno, per lo più di lungo periodo, sono circa 3,9 milioni (in maggioranza cittadini albanesi e marocchini) (Agenzia UNAR).

COME SONO DISTRIBUITI GLI IMMIGRATI RESIDENTI IN ITALIA

Sono distribuiti lungo tutto il territorio nazionale in modo non uniforme: il 59,4% degli immigrati vive a Nord, il 25,4% al Centro e il 15,2% nel Meridione (Veneto 10% – Emilia Romagna 12% – della popolazione residente) (Fondazione Leone Moressa).

QUANTI LAVORANO

Sono 2.294.000 gli immigrati regolari residenti che hanno un’occupazione dichiarata e regolare, essi rappresentano il 10,3% della forza lavoro del nostro Paese (media europea: 7,07% – Germania: 9,3% – Francia: 5,3% – Regno Unito: 9,7%). Il loro tasso di occupazione è del 65,8% per gli immigrati comunitari e del 60,1% per quelli extracomunitari (Eurostat), a fronte del 59,5% degli italiani.

COSA FANNO

Lavorano nelle nostre campagne e nelle stalle (5%), nei cantieri edili (17%) e nell’industria (19%) e nella ristorazione (5%), ma soprattutto dentro le nostre case e nelle strutture pubbliche (60,%) come badanti (830.000, per il 90% di origine straniera e frequentemente senza contratto di lavoro), assistenti e collaboratori domestici e addetti alle pulizie.

ITALIANI E IMMIGRATI A CONFRONTO

Italiani e immigrati regolari svolgono lavori molto diversi: il 31,3% degli immigrati si occupa di “servizi collettivi e alla persona”: colf, badanti, baby sitter, addetti alle pulizie, contro il 5,2% degli italiani e mentre il 16% degli italiani lavora nel settore scuola, sanità e servizi sociali, solo il 3,7% degli immigrati residenti è impiegato in tale comparto; più equilibrata l’occupazione nel settore industriale che dà lavoro al 20% degli italiani e al 19% degli immigrati; nel comparto dell’edilizia i lavoratori immigrati stranieri sono il 17% della forza lavoro: circa 250.000 (50.000 in meno del dato pre-crisi). Nel 2015 sono state 66.000 le richieste di lavoro inevase. C’è inoltre da dire che gli immigrati spesso lavorano in posti inferiori alle loro possibilità professionali perché i loro titoli di studio acquisiti nei loro paesi di origine non vengono riconosciuti in Italia.

STATO GIURIDICO

Occorre fare alcune distinzioni: lo stato giuridico dei cittadini immigrati comunitari è regolamentato dal Dlgs n.30/2007; quello dei cittadini extracomunitari è regolamentato dal Dlgs n. 286 del 25.7.1998 e successive modifiche/Tu dell’immigrazione, Dpr n.334/2004). Occorre conoscere le corrette procedure che portano all’assunzione di uno straniero extracomunitario, per evitare sanzioni di natura penale ed amministrativa per irregolarità del rapporto di lavoro. Sia per le assunzioni in azienda o in ambito familiare che per le attività autonome, una volta espletate le norme previste dalle leggi in vigore, il lavoratore immigrato viene trattato come il lavoratore italiano. L’immigrazione economica è regolata dal Decreto “flussi”, cui in genere corrisponde una corsa dei datori di lavoro all’acquisizione di lavoratori extracomunitari (nel 2008 a 170.000 ingressi, corrisposero ben 700.000 richieste da parte dei datori di lavoro). Lo squilibrio fra domanda ed offerta dipende dal disinteresse dei cittadini italiani verso i lavori prettamente manuali e faticosi: vedi settori edile ed agricolo dove la presenza degli stranieri supera molto quella degli italiani.

RISCHIO INFORTUNI sul lavoro:

Gli immigrati corrono un più alto rischio infortunistico (14,4% sul totale degli eventi infortunistici, pur rappresentando il 10,3% degli occupati).

STABILITA’ DEL POSTO DI LAVORO

Maggiore è per loro il rischio di perdere il posto di lavoro specialmente nell’industria. Il loro tasso di disoccupazione è del 16,9%, mentre quello degli italiani è di 11,3%. Nel 2014 a 155.000 non è stato rinnovato il contratto di lavoro, con conseguente obbligo di ritornare ai propri paesi. In pratica gli immigrati subiscono per primi l’andamento negativo del mercato del lavoro; questo è uno dei motivi per spiegare la loro propensione ad operare come piccoli imprenditori autonomi.

PRODUTTIVITÁ E FISCO

Nel 2014 ben 524.674 piccole aziende hanno fatto capo a persone nate all’estero e, in questi anni di crisi, le aziende di immigrati cessate sono state inferiori a quelle costituite ex novo, contrariamente a quelle italiane. Oggi i migranti producono 123 miliardi di PIL, cioè il 9% della ricchezza italiana e pagano le tasse contribuendo con tasse e contributi previdenziali con circa 7 miliardi a coprire le spese della Finanziaria (Legge di Stabilità). Secondo gli economisti, con l’attuale trend di natalità, per salvare le pensioni degli europei occorrerebbero, entro il 2060, 250 milioni di immigrati.

