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CIRCOLARE NAZIONALE – APRILE 2023

A cura di Mariangela Abbadessa, Francesca Gonzato e Fulvio Gardumi

Il Seminario interregionale delle Reti del Nord-Est che si è svolto sabato 15 aprile a Padova aveva per tema le “Comunità trasformative”, cioè il tema che inizialmente si era ipotizzato di affrontare nel Convegno nazionale di ottobre. Ora l’orientamento è per un altro argomento, ma le riflessioni delle otto reti del Triveneto possono comunque servire come stimolo per tutte le altre reti e forse anche come spazio di approfondimento in eventuali lavori di gruppo del Convegno.

Per questo abbiamo pensato di dedicare la circolare nazionale ad una sintesi di quanto emerso nella interessante giornata di Padova.

La struttura che ci ospitava è a sua volta un bell’esempio di “comunità trasformativa”. Si chiama Comunità Bethesda ed è situata in una vecchia casa colonica ristrutturata, alla periferia di Padova, dove quattro famiglie vivono dal 2018 in forma comunitaria. Una quinta famiglia, di migranti, è accolta su richiesta della Caritas. Ogni famiglia ha il suo appartamento ma si fa molta vita comunitaria e negli spazi comuni si accoglie chiunque voglia fare esperienza di comunità.

Nel corso della giornata sono state presentate altre due esperienze simili, quella di Brugine (Padova) e quella di Murazzano (Cuneo). La prima si inserisce nel progetto Mondo di Comunità e Famiglia (MCF), promosso dai Gesuiti e presente in una trentina di realtà in Italia. E’ una fattoria sociale, nata 10 anni fa, dove cinque famiglie vivono lavorando la terra e mettendo in comune tutte le risorse economiche, che ognuno utilizza secondo i propri bisogni. La seconda, presentata da Chiara, un’amica della Rete di Castelfranco che in passato ha partecipato a vari convegni-giovani della Rete, è un ecovillaggio attivo da cinque anni nelle Langhe, dove lei e un gruppo di persone hanno recuperato un borgo abbandonato, ristrutturando le case e mettendo a coltura i campi. Si fa vita di comunità e molti servizi, compresa la scuola per i bambini, sono gestiti direttamente.

La relazione introduttiva del seminario è stata tenuta da Ferruccio Nilia, sociologo udinese, animatore di gruppi tra cui il Forum dei Beni Comuni e dell’Economia Solidale del Friuli-Venezia Giulia, la Rete di Economia Solidale del FVG, il Comitato per la Salute Pubblica Bene Comune di Pordenone, l’Associazione per la Decrescita (diversa dalla Decrescita Felice di Serge Latouche). E’ fra i promotori della legge regionale “Norme per la valorizzazione e la promozione dell’economia solidale” (il testo si trova in internet: Lexview – Dettaglio Legge regionale 23 marzo 2017 n. 4).

Nilia ha detto di aver sempre tentato di tenere insieme riflessione teorica e prassi politica, entrambe imprescindibili per “cambiare il mondo”, per contrastare il feticcio della crescita senza limiti, che sta portando sempre più alla privatizzazione dei beni comuni, oltre che, in prospettiva, alla distruzione della vita sul pianeta. La legge citata pone al centro il tema della formazione di comunità che cerchino di sperimentare nuove pratiche finalizzate ad uscire dalla logica del mercato (concorrenza, profitto). Tali comunità non possono “cambiare il mondo” se rimangono esperienze autoreferenziali, isolate. La Rete Italiana di Economia Solidale cerca di collegare le varie esperienze di buone pratiche. Nilia ha riconosciuto che il mondo delle buone pratiche, cioè i vari tentativi virtuosi di superare il pensiero dominante basato sull’individualismo e sulla logica del mercato, ha come vizio di fondo l’autoreferenzialità. Per uscire dal paradigma attuale è dunque necessario ricostruire comunità. Ma come? Se sulla critica all’attuale sistema siamo spesso d’accordo, le difficoltà nascono quando si tratta di passare alla costruzione di alternative concrete.

La risposta, secondo Nilia, è il territorio, “il grande mediatore per ricostruire relazioni”. Occorre mettere insieme i cittadini anche per soddisfare i loro bisogni, ma non a partire da quelli. In qualche caso sono nate interessanti esperienze per iniziativa di sindaci lungimiranti, ma spesso il rischio è la strumentalizzazione politica. Solo unendo esempi virtuosi e buone pratiche sorte a livello locale è possibile pensare ad un progressivo cambio di paradigma. Vanno rimesse in discussione tutte le istituzioni, dal Comune all’Onu, passando per la Banca mondiale. Occorre un nuovo contratto sociale e per questo bisogna mettere in moto migliaia di persone e di comunità e federarle fra loro

Il dibattito sulla relazione di Nilia è stato molto vivace. Un contributo è venuto da Mariangela Abbadessa della Rete di Castelfranco, che ha sintetizzato i contenuti del libro L’economia trasformativa: per una società dei diritti, delle relazioni e dei desideri (ed. Altreconomia) scritto da vari autori, tra cui Roberto Mancini, docente di filosofia all’Università di Macerata e direttore della Scuola per l’Economia Trasformativa dell’Università per la Pace delle Marche.

