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Circolare Nazionale Rete Radiè Resch

Dicembre 2014

A cura della rete di Polignano

E SE CI DONASSIMO LO SPIRITO? IL PRESENTE DELLE RELAZIONI!

Carissimo, carissima… il fremito, ancora sussulta dentro, e mi spinge a continuare la riflessione sullo spirito che tanto mi vibra nel profondo. È lui, l’alito che ci fa sentire vivi e partecipi al mondo che mi attrae e mi stimola a cercarlo. E, dove trovarlo se non nel respiro di tutti, e di tutto ciò che ci circonda! C’è un soffio in ciascun essere vivente, insieme ad una forza propulsiva a trasmettere e comunicare vita in pienezza e in abbondanza. Quel corpo – materia che ci è stato donato, si porta nel suo DNA le caratteristiche specifiche di ciascun individuo, riassunte e rielaborate in sé di generazione in generazione. Quel corpo – materia è acceso dallo spirito -creatore capace di dare il giusto movimento alla vita che cerca la sua piena realizzazione. Umilmente cerchiamo quello spirito che unisce tutti a ciascuno e ciascuno a tutti; mettiamoci in silenzioso ascolto delle parole essenziali che danno azione e forza alla linfa delle relazioni. E, se tante possono essere le possibili ragioni dell’essere, insieme ai tanti possibili perdoni, altrettanto molteplici sono le possibili vie dello Spirito che Ama e Unisce. Pensiamo ai grandi conflitti e alla continua ricerca di Pace che abbraccia tutti; pensiamo, soprattutto, ai popoli annientati dalle guerre. Per un momento, immaginiamo di metterci di fronte alle ostilità presenti oggi, così come sono, e ripetiamo quello che Gesù ha detto: “Siate misericordiosi come mio Padre in cielo. Fa brillare il sole sui buoni e sui cattivi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti”. Sono parole, queste, da cui traspare un Amore per tutti che nasconde un segreto: c’è uno spirito comune che ci affratella e ci unisce e di certo non mente. Non dimentico che fra qualche giorno è Natale: “Un virgulto nascerà…”, e se lo sappiamo accogliere l’effetto sullo spirito sarà un presente con nuova forza e nuovo vigore. Prepariamoci a partire! Lo spirito attende di essere riconosciuto per donare il suo sguardo benevolo e risanatore sul nostro mal vivere. Lo spirito soffia “Facciamone dono reciproco… respiro di vita”. È come un fiore che sboccia in tutto il suo splendore di forme e colori: cogliere la sua inedita bellezza è estasi di un attimo che passa e non torna. Cogliere il momento e dare azione al presente, ci libera dalla paura che abbruttisce e nasconde il nostro sguardo e quello dell’altro. Il Presente aspetta noi e il nostro spirito per compiersi pienamente in verità e misericordia. Muoviamoci! Come i pastori, andiamo a cercare la grotta che custodisce un padre, una madre e un bambino. Il bambino è già nato e ancora nasce e aspetta l’incontro! È lì che l’essenziale diventa visibile: accogliere l’escluso. Il diverso, l’emarginato è spazio sacro: in lui abita il respiro di Dio. “…allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente”. Questa è l’unica certezza: Tutti siamo Figli di un unico Padre. La Verità è scritta e nessun’altra legge la cancella perché ogni soffio di vita la riscrive ancora e per sempre. Liberiamoci dalla sete di possesso e di potere! Liberiamoci dalla paura dell’altro e apriamo il cuore e l’anima all’accoglienza rispettosa del prossimo che aspetta di essere amato. E, non sarà un miracolo se, allora, un manto di luce ci coprirà “Ascoltiamo” Un angelo già canta: “Gloria a Dio …. e Pace agli uomini !”.

Auguri di vero Natale a tutti!

Angela

Circolare Nazionale Rete Radiè Resch

Novembre 2014

A cura della rete di Polignano

E SE CI CONTEMPLASSIMO LO SPIRITO…

UN ALTRO SGUARDO È POSSIBILE?

Carissimo, Carissima… perché scrivere una lettera mensile, se non per comunicare il fremito del profondo e farne condivisione e dono…? Confesso di essere stata presa dal pensiero della teologa Antonietta Potente all’ultimo convegno della Rete, e dal mio ultimo incontro avuto con lei a settembre in occasione dell’apertura dell’anno Pastorale nella mia Parrocchia. É inedito e affascinante il titolo della sua relazione: “E se ci scambiassimo lo Spirito? Il futuro delle relazioni.” Mi sembra che si parli di quello Spirito che appartiene a tutti e a tutte, quel filo rosso che svela il divino che è in noi, e dà la possibilità di riconoscerci veri fratelli. Intimo scambio di energia dove si nasconde il genoma che in sé contiene la salvezza di tutti gli uomini. Scoprire e riconoscere il comune progetto umano ci libera dalla paura e ci dà la spinta ad alzare gli occhi per guardare l’altro e trovare in lui qualcosa di noi stessi. In “Spirito e Verità” nello sguardo dell’altro possiamo riconoscere e contemplare le nostre origini e dare un senso reale al nostro essere nel concreto vivere di ogni giorno. Guardarsi negli occhi e piano piano sciogliere quei conflitti antichi che ci rendono nemici e ostili è un cammino necessario per liberare i nodi che, di generazione In generazione, soffocano gli aneliti del divino. Sbrogliare le rigidità, le paure, le resistenze, i pregiudizi, che ci allontanano gli uni dagli altri è il segreto che darà coraggio al nostro sguardo che, con emozione sincera, contemplerà se stesso nel volto altrui. Tutto ciò passa, inevitabilmente, attraverso il corpo, specchio della nostra anima. Dal corpo traspare tutto il nostro essere: il detto e il non detto, perché, le gioie e le fatiche, la bellezza e le ferite finanche, i vissuti di chi ci ha preceduto sono impresse nel umano tessuto. E come la natura aspetta di essere liberata, anche il nostro corpo attende una parola, un gesto, uno sguardo che ci riconcilia con l’inespresso che si nasconde in noi. L’altro è la nostra verità! Esercitiamo, allora, le nostre capacità a guardarci amorevolmente, senza barriere e difese, per liberare il sogno profondo di ogni notte:” Ricostruire il Paradiso perduto delle relazioni”. È proprio nel riconoscere l’altro che si scalpella il nostro essere sotto la guida dello spirito che rende nuove tutte le cose. Tale novità di incontro sprigiona energia, eco rispettosa, che rompe le corazze e cura le ferite che gli eventi e il tempo scalfiscono dentro. Mettersi in gioco con l’altro per scoprirsi fratelli, figli di uno stesso Padre Creatore, è un’occasione per comprendere le tante possibili ragioni segrete dell’essere, insieme ai tanti possibili perdoni.

Angela

Circolare Nazionale Rete Radiè Resch

Ottobre 2014

A cura della rete di Quiliano

La parola a due persone che hanno lasciato volontariamente il loro paese per andare ad incontrare altre persone ad a cercare insieme di diventare migliori.

“Io sono veramente grato per le persone che ho incontrato nella mia vita. Sono le persone che ho incontrato che mi hanno fatto la persona che sono. La mia ricchezza è la ricchezza umana di tanti uomini e donne che mi hanno toccato, soprattutto poveri.

Questo “toccarsi” sulla strada … uno più misterioso dell’altro. Questo essere “toccato” dai poveri, dagli ultimi, dai malati di AIDS.