LA REMUNERAZIONE

Nonostante la normativa, a parità di impiego i lavoratori immigrati regolari hanno compensi più bassi dei lavoratori italiani (40% circa) e sono anche più colpiti dagli effetti della crisi economica. L’8% dei lavoratori italiani guadagna più di 2.000,00 euro al mese, contro lo 0,6% dei lavoratori extra-UE e mentre il 55,2% dei lavoratori italiani guadagna oltre i 1,200,00 euro al mese, la percentuale scende a 19,2% per i cittadini extra-UE; l’80% dei cittadini extra–UE guadagna un massimo di 1.200 euro al mese. In tema di previsioni economiche, la Commissione Europea prevede che l’afflusso di richiedenti asilo entro il 2017 in Europa sia di circa 3 milioni di persone. Ciò potrà determinare un effetto economico positivo sul PIL, con variazioni nei singoli paesi legate al loro grado di integrazione sociale e lavorativa.

CONCLUSIONI

*I lavoratori immigrati regolari, europei ed extra-europei non sottraggono posti di lavoro agli italiani, soprattutto perché svolgono lavori per lo più rifiutati da questi ultimi;

*essi rappresentano un ammortizzatore sociale a beneficio dei lavoratori autoctoni in quanto subiscono per primi l’andamento negativo del mercato;

*essi manifestano propensione e tenacia a lavorare come lavoratori autonomi e piccoli imprenditori in attività marginali, ma utili all’economia del Paese;

*essi creano ricchezza e in termini di tasse e contributi previdenziali sostengono la spesa sociale dello stato;

* essi non hanno un trattamento privilegiato: spesso sono sottopagati, non svolgono lavori pari al loro titolo di studio e sono sottoposti ad un rischio lavorativo più elevato.

Circolare Nazionale Rete Radiè Resch

Gennaio 2016

scrive un gruppo di laici e preti, in dialogo su fatti e problemi del nostro tempo, alla ricerca del bene comune:

OSSERVATORIO SUL FENOMENO MIGRATORIO (novembre 2015)