Parlare di comunità trasformative significa innanzitutto accostarci a pratiche e teorie a favore di un’economia eticamente orientata (economia del dono, di comunione, della liberazione, equa e solidale, della decrescita, trasformativa). Anche se dobbiamo essere consapevoli che parlare di questi temi è diventato un esercizio di equilibrismo, perché tante parole sono state inflazionate e stravolte dall’imprenditoria capitalistica convertita ad una green economy, in teoria socialmente responsabile e sostenibile ma, in realtà, votata all’obiettivo di sempre: la crescita come aumento dei profitti e del benessere dei produttori. L’alternativa reale, invece, non può che essere quella di un’economia orientata alla cura dei bisogni, diritti, desideri dell’umanità e verso l’equilibrio e l’armonia del mondo vivente, della natura. L’alternativa è dunque salvare la Società fondata sulle Relazioni Umane, capace di costruire pratiche collettive condivise, liberatorie e creative. Nell’economia dei soldi i conti si compilano in misura del denaro, mentre nell’economia della natura i conti ambientali si calcolano su altre unità di misura e soprattutto devono confrontarsi con i limiti invalicabili nell’uso dei beni naturali. Nell’annunciata “svolta etica del capitalismo” i danni creati all’ambiente vengono considerati effetti collaterali, iscritti nel rischio strutturale della società industriale, rischi connaturali al sistema di sviluppo, monetizzabili e compensabili tramite assicurazioni. Dunque, nessuna vera green revolution sarà possibile senza una trasformazione strutturale del sistema socio-economico oggi dominato dalla logica del profitto e dalla massimizzazione dei rendimenti economici. L’alternativa è allora un sistema che prenda in seria considerazione l’ipotesi della decrescita e del post-sviluppo, in quanto la riduzione della pressione sull’ambiente richiede una riduzione della produzione e del consumo. Occorre immaginare una società che ristabilisca che cosa è per noi una buona vita. Ma è più facile pensare alla fine del mondo che non alla fine del capitalismo. Di qui l’importanza di filosofi, artisti, autorità spirituali come papa Francesco per riuscire a rovesciare il modo di pensare di economisti e politici secondo cui l’interesse pubblico coincide solo con l’incremento del Pil. In un ambito di economia trasformativa al centro c’è la Vita. C’è bisogno di ristabilire la connessione tra processi produttivi e la vita, la tutela della salute dei lavoratori e delle persone che vivono nei territori delle industrie. Dato che la globalizzazione ha aumentato le distanze tra ciò che viene prodotto e chi consuma, occorre mettere la vita al centro ripartendo dalla difesa dei beni vitali come l’acqua, la terra, l’aria, i semi, le culture necessarie per la sussistenza. La proposta di partire da comunità locali solidali per costruire un’economia solidale di liberazione non vuole essere un’operazione-nostalgia ma, al contrario, è un’Utopia quale luogo buono verso cui andare. Abbiamo imparato che perseverare in una logica localistica e settoriale non aiuta a trasformare né l’economia né la società in senso solidale. E’ necessario cercare tracce comuni, le intersezioni, le convergenze tra esperienze nate dal basso, costruire reti tra le comunità solidali e unire le forze (come le Comunità di Supporto all’Agricoltura, es. OltreConfin del Distretto Economico Solidale sorto in Veneto) e favorire la loro emersione, uscendo dal cono d’ombra legislativo, attraverso leggi di riconoscimento e facilitazione. Se i soggetti monotematici hanno dimostrato di avere un potenziale di mutamento sociale piuttosto limitato, sembrano più promettenti i soggetti collettivi che superano i limiti di un solo settore della vita sociale e sono capaci di far interagire diverse attività nella realizzazione di un progetto organico. Si pensi alle comunità territoriali locali che assumono davvero questo criterio etico, indirizzando tutti i tipi di attività – aggregativo, economico, amministrativo, politico, educativo, culturale, informativo – per attuarlo. Si tratta di far valere in ogni ambito i criteri seguenti: solidarietà, salvaguardia ecologica, nonviolenza, cooperazione, sostenibilità e democrazia.

Rovesciare la narrativa: le radici del sistema di protezione dei rifugiati sono coloniali e razziste

di Sana Mustafa (attivista femminista dei diritti umani e amministratore delegato di Asylum Access, una famiglia di organizzazioni che si batte per un sistema di risposta ai rifugiati più equo)

New York, 14 marzo 2023

In qualità di prima e unica donna direttrice di un’organizzazione internazionale per i diritti dei rifugiati con un’esperienza vissuta di fuga forzata dal proprio paese, sono dolorosamente consapevole che il colonialismo e la supremazia bianca sono centrali nella formazione e nel funzionamento del sistema globale di protezione dei rifugiati.

Dover dimostrare continuamente questa ovvietà è estenuante, ma so che fa parte della mia lotta per porre fine alla stigmatizzazione e all’oppressione sistematica delle persone sfollate con la forza operate delle stesse istituzioni che pretendono di aiutarci.

Sono stata costretta a lasciare il mio paese il 2 luglio 2013, quando mio padre – un importante attivista politico – è stato fatto sparire dal regime siriano per aver parlato a fianco di milioni di altre persone che chiedevano libertà, giustizia e stato di diritto.

Essere parte della Rete Radiè Resch non può che essere, oggi, per donne e uomini di speranza.

Speranza di intessere relazioni umane significative con coloro che si incontrano, speranza di collaborare concretamente nella giustizia verso un mondo più equo, speranza nella possibilità di umanizzare l’umanità.