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La vita è stata un camminare, e camminando “lasciarsi toccare” dai fratelli pellegrini, vicini o lontani non ha importanza. L’importante è questo sentirsi abitati, amati …e amare, abitare altri … E’ ciò che poi rimane.” Alex Zanotelli da: “Korogocho” -alla scuola dei poveri-

“Mi penso a camminare per mano nei viottoli che hanno in Brasile il nome di favelas,e ritorna alla mente un pensiero che finora stenta ad essere accolto perchè, nella nostra cultura occidental-cristiana prima si pensa e poi si fa e spesso si pensa credendo di fare solo pensando. Non si crede da noi quanto la realtà modifichi il nostro pensiero “Arturo Paoli postfazione a “Korogocho”

Ottobre tradizionalmente mese “missionario”, ottobre che si apre con il primo coordinamento della Rete dedicato ai “migranti”, l’idea che unisce le due parole è quella di movimento da un luogo verso un altro.

Perchè le persone si spostano?

Per non venire uccise si rifugiano, per cercare una vita migliore migrano, per cercare di diventare migliori migrano.

La segreteria per l’ordine del giorno ha scelto la parola“migranti”, la Rete è nata da una “migrazione”: quella di Paul Gauthier.

Per dirla con Alex è andato a “lasciarsi toccare” e per dirla con Arturo ha visto “quanto la realtà modifichi il nostro pensiero”.

Questo ci portano in dono le migliaia di persone che cercano di arrivare tra noi, sia che si rifugino sia che si spostino per andare a stare-essere meglio, quello che offrono è REALTA’, quello che chiedono è TOCCO.

Non è possibile che dalla loro REALTA’ non si modifichi il nostro pensiero economico, finanziario, politico, non è possibile che dal “LASCIARSI TOCCARE” da loro non si sprigioni un’onda di tenerezza irresistibile.

Dovremmo provare a partire per un viaggio che ogni giorno ricominicia, muoversi stando fermi ad accoglierli,progettare con la testa vuota semplicemente ascoltando i loro progetti, dare un senso diverso ai nostri soldi guardando quanto valgono nella loro moneta e RESISTERE alle bugie della politica europea e nazionale.

Noi come Rete e come società civile tutta possiamo promuovere un percorso di approfondimento giuridico:

– cosa vuol dire che due nazioni hanno rapporti di reciprocità diplomatica?

– che diritto effettivo hanno le ambasciate di negare i visiti o imporre condizioni impossibili per averli?

-non c’è davvero nessuno imputabile di omissione per questa strage quotidiana di morti annegati?

Sono domande che mi abitano dai tempi in cui abbiamo iniziato a lottare per invitare Centrafricani in Italia toccando con mano quanto il “muoversi” legalmente non potesse essere di tutti ed intravedendo che le strade sarebbero state cercate e trovate dai popoli a costo della morte o per sfuggirne ma comunque cercate.

Sono domande a cui nemmeno l’onorevole Touadì, Congolese, provò a rispondere quando lo interpellammo.

Eccoci al dunque.

La procura di Roma indaga sulle connessioni tra scafisti e trafficanti di organi, ognuno paga il “migrare” con quello che ha.

Molti iscritti a questa lista conoscono il giovane Adama, il regalo ricevuto dalla nostra famiglia arrivato via Costa d’Avorio-deserto in camion-Libia-mare in barcone-Lampedusa.

Lasciamo a lui le conclusioni.

“gli americani quando tolgono un capo devono pensare che capo mettere dopo, hanno tolto Saddam, Kadaffi,Bin Laden e hai visto dopo? Solo un gran casino.

Bisogna capire bene bene dove vanno i soldi di quel capoche togli, dove va la sua famiglia.

Con i soldi di Saddam i suoi si sono preparati, hanno pensato e ora sono tornati, guarda cosa fanno, riprendono tutto.

Non c’è questione tra bianchi e neri la questione è tra ricchi e poveri, quando un nero diventa ricco va con i neri ricchi oppure con i bianchi se ne frega dei neri poveri fa il bastardo.

O vieni qui perché da te c’è la guerra o vieni a lavorare.

Se vieni a lavorare devi contare bene i soldi e devi sapere se vuoi vivere qui o tornare a casa dopo un po’. Io sono scappato, qui è bello ma io voglio tornare a casa.

Ci andiamo tutti in Costa d’Avorio!”

Questa la sua REALTA’.

“PAPA’ ho “prezzo” la patente!“

SMS inviato a Franco: questo il suo TOCCO.

per la Rete di Quiliano

Caterina

Circolare Nazionale Rete Radiè Resch

Settembre 2014

A cura della rete di Quiliano

CIRCOLARE DI SETTEMBRE SCRITTA DA NUOVISSIMA ADERENTE ALLA RETE.

Intanto giungano i miei più sentiti ringraziamenti a tutti coloro che hanno partecipato al coordinamento di Quarrata, è stata per me un’esperienza entusiasmante nella quale ho respirato un clima veramente democratico, che ha reso questo incontro particolarmente importante e ricco.

Ho conosciuto la rete grazie ad un’amica, che fa della solidarietà il suo stile di vita.

Condivido con onore le parole di Alex Zanotelli per cui essere solidale è un cammino fatto di ascolto, pazienza e amicizia. E questo mi è parso il motore delle reti.

L’approccio del gruppo eterogeneo delle donne di Quiliano, di cui faccio parte, è stato quanto mai semplice, nello spirito di condivisione, grazie ad una precisa e puntuale informazione di Caterina abbiamo deciso di sostenere e far nascere un allevamento in Centrafrica, il cammino è costante, nonostante le alterne fortune data la situazione.

A questo punto mi pare necessario focalizzare l’attenzione su alcuni punti che ritengo importanti.

Penso sia necessario portare all’esterno le esperienze, gli obiettivi i successi e le proposte della rete, per dare una più ampia conoscenza e coscienza di cosa è e che cosa si propone perché possano nascere nuovi nuclei operativi.

Un’altra riflessione che vorrei porvi, è questa: oggi tutto ruota attorno al denaro, ma la mano solidale non è solo quella che elargisce denaro, sicuramente più che necessario per rendere fattibili i progetti di cui ci si fa carico, la mano solidale è anche quella tesa ad accogliere fratelli e sorelle in difficoltà, non importa quanto sia grande la casa che li accoglie, quanto sia abbondante il cibo che prepariamo, è forse più importante la fiducia che si ripone nell’altro, il tempo che gli si dedica, l’ascolto delle sue esigenze. E qui penso a quanti emigrano nel nostro paese privi di tutto, ma anche privati dei loro diritti fondamentali: clandestini, profughi imprigionati e intrappolati in pastoie burocratiche e legali che non conoscono, praticamente insormontabili.

Le categorie in cui spesso ci inglobiamo non ci permettono di vedere che siamo TUTTI ESSERI UMANI, le differenze culturali, umane possono essere una vera ricchezza.

