Il 7 agosto si è spento Mario Tronti, filosofo e politico che nel 2008 partecipò ad un Convegno Nazionale della Rete. Per ricordarlo vi proponiamo il suo intervento di allora a Rimini, introdotto da Maria Teresa Gavazza.
CONVEGNO NAZIONALE RETE RADIE’ RESCH – RIMINI 11-13 APRILE 2008
Incontro con Mario Tronti
Introduzione di Maria Teresa Gavazza, rete di Quargnento/Alessandria
La scheda biografica di Mario Tronti è allegata al testo del programma del convegno (13), questo mi esime dal soffermarmi su una vita ricca e complessa, metafora del secolo breve: sarà Mario stesso a raccontarsi.
L’impostazione data da Antonietta Potente ha scompaginato le mie riflessioni e i quesiti che avrei voluto porre al relatore, come richiesto dal Coordinamento nazionale. Mi sembra così riduttivo interrogarsi semplicemente sulla crisi della rappresentanza, proprio oggi che sono in corso le elezioni politiche tra le più significative della storia repubblicana (la vignetta di Vauro sul Manifesto di oggi, 13 aprile, bene ne esprime il senso); si restringerebbe infatti uno spazio mentale e spirituale che Antonietta ci ha suggerito di esplorare. Rimaniamo su un piano filosofico per scoprire la mistica della politica, lasciamoci guidare dall’amore della sapienza e raccogliamo le suggestioni di un convegno diverso dai precedenti, risultato di un lungo lavoro fatto dalla Rete Radié Resch nei seminari locali e nelle comunità in cui opera.
Partirei da chi non c’è: donne e uomini, forse più donne, che sono state impedite dal partecipare perché figlie o madri impegnate in responsabilità famigliari cui non potevano sottrarsi, oppure per cause diverse. Occasioni di incontri affettuosi perduti, relazioni non tessute come avremmo voluto. Penso invece a Luisa Alfaro, giovane testimone dell’Argentina, e al suo racconto: la comunità le ha consentito di partire prendendosi cura del suo bimbo ed aiutandola ad affrontare un viaggio così lungo e difficile. Vorremmo anche da noi “tessere reti” per difenderci dalla solitudine, dal peso del lavoro di cura quotidiana: farsi carico di chi non può, per consentire occasioni di gioia.
Le brevi uscite lungo il mare di Rimini mi hanno colpita per il contrasto tra la natura e il vuoto delle case: negozi, alberghi, ristoranti serrati e muti. Imponenti costruzioni senza vita, pronte a rianimarsi al comando del denaro, del consumo. Ho sentito forte il senso di non luogo: nelle civiltà della ricchezza vi sono interi spazi che ben rappresentano l’assurdità di una società dell’immagine, senza radici. Il confronto con la Patagonia è suggestivo: aree sterminate da percorrere a piedi o a cavallo, senza elettricità, ma pulsanti di vita. Luoghi dove la madre terra crea legami con la comunità umana, intrecciandosi secondo ritmi millenari. E poi, per analogia, il non luogo della politica: è come uno zombie che si risveglia solo in certe occasioni, ad esempio durante le elezioni, evento mediatico e fasullo. Nessuna relazione, nessuna passione, rimozione delle radici, mancanza della partecipazione: è il non luogo per eccellenza.
Come “ricostruire” un luogo comune, una comunità? Ho pensato al racconto di Eufrosine, del “No Dal Molin” di Vicenza o a Dadoue di Haiti, esempi di Politica femminile leggera, non di potenza. Per gli haitiani la scuola rappresenta la conquista dell’eternità: i figli sopravvivono ai genitori, che ben conoscono la precarietà della vita, se potranno istruirsi e diventare colti. La società opulenta invece svaluta la conoscenza, spinge i giovani a cercare il denaro facile con la complicità dei genitori: nell’associazione GAPA di Catania, altro ponte verso il nostro Sud della Rete Radié Resch, si combatte l’abbandono scolastico lavorando nelle strade con gli adolescenti. “Resistere” all’assedio, ricercando il disubbidiente, il diverso: “Noi siamo liberi dentro una prigione”, sono parole di Tronti.