Internet oggi ci permette di essere in una connessione perenne e di essere informati su ciò che accade molto lontano e vicino a noi. Sono notizie che entrano nel campo della nostra attenzione, ma accade che il loro valore, la loro significatività dipenda poi da molti fattori: ad esempio può diventare realmente significativa se conosciamo in qualche modo le persone coinvolte, se è possibile che accada anche a noi, può dipendere da cosa ne pensano i nostri amici, ma anche se abbiamo la pancia piena, se stiamo bene in salute…

Ecco… in questo tempo colgo in me – e in molte persone che mi sono vicine – che l’abbondanza di notizie che mi arrivano amplificate dai media, a cui posso aggiungere quelle che cerco per la personale sete di “controinformazione”, il più delle volte sortisce l’effetto non voluto di una spiacevole ansia.

La propaganda della guerra così vicina al cuore dell’Europa, la siccità che avanza e colpisce popoli che non potranno più abitare le terre dei loro avi, i racconti delle donne in Iran, la subalternità dell’Italia a chiunque prometta un rinnovamento economico di cui sappiamo già il prezzo, la distruzione di tanta parte di foresta amazzonica e dei popoli indigeni, ancora i morti nel Mediterraneo, ma anche la Bolivia, Haiti, Taiwan, il Corno d’Africa, e tutto ciò che conosciamo anche dai nostri testimoni sono solo alcune delle realtà che ci raggiungono quotidianamente.

Le risposte individuali alla conoscenza di tante sofferenze possono essere diverse: indifferenza, immobilismo, catastrofismo, ma anche eco ansia, con paura del futuro e rinuncia alla speranza per la preoccupazione degli scenari ambientali.

Alcuni di noi (del gruppo di Torino) lavorano con i più giovani e gli emarginati nel campo della salute mentale: le sofferenze individuali tendono a chiudere lo sguardo ad un sociale più allargato e la partecipazione non è più uno strumento di denuncia. Una “lettura“ del significato dei tagli che i ragazzi infliggono ai loro corpi indica proprio come sia un modo di affermare una qualche volontà, non esprimibile nel sociale, ma solo su di sé.

Come non farsi invadere dalla contemporaneità di tanto male? Come non rifugiarsi nel “piccolo giardino privato”?

Ciascuno di noi avrà certo la propria risposta.

Coltivare la bellezza nei gesti quotidiani. Essere pronti a relazionarsi con tutti in pace. Guardare ai gruppi e alle comunità che si sentono protagonisti del futuro, giovani e meno giovani. Approfondire il proprio credo religioso. Stare in ascolto per cogliere l’energia delle comunità “resistenti“. Frequentare bambini piccoli.

Quali altri modi, oggi, per moltiplicare la speranza? Condividiamoli… “La speranza è come una strada nei campi, non c’è mai stata una strada, ma quando molte persone vi camminano la strada prende forma“ (Yutang Lin)