Propongo quindi un grido, se è possibile: TUTTI GLI ESSERI UMANI SIANO UGUALI! E NON PUO’ ESSERE UN’ UTOPIA

Con affetto

Graziella  Merlino

Circolare Nazionale Rete Radiè Resch

Giugno 2014

A cura della segreteria nazionale

Care amiche, cari amici, abbiamo chiesto che la circolare di giugno venisse assegnata, cosa inconsueta, alla Segreteria Nazionale, perché, dopo il Convegno dei 50 anni della Rete ed al termine del nostro mandato, il momento è opportuno per tracciare un bilancio. Questi due anni di lavoro, infatti, ci hanno lasciato un’immagine in chiaroscuro della nostra associazione. Ci è parso bello e giusto trasmetterla a tutti voi. Da un lato, il Convegno Nazionale ci ha regalato sensazioni fortemente positive. La partecipazione è stata buona, con un leggero aumento rispetto a quelli del recente passato (390 presenze, rispetto alle circa 350 del 2012 ed alle circa 300 del 2010 e del 2008). Siamo riusciti a non indulgere nell’autocelebrazione. I contenuti sono stati validi ed i testimoni, ciascuno con le proprie peculiarità, sono riusciti a trasmetterci immagine vivide del loro mondo. La domanda di fondo sul senso del nostro modo di fare solidarietà ha avuto risposte chiare. Dopo 50 anni, ci siamo e siamo vitali. Per un’associazione che si basa solo sulle energie dei propri membri, è tutt’altro che scontato. L’intuizione fondante della Rete, la necessità di operare contemporaneamente nel sud del mondo e nella nostra realtà quotidiana, resta perfettamente valida. Mai come ora ci è chiaro che lo sfruttamento e la sofferenza di molti popoli hanno profonde radici nel nostro modo di vivere. La novità è che, oggi, il nostro mondo sta collassando dal suo interno e ciò ci chiama ad uno sforzo supplementare. E’ perfettamente inutile aspettarci che il cambiamento arrivi dall’alto, dalla politica classica, dalle classi dirigenti. L’esperienza dell’Ecuador e della Bolivia, come quella, in Italia, del GAPA di Catania, ci mostra che esso arriva sempre dal basso; dai normali cittadini che trovano la forza per unirsi, sporcarsi le mani, e rivendicare i propri (e altrui) diritti. Anche per questa ragione, solidarietà vuol dire relazione, in posizione di parità, con tutti, passione per il diritto dell’altro, come ci ha ricordato Waldemar Boff. “Non chiamateci poveri!”, ha gridato Darìa Tacachiri. I nostri amici rivendicano la loro dignità. Quindi, il nostro modo di fare solidarietà è ancora attuale. Anzi, lo è ancora di più oggi, che la crisi erode le nostre disponibilità economiche e pone in dubbio la possibilità di continuare a raccogliere denaro. Ciò metterà sempre più in difficoltà la realtà basate solo sulla raccolta di fondi, mentre valorizzerà quelle basate, in primo luogo, sulla relazione. “Scambiamoci lo spirito”, diceva Antonietta Potente. Il rapporto con i nostri amici in Palestina, in Sud America, in Africa non può e non deve essere solo economico. Ma un primo quesito: siamo maturi e pronti per uno scambio paritario e profondo con i nostri amici dell’altro mondo? Siamo veramente preparati a camminare insieme? Nelle difficoltà dovute a mancanza di tempo, di denaro, a spazi da percorrere, abbiamo la determinazione necessaria, siamo veramente convinti che nulla può essere più prezioso ed anche più costruttivo che confrontarci, capire, accogliere, vedere per comprendere? Due anni di Segreteria ci hanno anche costretti a confrontarci con i nostri limiti. La Rete, purtroppo, è invecchiata, non solo anagraficamente. Molti gruppi locali sembrano segnare il passo. Lo stesso fatto che la partecipazione ai coordinamenti sia sempre molto numerosa, se a prima vista può apparire un segnale positivo, sembra far trasparire la debolezza dell’attività sul territorio. Questa non è naturalmente una regola valida per tutti ma il dato, che chi frequenta stabilmente, è abbastanza chiaro. A volte, si percepisce un legame eccessivo delle Reti locali con le operazioni direttamente sostenute o proposte, che, accompagnato dall’incapacità di una critica oggettiva, si manifesta in una velata intolleranza verso gli altri progetti o proposte. Purtroppo abbiamo vissuto con amarezza lo sfociare nel disappunto, quando la decisione collegiale è stata contraria a quella del proponente. D’altro canto, alcuni progetti si basano su un forte legame e su rapporti continuativi con le persone del posto ed hanno dovuto superare talvolta problemi logistici notevoli e difficoltà di varia natura, che hanno rafforzato quello scambio di esperienze e di relazione fondamentali. Si tratta, pertanto, di trovare il giusto equilibrio, tra la determinazione, l’impegno e la passione necessari a sostenere i progetti e la necessaria e giusta visione critica dell’insieme. La Rete dovrà sempre e comunque mantenere l’obiettivo primario della condivisione tra di noi e con gli ultimi al di là di ogni tentazione di piccola ambizione. Negli ultimi coordinamenti, abbiamo molto dibattuto sul come distribuire le risorse ricevute da due cospicui lasciti; è una fase del tutto imprevista nella Rete, che ci obbliga ad allargare le nostre responsabilità. Il concetto di “restituzione”, ieri a noi tanto affascinante teoricamente, oggi ci chiama concretamente ad impegnarci in progetti di sviluppo con un coinvolgimento sempre maggiore di sorelle e fratelli altrimenti abbandonati. Anche per questo aspetto, in questo ultimo periodo è diminuito il tempo dedicato alla “politica” e alle riflessioni sulle mutate con-dizioni causate dalla globalizzazione nei suoi multiformi aspetti. I tempi cambiano in fretta e diverso è il modo di affrontarli. Manca però, a volte, la spinta ideale che ha animato la Rete per 50 anni. Fatichiamo a mobilitarci, i gruppi locali sono sempre meno attivi. Certo, nella realtà confusa dell’oggi, è difficile trovare nuove battaglie per cui valga la pena di spendersi. Sei mesi per (non ancora) decidere se sostenere la sessione sulla finanza del Tribunale per i Diritti dei Popoli paiono, però, francamente troppi. E, poi, palpabile la difficoltà di fare presa sulla realtà e, soprattutto, di coinvolgere persone nuove. Da un lato, ogni nuovo gruppo a cui ci avviciniamo sembra visto con sospetto, quasi possa inquinare la nostra presunta “purezza” ideale. Dall’altro, è manifesta l’incapacità di coinvolgere chi si affaccia oggi, per la prima volta, all’idea di solidarietà. Forse la distanza tra le generazioni è troppa. Forse non abbiamo gli strumenti di linguaggio per farci capire. Ci manca, però, anche il coraggio di metterci in discussione e, forse, di confrontarci veramente con le altre realtà presenti nel territorio, cercando di entrare in dinamiche che a noi possono essere, a prima vista, estranee, ma che ci possono servire per capire e farci capire, anche a costo di sporcarci le mani. La vicenda dei fondi destinati a finanziare i viaggi dei giovani alla scoperta dei nostri progetti è emblematica. Il coordinamento ha stanziato una somma abbastanza importante per un’iniziativa che a detta di tutti risulta valida. La discussione si è, però, irrimediabilmente arenata sulle diverse modalità di coinvolgimento dei giovani e quindi su come i fondi devono essere distribuiti. Il denaro, ancora una volta, è indispensabile per poter concretizzare qualcosa, anche i viaggi, il problema è che noi non siamo maturi per gestirlo! Il risultato è che nessun giovane parteciperà al viaggio in Argentina e Cile che è in preparazione per il prossimo inverno. Qui si apre un tema che, a nostro parere, richiederà un’attenta analisi nei prossimi anni. L’autotassazione periodica, su cui si basa la Rete, è certamente uno dei punti di forza da cui essa trae la propria longevità: garantisce la serietà dell’impegno di chi aderisce e, contemporaneamente, l’autonomia da ogni potere politico ed economico. I tempi sono, però, cambiati. Le persone che godono di un reddito fisso e sicuro nel tempo diminuiscono sempre più, sostituite da precari, da giovani in perenne ricerca di un lavoro, da lavoratori interinali, sfruttati a vario titolo. Come si può pretendere da loro un versamento mensile? La richiesta di un impegno di autotassazione periodica finisce per allontanarli, escluderli dalla nostra associazione. Anche per questo, forse, la Rete dovrebbe curare di più l’aspetto politico, permettere ai giovani di avvicinarsi comunque alla solidarietà, per conoscere e far conoscere l’ingiustizia di cui siamo complici ed ormai anche vittime: solo la conoscenza può far scaturire in noi l’amore per il rispetto della dignità di tutti e la rivendicazione dei diritti umani, oggi sempre più necessaria, come ci diceva Moni Ovadia nel messaggio inviato alla scorsa marcia della Giustizia Agliana-Quarrata. Antonietta Potente ci esortava anche a continuare a rimanere nascosti lì, ma ad essere sempre più visibili politicamente qui, forse sarebbe importante riflettere sul come esserlo. Che fare di tutto ciò? Non sta solo a noi dirlo. In fondo siamo responsabili, come e più di altri, di questo stato di cose. Crediamo, però, che il futuro della Rete si deciderà anche su questi temi.