La diffusa disinformazione di chi non si assume alcuna responsabilità o deforma la realtà per motivi ideologici è un crimine che generando paura sopprime la libertà di comprendere e impedisce alla gente comune di cogliere la dimensione drammatica di tante situazioni umane, favorendo giudizi superficiali e pretestuosi di tipo egoistico. E’ quello che sta accadendo per la straordinaria crisi umanitaria delle migrazioni di massa provenienti soprattutto dal vicino Oriente e dall’Africa sconvolti dalla guerra e dalla povertà e dirette verso l’Europa attraverso il Mediterraneo e i Balcani. Un sondaggio dell’IPSOS, agenzia europea di rilevazione, evidenzia come gli italiani siano fra i peggio informati sul fenomeno migratorio: statistiche infondate, confusione nei numeri fra immigrati in fuga e immigranti stanziali integrati da anni che contribuiscono col loro lavoro alla previdenza sociale e alla ricchezza del paese che li ospita; non conoscenza della provenienza europea dei fondi destinati all’Italia per l’emergenza migratoria, che pertanto non grava sulle casse dello Stato italiano, timori per pericoli inesistenti di epidemie e così via …. Una recente lettera pastorale dei vescovi di Treviso e Vittorio Veneto cerca di “dare una risposta che, partendo dalla considerazione essenziale della dignità dell’uomo, possa far superare preclusioni di principio che generano paura nella gente, e quindi recuperare la libertà interiore di pensare ed agire secondo alcuni valori irrinunciabili”. Dimenticare che il “fenomeno migratorio”, esperienza costante dell’umanità di tutti i tempi, è fatto da uomini in carne ed ossa, con le loro storie drammatiche, le loro speranze, le loro paure e le loro debolezze, significa regredire all’uomo selvatico, chiuso nel proprio egoismo, nemico di tutti, anche di se stesso e tradire la fede in un Padre comune, come hanno ricordato i nostri vescovi. La Fondazione Leone Moressa della CGIA di Mestre monitorando 846 articoli pubblicati nel 2014 dai principali giornali italiani (Il Sole 24 Ore, La Repubblica e il Corriere della Sera) dedicati all’immigrazione, ha evidenziato che essi nell’88% dei casi si dedicano agli aspetti negativi dell’emergenza, ai pericoli sanitari, alle proteste e alla criminalità, e solo nel 12% ai bisogni della persona e agli aspetti positivi del fenomeno: quali la necessità crescente di un rinnovo generazionale che contrasti l’attuale “trend” negativo delle nascite in tutta Europa e soprattutto in Italia, che ci condurrà nel prossimo futuro verso una società di anziani bisognosi di assistenza, il rilevante contributo previdenziale degli immigrati stanziali, che in Italia ammonta a più di 10 miliardi, (fonte INPS 2014) e, non per ultima, la ricchezza dell’incontro vitale fra culture diverse … Qualche Numero: La stessa fondazione Moressa e l’INPS rilevano (nel 2014) che gli immigrati stanziali nel nostro paese (“nuovi italiani”) sono circa 5 milioni, di essi 3,5 milioni lavorano e dichiarano al fisco redditi di lavoro per 45,6 miliardi di euro, pagando 6,8 miliardi di euro di IRPEF, cui si aggiungono 10,3 miliardi di contributi INPS; se calcoliamo che lo stato spende per loro 12,6 miliardi per servizi, scuola, sanità, etc. resta un saldo attivo di 4,5 miliardi indispensabili per pagare la pensione a 625 mila anziani italiani. Non possiamo dimenticare che noi Europei nella Storia, più che l’esperienza dell’incontro e dello scambio con gli altri popoli, abbiamo sempre privilegiato la conquista, di cui il mercato degli schiavi e il colonialismo sono l’esempio più eclatante. Per anni li abbiamo colonizzati spogliandoli della propria libertà e depredandoli delle loro ricchezze sopra e sotto la terra, e continuiamo ancora oggi corrompendo le loro classi dirigenti. Oggi che sono disperati chiedono il nostro aiuto, ma noi glielo neghiamo …. ci fanno paura, quasi per timore che vogliano restituito quanto abbiamo loro rubato … non ci facevano paura quando li strappavamo alle loro case per venderli come schiavi e li trasportavamo come bestie oltre oceano per lavorare le piantagioni del “nuovo mondo” Né possiamo dimenticare quanto l’Italia nella prima metà del ‘900 fu terra di emigrazione e quanto le “risorse” dei nostri migranti furono importanti per uscire dalla miseria; Castelfranco Veneto non fece eccezione e lo dimostra l’apertura nel 1945 del consolato del Canada per facilitare le pratiche di emigrazione, allora così numerose …. ma a differenza di allora emerge sempre più chiaramente che oggi si tratta di “migranti forzati”, come giustamente li definisce la lettera pastorale, poco importa se fuggono da guerre o persecuzioni (profughi con diritto di asilo politico nel paese in cui vengono identificati ) o spinti da cause ambientali ed economiche invivibili (migranti senza diritto di asilo, “clandestini” perseguibili e rimpatriabili se senza lavoro); in ogni caso si tratta di milioni di disperati (definiti complessivamente ”rifugiati” dalla stampa anglosassone) che rischiano tutto, anche la vita, per un futuro possibile. La guerra siriana e l’espansionismo dell’ISI in Medio Oriente e in Africa, responsabili principali dell’ondata migratoria giunta in Europa nel corso dell’estate attraverso la rotta balcanica e mediterranea, hanno già provocato 150.000 morti e 9 milioni di profughi; critica è anche la situazione in Afganistan, lo stesso in Libia e in altri paesi dell’Africa responsabili dei flussi mediterranei diretti soprattutto in Italia ed in Grecia; in Libano i profughi siriani attualmente sono circa 2 milioni, 2 milioni in Giordania, altri 2 milioni in Turchia, altri ancora in Egitto. SECONDO L’UNHCR (AGENZIA DELL’ONU PER I RIFUGIATI) questi “migranti forzati” o “rifugiati” sono oggi nel mondo circa 58 milioni, compresi quelli ospitati nei “campi profughi” ONU: si tratta della più grande crisi umanitaria dalla seconda guerra mondiale. Essi chiedono ai popoli e ai governi dell’Europa il superamento degli accordi di Dublino, fonte di tale artificiosa distinzione, e chiedono maggiore generosità, non solo riguardo al salvataggio e all’accoglienza immediata, quanto piuttosto alla loro integrazione nel tessuto sociale ed economico europeo. L’OCSE (Agenzia Europea per la Cooperazione e lo Sviluppo) prevede per il 2016 un flusso migratorio verso l’Europa di più di un milione di persone, ma al momento in essa, rispetto a questa tragedia epocale, e soprattutto nei paesi dell’Est, si alzano muri e barriere di filo spinato, si mobilita la polizia e l’esercito, ci si scontra sulle quote di ripartizione e si fomenta irresponsabilmente la paura facendo avanzare i partiti xenofobi. E’ chiaro per tutti che la vera soluzione del problema sta nel risolverne le cause che lo hanno generato: guerre, fame, persecuzioni religiose, desertificazione, espropriazione neocolonialista delle risorse, comprese le terre fertili, inquinamento, corruzione, vendita di armi. Papa Francesco nelle sue encicliche e nel suo recente discorso all’ONU ne ha delineato il quadro e ne ha definito le responsabilità. Un’analisi sociopolitica ed economica seria e non ideologica non potrebbe che ribadire il ruolo rilevante del mondo occidentale, cosiddetto ricco e progredito, cioè di noi stessi, nella genesi di questa catastrofe umanitaria e nel trovarne la soluzione: ignorarlo è ipocrisia, prenderne coscienza ed operare per non ipotecare il futuro è un obbligo morale.

