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Circolare nazionale ottobre 2020

a cura della Rete Radiè Resch – gruppo di Cagliari

Quarant’anni di appartenenza alla Rete Radiè Resch di solidarietà internazionale – così si denominava un tempo l’associazione – sono un traguardo che ha visto un gruppo di persone dell’area cagliaritana rimanere fedeli a un’idea e a una pratica di solidarietà che coinvolgesse i singoli nella restituzione di un debito contratto verso le comunità impoverite del Sud del Mondo. Nella convinzione, inoltre, della necessità di un cambiamento nel nostro mondo opulento e, perciò, della “controinformazione” attraverso le testimonianze dirette dei referenti dei nostri progetti. Siamo ricordati all’interno della Rete nazionale in modo particolare per il documento “Parametri di valutazione di un’operazione della Rete”che venne presentato al Coordinamento nazionale di Verona (20-21 giugno 1992) a seguito della grande riflessione sullo stato della Rete del biennio 1990 – 1992. Il documento, frutto di una riflessione collettiva, indicava 7 dei criteri: 1. Tre volte indigeno; 2. Trasparenza; 3. Ecologia; 4. Durata; 5. Autonomia; 6. Cultura; 7. Dimensione e peculiarità. Abbiamo sempre creduto che questi criteri non potessero essere rigidi, ricordando l’invito di Ettore Masina a tener conto dell’amicizia che ci legava ai nostri referenti.

In questi quarant’anni ci sono stati periodi molto fecondi di iniziative, di incontri tra persone, di partecipazione agli avvenimenti della città e del mondo: dibattiti pubblici, seminari di studio, manifestazioni in difesa dei diritti negati, in particolare dei migranti, con una attenzione speciale alla comunità palestinese presente nel nostro territorio. Nel 1992 la Rete di Cagliari si fa carico come referente nazionale dell’operazione Donne indie collas. Sostegno a piccole cooperative di lavoro, nel Nord-Ovest dell’Argentina, nella zona montagnosa della “Quebrada de Huamahaca”; referenti Piera Oria e Carola Caribe (“Taller Permanente de la Mujer”) di Buenos Aires. Il legame con Piera diverrà sempre più forte grazie agli incontri a Cagliari e al viaggio in Argentina (agosto 2000) di due amiche del nostro gruppo. Il momento più coinvolgente che ha creato sinergie singolari è stato il lavoro di traduzione, di pubblicazione e di divulgazione del libro di Piera Oria, Dalla casa alla piazza…, sulle madri e le nonne di Plaza de Mayo. Dopo la morte di Piera e la conseguente chiusura dell’operazione, la Rete di Cagliari non ha avuto più un progetto da seguire; questo fatto può aver avuto un certo peso nel proseguo del cammino del gruppo, sebbene le cause principali della riduzione dei partecipanti siano state di altra natura: la crisi economica, l’età avanzata dei membri, la morte di alcune persone.

Il legame con la Rete nazionale si è conservato, nonostante l’insularità con gli aspetti connessi alla mobilità, con la partecipazione ai Coordinamenti nazionali, ai Convegni e ai Seminari, ai viaggi della Rete in Brasile (luglio-agosto 1993) e in Palestina (27/12/98 – 4/01/99). Abbiamo per ben due volte ospitato il Coordinamento nazionale a Cagliari, il 13 e 14 ottobre 1990 e, più di recente, il 19 e 20 giugno 2010 presso la Comunità la Collina, diretta da don Ettore Cannavera, che è stato coordinatore della Rete di Cagliari fino al 1993. Dall’incontro a Salvador Bahia con Giovanni Cara (João), piccolo fratello del vangelo cagliaritano, e con la sua collaboratrice Rita Maria Alves che si occupavano di meninos de rua, si è sviluppato un costante rapporto di collaborazione basato sulla fraternità e sull’amicizia. Pur ridotti a un piccolo gruppo, abbiamo cercato di partecipare assiduamente agli eventi della realtà locale molto provata dal punto di vista economico e occupazionale; aderendo e partecipando alle manifestazioni per la pace, per la Palestina, per la riduzione delle servitù militari, alla lotta per la riconversione della fabbrica di Bombe RWM, alla collaborazione con la Comunità la Collina.

Il mese di ottobre è un mese emblematico per le persone amanti della giustizia e della pace: il 2 ottobre (anniversario della nascita di Gandhi) si è celebrata la Giornata mondiale della Nonviolenza, e il 4 ottobre la festa di san Francesco d’Assisi, uomo che con la mitezza e la povertà si è rivestito d’amore fraterno per tutte le creature. Il forte messaggio di papa Francesco dalla Basilica di Assisi con la promulgazione della sua terza Enciclica, Fratelli tutti, è inequivocabile: abbattere i muri di separazione e creare ponti di comunione, di fraternità universale, di amicizia sociale per costruire una umanità nuova, consapevoli che non ci salviamo da soli, dentro i nostri egoismi individuali e collettivi, ma come ci ha insegnato la pandemia ci si salva uniti nell’accoglienza dei più fragili, quali gli anziani, i disabili, i poveri, i migranti, le persone che vivono nelle periferie geografiche ed esistenziali, che sono considerate lo scarto, rifiuti da eliminare. Non sappiamo se papa Francesco conosca la nostra Rete e la sua storia, ma un passaggio dell’Enciclica ci ha colpito, dove egli parla delle associazioni nelle quali i soci spesso si chiudono negli interessi di gruppo ed escludono gli altri; e di coloro, invece, che praticano l’amicizia sociale, la solidarietà autentica. “Solidarietà – scrive il Papa – […] è una parola che esprime molto più che alcuni atti di generosità sporadici. È pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. È anche lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. È far fronte agli effetti distruttori dell’Impero del denaro […]. La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia, ed è questo che fanno i movimenti popolari» (Fratelli Tutti, n. 116).

Il mese di ottobre è anche il mese del dialogo interreligioso, in particolare il 27 ottobre si celebra la Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico nata per contrastare l’ondata di islamofobia scatenatasi all’indomani dell’attentato alle Torri gemelle e alla proclamazione della guerra preventiva, dentro il paradigma dello scontro di civiltà. L’appello di quest’anno afferma, tra l’altro: “[…] sentiamo forte il bisogno di riscoprire l’umanità che tutti ci unisce […] sentiamo forte il bisogno di impegnarci contro le guerre, la produzione delle armi e contro l’ingiustizia sociale che nega il lavoro, le cure mediche, distrugge l’ambiente e ogni spiritualità basata sul riconoscersi fratelli e sorelle con un’unica Madre Terra da amare e difendere”. Un sentire che accomuna anche noi a tante persone di buona volontà. Siamo convinti che dall’incontro, la conoscenza reciproca, la solidarietà frutto dell’amicizia sociale possa nascere “un altro mondo possibile” dove la fratellanza non sia una mera parola, ma una pratica di vita nella quale la comunità della Rete Radiè Resch ha sempre creduto e si è impegnata a realizzare.