Luciana Gaudino, Rete Torino e dintorni

Carissima, carissimo
alcune settimane si è celebrata la giornata sul cibo, secondo l’indagine, gettiamo in media 524,1 grammi pro capite a settimana, ovvero circa 75 grammi di cibo al giorno e 27,253 kg annui: ca il 12% in meno rispetto alla medesima indagine del 2022 (595,3 grammi settimanali). Un dato che si accentua a sud (+ 8% di spreco rispetto alla media nazionale) e per le famiglie senza figli (+ 38% rispetto alla media italiana). Nella hit degli alimenti più spesso sprecati svetta la frutta fresca (24 grammi settimanali), quotidianamente quindi gettiamo circa 3,4 grammi di frutta al giorno e 2,3 di pane: in un anno poco più e poco meno di 1 kg pro capite; nella hit anche insalata, verdure, aglio e cipolle. Uno spreco di cibo che secondo l’agroeconomista Andrea Segrè, fondatore di Spreco Zero, vale complessivamente 6,48 miliardi € solo nelle nostre case. Nel 2022 sono andate sprecate invece nella filiera italiana oltre 4 milioni di tonnellate di cibo (per la precisione 4.240340 tonnellate), per un valore complessivo nella filiera italiana dello spreco di € 9.301.215.981. Uno spreco del cibo di filiera che pesa al 26% in agricoltura, al 28% nell’industria e all’8% nella distribuzione.
Di fronte a ciò il nostro problema più grande non è economico, non è politico, non è ideologico né religioso. Il nostro problema più grande è la mancanza di sensibilità per i nostri simili. Non sentiamo il loro grido di dolore, non vediamo la mano tesa che aspetta del cibo, non vediamo nemmeno i loro occhi supplicanti. Passiamo oltre le sofferenze che vediamo nella strada, come biblicamente hanno fatto il levita e il sacerdote nella parabola del buon samaritano. C’è voluto un samaritano disprezzato per interrompere il suo viaggio, averne compassione, guarire le sue ferite e portarlo all’osteria, lasciando tutto pagato e se ne aveva ancora bisogno, avrebbe pagato al suo ritorno. Chi è qui il prossimo, chiese il Maestro: è sempre e unicamente  il fratello ferito che ha bisogno di un altro fratello che lo aiuti.
Il nostro problema più grande non è economico, non è politico, non è ideologico né religioso. Il nostro problema più grande è la mancanza di sensibilità per gli schiavizzati, per gli impoveriti”. Perchè non sentiamo il loro grido di dolore, non vediamo la mano tesa che aspetta del cibo, non vediamo nemmeno i loro occhi supplicanti.
Noi cristiani oggi siamo solo cristiani culturali che non hanno imparato nulla del Gesù storico che è sempre stato dalla parte della vita, dei poveri, dei ciechi, degli zoppi e dei disprezzati. Ecco perché c’è così tanta disuguaglianza sociale, la più grande del mondo. Perché manca la sensibilità, la solidarietà, il senso umano, quello di trattare umanamente un altro essere umano, suo fratello e sua sorella.
Oggi si dice che il sale non è salutare e viene considerato nocivo per la salute dell’uomo. L’espressione “essere sale” assume quindi una connotazione non del tutto positiva. Non c’è da stupirsi: in tempi in cui l’indolenza e la futilità la fanno da padrone, è preferibile non essere espressivi, non avere gusto – per non rischiare di incorrere in un rifiuto. Evitando di esporci il più possibile, alla lunga le nostre qualità si affievoliscono. Non solo non entrano in conflitto con gli altri, ma sono anche facili da modellare a seconda delle esigenze di questi ultimi sentendoci continuamente autoassolti.
Lo stesso vale per quanto riguarda la luce; averla in modo così facile, spesso schiacciando un semplice pulsante di uno dei numerosi dispositivi di cui disponiamo, non ci rende realmente consapevoli di questo bagno di luce in cui siamo continuamente immersi. Proprio per questo la luminosità della notte può essere equiparata a quella del giorno e spesso ci troviamo a viverla come se fosse tale. La presenza costante di luce o di qualche oggetto luminoso intorno a noi ci dà un senso di sicurezza, ma allo stesso tempo raccoglie e danneggia anche l’intimità. Di conseguenza, a volte preferiamo fuggire dalla luce, ridurla, in modo da creare uno stato d’animo di cui l’oscurità è una componente frequente.
Come possiamo praticare e comprendere la forza di queste due cose di cui spesso non ci rendiamo conto dell’importanza che hanno per ognuno di noi, l’essere il sale della terra e la luce del mondo?La risposta si pone su due livelli. Sul primo si può notare che oggi questo grido è decisamente fuori luogo. Non piace a molte persone e ambienti perché disturba la pace e i loro interessi. Per molte delle forze che operano nel mondo, la mancanza di gusto e l’eccesso di luce sono molto vantaggiosi perché confondono, deviano e fanno si che possano prosperare il loro interessi.
In Italia i clochard sono 96 mila secondo l’ultima rilevazione Istat. Nell’immaginario collettivo i clochard sembrano individui senza volto né identità. In Italia sono morti di freddo 28 senza fissa dimora in tre settimane. Il 2023 è iniziato con una strage di innocenti ai margini della società. In questa sconvolgente si succedono tragedie sconosciute al mondo come quella di Younous Gueye Cherif, 52 anni, ucciso a Milano dalle temperature killer della notte gelida. Di lui tutto ciò che resta è un giaciglio di cartoni e coperte. A pochi passi dalla stazione percorsa ogni giorno da migliaia di pendolari. Fuori dal dormitorio del mezzanino di Milano Centrale sono decine i clochard che rischiano la vita. A soccorrerli sono gruppi solidali di volontari come i City Angels. Altri due senzatetto che si riparavano in strada come Younous sono morti nei giorni precedenti. In 22 giorni del nuovo anno le vittime di questa strage silente sono 28 in tutta Italia di cui 9 in Lombardia).
E’ stato necessario il viaggio di papa Francesco perchè i media dedicassero qualche attenzione per il Congo, dove migliaia di bambini sono sfruttati nelle miniere a cui si dedicano  40.000 bambini e adolescenti. Si dice che per ogni chilogrammo di coltan estratto nella Repubblica Democratica del Congo (RdC) muoiano due persone. E secondo uno studio dell’Institut d’études de sécurité dell’ottobre 2021, all’estrazione della maggior parte del coltan congolese si dedicano oltre quarantamila bambini e adolescenti. Il sottosuolo congolese è ricco di diamanti (la RdC è al quarto posto al mondo per quantitativi di diamanti estratti), oro (sedicesimo posto), ma ancor più significativa è la presenza di cobalto, rame e coltan, tre minerali sempre più importanti per i processi di produzione tecnologica. Ciononostante, la Repubblica Democratica del Congo è tra le cinque nazioni più povere del mondo secondo i dati UNDP: nel 2021 il 64 per cento circa della popolazione, poco meno di 60 milioni di persone, viveva con meno di 2,15 dollari al giorno. D’altronde, in buona parte proprio a causa di queste immense ricchezze del sottosuolo, è dal 1994 che quasi senza sosta il Paese è scosso da guerre civili e feroci conflitti con Stati confinanti, costati milioni di morti.
«Questo Paese immenso e pieno di vita, questo diaframma d’Africa, colpito dalla violenza come da un pugno nello stomaco, sembra da tempo senza respiro» ha detto papa Francesco al suo arrivo il 31 gennaio a Kinshasa; aggiungendo poi che «si è giunti al paradosso che i frutti della sua terra lo rendono straniero ai suoi abitanti. Il veleno dell’avidità ha reso i suoi diamanti insanguinati».
Un dramma generato dall’avidità «davanti al quale il mondo economicamente più progredito chiude spesso gli occhi, le orecchie e la bocca. Ma questo Paese e questo Continente meritano di essere rispettati e ascoltati, meritano spazio e attenzione». Un gesto forte come un viaggio di una delle poche voci forti che si levano contro le ingiustizie e lo sfruttamento dei più deboli, nella speranza che le luci sul Congo non si spengano ancora una volta subito dopo.
Antonio

