14-02 Circolare nazionale – febbraio 2014
Circolare Nazionale Rete Radiè Resch
Febbraio 2014
A cura della Rete di Trento e Rovereto
Care amiche e cari amici, la Circolare del mese scorso ha cercato di fare memoria delle origini della Rete, ricordando l’avventura cominciata esattamente 50 anni fa con l’incontro tra Ettore Masina e Paul Gauthier. Abbiamo visto come alcune caratteristiche fondanti siano più che mai valide anche oggi. Certamente però in mezzo secolo sono cambiate anche molte cose. Ad esempio l’idea di sviluppo e di sottosviluppo: se nel 1964 l’Italia era nel pieno del boom economico, oggi è anch’essa coinvolta in una crisi globale che sta rimescolando le carte e che richiede nuovi modelli interpretativi. Oggi sviluppo e sottosviluppo convivono insieme nei paesi occidentali come in quelli che una volta chiamavamo “Terzo mondo”. Nuovi problemi si sono affacciati nel frattempo, come la coscienza ambientale, che negli anni ’60 era una specie di “lusso” riservato a poche avanguardie intellettuali. In questa lettera desidero proporre alcuni interrogativi che da un po’ di tempo, anche prima della presente crisi, molti di noi ci ponevamo, ma che con l’aggravarsi della crisi occupazionale nazionale, per non dire mondiale, si fanno sempre più impellenti ed assillanti. Pongo questi quesiti a tutti coloro che sento vicini nella sensibilità verso le problematiche sociali: lavoro, occupazione, giustizia, pace, non violenza, solidarietà, cooperazione internazionale, sostenibilità ambientale, ecc. Gli interrogativi riguardano le contraddizioni tra le scelte economiche, finanziarie, commerciali attuate dai governi per uscire dalle crisi che attanagliano i rispettivi paesi e quelle che noi auspichiamo necessarie in una visione globale della realtà mondiale. I diversi aspetti della crisi mondiale (energetica, ambientale, climatica, idrogeologica …) richiederebbero una radicale inversione per quanto riguarda il modello di sviluppo occidentale, che ormai si è esteso a tutto il mondo. Negli ultimi decenni sono nate e si sono moltiplicate ovunque realtà associative, organizzazioni, ong di cooperazione internazionale, ecologiste, ambientaliste, ecc. che spingono nella direzione della solidarietà, di una riduzione della cementificazione, del trasporto su gomma, dei consumi energetici, Km zero, promozione di una alimentazione sana, vegetariana e più ridotta nei contenuti energetici, ecc. Tutte queste realtà e sensibilità si trovano però a cozzare contro altre esigenze, anch’esse legittime, come quelle del diritto al lavoro, alla conservazione dei posti di lavoro, possibilmente prossimi ai luoghi di residenza. Anche i governi più democratici, almeno nelle intenzioni, cercano di ricreare posti di lavoro, realizzando infrastrutture, rilanciando alcuni settori trainanti dell’edilizia, dell’auto, dei trasporti, del turismo di massa. Ma la competitività internazionale e il libero mercato impongono modelli che comportano la violazione dei diritti umani, la trasgressione delle convenzioni internazionali a tutela dei diritti dei lavoratori e della salvaguardia dell’ambiente. In questo contesto, sono molte le persone, anche tra i progressisti, che non riescono a cogliere le connessioni tra scelte di sviluppo e comportamenti personali, o minimizzano le loro conseguenze ambientali sul pianeta e sulla sopravvivenza di milioni di persone. Qualche esempio di relazione di causa ed effetto di cui non si è sufficientemente consapevoli:
– Tra consumo di carne e un miliardo di persone escluse dal cibo
– Tra acquisto di cellulari e le guerre in Africa per il coltan
– Tra produzione/acquisto di biocarburanti e migrazioni
– Tra acquisto di prodotti usa e getta e inquinamento ambientale
– Tra acquisto di veicoli veloci e potenti e guerre per il petrolio
– Tra turismo esotico e accaparramento di acqua dolce
– Tra termostato oltre i 20°C ed effetto serra
– Tra consumo di sigarette o di alcolici e riduzione della produzione di cibo
– Tra consumi di prodotti alimentari industriali e riduzione della biodiversità
– Tra il perseguire obiettivi competitivi, arrivisti, individualisti e conflitti sociali,
– Tra turismo invernale e l’impronta ecologica superiore 5 volte a quella sostenibile.
La consapevolezza di queste ed altre connessioni dovrebbe sollecitarci ad una inversione radicale, ma allo stesso tempo ci mette in profonda crisi, perché pone in discussione tutte le nostre abitudini personali e ciò che abbiamo acquisito e per cui abbiamo lavorato tutta una vita. Capita anche a coloro che ne sono consapevoli, di sentirsi combattuti tra il mantenimento delle proprie abitudini, comodità, consumi di ogni genere per sé o per i propri figli e il sentire necessario un cambiamento di stili di vita. Come resistere alle molteplici opportunità che il mercato, la pubblicità ci propone, prezzi contenuti, saldi, vacanze e viaggi low cost, che questo modello economico produttivo consumistico ci offre? Se sul piano personale ognuno può fare scelte più o meno radicali relative ai propri stili di vita, più profondo diventa il conflitto che si prospetta dentro coloro che hanno responsabilità governative, amministrative, e ruoli nella gestione della cosa pubblica. Infatti oltre alle scelte nell’ambito personale, vi sono anche le responsabilità nell’agire politico, normativo, amministrativo, sindacale e nella gestione del welfare, per i quali si è stati eletti o chiamati a tutelare le esigenze dei cittadini, le conquiste ottenute e gli stili di vita acquisiti. Ma per altro verso il dramma di queste persone è che percepiscono le conseguenze globali nefaste che tutto questo produce per 3/ 4 dell’umanità. In base all’attuale nostra eccessiva impronta ecologica è stimato che il nostro overshoot day, cioè il giorno in cui il nostro Paese ha esaurito le risorse naturali che in un anno è in grado di generare, è l’8 maggio: da quel giorno in poi consumiamo le risorse di altre regioni e popoli.
Le istituzioni finanziarie, i partiti e coloro che si ispirano a ideologie nazionaliste e di destra, i sindacati corporativi, per ignoranza o per bieco egoismo, non si pongono questi problemi e comunque sono disposti a tutto pur di perseguire questo modello di sviluppo e tutelare gli interessi e privilegi di una minoranza. Mi chiedo invece come e perché le connessioni sopra elencate e queste contraddizioni non vengano prese in considerazione da amministratori, dirigenti e militanti dai partiti ed organizzazioni sindacali che si professano di sinistra, che ispirano le proprie scelte nella direzione della giustizia, dell’equità, della fratellanza, non solo regionale, ma anche mondiale. Il problema che mi pongo, come ogni cittadino impegnato e consapevole della sua responsabilità verso il bene comune, è che dietro questi comportamenti personali vi sono scelte politiche ed economiche di promozione del lavoro e del welfare che ciascuno di noi è chiamato a prendere e/o avallare. Perciò mi chiedo come conciliare due esigenze che appaiono contrapposte? Come orientare la produzione/servizi/consumi considerando i diritti, l’etica, e la libertà di scelta dei cittadini e contemporaneamente dimezzare l’impronta ecologica del nostro Paese?