La visita della nuova segreteria al nostro piccolo gruppo (Covid-19 permettendo) rinsalderà di certo i nostri legami. Tutto cambia, ma l’amore è l’orizzonte che unisce passato, presente e futuro.

Il 19 e il 20 settembre il coordinamento della Rete si è riunito presso il monastero degli Stimmatini a Sezano (VR) per rinnovare la segreteria, essendo la precedente giunta alla scadenza biennale. E’ stato un incontro di profonda relazione umana (ne avevamo bisogno tutti) ancor prima del trattare la situazione dei problemi, sia locali che mondiali. Ne è risultato un impegno ad essere positivi e continuare a credere nella possibilità che attraverso le azioni quotidiane, a mettersi insieme in piccoli gruppi e a vedere il mondo nella sua universalità, siamo tutti interdipendenti. Ricominciare! Sembra una parola d’ordine. Ma da dove ricominciamo? E come? La quarantena è alle nostre spalle, o quasi, ma nulla sembra superato… o almeno non con quella tranquillizzante sensazione di soluzione trovata in tutti gli ambiti che forse qualcuno tra noi sperava. Però ricominciare si deve. Lo dobbiamo a noi stessi, al nostro futuro, ma anche al mondo che ci ruota intorno. Ricominciare si può, perché la resilienza è una forza innata di cui tutta la natura è capace da sempre, dalla prima comparsa sulla Terra. Siamo capaci di mutare, anche radicalmente, adattandoci alle nuove condizioni di esistenza. Certamente pur riportando ferite profonde, ce la faremo anche questa volta. Ce lo chiedono con forza i referenti dei progetti che condividiamo in Guatemala, in Brasile, ad Haiti, in Bolivia, in Cile, in Argentina, in Perù, ad Haiti, in Nicaragua, in Congo, in Centrafrica, in Ghana, in Palestina, senza un’assistenza reale. Un nostro referente ci ha raccontato che i cadaveri sono abbandonati ai lati delle strade, dove spesso si accaniscono gruppi di cani o che vengono comparsi di benzina per essere bruciati. E’ un urlo straziante che sale dal tutte queste realtà e purtroppo molte altre nei tanti Sud del mondo, dove la salute può permettersela solo chi può pagare. Ricordiamo anche il progetto a favore dei Medici contro la Tortura, operativo a Roma che accompagnano i profughi che provengono dalla Libia e da altre realtà dittatoriali. Abbiamo vissuto i tempi drammatici di Covid-19 dove la malattia e la morte sono state durissime nel nostro paese, questo mantello di sofferenza e tristezza si sta estendendo su tutta l’umanità. Sono ormai un milione le vittime contabilizzate in tutto il mondo. La malattia e la morte si stanno quasi naturalizzando nelle aree più povere, leggendo l’attuale contaminazione. Non basta vedere il Covid-19 isolato e di per sé. Dobbiamo vedere il suo contesto. Viene dalla natura che è stata attaccata dal tipo di rapporto che il nostro sistema produttivo mantiene. Non bastano scienza, tecnica, input, isolamento sociale, evitando gli assembramenti e l’uso della mascherina. Tutto questo è essenziale, ma la cosa più importante è sviluppare un rapporto amichevole con la natura e i suoi animali. Se continueremo con l’irresponsabile aggressione, la natura e la Terra reagiranno inviandoci virus ancora più pericolosi. Dobbiamo cambiare il paradigma, invece dell’intrusione, urge un lavoro di rispetto e di cura, perché la natura non ci appartiene. Noi apparteniamo alla natura, ne facciamo parte, tutto ci dà per la nostra vita, se non invertiamo la rotta, noi scompariremo ma la Natura continuerà. La svolta però sta nel come ricominceremo. Se sceglieremo cioè di trattare questo momento storico come uno dei tanti passaggi della nostra vita, fatto di traslochi, spostamenti, chiusure in un posto ed aperture in un altro, lasciando tutto esattamente uguale in noi, attorno a noi, nelle nostre aspettative, nello stile della nostra esistenza. Oppure se sceglieremo di ripartire con un’altra marcia, un altro passo, un altro stile, altre priorità. Mettendo al centro tutta l’umanità, nessun escluso.
E’ incomprensibile come poche decine di persone, oggi, posseggano la ricchezza di più della metà della popolazione mondiale.
E’ incomprensibile che si spendano ancora 1.875 miliardi di dollari all’anno per le armi.
E’ incomprensibile vedere come il mondo non va nella direzione del Bene comune ma verso la ricerca sempre più ossessiva della ricchezza privata.
E’ incomprensibile che 70 milioni di persone sono state costrette a fuggire dal proprio Paese.
E’ incomprensibile che 12.000.000 di ettari siano stati bruciati in Amazzonia in poco meno di un anno.
Urge una ricomposizione dell’umanità contro questa economia che uccide e crearne una nuova, per la vita, che includa e non escluda, per la salvaguardia di ogni donna e ogni uomo e del Creato.

il laboratorio segreteria: Caterina, Lucia, Nadia e Antonio

Circolare nazionale Rete Radié Resch – luglio agosto 2020

A cura della Rete di Casale Monferrato

Carissimi tutti,

la riflessione che, come gruppo, proponiamo a tutti i gruppi della Rete nasce dalla nostra discussione del 21 giugno, la prima nuovamente in presenza (all’aperto, a Quarti) dopo la lunga pausa dovuta alla epidemia di Covid e ai conseguenti divieti. A causa di queste norme è stato rinviato, tra l’altro, il convegno nazionale a Rimini (indicativamente riproposto nel 2021) e sono stati trasformati in incontri on-line i coordinamenti nazionali di questa primavera.

Nel nostro incontro abbiamo parlato, fra le altre cose, di scuola. Una scuola che in Italia è stata coinvolta in una chiusura prudenziale che ha suscitato malumori, ma poche riflessioni approfondite. Per lo più si è parlato della collocazione dei figli al momento in cui i genitori ritornano al lavoro, accentuando la percezione della scuola come forma di parcheggio sociale. Da parte dell’istituzione le difficoltà organizzative si sono sovrapposte ad una certa ossessione per la sicurezza (sia sul fronte normativo, sia sul fronte delle attese dei genitori).

Ora si è aperta una riflessione sugli spazi scolastici, nella prospettiva di un rientro a settembre. Gli edifici adibiti a scuole scontano però investimenti modesti negli anni, non facilmente recuperabili nel corso di una estate. Inoltre una scuola bloccata sull’organizzazione attuale della didattica, di fatto rende impossibile evitare assembramenti e contatti ravvicinati fra gli alunni. Mancano idee nella direzione di una scuola più aperta e mancano gli investimenti per realizzarla.