Dagli amici della rete di Castelfranco Veneto

Fabio Corletto e Marta

Circolare Nazionale Rete Radiè Resch

Dicembre 2015

La Rete ha compiuto i suoi 50 anni, e sono già tanti. Si è avviata a proseguire, a volte persino stupita di essere arrivata fin qui; e naturalmente incrociata da varie domande nuove, poste in specie negli incontri di coordinamento o in alcune mail nel corso degli ultimi due anni: pareri, spunti di riflessione. Anche severi. Di grande peso. Ad esempio su come la Rete è, come si è gradualmente trasformata, come dovrebbe essere. Chi faceva un confronto di carattere storico sulla fisionomia della Rete nei primi tempi e ai tempi d’oggi osservava anche che gli aderenti alla Rete più giovani sono consapevoli di non aver vissuto i primi tempi brucianti e di non conoscerli abbastanza. Realtà e generazioni sono cambiate, oggi “abbiamo meno speranze”, – dicevano. È vero che gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso hanno presentato subito per noi, appena nati come gruppo, un impatto col mondo imprevisto e in parte sconcertante e pieno di insegnamenti: da un lato per esempio, le provocazioni anticipatrici di Paul Gauthier che, fin da principio, senza tanti problemi, con l’autorità di chi dentro i fatti viveva, ci scolpiva quella frase che ci richiamiamo sempre: ” Importante è che, mentre noi la’ viviamo tra gli operai, voi qui agiate sulle strutture sociali. Voi non potete dare parte della vostra intelligenza, preghiera, denaro per aiutare i poveri se nello stesso tempo non lottate con tutte le vostre forze per sopprimere le strutture che fabbricano i poveri.” Così si apriva la prima interpretazione politica di fatti che normalmente vengono vissuti solo come ” beneficenza “. E su questo Ettore Masina per anni ha scavato. Era una lettura anticipatrice, evidentemente. Stiamo cominciando oggi, in quanto società, con grande fatica a tentar di realizzare qualcosa in questa direzione, affrontare ” le cause “; e chissà quanto tempo ci impiegheremo! Quando poi la Rete è finita nello sconosciuto Brasile, con grande timidezza, mossa solo dalla notizia di mille povertà presenti anche lì, siamo piombati in pieno clima di dittatura militare e ci è stato chiesto inaspettatamente di essere presenti da lontano, ma con la forza in parte nuova di una relazione tra popoli. La fisionomia politica del fatto era stavolta ancora più chiara ed è durata a lungo. Sì, è stato istintivo partecipare, ma anche traumatico. E poi, come succede spesso per le cose difficili, è diventata un’esperienza piena di fascino e di insegnamenti di cui siamo riconoscenti. Da lì negli anni testimoni come Luisella Ancis, la sarda ormai divenuta brasiliana, nei suoi fiumi di lettere a Masina, che finivano in parte nelle circolari, descriveva quale fosse la situazione sociale ed economica di quel paese, cosa volesse dire lottare per il posto di lavoro, difendersi dagli abusi del potere, dover correre a difendere i compagni (nascondendoli, nella fretta, magari in una cabina telefonica …) durante una manifestazione. Scriveva della classe media, la più colpita in tempi di crisi, e noi vedevamo poi l’onda arrivare da noi, e oggi brutalmente. Scriveva delle prime multinazionali, comprese le italiane, che cominciavano a introdursi in silenzio. Prime avvisaglie. Tra molti altri amici e testimoni, davvero tanti, Giovanni Baroni il veneto ormai brasiliano anche lui, ci faceva sapere fra mille cose affascinanti come dopo tante lotte i lavoratori erano riusciti a ottenere nelle grandi fabbriche le 40 ore settimanali di lavoro. E noi qui le avevamo contrattate da poco. Senza ancora saperlo vedevamo spuntare primi aspetti di globalizzazione. Intanto si costruivano, tra qualche puntino sulla carta geografica del nord del mondo e qualche altro puntino al sud, legami di fiducia; assolutamente alternativi, e semplici. Ce n’è uno proprio speciale, passeggero, permettiamoci di farlo rivivere per un momento. È poesia pura: con le sue atmosfere, l’intensità tranquilla, i tanti significati. Viveva in quei tempi a Roma un ragazzo, di nome Carlo. Ben presto la vita lo aveva privato del padre a cui era legatissimo, e di seguito praticamente di tutte le possibilità economiche. Anche del suo pianoforte, grande risorsa per la sua povera persona provata. Ed era comparsa la droga. Ettore sapeva che se si fosse potuto ricomprare un pianoforte sarebbe stata probabilmente la salvezza. Ma i soldi della Rete erano tutti impegnati nelle operazioni. Decise di chiedere a una comunità di amici contadini del Nordest del Brasile: se raccoglieremo altri soldi per voi possiamo provvisoriamente usarli per acquistare un piano che possa ridare a Carlo la voglia di vivere? Arriva la risposta: – Quando abbiamo letto la tua domanda ci siamo seduti e per prima cosa ci siamo chiesti cosa fosse un pianoforte. Per saperlo abbiamo mandato due compagni in città. Sono tornati e ci hanno spiegato che si tratta di uno strumento musicale. Noi siamo, come sai, molto poveri, ma ciascuno di noi ha una chitarra o un flauto e sappiamo quanto la musica ci aiuti nel momento del dolore. Compra dunque un pianoforte a Carlo. E digli che i poveri hanno fiducia in lui… – Alla lettera una donna aggiunge: vuoi che la nostra gente non sia d’accordo? Si sono stupiti che tu che hai tutto in mano abbia chiesto a loro questo permesso. Sono così poco abituati al fatto che qualcuno gli chieda il permesso … Carlo riuscì a dimenticare la droga. Sì certo, esperienze come tutte queste e molte altre in diversi paesi lasciano il segno e chi non le ha vissute può rammaricarsene. Ma ci sono altre osservazioni e richieste emerse durante gli ultimi due anni rispetto al modo di essere della Rete. Torna con più forza la questione sul cercare ” le cause” delle ingiustizie. E poi, netta e esigentissima, tipica di oggi, quella del non accettare di fare coi nostri interventi solo qualcosa che ” aiuti a rendere più tollerabili ” le ingiustizie, lasciando intatti i meccanismi che le generano. Per questo la Rete ha deciso ad esempio di affrontare il tema della Finanza internazionale speculativa e i suoi crimini. Ha fatto bene. Oggi i temi sono più gelidi di un tempo e si è riprivatizzata la compagine sociale. Ma essendo temi che rappresentano cause centrali dello star male oggi e domani di miliardi di persone è necessario affrontarli, in tanti insieme, con competenza, per metterli a nudo anzitutto. Siccome sono costretti dai fatti, persino alcuni “poteri forti ” di malavoglia iniziano a parlarne; e a volte questo rende più vicina qualche soluzione. E ancora altre domande sono state proposte a un esame su aspetti ancor più interni alla vita della Rete: la spinta iniziale dei fondatori oggi è affievolita? Oggi abbiamo meno speranze, realtà cambiate, nemici più sconosciuti, situazioni impalpabili. La Rete rischia di svuotarsi? Le reti locali sono un po’ ferme, un po’ abitudinarie? A volte ognuna troppo affezionata al proprio progetto e poco coinvolta in tutti gli altri? Questioni troppo importanti per non discuterne. E l’elenco, come sappiamo, non è neanche finito. Sappiamo di avere le nostre criticità, e il metterle a fuoco serve. Inoltre i diversi ambiti che nel frattempo si sono aperti in Occidente nel rapporto nord- sud, come il problema stesso delle migrazioni, vengono a richiedere nuove forze e sintonie.