Carissima, carissimo,
è uscito in questi giorni l’Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo. Quante cose sono cambiate in questi 12 mesi? C’è una guerra vicina, la Russia ha invaso l’Ucraina, stato sovrano in nome della liberazione dei popoli e della guerra al nazismo. E’ strano, ora è diventata la scusa per una guerra che mette in discussione tutto: equilibri, diritti e ambiente.
Quante cose sono cambiate in 12 mesi?
Il mondo è diverso, inutile negarlo, siamo tornati indietro sulle questioni ambientali, su tutto ciò che stavamo facendo per fermare i cambiamento climatico., abbattere l’inquinamento e frenare lo sfruttamento delle risorse. Nel 2022 l’inquinamento causato dalla guerra in Ucraina renderà l’atmosfera più pesante e satura. Pensate: un aereo militare consuma fino a 16.000 litri di carburante l’ora. Quanta CO2 rilascia nell’aria? Poi, la paura di restare di restare senza energia per il taglio di forniture di gas e di petrolio all’Europa e per le speculazioni nate attorno alle materie prime ha fatto riaprire all’istante le centrali a carbone e a petrolio e ha rimesso al centro del dibattito il possibile rilancio dell’energia atomica.
Infine, gli eserciti si sono riposizionati, riarmati, hanno riaffermato il loro ruolo. Ogni briciola di cooperazione internazionale è stata bruciata dalle bombe in Ucraina, dai missili nello Yemen, in Siria, dai colpi di stato in Africa e Asia. I fatti parlano chiaro, sono li, visibili.La Cina rivendica spazio e schiera la flotta per controllare il mar della Cina e riprendersi Taiwan. Gli Stati Uniti riposizionano le sue sei flotte e fanno nuove alleanze con Australi e regno Unito per controllare l’Oceano Pacifico. L’Unione Europea mette in campo una nuova brigata di pronto intervento e i singoli Paesi decidono di usare il 2% del PIL per riarmarsi.
Quante cose sono cambiate in un anno? Tante se si pensa ai diritti perduti, poche, se contiamo chi ancora muore di fame, cioè  più di 800milioni di esseri umani. Se pensiamo che un miliardo di persone vivono con 2 dollari al giorno.
Nel suo rapporto annuale di gennaio a Davos, Oxfam ha denunciato che nel mondo 2.153 miliardari detengono più ricchezza di 4,6 miliardi di persone, circa il 60% della popolazione globale.
Questi ultimi 12 mesi ci hanno tolto il fiato, sono arrivato come un uragano a rendere ancora più drammatico il tempo della pandemia da Covid-19, che non è passato, ma è ancora presente con il suo carico di morte e dolore.
Mai come in questi ultimi mesi, l’idea di un cambiamento necessario e inevitabile si è fatto strada. E’ un cambiamento che deve passare da ognuno di noi, dalle scelte che facciamo ogni giorno.Passa da modo pratico che ognuno di noi ha, di guardare ciò che accade.
Dobbiamo cambiare strumenti, parametri, dobbiamo valutare ciò che accade non con la logica di sistema, con la geopolitica che tutto spiega e giustifica. Proviamo a fare un salto in avanti. mettiamo al centro la visione della geografia dei diritti, stabilendo quali relazioni avere e che tipo di cooperazione mettere in campo sulla base del rispetto reciproco, dei diritti umani in ogni loro forma.
A tutt’oggi ragioniamo come ai tempi degli imperi e dei nazionalismi sfrenati.
Tutto è connesso ormai. Tranne noi. E questa mancanza di connessione con gli altri ci spaventa, ci fa sentire insicuri.
Una insicurezza che diventa lo strumento fondamentale di chi ci vuole convincere che dobbiamo armarci di più, consumare di più. odiare di più.
Il 2022 è stato un anno lungo,un anno di cambiamenti, trasformiamolo nel primo di tanti futuri, anni migliori.
Nel 2023 bisogna vigilare sui diritti. Perché rischiano di rotolare in un fosso.
I diritti delle donne e le libertà che hanno conquistato. I diritti degli omosessuali e di tutti quelli che una mentalità fascista ritiene “sbagliati”. Bisogna non staccare mai gli occhi dai Migranti. La legge dell’accoglienza è la garanzia di un Paese felice, il suo rifiuto è la via per un Paese infelice. Servono visionari e visionarie. La politica che ha il passo dell’anatra ci porta in un precipizio. Serve mettersi in volo.
La sinistra con le sue gelosie interne, ha favorito questo tempo buio. Se non si ripensa e non trova una forza creativa e critica contribuirà a rendere l’Italia un Paese infelice. La “questione morale” posta da Enrico Berlinguer va rimessa al centro dei loro programmi.
Oggi c’è una classe politica che sembra non conoscere quella “bellezza morale” di cui parlava Pierpaolo Pasolini. Che la sinistra, quando serviva, la sapeva criticare eccome! Chiunque ama la democrazia oggi deve “gridare le sue sconvenienti verità” come scriveva Maria Zambrano della poesia.
Su tutte le porte delle nostre città va attaccato un cartello: ”Cercasi visionari. Urgente”.
Antonio

19 Febbraio 2023

Il tempo “moneta” di restituzione.