In questi mesi molti insegnanti hanno lavorato con impegno nella direzione della didattica a distanza e si sono resi conto delle ambiguità di questo modello. Non solo per le difficoltà tecnologiche (che ci sono, ma si possono superare), ma per le carenze motivazionali di molti ragazzi, soprattutto di quelli più fragili. In una situazione relativamente più “libera” occorre che i ragazzi stessi trovino motivazioni intrinseche all’apprendimento e per queste motivazioni occorre il supporto non solo della famiglia, ma anche del clima sociale nel suo complesso. Più che di un aiuto per i compiti, i ragazzi hanno bisogno di percepire nel loro contesto che la scuola è importante e vale la fatica che richiede. Nessun approccio accattivante della didattica può annullare il momento dello sforzo che aiuta a crescere (e per certi aspetti questo sforzo implica momenti di rifiuto e di ribellione che vanno elaborati).

Crediamo sia importante riprendere la questione scolastica, anche come forma di “restituzione” ai nostri ragazzi, a cui viene chiesto molto, in termini di formazione e di occupazione, pur essendo loro stessi meno coinvolti nelle implicazioni sanitarie di questa pandemia.

In chiusura crediamo sia doveroso ricordare, a 25 anni dalla morte, la figura di Alexander Langer, soprattutto per chi ha incontrato questo appassionato costruttore di ponti in alcuni momenti della propria formazione umana ed intellettuale.

Vi sentiamo vicini, come sempre, vi auguriamo un’estate serena.

Arrivederci a settembre.

Per la Rete di Casale

Roberto, Beppe e Cristiana

Circolare nazionale di Giugno 2020 – A cura della Rete di Salerno

Inventare e osare

Nel periodo di pausa forzata, oltre al dolore, la paura, la solitudine e l’insofferenza per le restrizioni, forse si son potuti vivere anche stati d’animo positivi: lentezza, silenzio, voce della natura, spazio e tempo per sé e per gli altri.

In molti abbiamo pensato che forse questa dolorosa esperienza poteva essere anche l’occasione per rinsavire, per renderci conto di quanto siamo schiavi di una corsa verso un benessere apparente che ci toglie anima ed energie per stare bene con sé stessi, con gli altri, con il pianeta.

La pandemia ha fatto emergere ancora di più i grandi danni di questo sistema (sanità, scuola…) e soprattutto le enormi disuguaglianze che produce sempre più.

Sembrava che anche la politica (o meglio la partitica) volesse far frutto di tutto ciò e ripartire in modo diverso…ma alla fine a prevalere è stato ancora una volta il profitto.

Finito questo periodo, infatti, ci rendiamo conto che tutto sta tornando, anche con una certa fretta, a quella normalità che non ci piace, perché ci calpesta tutti, soprattutto gli ultimi, continuando anche a produrne.

Ma non è mai detta l’ultima parola! Sono state tante, in questo periodo, le riflessioni e le letture che ci hanno sollecitato a non desistere, ma ad unirci per inventare ed osare.

Questa consapevolezza purtroppo non è ancora di tutti, ma da quanto ascoltato nei nostri video-incontri, sembra che la Rete sia proprio in questa scia.

Prima di tutto abbiamo osato le video conferenze, nonostante le resistenze e la poca familiarità con questi mezzi. (Qui WhatsApp ci avrebbe fatto inserire tante faccine sorridenti)

Ma ancora più importante è stato ascoltare l’esigenza di chiederci come “stare” in questo momento e come minimamente incidere, come essere Rete adesso.

Forum, comunità, nuovi stili di vita…parole e concetti emersi nei nostri ultimi incontri; tutto il lavorio, poi, che si avvia per una nuova forma di segreteria: breve, a staffetta, itinerante, giovane…danno un grande senso di laboratorio e, permettete, anche di spiritualità, intesa come alimento dell’agire.

Senza idolatrare, allora, la nostra realtà, osiamo intraprendere un nuovo cammino per essere rete nelle reti, per inventare spazi comuni nuovi, per un’appassionata politica di base.

Costruire qui certi percorsi, come ci dicevano Paul ed Ettore, significa dare un respiro più ampio al nostro contributo nei Sud del mondo e soprattutto contribuire ad amorizzarlo (citando Arturo Paoli).

Ognuno di noi ha letto ed ascoltato tanto in questi mesi e per fortuna anche testimonianze concrete e positive di un’altra normalità, e così le sollecitazioni sono tante. Abbiamo, inoltre, alcuni dei nostri progetti che sono veri e propri esempi di costruzione di comunità consapevoli e partecipative.

Non temiamo allora di pensare ad una nuova operazione, forse propedeutica a tutte le altre: un laboratorio di laboratori fisici e virtuali, di relazioni, contatti, idee, proposte.

Insieme per inventare e osare.

A cura di Lucia Capriglione

Rete di Salerno

 

“il periodo buio creato da qs pandemia può essere un’occasione per entrare in contatto con noi stessi e con Dio, rivalutare il ns modo di vivere, apprezzare ciò che è essenziale e riscoprire il valore della fratellanza e della solidarietà”
Stefan Ogongo, attivista per i diritti umani

Lettera circolare della Rete Radié Resch di Genova maggio 2020.
QUALE BELLEZZA SALVERÀ O POTRÀ SALVARE IL MONDO?
(cioè quale “luce”)