I soggetti storici nascosti dettano il ritmo della Storia, la resistenza è un grido: la microstoria emerge dalla grande Storia, per creare e inventare nuove soluzioni, nuove reti affettuose. Ancora Tronti ci spinge a riflettere sul rapporto tra politica e spiritualità “intesa come l’ultima frontiera della resistenza, l’ultima forma dell’antagonismo rispetto all’ordine esistente”.
INTERVENTO DI MARIO TRONTI
Vi ringrazio per questo invito, che è stato molto gradito. Mi ha permesso di entrare in contatto “fisico” con la vostra realtà. Quando Ettore Masina mi ha proposto questo intervento, ero un po’ preoccupato, perché non conosco molto la vostra realtà. Ho visto che siete una grande famiglia. Ho pensato ai verbi “restituire, ricostruire, resistere”; Antonietta Potente ha aggiunto poi il “riconoscere”, che mi sembra molto importante. Questi verbi mi sembrano anche indicazioni di lotta. Credo che la vostra realtà abbia una forte concretezza, intervenendo in luoghi ben caratterizzati e significativi.
Dal femminismo ho imparato l’importanza del “partire da sé”, che vedo però come un “partire da noi”, cioè all’interno di un movimento. Io vengo dal popolo comunista romano; ora lo ritroviamo con difficoltà: è stato sradicato. Ho scoperto la fabbrica e la classe operaia nell’epoca della grande produzione di massa fordista e taylorista. Mi dichiaro un intellettuale organico di partito e di classe sociale: una volta era una nobile figura perché metteva il suo impegno a servizio di una causa collettiva, ora è una figura demonizzata e si preferisce l’intellettuale che fa cultura per sé e per la sua carriera. Nel partito la mia posizione non era eretica, perché rimaneva dentro il partito, ma era non-ortodossa.
La storia del movimento operaio inizia alla fine del ‘700 con la rivoluzione industriale: è una storia lunga e dobbiamo prenderne l’eredità e portarla avanti. La lascerei ora però sullo sfondo per confrontarmi col vostro modo di agire e di stare dentro la realtà. Mi hanno colpito le due figure fondanti della vostra Rete, Ettore Masina e Paul Gauthier, con questo scambio vitale nelle convergenze e nelle divergenze. Vedo che la vostra storia è sempre discussa e in movimento. Arturo Paoli ha parlato di una linea mistica e di una politica; per lui la figura del cristiano è di sintesi.
Per Paoli una fede viva deve essere “intrinsecamente politica”. Anche Antonietta Potente mi sembra che cerchi questa sintesi: il suo ultimo libro del 2008 si intitola “Per una mistica politica”.
Si parla ora di crisi politica. Io però do una connotazione positiva al concetto di “crisi” come momento di “messa in discussione” dello stato delle cose. Tutti parlano di “uscire dalla crisi”, a me sembra meglio “entrare nella crisi”, che consente modifiche e trasformazioni, cambiamenti; mi sembra invece negativo il concetto di “ordine”.
Noi contrapponiamo società civile e classe politica. Io penso invece che nell’Occidente la società civile produca una classe politica a sua immagine e somiglianza.
Antonietta Potente parla del percorso da teologia missionaria a teologia contestuale, per adattare la teologia al luogo in cui si opera. La teologia si trasforma quando entra in certi luoghi, perché entra la sapienza degli altri popoli: si modificano le forme e i contenuti. Bisogna lasciare che i grandi silenzi prendano la parola. Anche Dossetti si muoveva tra le due grandi dimensioni del silenzio e della parola. Benedetto Calati, un grande monaco dei nostri tempi, ora scomparso, diceva: “La Scrittura cresce con chi la legge”. Più che dire la Parola di Dio bisogna lasciarla dire, restituendo la nostra vita nelle mani degli altri.