Buon Natale e buon Anno nuovo a tutti e tutte voi.

Carla Grandi

Circolare Nazionale Rete Radiè Resch

Novembre 2015

Sulla speranza

Nelle circostanze attuali, mondiali e italiane, parlare di speranza può sembrare illusorio ma non può, non deve essere così. La speranza nel futuro è connaturata all’uomo, non ne può prescindere, altrimenti si voterebbe a un destino dove i valori umani perderebbero ogni significato e si piomberebbe nelle tenebre. Poiché nessuna persona ragionevole si rassegna a questo, quel briciolo di speranza che ciascuno coltiva in fondo all’animo deve essere alimentato con cura affinché produca i suoi frutti benefici per sé e per la comunità umana. Allora bisogna guardare attentamente a quel che accade intorno a noi o in luoghi lontani alla ricerca dei motivi che ci diano la forza di agire nella giusta direzione, suscitando speranze non effimere capaci di costruire – al termine di un lungo percorso – concordia e pace nella società e in un mondo oggi devastato da tragedie, dolore e disperazione. Limitandoci per il momento al nostro paese, voglio citare qualche esempio a sostegno della mia convinzione. Il 4 aprile 1944 il partigiano Paolo Braccini, condannato a morte dai fascisti, scriveva alla moglie e alla figlia nell’ultima sua lettera: “Il mondo migliorerà, siatene certe: e se per questo è stata necessaria la mia vita, sarete benedette”. In una intervista data a Enzo Biagi per “il Corriere della Sera” del 19 gennaio 1975 Giorgio La Pira alla domanda su cosa fosse più urgente fare così rispondeva: “Dare il gusto della speranza, che c’è davanti. Qualcosa deve morire in noi per rifiorire. Si pota perché poi vengono i frutti”. Giovanni Falcone nella sua celebre frase (vado a memoria): “La mafia sparirà un giorno come tutte le cose umane” esprimeva una speranza più che una certezza, nonostante la formulazione usata. Il suo assunto assolveva la funzione di rafforzare la volontà in tutti gli onesti di combattere strenuamente il fenomeno mafioso, tuttora in espansione, ma che vede anche la volontà di tanti giusti di estendere il contrasto al crimine organizzato (si pensi all’esperienza di “Libera” e al coraggio di taluni imprenditori e a quello di molti giovani nelle regioni meridionali). E’ stato assegnato al “Quartetto del dialogo” tunisino il Nobel per la pace, dopo che le varie primavere arabe avevano fallito, con il ritorno al potere delle consuete tiranniche dittature militari. Segno che le speranze alimentate in Tunisia dalla Rivoluzione dei gelsomini non erano del tutto sopite. Alcune persone determinate e animate da forte speranza sono riuscite a salvare l’obiettivo del loro popolo. Se ne parla poco ma, anche per dar loro coraggio bisogna continuare a scriverne e a seguire il processo democratico avviato. In queste settimane gli avvenimenti terribili in Israele-Palestina, dolorosissimi per entrambi i popoli e forieri di più ampi disastri (si parla di “terza Intifada dei coltelli”, totalmente diversa dalle precedenti) paiono aver risvegliato l’attenzione della sempre dormiente comunità internazionale finalmente accortasi, almeno in certi settori, che il dominio incontrastato dell’occupazione israeliana che dura dal 1948 e che dal 1967 ha assunto il carattere di vera e propria dominazione coloniale va fermato in un modo o nell’altro, nella certezza che le infinite sofferenze dei palestinesi non cesseranno con una ripresa degli eterni e inutili “colloqui di pace” tra le parti. In questo caso dove si devono cercare elementi di speranza? Solo, a mio avviso, nella volontà di pochi cittadini di Israele (e alcune loro associazioni) che volenterosamente da anni tentano di far comprendere le ragioni che dovrebbero indurre i loro compatrioti a non considerare nemici da opprimere i vicini palestinesi, e a trattarli con umanità ed equità, riconoscendo la lunga serie dei propri torti e porvi riparo. Possibile che i secoli di persecuzione subiti dai loro antenati durante la