 

Circolare Nazionale Rete Radiè Resch

Maggio 2014

A cura della Rete di Casale Monferrato

Questa circolare è stata abbozzata a Rimini fra il 25 e il 27 aprile 2014, prendendo spunto dalle relazioni, dagli incontri e dalle conversazioni di quei giorni. Si è trattato di un convegno “speciale”, il venticinquesimo dalla fondazione di una Rete che compie il mezzo secolo di vita. Dunque anche una riflessione sulla storia della Rete, non come auto-celebrazione, ma come “memoria”, come insieme di sguardi per far riaffiorare le radici della nostra identità. La Rete Radiè Resch nasce proprio dall’incrocio di due sguardi (di un giornalista italiano e di un sacerdote francese) entrambi  alla ricerca  di autenticità e coerenza con la propria storia personale, accomunati dalla sensibilità alla domanda di giustizia degli oppressi e dalla ricerca di autenticità al messaggio evangelico, in sintonia con uomini ed esperienze che, fra ripensamenti ed inquietudini, preparavano la grande stagione conciliare. Una organizzazione “povera”, senza ruoli definiti, senza funzionari, fragile perché affidata al volontariato, alla autonomia dei gruppi locali, eppure “presuntuosa” nel suo volersi proporre come organizzazione nazionale ed internazionale, nel suo voler allargare il tessuto delle relazioni senza temere i legami esili e le comunicazioni frammentarie. Forse proprio questa attenzione alla comunicazione ha permesso alla Rete di superare i monsoni della storia recente, magari senza crescere nel numero degli aderenti, ma senza smarrire il filo rosso dell’impegno e dell’autenticità (Matteo Mennini, nella sua introduzione storica a Paul Gauthier, ci ha raccontato che l’associazione francese “Partage”, nata con lo stesso obiettivo iniziale della Rete, ha interrotto da tempo il suo cammino). Probabilmente la rete informatizzata della comunicazione globale ha fornito un supporto importante alla conservazione dei legami e allo scambio di esperienze, consentendo la sopravvivenza di una struttura così fragile e (consentiteci di dire con un certo orgoglio) così poco costosa rispetto anche alle più semplici ONG. La Rete è nata in una Palestina non ancora definitivamente lacerata dalle guerre degli anni ’60 e ’70 ed ha avuto come primo progetto il supporto alle case che Paul Gauthier e i suoi amici andavano costruendo. Radiè Resch è il simbolo di una speranza che non si è tradotta in realtà allora e che ha bisogno ancora della nostra solidarietà. I testimoni palestinesi al convegno ci hanno fatto riflettere su una situazione che trova sempre meno sbocchi credibili perché lo stato israeliano crede di poter gestire una situazione di conflitto permanente. La vicenda politica si nutre così di narrazioni mitiche, come quella che prevede la trasformazione di Israele in stato etnico, separando gli ebrei dalla popolazione palestinese. Il progetto di creare uno stato etnicamente puro però non è credibile: di fatto la popolazione dell’area palestinese (Israele + territori occupati) è composta da non ebrei per circa il 40% (in tutta l’area ci sono 10 milioni di persone, di cui 5,9 milioni di ebrei – Israele ha circa 7,5 milioni di abitanti, per il 20% arabi. Fonte: Limes, 2013). Che cosa significa “stato ebraico”?  In Israele è stata creata una distinzione fittizia fra nazionalità (che è solo ebraica) e cittadinanza (che comprende anche il 20% di arabi) in una logica di separazione interna e di graduazione dei diritti. Diritti che sono ulteriormente conculcati per gli abitanti dei territori occupati. Secondo Wassim Damash manca una riflessione sull’identità come dato sempre in via di definizione, un dato che si costruisce e a volte si perde almeno in parte (avviene anche con l’identità personale con il venir meno della memoria individuale). Lo stato è tale quando rappresenta tutta la popolazione racchiusa nei suoi confini. Forse non è così importante che i palestinesi abbiano un altro stato (nella situazione attuale sarebbe in ogni caso uno stato con troppe limitazioni per essere autonomo), ma è necessario che vengano loro riconosciuti i diritti di nazionalità/cittadinanza, come l’uguaglianza davanti alla legge, il diritto all’incolumità personale, alla proprietà della terra e dell’acqua. Questa è la “pace” oggi ed è una pace-condizione per le trattative, più che una pace obiettivo. Ripartire dai diritti è anche il messaggio conclusivo di Riccardo Petrella. I diritti diventano un antidoto al modello di economia finanziaria in cui il valore delle cose e delle persone viene definito in base alla capacità di creare ricchezza per il capitale privato. All’interno di questo modello lo stato finisce per essere considerato come una forma di distorsione del mercato: l’obiettivo dell’economia è lo “stato zero”. Diventano così quasi “naturali” le limitazioni alla sovranità statale di cui è esempio la comunità europea: il bilancio degli stati membri deve essere verificato e può essere modificato sulla base di alcuni parametri “oggettivi” che interessano il mercato. Un mercato che non conosce diritti, ma solo solvibilità. Anche Waldemar Boff oppone alla dittatura del mercato una cultura della cittadinanza globale. Questa cultura ha bisogno di risorse, per cui è importante ripensare il significato della fiscalità generale e sottrarla all’uso “orientato” che ne fanno le lobby di potere. Padre Regino Martinez, che lavora nella Repubblica Domenicana con gli immigrati haitiani, si confronta con un razzismo sempre più violento, che sta prendendo la forma di uno stravolgimento della costituzione domenicana. Una recente sentenza della corte costituzionale (dicembre 2013) esclude dalle elezioni, dalla proprietà e dai diritti civili le famiglie di haitiani immigrati illegalmente dopo il 1929. In sostanza viene annullata l’identità di famiglie che da 4 generazioni ormai vivono sul suolo domenicano. Un razzismo che di tanto in tanto assume connotazioni violente, come è già avvenuto drammaticamente nel passato. Nel 1937, sotto il governo di Trujillo, i contadini frontalieri haitiani furono oggetto di tentativi di genocidio. Per individuare coloro che dovevano essere eliminati, non essendoci una vera e propria differenza somatica al di qua e al di là del confine (Haiti e Repubblica Domenicana sono infatti sulla stessa isola), si usava come discriminante la pronuncia della parola “perejil”, prezzemolo, in cui la r si pronuncia diversamente a seconda se si proviene da una area linguistica francese o da una spagnola. Nidia Arrobo ci ha trasmesso l’eredità spirituale di mons. Leonidas Proaño (vescovo di Riobamba in Ecuador dal 1954 al 1985) sostenitore dei diritti degli indios e precursore della teoria della liberazione. La sua speranza è in parte diventata realtà nella attuale costituzione dell’Ecuador che riconosce l’importanza delle comunità indigene. I profeti lanciano semi che possono germogliare anche a distanza di anni. Ettore Masina, nella sua relazione iniziale, ci ha ricordato uno dei primi amici della Rete ai tempi della dittatura brasiliana: Josè Luis Del Rojo (Francisco). In una lettera a Masina, Del Rojo racconta la sua esperienza di oggi come ricercatore negli archivi dello stato totalitario, recentemente resi accessibili. Ebbene, la Rete viene citata in queste fonti come una associazione pericolosa, da controllare assiduamente. Anche una piccola rete disarmata può rendere inquiete le dittature. L’azione della RRR si è caratterizzata sempre per questa sua capacità di guardare in più direzioni. Il suo stile è quello di coniugare uno sguardo attento alla vita pubblica all’impegno quotidiano nella vita privata. In questo senso può consentire il superamento di quelle paralisi dell’azione che talvolta nascono dalla percezione della complessità dei problemi in cui siamo immersi. Antonietta Potente ci ha ricordato l’importanza di “scambiarci lo spirito”, a crescere in noi quella passione dell’altro che spinge a dare a ciascuno ciò che gli appartiene. Lo spirito è letteralmente “soffio”, un elemento debole, ma forse proprio per questo può essere comunicato. Il futuro è in quella percezione della debolezza del pensiero, che porta a stabilire legami, a creare reti, a recuperare tutte le sapienze possibili (con particolare attenzione ai modelli femminili). Un carissimo saluto a tutti ed un arrivederci al coordinamento di Quarrata del mese prossimo. Per la rete di Casale Beppe e Cristiana.

