Circolare nazionale Aprile 2023
CIRCOLARE NAZIONALE – APRILE 2023
A cura di Mariangela Abbadessa, Francesca Gonzato e Fulvio Gardumi
Il Seminario interregionale delle Reti del Nord-Est che si è svolto sabato 15 aprile a Padova aveva per tema le “Comunità trasformative”, cioè il tema che inizialmente si era ipotizzato di affrontare nel Convegno nazionale di ottobre. Ora l’orientamento è per un altro argomento, ma le riflessioni delle otto reti del Triveneto possono comunque servire come stimolo per tutte le altre reti e forse anche come spazio di approfondimento in eventuali lavori di gruppo del Convegno.
Per questo abbiamo pensato di dedicare la circolare nazionale ad una sintesi di quanto emerso nella interessante giornata di Padova.
La struttura che ci ospitava è a sua volta un bell’esempio di “comunità trasformativa”. Si chiama Comunità Bethesda ed è situata in una vecchia casa colonica ristrutturata, alla periferia di Padova, dove quattro famiglie vivono dal 2018 in forma comunitaria. Una quinta famiglia, di migranti, è accolta su richiesta della Caritas. Ogni famiglia ha il suo appartamento ma si fa molta vita comunitaria e negli spazi comuni si accoglie chiunque voglia fare esperienza di comunità.
Nel corso della giornata sono state presentate altre due esperienze simili, quella di Brugine (Padova) e quella di Murazzano (Cuneo). La prima si inserisce nel progetto Mondo di Comunità e Famiglia (MCF), promosso dai Gesuiti e presente in una trentina di realtà in Italia. E’ una fattoria sociale, nata 10 anni fa, dove cinque famiglie vivono lavorando la terra e mettendo in comune tutte le risorse economiche, che ognuno utilizza secondo i propri bisogni. La seconda, presentata da Chiara, un’amica della Rete di Castelfranco che in passato ha partecipato a vari convegni-giovani della Rete, è un ecovillaggio attivo da cinque anni nelle Langhe, dove lei e un gruppo di persone hanno recuperato un borgo abbandonato, ristrutturando le case e mettendo a coltura i campi. Si fa vita di comunità e molti servizi, compresa la scuola per i bambini, sono gestiti direttamente.
La relazione introduttiva del seminario è stata tenuta da Ferruccio Nilia, sociologo udinese, animatore di gruppi tra cui il Forum dei Beni Comuni e dell’Economia Solidale del Friuli-Venezia Giulia, la Rete di Economia Solidale del FVG, il Comitato per la Salute Pubblica Bene Comune di Pordenone, l’Associazione per la Decrescita (diversa dalla Decrescita Felice di Serge Latouche). E’ fra i promotori della legge regionale “Norme per la valorizzazione e la promozione dell’economia solidale” (il testo si trova in internet: Lexview – Dettaglio Legge regionale 23 marzo 2017 n. 4).
Nilia ha detto di aver sempre tentato di tenere insieme riflessione teorica e prassi politica, entrambe imprescindibili per “cambiare il mondo”, per contrastare il feticcio della crescita senza limiti, che sta portando sempre più alla privatizzazione dei beni comuni, oltre che, in prospettiva, alla distruzione della vita sul pianeta. La legge citata pone al centro il tema della formazione di comunità che cerchino di sperimentare nuove pratiche finalizzate ad uscire dalla logica del mercato (concorrenza, profitto). Tali comunità non possono “cambiare il mondo” se rimangono esperienze autoreferenziali, isolate. La Rete Italiana di Economia Solidale cerca di collegare le varie esperienze di buone pratiche. Nilia ha riconosciuto che il mondo delle buone pratiche, cioè i vari tentativi virtuosi di superare il pensiero dominante basato sull’individualismo e sulla logica del mercato, ha come vizio di fondo l’autoreferenzialità. Per uscire dal paradigma attuale è dunque necessario ricostruire comunità. Ma come? Se sulla critica all’attuale sistema siamo spesso d’accordo, le difficoltà nascono quando si tratta di passare alla costruzione di alternative concrete.
La risposta, secondo Nilia, è il territorio, “il grande mediatore per ricostruire relazioni”. Occorre mettere insieme i cittadini anche per soddisfare i loro bisogni, ma non a partire da quelli. In qualche caso sono nate interessanti esperienze per iniziativa di sindaci lungimiranti, ma spesso il rischio è la strumentalizzazione politica. Solo unendo esempi virtuosi e buone pratiche sorte a livello locale è possibile pensare ad un progressivo cambio di paradigma. Vanno rimesse in discussione tutte le istituzioni, dal Comune all’Onu, passando per la Banca mondiale. Occorre un nuovo contratto sociale e per questo bisogna mettere in moto migliaia di persone e di comunità e federarle fra loro
Il dibattito sulla relazione di Nilia è stato molto vivace. Un contributo è venuto da Mariangela Abbadessa della Rete di Castelfranco, che ha sintetizzato i contenuti del libro “L’economia trasformativa: per una società dei diritti, delle relazioni e dei desideri” (ed. Altreconomia) scritto da vari autori, tra cui Roberto Mancini, docente di filosofia all’Università di Macerata e direttore della Scuola per l’Economia Trasformativa dell’Università per la Pace delle Marche.