Nelle lotte operaie si voleva che i padroni restituissero il plus-lavoro che creava profitto. Marx da giovane diceva anche che l’operaio veniva alienato: metteva parte della sua attività nel prodotto, che poi gli veniva tolta dal padrone capitalista. È chiaro che non siamo di fronte a questa forma di “restituzione”.
Il tema dell’attesa comporta il “resistere”, il “restare in attesa” facendo sì che alcune cose “non passino”, il “no pasarán” della guerra di Spagna verso il fascismo. Anche dopo la sconfitta del movimento operaio, parliamo ad esempio di resistenza al capitalismo.
Il moderno non si trattiene, ma nel moderno c’è da “trattenere” qualcosa. Trovo in voi un certo ottimismo sulla natura umana, sia individuale che collettiva. Noi però in Occidente abbiamo alle spalle il fallimento del più grande tentativo di liberazione umana messo in campo. Visto dal Sud del mondo, viene avanti la speranza; visto dal Nord viene avanti la disperazione. Ad esempio adesso, con queste elezioni, c’è data la scelta tra due sventure: dovremo scegliere la minore. C’è sempre meno la possibilità di mobilitazione.
“Ricostruire” secondo me ha da noi molto a che fare con il ricostruire la fede, una coscienza di sé stessi. Quale fede? Come fare perché il “tempo nuovo” sia nuovo per tutti? Lontano da qui, nelle situazioni narrate, c’è una sorgività, una creatività, pur essendo presenti grandi tradizioni. Da noi c’è la retorica del nuovo, quando spesso c’è falsità in questo: ad esempio cambiano le forme della società capitalistica, ma la sostanza capitalistica rimane.
Dobbiamo guardare ai rapporti sociali e ai rapporti politici, riconoscendo i rapporti di forza tra chi lavora e chi sfrutta il lavoro e tra chi comanda e chi ubbidisce: se non si rovesciano questi rapporti di forza, è veramente possibile un tempo nuovo?
Antonietta Potente ha detto di non credere che ci sia una grande differenza tra il vero asceta e il vero rivoluzionario. È vero. Questo ci impegna a cambiare le forme della lotta e dell’organizzazione, ed anche ad assumere l’ascesi come contemplazione attiva; sapere che non tutto è nelle nostre mani, che c’è un mistero più grande entro cui si svolge la storia umana.
Questo è importante per la politica per cambiare il mondo. Non più avanguardie che guidano, non più direzione dall’alto, ma “orientare seguendo”, “camminare condividendo”.
Noi occidentali siamo la “terra del tramonto”; ma l’altro continua ad essere il nostro destino, che può allargare la nostra visione. Appartengo ad una generazione segnata da una lotta grande e terribile, la speranza è che le nuove generazioni, libere dal ‘900, trovino un’altra misura nella lotta, con una passione per il mondo.
Vi ringrazio per quello che fate e soprattutto per come lo fate.
NOTA BIOGRAFICA:
Mario Tronti (1931-2023) è stato un filosofo e un uomo politico, uno dei fondatori dell’operaismo teorico degli anni ‘60. Militante del Partito Comunista negli anni ‘50, fu co-fondatore della rivista “Quaderni rossi” e poi di “Classe operaia”, di cui fu direttore. L’esperienza dell’operaismo si caratterizzava per il fatto di mettere in discussione le tradizionali organizzazioni (partito e sindacato) e di collegarsi direttamente, senza intermediazioni, alla classe in sé e alle lotte di fabbrica. Tronti si dedicò come studioso a rinnovare il marxismo trasformandolo per riaprire la strada rivoluzionaria in Occidente. Si riavvicinò al Partito Comunista negli anni ‘70. Ha insegnato filosofia politica all’Università di Siena. Dal 2004 è stato presidente del Centro per la Riforma dello Stato.
Da “in Dialogo” nr. 82 del Dicembre 2008