Cara Persona,

questa lettera ha faticato a partire verso te.

L’abbiamo pensata e discussa tanto mentre le emergenze e le ricorrenze popolavano i nostri pensieri.

Ed è difficile scriverla con i toni giusti.

Vogliono essere sommessi ed accorati. Commossi.

Ti scriviamo per dirti che, dopo un periodo “misto”abbiamo scelto d’ora in poi di autotassarci unicamente in “moneta tempo”.

(Niente ma proprio niente a che vedere con “la banca del tempo” o con il cosiddetto “volontariato”).

La moneta si può contare e da lì decidere quanta darne ben sapendo quanta ce ne resterà.

Il tempo no, non è nostro, non ci appartiene ed è per questo che è il bene più prezioso.

E con il passare degli anni ne abbiamo sempre meno a disposizione.

Quindi? Lavorare meno, avere meno moneta e più monetatempo da “restituire”.

-Vecchio adagio, dirai, l’ho già sentita, nessuna novità-.

Infatti nessuna novità.

Provare concretamente per credere.

Alcuni “esempi” per cercare di spiegarci.

Emergenza incendi.

-Josè, non ti mandiamo soldi ma siamo sicuri che sarai felice di sapere che curiamo i nostri boschi con amore perché vivano e non brucino, che curiamo un orto e gli ulivi. La Terra esige contatto diretto, sacrificio, tanto tempo. La Terra è una. E voi Mapuche lo sapete bene e bene ce lo insegnate-.

Emergenza terremoto in Siria Turchia.

Emergenza Armenia, emergenza Haiti, emergenza Congo, emergenza Centrafrica, emergenza Palestina, emergenza… Emergenza come urgenza ma anche come “emergere” di ciò che risulta più evidente, clamoroso, facile da capire e di facile risoluzione “interiore”: faccio un versamento…

Abbiamo organizzato incontri con i Curdi, chi ha partecipato ben sa che laggiù le persone nelle tende c’erano già prima del terremoto. Il tempo paziente dell’attività politica.

E la Repubblica Centrafricana?

Ve ne parliamo poco, sgomenti, ma non ci stanchiamo di chiedervi di invitarci per vedere il nostro video ( viaggio a nostre spese).

A dicembre la Francia ha ritirato i suoi ultimi militari presenti sul campo. Gesto simbolico.

Ora sarà totalmente la Russia a militarcolonizzare il Paese in antagonismo con gruppi ribelli finanziati da chiunque, Francia compresa .

La formazione di mercenari Wagner era in RCA dal 2017.

E poi alluvioni, strade impraticabili, bambini che saltano sulle mine. Emergenza!

E’ saltato su una mina anche un carmelitano italiano, Avvenire ne ha parlato.

La Repubblica Centrafricana ha bisogno di tempo.

Il tempo dell’informazione.

Da due anni siamo presenti settimanalmente al presidio permanente di Savona disarmo e rappresentiamo la RCA. Con il collettivo SE presentiamo il video realizzato da due gruppi di giovani in RCA e Italia e presentiamo il nostro libro (con il quale finanziamo le borse di studio degli universitari di Bangui).

Tempo, richiede tantissimo tempo.

Tempo richiede l’appoggio al Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali di Genova che resiste a non imbarcare/sbarcare armi.

Tempo.

Comunità trasformative.

(Concordiamo un po’ con Sergio sulla moda di cambiare il nome alle cose che rimangono le stesse).

Potremo teorizzare, ascoltare, sperimentare, siamo già certi che queste esperienze sono fondate sostanzialmente sull’investimento in monetatempo.

Sono solo alcuni piccoli esempi che siamo certissimi stai attuando anche tu.

Ma la pensione per Caterina se arriverà arriverà tra dieci anni, dieci e ci rifiutiamo di aspettare “altri tempi”quindi taglio volontario su ore di lavoro e reddito.

Perché abbiamo scritto che tutto questo non è “banca” e non è “volontariato”?

Perché il tempo lo abbiamo già ricevuto, siamo noi a restituirlo e perché “volontariato” si usa per le azioni non retribuite in moneta.

Stiamo parlando di altro.

Stiamo parlando di tutti gli Ultimi delle nostre vite quotidiane che di tempo prima che ogni altra cosa necessitano in continua emergenza (da qui il laboratorio al presidio psichiatrico).

Stiamo parlando di politica.

Stiamo parlando di futuro.

Resistenza al furto di tempo della società capitalista.

Il nostro è periodo storico di ricerca e sperimentazione, è per cuori puri e resistenti, pronti al sale del fallimento.

Diamo tempo al Tempo.

Accetta un abbraccio.

Grazie se sei arrivata fin qui.

Caterina che non è in pensione e Franco il contadino.

Ciao. Vi offriamo una storia di collaborazione tra il “qui” e il “là”. Economicamente si è conclusa da molti anni. Ma i semi portano frutto.

Lasciamo a Dino la presentazione della lettera allegata e facciamo a tutte e a tutti un sacco di auguri per il nuovo anno.