Circolare Nazionale Rete Radiè Resch

Aprile 2014

A cura della Rete di Trento

Care amiche e cari amici,

si avvicina a grandi passi il convegno del 50esimo compleanno della Rete Radie’ Resch. Avremmo voluto avere con noi parecchi amici e testimoni che anche con noi hanno attraversato questi anni, ruggenti, intensi, oggi forse più sconsolati. Ma non è facile ristabilire contatti con quelli che avevamo conosciuto tanto tempo fa. Alcuni ci hanno lasciato. Noi speriamo almeno che tutti gli altri stiano bene, abbiano potuto chiudere ferite tremende, proseguire le loro vite in serenità. Comunque al convegno potremo forse avere qualche bella sorpresa. Tratteremo molti temi. Alcuni in particolare, relativi alla vita della Rete, hanno catturato l’attenzione e il dibattito negli ultimi mesi: durante gli incontri di coordinamento e a volte anche nelle varie reti locali. Ci siamo di nuovo proposti, ad esempio,  un interrogativo che riteniamo fondamentale: stiamo  forse facendo pericolosamente,  un po’ automaticamente, beneficenza?! Nonostante la nostra storia che ci ha sempre spinto con decisione non alla beneficenza ma a “cercare le cause delle ingiustizie “? Da Paul Gauthier a Ettore Masina ai tanti “testimoni” nei nostri  convegni che, da qualunque angolo del mondo venissero, ci  hanno sempre ripetuto: se volete che possiamo cambiare noi dovete cambiare voi qui. E noi abbiamo cercato di capire. I titoli dei nostri convegni lo dicevano spesso: “Cambiare per liberare – Liberarci per cambiare” (1988 ) “La resistenza degli esclusi” ( 1996 ); quando Susan Georg, già tanti anni fa, ci portava a riflettere su “I meccanismi dell’ esclusione”. “Tra Sud e Nord nuovi percorsi di politica” ( 2006 ); quando veniva dall’Argentina l’operaio della fabbrica ex Zanon a dirci cos’era quell’autogestione di una impresa abbandonata dal proprietario che, con terrore e coraggio, essi avevano tentato di salvare. E molti altri li avevano seguiti. Tanto  che l’esperienza dell’Argentina ha fatto il giro del mondo. Intanto dai grandi contadini Sem Terra del Brasile arrivavano spesso i messaggi: ” abbiamo compreso che è impossibile lottare per la Riforma Agraria senza combattere il modello economico che si impone..”. Abbiamo “compreso”! E Ettore Masina scavava su questo terreno ogni  mese con le sue lettere. E molti altri negli anni riflettevano ( anche sul Notiziario della Rete ) sui rapporti economici tra nord e sud del mondo. E ogni volta che aprivamo una operazione – progetto presso qualche popolazione “povera” scoprivamo che non sarebbe stata povera se qualcuno non l’avesse “impoverita”. Però è probabile che strada facendo,  adagiandoci nell’abitudine della sottoscrizione mensile, abbiamo un po’ impallidito questi tratti fondamentali. A volte da qualche rete si è chiesta infatti “più presenza critica”. E durante  una delle recenti riunioni di coordinamento  è rispuntato l’interrogativo, netto: noi e i nostri referenti facciamo forse azioni palliative? quelle che tendono a rendere più sopportabile, e perciò stabile, la situazione negativa in cui si vive, invece di cercare di cambiarla? Allora noi che siamo nati per i rapporti col sud del mondo facciamo bene a interessarci così ampiamente, come da qualche anno stiamo facendo anche nei convegni, alla attuale terribile crisi che è venuta addosso specialmente  al primo mondo ex-ricco? e ne cerchiamo la fisionomia vera,   le  cause, i modi per liberarcene? Facciamo bene a chiamare ai convegni esperti di economia, o di finanza internazionale perché ci chiariscano questa crisi? Cosa lega oggi nord e sud che stanno cambiando così vistosamente? Sicuramente le risposte a questi interrogativi ci accompagneranno nel prossimo  futuro. Prima di chiudere,  un’ informazione che ci è parsa molto importante. La prendiamo da una circolare locale della rete di qualche mese fa in cui Fulvio ci riferiva di  una piattaforma web “Ushahidi ” nata in Kenya. ” Il termine ” Ushahidi” nella lingua africana swahili significa “testimone”. Il fenomeno è nato  in occasione delle elezioni politiche del 2007 per iniziativa di Ory Okolloh, avvocata, attivista politica e blogger. Prima e dopo le elezioni si scatenarono gravissime violenze in tutto il paese africano, tanto che i leader politici sono ora sotto processo presso la Corte Penale Internazionale. L’attivista  aveva potuto raccogliere testimonianze da tutto il Kenya, anche via sms dalle zone più periferiche, aggregarle per località, creare mappe digitali e far conoscere in tutto il mondo quello che succedeva nel suo paese. Ciò permise alle Ong di tutto il mondo di intervenire e soccorrere   le persone  colpite.  Da questo momento il governo Keniota non poté più sottrarsi alle sue responsabilità e a nulla più valse la censura. Il successo di Ushahidi ha permesso alla piattaforma di espandersi ad altre aree di crisi in tutto il mondo per raccogliere e mappare le informazioni dirette raccolte via sms: ad esempio per documentare violenze in Repubblica Democratica del  Congo, per segnalare e prevenire brogli elettorali in Messico e India, per seguire il percorso e la destinazione di scorte alimentari e mediche in Paesi dell’Africa orientale e per localizzare i feriti dopo i terremoti ad Haiti e in Cile.”. Fin qui la notizia. Non è un sistema geniale? che potrebbe servirci forse anche per il tormentato Centrafrica e non solo? Negli anni ’80 del Novecento alcune indimenticabili donne dell’ Inghilterra meridionale partecipanti ad un gruppo popolare di rifiuto delle armi nucleari, dovendo una notte segnalare in modo riservato un passaggio segreto di materiale nucleare sul loro territorio boscoso, usarono …un linguaggio prestabilito dal gruppo e imprevedibile ai militari: tesero dei fili da un albero all’altro lungo il percorso dei missili fino all’arrivo. Così resero pubblica l’informazione.   Oggi grazie alle intuizioni dell’ avvocata e blogger keniota i SOS arrivano via sms. W! A voi tutti e tutte  una buona Pasqua e arrivederci a Rimini, ormai fra poche settimane, per il nostro grande convegno!