Innanzitutto buongiorno e lieti di poterVi nuovamente incontrare anche solo attraverso una circolare! Buona giornata a tutti, vi abbracciamo e vi auguriamo una Buona Seconda Fase! (non so come dire altrimenti…) Coraggio, anche solo la riconquista di un po’ di movimento, l’estate e il bel tempo ci invitano a un certo buonumore! …mentre attraversiamo questa tempesta che le nostre vite hanno incontrato inviamo il link di un articolo di Internazionale sulla crisi che i poveri vivono oggi in Perù, raccontando la vita di un Barrio di Lima (come si chiamano in Perù le Barraccopoli). https://www.internazionale.it/notizie/andrea-closa/2020/04/14/baraccopoli-lima-virus Ciascuno, leggendoselo per conto suo si accorgerà che l’articolo è al tempo stesso messaggio e vita concreta, e ci tira un bel pugno nello stomaco. Senz’altro l’articolo preso da solo comunica ben di più di quello che intendiamo comunicare noi con la ns semplice circolare. In essa scriviamo di qualcosa degli argomenti dibattuti in qs periodo coralmente nel nostro gruppo di Genova e inviamo pertanto una circolare frutto del lavoro di dibattito e riflessione locale, con la presunzione di scrivere qualcosa non di mirabolante e particolarmente acuto ma di autentico e sincero perché proveniente dal ns vissuto.
1 L’articolo di Internazionale ,… Inviamo l’articolo perché pensiamo che sia significativo dell’impegno della Rete e che inoltre le informazioni che ci giungono dagli stessi poveri sono le più preziose e autentiche in realtà …Se ci immergiamo nella lettura dell’articolo, comprendiamo che è solo dall’amicizia, attraverso i legami umani, che può giungerci e giungere a ciascuna persona la luce necessaria per continuare a vivere, a camminare, a sostenersi. Solo da una prossimità, fatta sì di aiuto concreto ma anche di semplice presenza amica e affettuosa può promanare una forza per continuare a sperare e vivere la vita.
2 Il ns progetto in Perù…Per quanto riguarda il ns progetto in Perù, nella città di Huancajo, nel quartiere popolare di Occopilla, Don Gaspare (ns referente e prete romano di anni 77 in Perù dal 1985) e la comunità preparano in qs periodo cene di prossimità, cioè di quartiere, per aiutare la popolazione. Si raccolgono in comune le cose che si hanno e/o che si riescono a recuperare, si mette tutto in una pentola comune, e così si mette in piedi, un pranzo o una cena per tutti. Così resiste la gente, attaccandosi l’una all’altra per non cadere…
3 E infine Genova… a Genova, in questi mesi, con le dovute proporzioni, è emersa nei ns incontri di Rete, la parola, l’idea della “comunità”. Anche iI prossimo Sinodo indetto dal Papa nel 2022, si intitolerà alla chiesa sinodale, in cui al centro troviamo un pensiero semplice e concreto, un programma di vita, “camminare insieme”. Pensiamo che entrambi i discorsi contengano “tensioni” che si incontrano. Un qualcosa che emerge dal nostro vivere quotidiano, che affiora come una vena aurifera dal terreno stesso dell’esistenza e che merita di essere valutato e preso in considerazione. È su questo argomento che intendiamo soffermarci.
4 L’IDEA DI COMUNITA’
Affrontiamo nella circolare l’argomento, intendendo proprio, come dice il titolo, “come quella bellezza che salverà o che potrà salvare il mondo” appunto. “Un po’ a tentoni e balbettando ” qui di seguito ne trattiamo alcuni aspetti:
a – la comunità viene intesa da noi prima di tutto come luogo di umanità; cioè come luogo di incontro in cui il criterio di giudizio e il primato sono dati all’incontro e all’accoglienza dell’altro. Questi valori governano o dovrebbero governare la ns vita e offrono riferimenti che spesso non sono abituali alla vita quotidiana. Si presentano inoltre intrinsecamente contestativi della vita sociale stessa e delle sue dinamiche. L’aria che si respira nella comunità dovrebbe essere quella della fraternità, della solidarietà e della condivisione.
b – ad essa si ha piacere di dedicare una parte significativa di sé stessi, del proprio tempo, perché la si riconosce importante.
La comunità diventa l’oggetto di una scelta, perché importante di per se stessa, brillante di luce propria… I principi di vita che si condividono sono il fondamento stesso del ritrovarsi e si riscopre con stupore talvolta la bellezza del donare e del donarsi reciprocamente…Sempre rimanendo su questa lunghezza d’onda pensiamo che per sua conformazione e struttura la comunità possa essere di per se stessa “luogo che produce” cioè nel suo cammino possa dimostrarsi luogo “incredibile di produzione di frutti imprevedibili e imprevisti”….
c – pensiamo inoltre ad essa anche come a un luogo ricostitutivo, in cui interiormente ci si possa “ricostituire”. Un luogo in cui sia data la possibilità di fermarsi, in cui sia “concessa ” la sosta e la riflessione, in cui chi ha bisogno “possa dimorare “. È il luogo in cui si arriva e “ci si siede” (perché non si ha fretta e quindi ci si abbandona volentieri in una dimensione di ascolto e disponibilità).
d – un luogo in cui ciascuno conta per sé stesso, per uno, in cui tutti possono riconoscere di avere la medesima dignità e parimenti il medesimo diritto di prendere la parola e confrontarsi. Sullo stesso piano.
e – infine pensiamo a una comunità situata, cioè non “astratta”, collocata in un momento storico e geografico ben preciso, in un luogo ben definito del tempo e dello spazio, con una vocazione ben chiara all’interno di un determinato contesto locale, sociale, esistenziale. Invitati perciò a fare delle scelte che ci determino e che siano espressione di “un ciò in cui si crede”. Un luogo anche in cui se si fa una cosa non ne si può fare un’altra, se si fa una scelta non ne si può fare un’altra…Una comunità che anziché inseguire molti stimoli e sollecitazioni, con il rischio di disperdersi, invece sceglie di approfondire, e scava, scava, scava su quella che è la sua missione, su quel “progetto”, su quel punto su cui e per cui ha scelto di esistere. Se non si approfondisce infatti a ns parere il risultato è la condanna alla sterilità.

– Concludo con il pensiero di papa Francesco a cui ci sembra di essere vicini con quanto cercato di comunicare soprattutto in questo ultimo punto.

“Per papa Francesco il tempo è superiore allo spazio perché la via dell’autentico progresso umano è un “processo”, che è in sé una funzione temporale. Visto che il tempo è fluido e mobile, rappresenta la chiave per evitare di rimanere “incollati” allo spazio, per così dire. Se cerchiamo di riempire lo spazio con soluzioni a breve termine e risposte crude e statiche ai problemi senza pensare a come possiamo davvero andare avanti da quel punto in poi, cortocircuitiamo il tempo e ci priviamo di un futuro più speranzoso” (dal sito Aleteia)

“Dare priorità allo spazio porta a diventar matti per risolvere tutto nel momento presente, per tentare di prendere possesso di tutti gli spazi di potere e di autoaffermazione … Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi. II tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce. Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, fin che fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci” (Evangelii Gaudium , cfr.223)

Buon proseguimento e buona estate.

la Rete di Genova

per la lettura si segnalano i libri:
– Pandemia e fraternità, La forza dei legami umani – Vincenzo Paglia, Piemme, 2020
– II crollo del noi – Vincenzo Paglia, Laterza, 2017

Lettera circolare Rete Radié Resch ai tempi del Coronavirus mese di Aprile 2020.