diaspora ebraica non insegnino nulla agli attuali figli d’Israele? Ascoltino le voci autorevoli e sensate di persone come Gideon Levy e di altri intellettuali, ma anche quelle di umili cittadini e cittadine – per ora poche in verità, ma ci auguriamo in aumento – invitanti alla calma, alla riflessione e alla buona volontà. Noi facciamo voti perché lo spirito di pace e l’amor di giustizia si facciano strada nel cuore degli israeliti, decisi come siamo a collaborare da lontano in tutti i modi possibili al conseguimento di tale sacrosanto obiettivo. Sulle speranze suscitate dalla venuta di papa Francesco, simili a quelle destate a suo tempo da papa Giovanni, non occorre soffermarsi. Colui che ha voluto prendere il nome del poverello di Assisi ha già suscitato aspettative luminose specialmente tra i popoli oppressi. Sta a tutti noi ascoltarlo e dar seguito alle sue ispirate esortazioni. Chi ha fede preghi perché il suo cammino non subisca intralci malevoli. A questo punto voglio collegare le speranze nel mondo a quelle che i Medici Contro la Tortura, operanti a Roma (uno dei nostri impegni storici), resuscitano nelle vittime di tortura di cui si prendono cura, provenienti da molti Paesi in cui infuriano guerre, tirannie, fame, malattie. Da poco si è stabilito un collegamento operativo tra i MCT e “Medici senza frontiere”, altra organizzazione assai benemerita e conosciutissima perché impegnata a diverse latitudini. La notizia mi ha fatto gioire e credo che altrettanto accadrà a chi mi legge. E non dimentichiamo Emergency, voluta e guidata dall’italiano Gino Strada, esempio di volontariato silenzioso ed eroico in più continenti (da qualche anno presente pure nel nostro Meridione), sempre in soccorso dei colpiti dalla barbarie di guerre assurde e dal terrorismo cieco. Torno all’Italia e alle tante attività mosse dalla speranza di arrecare sollievo materiale e spirituale a quella parte del nostro prossimo che più necessita di attenzioni fraterne e disinteressate. Innanzitutto il volontariato, nelle sue infinite versioni talvolta geniali. Impossibile citarle anche solo in parte, ma mi sembra giusto ricordare almeno chi si adopera a favore dei carcerati, uomini e donne che non si sentono più membri della società umana e che invece, grazie ai volontari, capiscono di potervi rientrare. Uno di loro ha detto “che i volontari sono un filo colorato che li tiene legati al mondo, ai loro cari, alla speranza di un futuro diverso” (dalla rivista della “Caritas”). Ancora altri modi esistono per essere solidali con le genti del Sud del mondo. Uno di questi è rappresentato dal “commercio equo e solidale”, che paga il giusto prezzo alle cooperative che producono le materie prime che poi vengono lavorate e vendute in Italia; mitigando così il dominio dei mercati internazionali che pagano a prezzi irrisori il frutto delle fatiche dei produttori. E a ben vedere ogni progetto della nostra Rete non è forse animato dalla sottintesa speranza di compiere, per molto o poco che sia, azione di giustizia verso chi è stato ed è depredato dall’Occidente (ora anche dalla Cina), con l’intento di “restituire” un poco del maltolto? Teniamo presente che i bambini “rifugiati” nel mondo assommano a oltre 30 milioni. Sono dati dell’UNHCR (l’Unione ONU per i rifugiati) e quindi attendibili. Il triste fatto deve farci riflettere e lo faremo. Della speranza si parla molto nell’Antico e nel Nuovo Testamento. Persino nel Corano si dice più volte di sperare nel perdono di Allah. Presumo che ogni religione includa il concetto della speranza. Tutti i giorni, può dirsi ora dopo ora, pervengono da ogni angolo del pianeta notizie inquietanti, tali da farci temere il peggio. Possiamo però opporgli la nostra speranza in un futuro migliore; spetta a noi – se ne saremo degni – e a tutti gli uomini amanti della pace e della giustizia per correre senza indugi questa via. Vi lascio con questo augurio nella certezza che sia condiviso da voi tutti.