Per la Rete di Trento

Carla Grandi

Circolare Nazionale Rete Radiè Resch

Marzo 2014

A cura della Rete di Trento

Care amiche e cari amici,

manca ormai poco al Convegno nazionale del 25-27 aprile, in cui festeggeremo i 50 anni della nostra Rete e ci interrogheremo sul “presente della solidarietà tra memoria e futuro”, come recita il titolo del Convegno stesso. Queste circolari che ci avvicinano e ci accompagnano all’appuntamento cercano di riflettere proprio sul significato di solidarietà, partendo dalle origini della Rete, dall’intuizione di Ettore e Clotilde Masina su ispirazione di Paul Gauthier, fino alla nostra situazione attuale di cittadini di un mondo globalizzato, dove la globalizzazione riguarda solo i capitali e i profitti ma non i diritti degli uomini e delle donne.

Ho avuto occasione di leggere le bozze del nuovo libro di Ercole Ongaro sui 50 anni della Rete, che sarà pronto per il Convegno. E’ un libro che consiglio vivamente a tutti, perché rappresenta una sintesi magistrale di una storia in cui tutti noi siamo co-protagonisti insieme ai tanti testimoni con cui siamo entrati in relazione in questi lunghi anni. Ed è proprio dal libro di Ongaro che vorrei anche in questa occasione trarre qualche spunto di riflessione sul nostro essere Rete.

Comincio ricordando qualche citazione con cui Ettore Masina fin dall’inizio, nelle sue circolari, definì lo spirito della Rete e della solidarietà: “Considerare il superfluo con la misura delle necessità altrui” (Giovanni XXIII); “la giustizia è la misura minima della carità” (Paolo VI); “la povertà dei più è oltraggiata dalla ricchezza di una minoranza” (cardinal Giacomo Lercaro). Da queste frasi si ricava che la linfa che alimenta la Rete proviene dalla scelta di rispondere alla domanda di giustizia dei poveri con un impegno personale. Le caratteristiche della Rete, secondo Masina, si riassumono nell’essere un gruppo cui si aderisce per “un atto di amore” a seguito di una presa di coscienza dell’ingiustizia sociale e della volontà di avviare un cambiamento partendo dalle proprie scelte di vita;  in secondo luogo la condivisione del proprio denaro con i poveri non è saltuaria ma costante; in terzo luogo la Rete ha rifiutato di darsi una struttura, per agire invece solo su base volontaria, mantenendo la configurazione di movimento non di istituzione. Essere “cellule di amicizia”, moltiplicarsi ma non ingrandirsi, per non perdere la ricchezza della reciproca conoscenza e della relazione: questa l’ idea delle origini, in base alla quale Masina ipotizzava che in una città avrebbero potuto formarsi più reti, dimensionate su una media di una quindicina di aderenti.

Altra caratteristica della Rete è sempre stata quella dell’agire contemporaneamente “qui e là”. Gauthier diceva: “Ciò che è importante è che mentre noi là viviamo tra gli operai, voi qui agiate sulle strutture sociali per impedire che si fabbrichino ancora dei poveri. Ciascuno di noi deve dare il suo contributo non soltanto aiutando i poveri a combattere la loro povertà ma anche individuando e combattendo le cause della povertà”.

La solidarietà, quindi, non si esaurisce nell’autotassazione, ma deve farsi anche controinformazione, denuncia, grido di indignazione. Questo è avvenuto in molte occasioni, ad esempio con il Tribunale Russell II che si proponeva di denunciare la violenta repressione del regime militare brasiliano. Era il completamento dell’azione solidale che la Rete stava svolgendo accanto ai prigionieri politici e alle loro famiglie. Dove c’erano gruppi della Rete si formarono comitati di appoggio, composti a prescindere da appartenenze ideologiche. E con questo spirito la Rete ha partecipato negli anni a decine di “campagne”, come quella per i 500 anni della conquista dell’America (1992) o quella per un Giubileo della Liberazione (2000), quelle per far conoscere le tragedie dei desaparecidos cileni e argentini e le battaglie delle Madri di Plaza de Mayo, le stragi nei campi profughi palestinesi, i massacri delle dittature centro-americane, i tentativi di ‘pulizia etnica’ a Gerusalemme Est, la partecipazione alle campagne contro il “Millenium Round”, l’adesione alla costituzione della Rete di Lilliput, che si proponeva di coordinare tutto l’associazionismo contrario all’economia neoliberista.

Come ricordò Masina al convegno dei 30 anni della Rete, nel 1994, quando annunciò l’intenzione di lasciare la sua “creatura”, la Rete è “qualcosa di molto più intimo e delicato e grande di un’associazione”: era stata ed era “un circuito di affetti profondissimi, un circuito d’amore”, “una specie di assemblea permanente mobilitata al servizio dei poveri ai quali vengono negate giustizia e libertà [ma] che a questa negazione non si arrendono”. Aver aperto gli occhi sulla povertà di massa aveva indotto alla conversione; questa aveva comportato la condivisione di una parte del proprio reddito, ma soprattutto l’ascolto del mondo dei poveri, il farsi compagni di chi lottava per un mondo migliore. La Rete doveva restare fedele a una cultura conviviale e di controinformazione: prediligere il contatto con testimoni e profeti, con comunità di base e consigli dei favelados, con leghe “campesine” e centri di coscientizzazione; farsi “ricercatrice di verità, pellegrina di verità, avendo come bussola non già gli acquietanti rapporti degli esperti ma la voce degli oppressi”. Per mantenere questo orientamento era necessario non lasciarsi persuadere della definitiva vittoria del capitalismo, coltivare invece la passione utopica per un sistema alternativo: senza utopie, cioè “senza grandi ideali al servizio dell’idea stessa di uomo, non esiste dignità vera, tanto meno esiste felicità”. L’ammonimento degli oppressi chiedeva alla Rete di rendere credibile la solidarietà verso i poveri del Sud attraverso “l’impegno politico contro i centri di potere che qui, nell’impero del Nord-Ovest del benessere, progettano le proprie politiche, organizzano le proprie strategie, incassano i proventi dello sfruttamento o della emarginazione di miliardi di esseri umani”. Secondo Masina, la Rete aveva maturato questa lucidità di giudizio e doveva continuare ad essere “una scomodissima forza di opposizione”, di resistenza contro ogni potere che opprime.

Il ritiro di Masina dalla Rete ha creato notevoli preoccupazioni per la tenuta e la continuità, ma alla fine la forte motivazione degli aderenti e il “circuito d’amore” e di amicizia di cui parlava Ettore  hanno avuto il sopravvento. Il passaggio da una conduzione personale a una collettiva, dopo le inevitabili difficoltà iniziali, ha portato anche qualche vantaggio, che lo stesso Masina aveva previsto. Tra questi un incremento della partecipazione e una maggiore responsabilizzazione  delle reti, che ha portato a sperimentare un processo decisionale condiviso. Positivo è stato aver conservato alla Rete le caratteristiche che la distinguevano: la libertà che viene da una povertà di mezzi consapevolmente assunta, la possibilità di rapportarsi a gruppi di poveri senza inciampi burocratici, la mancanza di gerarchie formali e di statuti, la possibilità di essere sempre allo stato nascente, aperti alle urgenze e alla creatività.

Gli svantaggi consistono nella eccessiva lentezza della discussione, nella debolezza complessiva del momento decisionale, nella difficoltà a lanciare e gestire operazioni straordinarie. Ma questo fa parte del nostro essere e della nostra storia. Ed è, probabilmente, il prezzo della nostra libertà.