Care e cari,
non è facile affrontare i problemi in un flusso storico così anomalo, quasi un film di fantascienza.
Le linee di analisi da me scelte e che vi sottopongo – spunti che invitano ad un dibattito – sono almeno tre:
il movimento femminista (nonunadimeno)
le proteste per l’inquinamento globale
le disuguaglianze (1% contro 99%).
Il cinismo dei potenti si esplicita sempre di più: la scomparsa di anziani emarginati, di esclusi, alleggerirà istituti previdenziali e assistenziali. Quel welfare già in parte smantellato.
Meno crudele fu la peste nera: i lavoratori decimati allora favorirono la loro forza contrattuale. Oggi il turbocapitalismo non abbisogna di un esercito industriale di riserva, ma di individui fisicamente separati, connessi al cervello dell’impresa e telecomandati.
Siamo su una macchina impazzita: dove sono le classi dirigenti?
Non abbiamo un Roosevelt o un Keynes.
Non può tornare tutto come prima. Stiamo vivendo la Storia: solo le idee possono cambiare il nostro tempo.
Torniamo quindi al primo percorso: il neo femminismo.
Parliamo di donne, sfruttate da quel vecchio sfinito sistema patriarcale capitalista, che riduce al silenzio i corpi che ancora crede di possedere.
Quante cose possiamo rivendicare?
Non è vetero femminismo, è spiegare il legame tra modello capitalista, che riduce al silenzio ogni corpo oppresso, e la voce delle donne.
Ogni giorno ascolto la loro protesta globale: indigene, europee, italiane.
Proponiamo un’alleanza di corpi, noi stessi e la comunità. Reti e reti senza tregua.
Il secondo percorso è la lotta globale della gioventù contro l’inquinamento.
Da Marcelo Barros a Le Monde diplomatique, ed altri ancora, si pone l’ecologia come freno alle pandemie.
La distruzione della natura è il frutto del modello neoliberista. L’ecologia profonda invece rappresenta il legame tra i viventi, è cosmocentrica e presuppone una continua conversione del cuore. Vi è inoltre una relazione tra difesa della natura e rifiuto dell’ideologia maschilista.
Come Greta insegna, e qui non voglio ripetere, i costi della giustizia climatica non devono ricadere sui popoli poveri, ma sono connessi alla redistribuzione delle ricchezze e all’uguaglianza.
Esaminate le diverse emergenze, devo dire che non siamo tutti sulla stessa barca.
L’1% guadagna dall’inquinamento: sono i grandi magnati che hanno potere e ricchezze.
Noi, il 99%, siamo esclusi dai beni comuni, spesso dall’elementare sopravvivenza.
Ma siamo a un cambiamento radicale di sguardo e di progetto.
La Politica, molto attuale, va vista come strumento di un rinnovamento di civiltà, un approccio etico che ci ha abbandonato.
Come scrive Norberto Bobbio, dobbiamo nutrirci di una “cultura storica, umana e umanistica che permette di distinguere, senza possibilità di sbagliarsi, la civiltà dalla barbarie, i germi di progresso da quelli di decadenza, la durevole conquista dall’avventura, il pensiero dalla retorica”.
Vorrei aggiungere infine il punto di vista di una sedicenne, una voce nuova che ci interroga fuori dagli schemi e forse anche dalle buone maniere.
“Penso agli adulti, marionette lavoratrici, affannate dietro compiti quotidiani. Ecco che comincio a riflettere e penso quanto voglio che sia diversa la mia vita adulta. La voglia di cambiare il mondo che non deve sparire sotto una coperta di frustrazioni, che generalmente recano gli obblighi dell’età.
E come se abbandonando la gioventù, l’uomo entrasse nell’ottica che il divertimento si è chiuso. La vita familiare lavorativa assorbe tutte le energie, prosciuga le forze vitali e annienta gli entusiasmi. L’uomo adulto si sente condannato, vive di rimpianti.
Ma è la società che ci annega in questa idea malata.
Basta!
Basta ottusità!
Svegliatevi generazione di futuri adulti. Le occasioni ci sono basta aprire gli occhi.
Gli ideali per cui lottavate allora sono quelli per cui lottano i vostri figli.
Un’alleanza di generazioni che porterebbe al cambiamento.”

A cura di Maria Teresa Gavazza- Rete di Alessandria

Lettera circolare Rete Radiè Resch del mese di Marzo 2020.
Barala kwè! Un grande e caro saluto!
Si intende per “zona rossa” un’area soggetta ad un alto rischio di carattere sociale, ambientale o d’altro genere, può essere istituita temporaneamente o definitivamente e può essere interdetta al pubblico.(Wikipedia)
Queste righe sono scritte dopo aver trascorso dieci giorni a Bangui ed essere tornati in un Italia che ha dovuto mutare il proprio quotidiano in modo repentino e a noi sconosciuto.
Federico, Morena ed io siamo arrivati a Genova alle 12.40 di martedì 10 Marzo sul primo volo atterrato in Liguria “zona rossa”, dopo aver vissuto dieci giorni in territorio di guerra. Guerra infame, diffusa, invisibile, sfuggente, guerra senza volto e nascosta al mondo.
Tutta la Repubblica Centrafricana è “zona rossa”.
A Parigi ci siamo ritrovati stretti stretti in un ascensore -quindi a rischio di contagio- con un gruppo di persone spaesate ed impaurite abbigliate in foggia musulmana. Federico ha riconosciuto la sigla sui documenti degli accompagnatori: profughi siriani in corridoio umanitario.
La Siria è “zona rossa”.
Il coordinamento della Rete ha inserito il video “La nascita di Zoukpana”, nel programma del prossimo Convegno in qualità di testimonianza dal Centrafrica ed ha finanziato la “produzione” per una cifra pari al costo di un biglietto aereo.
Zoukpana è il gruppo di giovani universitari Centrafricani che siamo andati ad incontrare dopo un anno di lavoro svolto “là” da loro e “qui” dal collettivo SE con la Rete di Quiliano (sito: www.zoukpana.it).
Questa breve lettera non vuole sostituire il “diario di viaggio”che andrà ad integrare quello del 2019 pubblicato sul sito della Rete.
Poche righe per prestarvi i miei occhi mentre guardano Annik, Samba, Morena: le Ragazze; DieuBeni, Bonaventure, Chrisnol, Bienvenu, Federico, Georges, Brice: i Ragazzi.
Ridono mentre camminano lasciandosi fisicamente sfiorare da camionette con mitra montati sopra. Ridono alla veglia funebre della mamma di Annik – mancata a 38 anni- perché fa parte dello stare lì, tutti insieme e del ricordare la Defunta.
Ridono per quelli che nel culmine delle discussioni più tese sdrammatizzano con una battuta.
Ridono condividendo pasti improvvisati, impastati di sudore e polvere.
Ridono a Bangui incandescente, che manifesta contro l’ONU, contro il governo, che lancia pietre, riceve lacrimogeni e spari dalla guardia presidenziale finanziata da ONU, Russia, Cina, Europa, Francia…i nostri soldi.
Dal resto del Paese un bollettino permanente di scontri, incendi e vittime.
Il 70% della popolazione ha meno di 24 anni, cammina sulle strade, compra un frutto, chi può studia, gli altri si arrangiano in microeconomia di sussistenza.
E poi c’è chi veste una divisa ma ha pur sempre meno di 24 anni.
Le studentesse e gli studenti di SE e Zoukpana sono belli, vestiti con cura e colore, emanano forza, hanno sguardi intensi. Sono persone molto intelligenti. Hanno scelto di lottare scrivendo, denunciando. Prendono posizioni forti, si espongono. Chiamano “tiranno” il presidente.
Hanno costruito questa relazione che dura da un anno ed esula da ogni schema strutturato di solidarietà: una delle Storie che piacciono alla Rete la quale ci crede e la sostiene (ancora un invito a visitare il sito www.zoukpana.it che racconta il loro lavoro).
A volte si guardano quasi increduli nell’impossibilità di “definirsi”: ONG, associazioni, religiosi, volontari pullulano in città e loro non sono niente di tutto questo.
Dopo un po’ di giorni non percepisco più che sono bianchi e neri. Non li distinguo. Il virus che ci colpisce è maledetto perché costringe all’isolamento “zona rossa in cui le persone per combattere il pericolo devono stare lontane e tenute nella paura”.
Bangui è “zona rossa in cui le persone per lottare stanno vicine e ridono”.
Le Ragazze ed i Ragazzi del collettivo Zoukpana hanno 52 anni di speranza di vita. Le Ragazze ed i Ragazzi del collettivo SE hanno 82 anni di speranza di vita.
Mi rifiuto di pensarci mentre li divoro con gli occhi e con l’anima, li abbraccio, li coccolo ma Federico e Morena hanno ben chiari gli incontri con i miei amici coetanei Centrafricani ed i lunghi e penosi “censimenti”.
52 vs 82 sono 30 stramaledetti anni di infami “zone rosse”.RESISTERE! RESISTERE! RESISTERE!