Mauro Gentilini

Rete di Roma

Circolare Nazionale Rete Radiè Resch

Ottobre 2015

Due notizie rivestono oggi una particolare importanza nel panorama italiano e internazionale, non adeguatamente diffuse da giornali e telegiornali. L’entrata della Palestina nell’assemblea dell’ONU, con la bandiera esposta e il primo discorso del presidente dell’autorità palestinese Abu Mazen, e la produzione di nuove bombe atomiche da parte USA per l’Italia e per tutti i paesi della NATO. La Palestina era stata ammessa all’ONU come osservatore nel 2012, ora entra a pieno titolo tra gli stati. La sua bandiera è stata issata il 30 settembre, accanto a tutte le altre al Palazzo di vetro di New York, e la sua voce assume quindi un peso internazionale diverso. Nel suo discorso al Palazzo di Vetro, il presidente dell’autorità palestinese Abu Mazen ha chiesto protezione internazionale da Israele, perché Tel Aviv ponga fine “all’occupazione più lunga della storia” e smetta di “colpire i luoghi sacri dell’Islam e della cristianità a Gerusalemme”, avvertendo che “Senza la creazione dei due Stati, si incoraggia l’estremismo”. Abbiamo assistito nelle scorse settimane all’ennesima aggressione dei soldati israeliani davanti alle moschee di Gerusalemme, dove più volte si sono verificate aggressioni e sfide di Israele contro chi frequenta le moschee, puntualmente denunciate da tutte le istituzioni internazionali che cercano la pace e la soluzione, anche parziale, dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi; in particolare la denuncia di Invictapalestina mi è sembrata molto precisa e forte, e l’ho mandata in rete, sulla lista postale, perché tutti ne avessero informazione. All’ONU Abu Mazen ha chiesto protezione internazionale dai continui abusi di Israele: speriamo che questo accorato appello in una sede così alta possa avere migliori sviluppi delle denunce precedenti, del tutto ignorate quando non derise, perché cessino le continue ed enormi occupazioni illegali dei coloni, condannate a livello internazionale, e cessi il blocco di Gaza, interrompendo le enormi sofferenze della popolazione, rispettando finalmente gli accordi presi tra le parti e le risoluzioni ONU. Non ci resta che sperare che ci sia un’evoluzione positiva di una situazione tragica che la Rete conosce bene e segue con attenzione fin dalla sua nascita, tanto da avere un nome di intestazione di una bambina palestinese. Teniamoci informati. Noi a Verona abbiamo una suora comboniana reduce da molti anni in Palestina, nella zona occupata, suor Alicia, le abbiamo chiesto di tenerci informati e lo farà, anche su Combonifem, rivista delle suore comboniane, e sul sito web visibile a tutti, sempre molto interessante, oltre a Invictapalestina. La seconda notizia importante ci viene segnalata da Franco Dinelli, dell’Università della Pace di Pisa, e si riferisce alla bombe atomiche di nuova produzione assegnate alle forze NATO, ed in particolare all’Italia: stanno per arrivare in Italia le nuove bombe nucleari statunitensi B61-12, che sostituiscono le precedenti B61. E lo conferma da Washington, con prove documentate, la Federazione degli scienziati americani (Fas). Il programma del Pentagono prevede la costruzione di 400-500 B61-12, con un costo di 8-12 miliardi di dollari. Importante non è però solo l’aspetto quantitativo, quante bombe e quanto denaro: quella che arriverà tra non molto in Italia e in altri paesi europei, non è una semplice versione ammodernata della B61, ma una nuova arma nucleare polivalente, che sostituirà le bombe vecchie B61 nell’attuale arsenale nucleare Usa e Nato. La B61-12 ha una potenza media di 50 kiloton (circa il quadruplo della bomba di Hiroshima), e svolgerà la funzione di più bombe, comprese quelle penetranti, progettate per «decapitare» il paese nemico, distruggendo i bunker dei centri di comando e altre strutture sotterranee. A differenza delle B61 sganciate in verticale sull’obiettivo, le B61-12 possono essere sganciate anche a grande distanza (100 km) e si dirigono verso l’obiettivo guidate da un sistema satellitare, cancellando così la differenza tra armi nucleari strategiche a lungo raggio e armi tattiche a corto raggio. L’ex sottosegretario di Stato parlamentare Willy Wimmer (dello stesso partito della cancelliera Merkel, la quale ha sempre ignorato la decisione del Bundestag del 2009 che il territorio tedesco fosse liberato da tutte le armi nucleari), ha dichiarato che lo schieramento delle nuove bombe nucleari Usa in Germania costituisce ovviamente «una consapevole provocazione contro il nostro vicino russo». Non c’è quindi da stupirsi che la Russia