Parlare di comunità trasformative significa innanzitutto accostarci a pratiche e teorie a favore di un’economia eticamente orientata (economia del dono, di comunione, della liberazione, equa e solidale, della decrescita, trasformativa). Anche se dobbiamo essere consapevoli che parlare di questi temi è diventato un esercizio di equilibrismo, perché tante parole sono state inflazionate e stravolte dall’imprenditoria capitalistica convertita ad una green economy, in teoria socialmente responsabile e sostenibile ma, in realtà, votata all’obiettivo di sempre: la crescita come aumento dei profitti e del benessere dei produttori. L’alternativa reale, invece, non può che essere quella di un’economia orientata alla cura dei bisogni, diritti, desideri dell’umanità e verso l’equilibrio e l’armonia del mondo vivente, della natura. L’alternativa è dunque salvare la Società fondata sulle Relazioni Umane, capace di costruire pratiche collettive condivise, liberatorie e creative. Nell’economia dei soldi i conti si compilano in misura del denaro, mentre nell’economia della natura i conti ambientali si calcolano su altre unità di misura e soprattutto devono confrontarsi con i limiti invalicabili nell’uso dei beni naturali. Nell’annunciata “svolta etica del capitalismo” i danni creati all’ambiente vengono considerati effetti collaterali, iscritti nel rischio strutturale della società industriale, rischi connaturali al sistema di sviluppo, monetizzabili e compensabili tramite assicurazioni. Dunque, nessuna vera green revolution sarà possibile senza una trasformazione strutturale del sistema socio-economico oggi dominato dalla logica del profitto e dalla massimizzazione dei rendimenti economici. L’alternativa è allora un sistema che prenda in seria considerazione l’ipotesi della decrescita e del post-sviluppo, in quanto la riduzione della pressione sull’ambiente richiede una riduzione della produzione e del consumo. Occorre immaginare una società che ristabilisca che cosa è per noi una buona vita. Ma è più facile pensare alla fine del mondo che non alla fine del capitalismo. Di qui l’importanza di filosofi, artisti, autorità spirituali come papa Francesco per riuscire a rovesciare il modo di pensare di economisti e politici secondo cui l’interesse pubblico coincide solo con l’incremento del Pil. In un ambito di economia trasformativa al centro c’è la Vita. C’è bisogno di ristabilire la connessione tra processi produttivi e la vita, la tutela della salute dei lavoratori e delle persone che vivono nei territori delle industrie. Dato che la globalizzazione ha aumentato le distanze tra ciò che viene prodotto e chi consuma, occorre mettere la vita al centro ripartendo dalla difesa dei beni vitali come l’acqua, la terra, l’aria, i semi, le culture necessarie per la sussistenza. La proposta di partire da comunità locali solidali per costruire un’economia solidale di liberazione non vuole essere un’operazione-nostalgia ma, al contrario, è un’Utopia quale luogo buono verso cui andare. Abbiamo imparato che perseverare in una logica localistica e settoriale non aiuta a trasformare né l’economia né la società in senso solidale. E’ necessario cercare tracce comuni, le intersezioni, le convergenze tra esperienze nate dal basso, costruire reti tra le comunità solidali e unire le forze (come le Comunità di Supporto all’Agricoltura, es. OltreConfin del Distretto Economico Solidale sorto in Veneto) e favorire la loro emersione, uscendo dal cono d’ombra legislativo, attraverso leggi di riconoscimento e facilitazione. Se i soggetti monotematici hanno dimostrato di avere un potenziale di mutamento sociale piuttosto limitato, sembrano più promettenti i soggetti collettivi che superano i limiti di un solo settore della vita sociale e sono capaci di far interagire diverse attività nella realizzazione di un progetto organico. Si pensi alle comunità territoriali locali che assumono davvero questo criterio etico, indirizzando tutti i tipi di attività – aggregativo, economico, amministrativo, politico, educativo, culturale, informativo – per attuarlo. Si tratta di far valere in ogni ambito i criteri seguenti: solidarietà, salvaguardia ecologica, nonviolenza, cooperazione, sostenibilità e democrazia.