Maria e Gianni

Ida Pierotti è stata la fondatrice, col marito Miguel Reyes Santana, di un Centro Sociale in una baraccopoli a Sud Ovest di Santo Domingo, nella Repubblica Dominicana. L’appoggio a questo progetto è stato dato dalla rete di Verona, verso la fine degli anni ’80.

Ora Miguel è morto e Ida è tornata a Santo Domingo, anche per accettare l’eredità della pensione che il marito le ha lasciato. Naturalmente, è stata invitata a visitare il Centro, che intanto è diventato un’istituzione della Repubblica Dominicana, finanziato dallo Stato, con molti corsi professionali e con molte iniziative rivolte agli abitanti della zona.

     Miguel era un esule politico. Dopo essere rimasto ferito in un fallito tentativo rivoluzionario nel suo paese, si era rifugiato in Italia. Qui aveva ripreso gli studi fino a laurearsi in Scienze Politiche, e aveva conosciuto e sposato Ida Pierotti, allora impiegata all’Università Cattolica.

Quando per lui è stato possibile rientrare nella Repubblica Dominicana, sono partiti insieme con un progetto di socializzazione e promozione sociale per una zona poverissima, El Abanico. (il Ventaglio), così chiamata perché è una zona bersagliata da forti venti.

     Il progetto era stato presentato a Ettore Masina, e lui, affidandolo alla rete di Verona, l’aveva dedicato alla memoria della mamma di Silvana, Nelda Spaziani Valpiana. Nelda era figlia di un martire del nazifascismo, morto a Mauthausen, e quindi nella scelta del nome dell’operazione, si sottolineavano la solidarietà e la resistenza.

     Il Centro Valpiana diventò un centro di scolarità e il luogo del coordinamento per tutte le iniziative che servivano a quel quartiere. Fu l’occasione per ritrovarsi e creare coesione tra tutte le persone più disponibili a impegnarsi.

     Noi della Rete di Verona siamo stati ben lieti di sostenere questo progetto, e nell’estate del 1990 Silvana ed io siamo andati a Santo Domingo, ospiti di Ida e Miguel che ci fecero conoscere il neonato Centro Valpiana e tutta l’isola. Miguel e Ida vennero, poi, al Convegno della Rete dedicato al 500° Anniversario della “scoperta dell’America” e una delegazione del Centro venne in Italia qualche anno dopo. Li ospitai io, nella scuola dove ero preside, e dove c’erano dei corsi professionali che potevano essere un utile modello anche per loro.

            Il Centro Valpiana divenne poi un ente di aiuto e sostegno alle varie iniziative locali, finanziato dallo Stato, e sta ancora funzionando regolarmente, proseguendo quanto iniziato più di 30 anni fa.

            Per noi è stata una grande occasione di collaborazione e dialogo con altre realtà: li abbiamo seguiti con interesse, finanziati, per quanto possibile, e abbiamo contribuito al loro successo.

            Ida ce ne ha dato un resoconto. La sua lettera, che alleghiamo, è l’occasione per apprezzare quanto si è potuto realizzare con tanti anni di lavoro. Siamo confortati dal vedere i frutti che sono maturati dalla nostra piccola autotassazione, e dalla nostra relazione con loro.

Dino con Silvana, dicembre 2022

 

Carissimi amici della Rete,

sono sempre rimasta legata a tutti voi, attraverso il prezioso rapporto con Silvana e Dino.

Dopo 20 anni, sono tornata a Santo Domingo, dove ho trascorso una parte indimenticabile della mia vita e dove, grazie a voi, io e Miguel abbiamo potuto realizzare il Centro Comunitario Nelda Valpiana.

Avevo lasciato Santo Domingo dopo 15 anni di servizio e l’ho fatto solo quando ho avuto la certezza che l’”operazione Valpiana” era ormai una realtà, della cui gestione si faceva carico pienamente la gente del Barrio El Abanico, con la sua Assemblea, la Giunta Direttiva e un programma tecnico/sociale sostenibile.

In questi anni ho seguito da lontano lo sviluppo del Centro, come avrebbe detto Ettore Masina: “vedendo la barca allontanarsi come un’opera finita e rimanendo con gli strumenti in mano e nella mente per crearne un’altra”. Per me, tante altre storie sono seguite al Centro Valpiana, storie di un’altra parte di vita in cui le difficoltà si sono alternate alle soddisfazioni. Sono stata a vario titolo operatrice in Angola, Guatemala, Nicaragua, Mexico, Cuba, Haiti, Argentina, Colombia. Tutto ciò mi ha dato gli strumenti necessari per mettermi, 10 anni fa, a disposizione dei rifugiati, qui in Italia, a Verona.

Ora sono tornata a Santo Domingo perché a febbraio 2022 Miguel, il mio marito, è morto. Mi ha lasciato in dono metà della sua pensione di professore universitario (l’altra metà è destinata alla figlia minore), e questo mi permetterà di sopravvivere un po’ meglio, alla mia tenera età di 77 anni. Infatti, nonostante la nascita della sua seconda figlia, che Miguel ebbe 15 anni fa con un’altra donna, non ci siamo mai separati. Anzi, l’ho supportato durante la sua lunga malattia ed abbiamo continuato a volerci bene, come due persone che, all’insegna della solidarietà, hanno fatto un lungo e proficuo percorso insieme.