prenda delle contromisure. Alexander Neu, parlamentare della Sinistra, ha denunciato che la presenza dell’arsenale nucleare Usa in Germania viola il Trattato di non-proliferazione delle armi nucleari, e ciò vale anche per l’Italia. Gli Stati Uniti, Stato in possesso di armi nucleari, sono obbligati dal Trattato a non trasferirle ad altri (Art. 1). Italia, Germania, Belgio, Olanda e Turchia, stati non-nucleari, hanno l’obbligo di non riceverle da altri (Art. 2). E nel 1999 gli alleati europei firmarono un accordo (sottoscritto dal premier D’Alema, non sottoposto al Parlamento) sulla «pianificazione nucleare collettiva» della Nato, in cui si stabiliva che «l’Alleanza conserverà forze nucleari adeguate in Europa». Un uso anche parziale di questo arsenale cancellerebbe l’Europa dalla faccia della Terra. Basti pensare che una bomba nucleare da 1 megaton vaporizza persone e cose, scioglie l’acciaio e il vetro, fa scoppiare il cemento. In un raggio di 3 km, tutte le persone muoiono all’istante e la distruzione è totale. A circa 7 km il calore scioglie l’asfalto delle strade, incendia legno e stoffe all’interno delle abitazioni. Tutte le persone all’aperto subiscono ustioni mortali; molte restano accecate dal lampo e perdono l’udito per la rottura dei timpani. A circa 14 km il calore è ancora abbastanza forte da provocare ustioni di terzo grado. Il maggior numero di vittime viene provocato dalla successiva ricaduta radioattiva, in un’area di circa 10mila km2. A seconda dell’esposizione, le radiazioni uccidono in giorni, settimane, mesi od anni, e danneggiano le generazioni successive. Ho riportato per esteso queste notizie, riportate da Dinelli dal Manifesto e ignote ai più, per segnalare l’impegno enorme dei vari stati, e dell’Italia in particolare, sugli armamenti, e su armamenti devastanti da ogni punto di vista, da tener presente quando qualcuno dei politici parla di carenza di risorse e di convinto impegno per la pace! Un’ultima considerazione sui Diritti, che una volta venivano considerati universali ed inalienabili, la base di ogni libertà, ed ora sono diventati una merce che si ottiene solo se si hanno i soldi per il loro acquisto, sul “mercato libero”! I Diritti devono tornare ad essere l’obiettivo di ogni azione di libertà e solidarietà, perché permettono di godere dei beni comuni senza dipendere solo dal denaro ed essere così riservati solo a chi ne possiede. Sono molti gli enti e le associazioni che cercano di difendere quei diritti, di noi italiani, degli europei (sempre noi) e di tutti i popoli del mondo. Faccio riferimento solo ad alcuni nomi che ci sono molto vicini e sono i nostri interlocutori permanenti. L’Associazione del Monastero del Bene Comune, a Sezano vicino a Verona, è stata sede di molti nostri Coordinamenti, quindi è un luogo che conosciamo bene, e con Petrella, ospite ai nostri Convegni, sta gestendo lo studio, la presa di coscienza e la difesa dei beni comuni, iniziando dall’acqua, che il Referendum non ha saputo-potuto difendere adeguatamente. Un secondo nome che suggerisco, ben noto a noi della Rete sia per vicende storiche antiche sia per prospettive future vicinissime, è il Tribunale Permanente dei Popoli, che studia i crimini contro i Diritti dei Popoli in tutto il mondo, ispirato dal Tribunale Russell, collegato alla Fondazione Basso. La sigla che spesso si incontra è TPP, da non confondere con Ttip, che richiama invece il trattato transatlantico per il libero commercio, che stiamo faticosamente cercando di fermare in Europa. Di TPP abbiamo parlato anche nell’ultimo Coordinamento, prevedendo un suo importante intervento nel prossimo Convegno nazionale 2016, Convegno che non sarà a Rimini come d’abitudine, ma in Umbria, dall’8 al 10 aprile 2016. La sede sarà a Trevi, fra Foligno e Spoleto, il tema sarà i Migranti, ma arriveranno notizie più dettagliate nelle prossime circolari. Una nota finale sulla prossima operazione della rete di Verona, che segue il cammino di altre reti in Africa. Parte in ottobre un’operazione in Ghana (la Rete non fa progetti, con piani, obiettivi e controlli: s’impegna solo a sostenere progetti di altri, in paesi lontani), per far proseguire gli studi alle ragazze di Adjumako, in Ghana ovest, che altrimenti devono abbandonare la scuola, fare figli e lavorare nei campi o nelle industrie come operaie semplici. Questa operazione non graverà sul bilancio nazionale, ma solo su Verona; nelle prossime circolari veronesi seguiranno descrizioni più dettagliate.

Un saluto solidale di cuore

per la Rete di Verona Dino Poli

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