Caterina Perata rete di Quiliano con supervisione di
Morena Rossello e Federico Olivieri Collettivo SE

CIRCOLARE NAZIONALE FEBBRAIO 2020

Cosa hanno in comune il Presidente degli Stati Uniti ed una ragazzina svedese di 17 anni? Perché una parte non secondaria della battaglia per la salvezza del pianeta passa dal loro scontro? Sono realmente interlocutori?

E’ abbastanza agevole dare risposta all’ultima domanda: sì, Greta Thunberg e Donald Trump sono sicuramente interlocutori. Lo sono perché i media danno voce al loro confronto; lo sono, soprattut-to, perché Trump ha riconosciuto la giovane svedese come tale.

Quando, infatti, nei propri tweet, più volte l’ha attaccata, facendo mostra della propria consueta ar-roganza e fornendole l’occasione per replicare, ne ha, di fatto, riconosciuto il ruolo. Grave errore, che conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, la totale incapacità di analisi politica dell’uomo e del suo staff, abilissimi a manipolare il consenso interno, ma incapaci di leggere la realtà al di fuori dei rapporti di forza, economici e militari.

E’ anche vero che il futuro del nostro pianeta passa, in parte, dal loro scontro, soprattutto alla luce del significato simbolico che essi assumono. In una parola, non conta tanto chi siano, quanto cosa rappre-sentano.

Il Presidente degli Stati Uniti è, a buon diritto, considerato l’uomo più potente della terra. Maschio, adulto, titolare di un importantissimo ruolo istituzionale. Greta Thunberg è una totale outsider: fem-mina, adolescente, priva di qualsiasi potere formale. Anche il fatto che sia affetta dalla sindrome di Asperger la rende, almeno nell’immaginario comune, particolarmente vulnerabile: non a caso, un altro raffinato maître à penser, come il vice-premier ungherese Gergely Gulya l’ha definita “una bambina malata”.

Eppure, a ben pensarci, sono assolutamente speculari.

Trump, come acutamente osserva la Segreteria nella scorsa circolare, costituisce l’ultimo frutto, il più avvelenato, del capitalismo arrembante, insensibile a qualsiasi argomento che non sia il profitto im-mediato. Ha costruito il proprio potere economico sulla totale mancanza di scrupoli ed il proprio po-tere politico sul sovvertimento delle regole democratiche. Greta rappresenta il suo esatto opposto: la ragazzina che non conta nulla ma il cui grido “Ci avete rubato il futuro!”, ha fatto il giro del mondo.

Trump rappresenta l’ultima degenerazione del modello neoliberista, che vede il proprio faro nella ri-cerca del profitto e piega ogni risorsa ambientale e ogni modello economico ai propri fini. Greta, at-traverso il proprio allarme per il futuro del pianeta, ci getta in faccia l’inderogabile necessità di supe-rare quel modello. Il solo fatto che le manifestazioni da lei organizzate si tengano, tutte, di venerdì’, giorno lavorativo e produttivo, costituisce già, a suo modo, una sfida. Questa la ragione per cui il Presidente degli Stati Uniti si preoccupa di una ragazzina.

L’economia (o, almeno, un certo modo di intenderla), contro l’ecologia.

Una sfida impari? Vediamo.

Una delle radici del modello neoliberista risiede nel fatto che tende a favorire un numero sempre più limitato di persone. Le disuguaglianze sociali aumentano, la ricchezza si concentra nelle mani di po-chi, la classe media si impoverisce o scompare, i lavoratori sono sempre più sfruttati, i cambiamenti climatici privano enormi masse anche dei minimi mezzi di sussistenza. Anche le tutele fornite ai cit-tadini dai sistemi democratici, dove esistono, si sfaldano di fronte allo strapotere delle multinazio-nali e dei gruppo di pressione. La stessa democrazia è in crisi. La protesta viene astutamente incanala-ta in manifestazione razziste e xenofobe.

Il potere si concentra sempre più nelle mani di pochi, una specie di club esclusivo che governa i de-stini del mondo. Il prezzo di tutto ciò è sempre la progressiva perdita del senso della realtà. Poche persone, nei loro rifugi dorati, che neppure più comprendono le esigenze e le aspirazioni dei propri simili. Né è emblema il pervicace rifiuto di Trump di riconoscere l’esistenza di ciò che è, ormai, sotto gli occhi di tutti: il cambiamento climatico, le sue cause e le sue drammatiche conseguenze. Trump è, a suo modo, sincero: non vuole vedere, perché non può vedere.

Ma il genere umano mostra tracce di resilienza: contro un potere maschio che si fonda sulla forza economica, politica e militare, sta nascendo una resistenza femmina che ne mostra tutti i limiti, nello sfruttamento della persona umana e nella scellerata dissipazione delle risorse ambientali, per loro natura limitate. E sono pronto a scommettere che, in questo momento, in molte parti del mondo stanno nascendo altre realtà completamente diverse ma, al contempo, molto simili nella loro identità profonda: lo testimonia anche la recente polemica sulla censura cui sono state sottoposte, a Davos, altre attiviste che, a differenza di Greta, hanno l’ulteriore difetto di non appartenere neppure alla cultura occidentale.

Come sempre in questi casi, la sfida sarà, per tutti questi ragazzi, quella di passare dalla protesta e dal rifiuto ad una proposta concreta e organizzata. Già ci hanno insegnato che gli schemi della politica novecentesca, a tutti noi così cari, sono superati dai fatti: speriamo trovino – e in fretta – il loro modo di fare politica, senza perdere la loro identità giovane e femminile.