Cari saluti a tutte e a tutti

Fulvio Gardumi

Circolare Nazionale Rete Radiè Resch

Febbraio 2014

A cura della Rete di Trento e Rovereto

Care amiche e cari amici, la Circolare del mese scorso ha cercato di fare memoria delle origini della Rete, ricordando l’avventura cominciata esattamente 50 anni fa con l’incontro tra Ettore Masina e Paul Gauthier. Abbiamo visto come alcune caratteristiche fondanti siano più che mai valide anche oggi. Certamente però in mezzo secolo sono cambiate anche molte cose. Ad esempio l’idea di sviluppo e di sottosviluppo: se nel 1964 l’Italia era nel pieno del boom economico, oggi è anch’essa coinvolta in una crisi globale che sta rimescolando le carte e che richiede nuovi modelli interpretativi. Oggi sviluppo e sottosviluppo convivono insieme nei paesi occidentali come in quelli che una volta chiamavamo “Terzo mondo”. Nuovi problemi si sono affacciati nel frattempo, come la coscienza ambientale, che negli anni ’60 era una specie di “lusso” riservato a poche avanguardie intellettuali. In questa lettera desidero proporre alcuni interrogativi che da un po’ di  tempo, anche prima della presente crisi, molti di noi ci ponevamo, ma che con l’aggravarsi della crisi occupazionale nazionale, per non dire mondiale, si fanno sempre più impellenti ed assillanti. Pongo questi quesiti a tutti coloro  che sento vicini nella sensibilità verso le problematiche sociali: lavoro, occupazione, giustizia, pace, non violenza, solidarietà, cooperazione internazionale, sostenibilità ambientale, ecc. Gli interrogativi riguardano le contraddizioni tra le scelte economiche, finanziarie, commerciali attuate dai governi per uscire dalle crisi che attanagliano i rispettivi paesi e quelle che noi auspichiamo necessarie in una visione globale della realtà mondiale. I diversi aspetti della  crisi mondiale (energetica, ambientale, climatica, idrogeologica …) richiederebbero una radicale inversione per quanto riguarda il  modello di sviluppo occidentale, che ormai si è esteso a tutto il  mondo. Negli ultimi decenni sono nate e si sono moltiplicate ovunque  realtà associative, organizzazioni, ong  di cooperazione internazionale, ecologiste, ambientaliste, ecc. che spingono nella direzione della solidarietà, di una riduzione della cementificazione, del trasporto su gomma, dei consumi energetici, Km zero, promozione di una alimentazione sana,  vegetariana e più ridotta nei contenuti energetici, ecc. Tutte queste realtà e sensibilità si trovano però a cozzare contro altre esigenze, anch’esse legittime, come quelle del diritto al lavoro, alla conservazione dei posti di lavoro, possibilmente prossimi ai luoghi di residenza.  Anche i governi più democratici, almeno nelle intenzioni, cercano di ricreare posti di lavoro, realizzando infrastrutture, rilanciando alcuni settori trainanti dell’edilizia, dell’auto, dei trasporti, del turismo di massa. Ma la competitività internazionale e il libero mercato impongono modelli che comportano la violazione dei diritti umani, la trasgressione delle convenzioni internazionali a tutela dei diritti dei lavoratori e della salvaguardia dell’ambiente. In questo contesto, sono molte le persone, anche tra i progressisti, che non riescono a cogliere le connessioni tra scelte di sviluppo e comportamenti personali, o minimizzano le loro conseguenze ambientali sul pianeta e sulla sopravvivenza di  milioni di persone. Qualche esempio di relazione di causa ed effetto di cui non si è sufficientemente consapevoli:

– Tra consumo di carne e un miliardo di persone escluse dal cibo

– Tra acquisto di cellulari e le guerre in Africa per il coltan

– Tra produzione/acquisto di biocarburanti e migrazioni

– Tra acquisto di prodotti usa e getta e inquinamento ambientale

– Tra acquisto di veicoli veloci e potenti e guerre per il petrolio

– Tra turismo esotico e accaparramento di acqua dolce

– Tra termostato oltre i 20°C ed effetto serra

– Tra consumo di sigarette o di alcolici e riduzione della produzione di cibo

– Tra consumi di prodotti alimentari industriali e riduzione della biodiversità

– Tra il perseguire obiettivi competitivi, arrivisti, individualisti e conflitti sociali,

– Tra turismo invernale e l’impronta ecologica superiore 5 volte a quella sostenibile.

La consapevolezza di queste ed altre connessioni dovrebbe sollecitarci ad una inversione radicale, ma allo stesso tempo ci mette in profonda crisi, perché pone in discussione tutte le nostre abitudini personali  e ciò che abbiamo acquisito e per cui abbiamo  lavorato tutta una vita. Capita anche a coloro che ne sono consapevoli, di sentirsi combattuti tra il mantenimento delle proprie abitudini, comodità, consumi di ogni genere per sé o per i propri figli e il sentire necessario un cambiamento di stili di vita. Come resistere alle molteplici opportunità che il mercato, la pubblicità ci propone, prezzi contenuti, saldi, vacanze e viaggi low cost, che questo modello economico produttivo consumistico ci offre? Se sul piano personale ognuno può fare scelte più o meno radicali relative ai propri stili di vita, più profondo diventa il conflitto che si prospetta dentro coloro che hanno responsabilità governative, amministrative, e ruoli nella gestione della cosa pubblica. Infatti oltre alle scelte nell’ambito personale, vi sono anche le responsabilità nell’agire politico, normativo, amministrativo, sindacale e nella gestione del welfare, per i quali si è stati eletti o chiamati a tutelare le esigenze dei cittadini, le conquiste ottenute e gli stili di vita acquisiti. Ma per altro verso il dramma di queste persone è che percepiscono le conseguenze globali nefaste che tutto questo produce per 3/ 4 dell’umanità. In base all’attuale nostra eccessiva impronta ecologica è stimato che il nostro overshoot day, cioè il giorno in cui il nostro Paese ha esaurito le risorse naturali che in un anno è in grado di generare, è l’8 maggio: da quel giorno in poi consumiamo le risorse di altre regioni e popoli.

Le istituzioni finanziarie, i partiti e coloro che si ispirano a ideologie nazionaliste e di destra, i sindacati corporativi, per ignoranza o per bieco egoismo, non si pongono questi problemi e comunque sono disposti a tutto pur di perseguire questo modello di sviluppo e tutelare gli interessi e privilegi di una minoranza. Mi chiedo invece come e perché le connessioni sopra elencate e queste contraddizioni non vengano prese in considerazione da amministratori, dirigenti e militanti dai partiti ed organizzazioni sindacali che si professano di sinistra, che ispirano le proprie scelte nella direzione della giustizia, dell’equità, della fratellanza, non solo regionale, ma anche mondiale. Il problema che mi pongo, come ogni cittadino impegnato e consapevole della sua responsabilità verso il bene comune, è che dietro questi comportamenti personali vi sono scelte politiche ed economiche di promozione del lavoro e del welfare che ciascuno di noi è chiamato a prendere e/o avallare. Perciò mi chiedo come conciliare due esigenze che appaiono contrapposte? Come orientare la produzione/servizi/consumi considerando i diritti, l’etica, e la libertà di scelta dei cittadini e contemporaneamente dimezzare l’impronta ecologica del nostro Paese?