Vi racconto in breve di questo mio viaggio per certi versi surreale.

La famiglia di Miguel al completo è venuta a prendermi all’aeroporto e una nipote mi ha ospitato nel suo appartamento di Santo Domingo. Appena depositata la valigia sono stata oggetto delle loro attenzioni: il fratello i nipoti e la cognata mi hanno subito rimproverato di non aver mai rivendicato per me e per Miguel la proprietà del Centro Valpiana! Questa non me lo aspettavo! Pur nello stato di stanchezza del viaggio ho cercato di spiegare loro ciò che ho sempre dato per scontato: la solidarietà.

Purtroppo, è stato subito evidente che il mondo ideale che vivevamo con Miguel, non esisteva più. Le grandi trasformazioni di questo paese, quasi in aperta concorrenza con Miami, sono l’emblema del sopravvento dei soldi su tutti i valori sociali e morali che pure avevamo conosciuto. Todo cambia……

Il giorno seguente al mio arrivo ho chiesto alla famiglia di accompagnarmi sulla tomba di Miguel. Attraversando il traffico della grande città mi guardavo intorno, senza riconoscere nulla. Alla fine, siamo arrivati in un posto pieno di gente e sono rimasta stupefatta nel vedere i visi sorridenti di tutti i miei accompagnatori: mi avevano preparato una sorpresa! Mi sono trovata improvvisamente davanti al Centro Valpiana, senza essermene resa conto, a causa dei cambiamenti del barrio Abanico. Accompagnata dalle luci dei negozi, dalla gente, dal chiasso sono entrata nel Centro. Che sorpresa! Un via vai di giovani, che si spostavano per andare nelle aule, mentre io venivo letteralmente trasportata nella sede centrale, per il “benvenuto” istituzionale.

Sono stata oggetto di attenzioni e di complimenti da parte di gente che conoscevo, da parte di quelli che non ricordavo e da parte di facce giovani e nuove. Il direttore ha fatto un discorso elogiando la nostra opera, ricordando Miguel e riservando un saluto speciale alla famiglia della signora Valpiana, sottolineandone lo spirito accogliente e antifascista. Hanno intitolato la Biblioteca del Centro a Nelda Valpiana con il nome e la foto sull’ingresso. Tra le varie persone che mi circondavano, una di esse in particolare mi ha reso felice: Ruth, una ragazza che venne da noi per cambiare la sua vita. Era, e lo è ancora, bellissima. A quell’epoca faceva la prostituta e viveva sola con due bambine piccole. Con l’accoglienza nel Centro ce l’ha fatta, ed ora è una donna che ha preso molto sul serio il suo ruolo nella Giunta Direttiva del Centro.

Il Centro è solido e “sostenibile” e l’attuale direzione sta facendo un buon lavoro mantenendo le convenzioni che firmammo all’epoca con gli enti governativi per l’istruzione e la salute. Nel Centro funzionano i laboratori di formazione in: Farmacia, Alimentazione, Estetica, Cucito, Elettricità, Computer, Falegnameria, Massoterapia, Contabilità, oltre a una scuola elementare e una superiore. Inoltre, funziona un Centro Medico per la popolazione del barrio. Mi hanno fatto notare il campo da gioco illuminato e in piena attività, che a suo tempo facemmo costruire e che io neppure ricordavo.

Non so come chiamare l’emozione che provavo in quel momento. Ma ricordo che quando lasciai il Centro, nel lontano 2000, ero appagata e quasi sicura della sua futura autonomia. Soprattutto, già si vedeva che le persone del barrio si sarebbero organizzate, per metter a frutto la loro volontà e capacità.

Questa prima visita è stata molto ricca di soddisfazione.

Ma la sorpresa più grande è arrivata due giorni dopo, quando sono stata convocata di nuovo nel Centro dalla “vecchia guardia”… E in questa occasione sì, l’emozione è stata forte quando ho abbracciato le compagne e i compagni con cui abbiamo fatto le prime esperienze sin dalla costruzione del Centro: Hilda, Douglas, Anselmo, Xiomara, Angela Maria, Ramona, Xilenia, Virginia, Magaly… Alcuni di loro lavorano ancora nel Centro, ma la maggior parte vive in un’altra zona della città; hanno voluto essere presenti per testimoniare l’affetto e la validità di certi valori. Mancavano alcuni: Federico, artigiano elettricista, morto in un incidente; Domingo Matìas, diventato vice ministro, ed Higinio Baez, eletto deputato al Parlamento, che hanno mandato i loro saluti. Durante la riunione, ricca di spunti e ricordi felici, è entrata una video-chiamata dal Canada: era Pipin, l’allievo ebanista che, come lui stesso ha dichiarato, ha avuto successo in Canada con il laboratorio di ebanisteria. Là ha potuto assumere altri ragazzi dominicani, e tra le lacrime (non solo sue) ha ringraziato il Centro Valpiana per la formazione ricevuta. Ma ci ha tenuto a precisare che oggi è diventato l’imprenditore che è, non solo per la formazione tecnica ricevuta, ma soprattutto per la formazione umana che il Centro Valpiana gli ha dato.

In effetti, con questa seconda visita al Centro, ho ritrovato lo spirito solidale e comunitario che ci permise di realizzare tante attività.

Ida Pierotti

Ottobre 2022

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