Rete Varese

Circolare nazionale di Gennaio 2020 – A cura della Segreteria

Care amiche e cari amici della Rete,
E’ appena arrivato il nuovo anno, e non c’è modo migliore per accoglierlo che rinnovare impegno e speranze verso un mondo finalmente giusto e fraterno.
Si avvicina la data del nostro Convegno nazionale (Rimini, 17-18-19 aprile) e negli ultimi mesi, tra scambi di e-mail e Coordinamenti, abbiamo dibattuto molto sui suoi possibili temi, relatori, testimoni e modalità. Come Segreteria abbiamo pensato di scrivere la prima circolare dell’anno per aggiornarvi su questo intenso, appassionato e vivace dibattito, in modo che anche chi non può partecipare ai coordinamenti sia al corrente delle idee e delle proposte che daranno vita all’incontro nazionale di aprile. Indubbiamente e come sempre, sarà occasione preziosa per ascoltare le testimonianze dirette di protagonisti delle lotte di liberazione, vicine e lontane, per confrontarci fra di noi e con loro sul senso del nostro impegno comune, alimentando la speranza e ritrovando motivazioni per un rinnovato slancio.
A proposito di confronto, una delle novità principali del prossimo Convegno vorrebbe essere un pomeriggio dedicato allo scambio fra reti locali, in cui condividere esperienze, idee, riflessioni, iniziative e azioni concrete in modo da favorire un confronto utile sia per conoscersi meglio sia per diffondere nuove buone pratiche.
Per quanto riguarda invece il tema centrale del Convegno, sono emerse diverse proposte ed idee, che dovrebbero trovare una sintesi nel Coordinamento di fine gennaio. Inizialmente si era pensato di puntare sui cambiamenti climatici e sulle loro conseguenze, in particolare per quel che riguarda le popolazioni del Sud del mondo. Si è poi proposto di ampliare il discorso alle cause generali dei cambiamenti climatici, che sono ancora una volta da ricercare nell’ingordigia di un capitalismo arrembante, insensibile a qualsiasi argomento che non sia il profitto immediato. Da più parti è anche emerso il tema della crisi della democrazia, ostaggio di una politica corsara, che alimenta paure ed odio, si nutre d’inganni e disprezza la verità ed il sapere. A livello internazionale basta pensare a Trump, alla vicenda della Brexit, alle preoccupanti involuzioni di alcuni paesi dell’Est Europa, per non parlare della Turchia, del Brasile di Bolsonaro, del Cile … Ma basta guardare anche in Italia, per capire come la democrazia sia sempre più debole e a rischio. Un segnale di ribellione a questa involuzione generale della politica sono i movimenti di protesta che stanno infiammando le piazze di tutto il mondo, sia per rivendicare il ritorno ad un sistema democratico là dove questo è gravemente compromesso, sia per chiedere l’avvento della democrazia in paesi dove non c’è mai stata o manca da troppo tempo. Dal Cile ad Haiti, dall’Iran al Libano, da Hong Kong alla Bolivia, dall’Algeria alla stessa Francia, i popoli sono in rivolta, ma anche i movimenti giovanili dei Friday for Future stanno protestando nelle piazze di tutto il mondo contro il sistema economico e politico che ignora il riscaldamento globale e le sue conseguenze per la sopravvivenza della vita sul pianeta.
Anche in questo caso si è cercato di risalire alle cause della degenerazione della politica a livello mondiale e si è individuato un denominatore comune nel modello neoliberista, che negli ultimi 40 anni ha dominato il mondo. Secondo Joseph Stiglitz, Nobel per l’economia 2001, questo modello ha aumentato le diseguaglianze, ha svuotato le democrazie e sta distruggendo il pianeta.
Per questo l’orientamento prevalente per la scelta del tema del prossimo Convegno è proprio la crisi del neoliberismo, che nelle società più giovani si manifesta nei movimenti di rivolta e in quelle più vecchie nell’egoismo delle politiche sovraniste, razziste e xenofobe.
Naturalmente questo tema potrà essere declinato in vari modi e con diverse sottolineature: saranno i relatori e soprattutto i testimoni che verranno a Rimini in rappresentanza dei nostri progetti a farci un quadro delle varie situazioni e ad offrirci, in un confronto propositivo, possibili alternative e visioni di speranza per il futuro.
Tra queste speranze vorremmo inserire le esperienze delle piccole comunità solidali, che in varie parti del mondo sperimentano modi diversi di realizzare vie alternative all’economia di rapina, cercando di ricucire le lacerazioni dolorose che dividono l’umanità. Vorremmo poterci confrontare con loro e fra di noi per capire come la storia della Rete possa rinnovarsi nella solidarietà e nell’ascolto dei “poveri che fanno la Storia”.

In questo scenario, una parte importante del Convegno pensiamo possa essere realizzata dai giovani. Si sta valutando la fattibilità di una parte del convegno riservata a loro, come è avvenuto negli ultimi convegni, pensando a momenti comuni e altri diversificati. Tra le difficoltà che si sono sempre incontrate in questi casi, una delle principali è la conciliazione della presenza dei giovani al Convegno con i loro impegni scolastici, elemento che impedisce presenze più numerose e complica il lavoro di co-organizzazione. Ci sono però già alcune proposte concrete: una riguarda la presentazione di un video realizzato da un gruppo di giovani africani di Bangui (Repubblica Centrafricana), con l’aiuto di un gruppo di giovani italiani, che affronta temi politici, ecologici, sociali e che potrebbe costituire una significativa testimonianza dall’Africa. Si sta poi pensando alla realizzazione di un altro video, sempre affidata ai giovani, che dovrebbe essere utilizzato come introduzione generale al Convegno. Altre idee sono al vaglio della Commissione Giovani e se nelle varie reti locali ci sono proposte in merito sono le benvenute.

In ogni caso, l’ascolto dei testimoni sarà l’elemento centrale del Convegno, come è sempre avvenuto nella storia della Rete. Sono loro a portarci punti di vista diversi, a darci informazioni di prima mano, e non manipolate, sulle situazioni di conflitto che stanno vivendo, sulle conseguenze dei cambiamenti climatici, sulle disuguaglianze crescenti, sulle modalità peculiari con cui attuano forme di resistenza al modello economico imperante. Sta a noi, in umile ascolto, l’intelligenza di trovare denominatori comuni e interdipendenze e di trarre, se possibile, alcune indicazioni.

Come sempre al Convegno è prevista la presenza di banchetti per la presentazione e vendita di prodotti artigianali provenienti dai progetti delle singole reti. Anche quest’anno chiediamo a tutte le reti che intendono essere presenti con il loro materiale di segnalarlo per tempo alla Segreteria, in modo da poter predisporre gli spazi adeguati e organizzare la dislocazione. Allo stesso modo, chiediamo già fin d’ora a tutte le reti locali che intendono presentare interventi al Convegno, nell’apposito spazio previsto per il confronto fra reti, di segnalarlo alla Segreteria, che valuterà le modalità e i tempi più opportuni per organizzare questo momento, che rappresenterebbe una novità rispetto al passato e che potrebbe diventare un momento di confronto utile e significativo.
Sperando di aver tracciato un quadro sufficientemente rappresentativo del dibattito in corso all’interno della Rete, ci auguriamo che anche il prossimo Convegno nazionale sia molto partecipato e possa dare a ciascuna rete e a ciascuno di noi singolarmente l’occasione per un incontro di amicizia e di confronto e possa essere uno stimolo per infondere nuovi motivi di speranza.