Circolare Nazionale Rete Radiè Resch

Gennaio 2014

A cura della Rete di Trento

Il 1° gennaio 1964 – esattamente 50 anni fa – Ettore Masina si trovava a Gerusalemme, inviato dal quotidiano “Il Giorno” assieme al collega Giorgio Bocca, per seguire un avvenimento eccezionale per l’epoca: il primo viaggio all’estero di un papa dell’era moderna. Papa Paolo VI aveva annunciato il 4 dicembre 1963 ai padri conciliari, “attoniti per la sorpresa”, che aveva deciso di farsi umile pellegrino in Palestina, la terra di Gesù di Nazareth. La stampa internazionale era quindi tutta schierata a Gerusalemme già alcuni giorni prima dell’arrivo del Papa, per “preparare il terreno”, cioè per illustrare ai propri lettori l’ambiente storico, politico e sociale in cui il Papa sarebbe arrivato il 4 gennaio. Quel capodanno 1964 Masina aveva dettato al giornale la sua corrispondenza, in cui parlava di Paul Gauthier:  “Di tutte le persone che ho visto in Terra Santa quella che mi sembra rispecchiare con più precisione e nobiltà l’ideale cristiano è questo prete operaio francese che da 10 anni vive a Nazareth fra i poveri della città. Quasi un mese fa ero con lui a Roma, la mattina del 4 dicembre, quando Paolo VI annunziò al mondo che si sarebbe fatto pellegrino in Palestina. (…) Adesso padre Gauthier mi accoglie sulle impalcature di una casa in costruzione. Mi ci hanno spinto, quasi portato di peso, una dozzina di piccoli arabi che lo adorano, e che lo chiamano ‘padre’ (…). E’ la duecentodiciannovesima casa che Gauthier costruisce per i rifugiati arabi sulle colline di Nazareth, di fronte al Tabor, il monte sul quale il Cristo si trasfigurò”. E’ da questo incontro di Ettore Masina con Paul Gauthier che è nata la Rete Radié Resch. E’ una storia che tutti conosciamo nella Rete, ma ho pensato di riproporre questo inizio per aiutare tutti noi a fare memoria delle nostre origini nell’anno in cui ci apprestiamo a dedicare il Convegno nazionale al ricordo dei primi cinquant’anni della nostra storia, ad un ripensamento del nostro cammino, all’ incontro con alcuni dei testimoni che in questi cinque decenni hanno contribuito a fare la nostra storia e alla commemorazione di tanti amici e amiche che hanno fatto insieme a noi il cammino della Rete e che ora non ci sono più. A cominciare da Paul Gauthier. Per entrare nel clima delle origini ho riletto i libri “Radié Resch. Una storia di solidarietà” scritto da Carla Grandi nel 1992 e “Nel vento della storia” scritto da Ettore Ongaro nel 1994 in occasione dei 30 anni di vita della Rete. Ercole sta ora scrivendo un nuovo libro in vista dei 50 anni: un lavoro certo non facile (ma quanto meritorio!), per impostare il quale si è confrontato con le varie reti presenti al Coordinamento di Sezano nel settembre scorso. La rilettura dei libri di Carla e di Ercole è un ottimo modo per ripercorrere una storia straordinaria e per trarne spunti di riflessione per il futuro. E’ utile per chi è nuovo nella Rete, per chi non la conosce affatto, ma anche per chi ha fatto parte della Rete per un tratto più o meno lungo del suo cammino. Purtroppo i due libri sono esauriti: c’è forse qualche copia qua e là che qualcuno potrebbe mettere a disposizione di chi non ce l’ha. Ercole mi ha detto che ha pensato di inserire nella prima parte del nuovo libro una sintesi del primo, in modo da sopperire all’esaurimento del volume. Il viaggio in Terra Santa era stato per Ettore “il primo impatto con la povertà di massa, con il Sud della Terra e fu uno shock”, scrive Ongaro nel suo libro. Fu così che decise, insieme alla moglie Clotilde, di inviare i propri risparmi a Gauthier, il quale però gli rispose: “Per aiutarci materialmente è meglio che voi costituiate con i vostri amici una rete e inviate ogni mese le offerte raccolte. (…). L’importante è questo: diffondete il desiderio di condivisione dei beni, come agli inizi degli Atti degli Apostoli”. Il che significava occuparsi dei poveri non una tantum, ma con il duplice impegno della condivisione e della continuità.  Ecco due elementi presenti ancora oggi. Masina scrisse a numerosi amici, credenti e non credenti. Nacque così la ‘circolare’ mensile, che Ettore scriverà per tantissimi anni e che diventerà il collegamento fra tutti gli amici della Rete, occasione di informazione sui risultati dell’autotassazione e stimolo per riflessioni sull’ingiustizia e sui meccanismi che la provocano. I primi nuclei di quella che ben presto fu chiamata “Rete” si costituirono a Milano, Roma, Varese. I versamenti mensili dei singoli aderenti venivano inviati a Gauthier sotto forma di prestiti, senza interesse e a lunghissima scadenza, destinati a famiglie palestinesi indigenti, che vivevano in baracche o grotte, permettendo loro di accedere alla cooperativa per la casa. Paul accolse con gioia la proposta di Masina di chiamare la Rete sorta in Italia col nome di una bambina di Nazareth, profuga palestinese, che era morta di polmonite in un tugurio senza vetri alle finestre, prima che alla sua famiglia fosse assegnato un appartamento. Nell’agonia Radié – nome che in arabo significa ‘sempre grazie a Dio’ – aveva continuato a ripetere “Io laverò i vetri della nostra casa”. Perciò Paul aveva concluso “Radié è andata in una città migliore e di lassù ci aiuterà a lavare gli occhi di chi non vede la necessità di dividere i suoi beni con i poveri”. Gauthier aveva seguito i lavori del Concilio assieme al vescovo di Nazareth, Georges Hakim, e fu l’ispiratore del documento “Gesù, la Chiesa e i poveri”, attorno al quale si riunirono numerosi vescovi e padri conciliari, provenienti soprattutto dal Sud del mondo, che chiedevano alla Chiesa “un’opzione preferenziale per i poveri”. Durante la sua permanenza a Roma, Paul alloggiava in un convento di suore, dove conobbe una donna delle pulizie, Jole, che aveva un fratello paralizzato fin dall’infanzia, Giulio, che lei assisteva con grande fatica e in solitudine. Paul andò a trovarli in casa e rimase commosso. Ne parlò con Ettore e decisero che “Giulio doveva procurare da vivere a sua sorella perché gli faceva da infermiera”. Da quel giorno la Rete versò mensilmente uno stipendio a Giulio e così Jole non dovette più lavorare  fuori casa ma  si dedicò completamente al fratello. Ecco, queste sono le origini della Rete. Che cosa è cambiato in 50 anni? I poveri, anche allora, c’erano non solo nel Sud del mondo, ma anche qui. E oggi, probabilmente, ancora di più. Nel convegno delle Reti del Nordest del maggio scorso, il relatore Michele Nardelli ci aveva detto, tra l’altro: “dobbiamo interrogarci sul concetto di sviluppo e sottosviluppo. Non esistono più i Paesi sviluppati e i Paesi sottosviluppati. In ogni Paese c’è sviluppo e sottosviluppo, inclusione ed esclusione. Oggi il simbolo della povertà non è tanto la magrezza scheletrica del Sahara, quanto l’obesità dei poveri degli Stati Uniti o del Sudamerica”. Ho chiesto a Ercole Ongaro quale impressione sta ricavando dal lavoro di stesura del nuovo libro su questi 50 anni di storia della Rete. Ecco la sua risposta: “La Rete, pur avendo vissuto una cesura nel passaggio da una conduzione personale a una conduzione collegiale,  ha conservato le sue specificità originali e ha evitato le scorciatoie dell’istituzionalizzarsi e dell’inseguire l’efficienza: ha continuato a preferire la presa di coscienza delle persone rispetto all’abilità nel raccogliere denaro, la relazione di amicizia rispetto all’organizzazione burocratica, le operazioni con basso finanziamento ma con alto valore aggiunto di solidarietà politica. Anche gli scambi di messaggi della mailing list documentano che nella Rete non si è persa la voglia di confrontarsi, di rimettersi in discussione, di disporsi a cambiare per avvicinare il ‘sogno’ di chi 50 anni fa ha intuito che combattere le cause dell’ingiustizia è il livello della sfida a cui la storia chiama gli uomini e le donne di buona volontà”.

Auguro a tutte e a tutti un 2014 ricco di speranza!

Fulvio Gardumi

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