La Segreteria
Maria Angela, Maria Cristina, Fulvio

CIRCOLARE NAZIONALE DICEMBRE 2019

Melange du Senegal

Questi frammenti, vissuti e raccolti a 4 mani, sono i brandelli che il cuore e la memoria restituiscono di un viaggio estivo in Senegal. Per Monica e Marco una porta d’entrata sull’africa nera, per Simona e Pier l’assolvimento di un pellegrinaggio dovuto, alla tomba di Mar, caro amico ed orgoglioso Griot .
Qualcuno di voi, forse, ricorderà la sua presenza scenica, ad un Convegno della Rete a Rimini, in cui cantava la storia della sua gente suonando e ballando al ritmo del proprio Djembé.

Un Sereno Natale alla Rete tutta ___________________________________________________________________________________________________

Sulle foto che accompagnano sempre i miei viaggi cerco di fissare attraverso un’immagine ciò che i miei occhi vedono in quel preciso istante. Spesso accade che riguardando quelle stesse foto, io riesca a cogliere sfumature, particolari che inizialmente non avevo percepito. Vorrei perciò condividere i ricordi dei giorni vissuti in Senegal, come fossero fotografie, immagini che scorrendo rivelano i mille volti di un mondo apparentemente lontano: – tanti, tantissimi colori – tanti, tantissime persone, ovunque – bambini che corrono, che giocano, che lavorano – sorrisi – sguardi – poche parole, essenziali e pronunciate a bassa voce – il tempo che si dilata – la condivisione vissuta nel cibarsi allo stesso piatto usando semplicemente le proprie mani ; nella preghiera che scandisce i vari momenti della giornata e che, al richiamo del Muezzin vede i fedeli fermarsi con naturalezza in ogni angolo delle strade, inginocchiarsi e pregare e rialzarsi … e la vita continua; condivisione che vuol dire che ciò che si possiede possa essere usato anche da altri: sembra non esserci un confine definito tra ciò che “è mio” e ciò che “è tuo”. Per cui se sono stanco posso appoggiarmi ad un’auto parcheggiata anche se non è mia; se non so nuotare, so che posso usare il salvagente di qualcun altro; se non ho il tappetino per inginocchiarmi e pregare, qualcuno metterà il suo a disposizione; se non ci vedo, troverò una spalla a cui appoggiarmi che possa aiutarmi ad attraversare la strada.

Naturalmente molte sono le contraddizioni di quel popolo che sembra non aver ancora imparato come prendersi cura delle città o dei villaggi, come gestire la propria casa, come organizzare il lavoro, un dispensario medico o la scuola…secondo la “nostra prospettiva”, però!

Per cui un dubbio mi è rimasto: è giusto che siamo noi a dire quali debbano essere i criteri del vivere sociale di chi ha alle spalle una storia ed una cultura così diversa dalla nostra?

Ritengo che tutti abbiamo qualcosa da insegnare e qualcosa da imparare: solo nel confronto e nello scambio possiamo diventare migliori! ”. Monica – Rete Locale di Torino & Dintorni

E’ sbagliato scrivere di qualcuno senza averne condiviso un po’ la vita R. Kapuscinski

Delta del Sine Saloum, fiume del sud del Senegal, in attesa di essere attraversato.
Salgo su una chiatta insieme a macchine, camion, carretti , animali e persone affidandomi nelle mani del mio Dio per arrivare sull’ altra sponda.

Il mio sguardo è catturato da una donna seduta per terra con il suo bambino di tre quattro anni.

Vorrei fotografarla ma lei è islamica e la sua religione non ha mai saputo affrontare l’immagine del viso: la sua arte ignora il ritratto.

Lei bellissima, dai lineamenti fini sotto il velo, si volta, mentre il suo bambino mi osserva.
Cerco un contatto visivo, ma invano. Il suo sguardo rimane impassibile: d’altronde i poveri sono silenziosi.

Voglio immortalarli ma la chiatta è piccola e siamo in tanti, tutti pigiati nel fango e nel grasso. Mi ricordo, all’improvviso, della tecnica usata da nostra figlia in Iran e metto l’apparecchio fotografico al collo posato sul ventre schiacciando più volte alla rinfusa.

Più tardi, riguardando, mi accorgo di essere riuscita a cogliere un ritratto familiare che rimarrà stampato per sempre nella mia memoria africana con un sentimento di profonda nostalgia.

Ogni immagine è quindi un ricordo e niente più della fotografia ci dimostra la fragilità del tempo, la sua natura labile e fuggevole.” R. Kapuscinski

Simona – Rete di Celle Ligure – Varazze

La cosa che più mi ha colpito in Senegal è la presenza costante dei bambini. Tanti, ovunque.
Alle nostre latitudini non siamo più abituati. Certo è una realtà molto frequente per qualsiasi viaggiatore nel continente africano, tuttavia nella mia esperienza non posso fare a meno di soffermarmi sulla capacità di ogni singolo bambino di accogliere senza filtri, senza paura e con il sorriso. Un sorriso pieno di curiosità ed attesa, forse solo per un piccolo dono, una matita o una caramella. Dieci giorni in Senegal equivalgono a sei mesi altrove, ci si addentra in un mondo diverso, dove anche l’approccio col bambino è differente: un occidentale appena un bimbo piange si precipita a coccolarlo, a tirarlo su da terra … lì i bimbi crescono da soli, si accudiscono e si educano a vicenda ma lo fanno da bimbi, vivono la loro infanzia serenamente senza contaminazione da beni superflui o desideri dettati dai media, senza smania di prevaricazione sul prossimo. Tutto viene condiviso con un’educazione che passa dal più grande al più piccolo e rimane per tutta la vita.

Questo è l’aspetto più semplice ed immediato, poi ci si confronta con tradizioni che hanno radici lontane, legate ad un mondo semplice e rurale ma a volte anche difficili da comprendere, come la poligamia che ha un aspetto di naturalità per loro ma ha un impatto surreale su di noi.

Ho vissuto con un certo disagio la conoscenza delle due famiglie del nostro amico, sapendo che divide la sua settimana a metà tra le due case. Ma anche questo è motivo di riflessione sui nostri stereotipi e preconcetti.

Ed ancora il “senso di ovvietà ”, che vede un battello aspettare di essere al completo per partire ed il tempo ed il ritardo diventano relativi rispetto ai numero di persone che devono attraversare il fiume. Raramente si vedrà il battello partire con posti vuoti.

E poi ancora il mangiare condividendo lo stesso piatto, ed il modo di vestire colorato, di pregare o percorrere centinaia di chilometri senza un cartello stradale o un semaforo.

Il tutto in una cornice di natura imponente, gigantesca, capace di accogliere quando si è delicati.

Tutto questo ha un senso se ricollocato nei termini di rispetto e confronto. La nostra cultura per secoli ci ha abituato ad avere un atteggiamento di superiorità da cui spesso faccio fatica a staccarmi e nel viaggio ho ripercorso più volte la tentazione di semplificare, banalizzare o strumentalizzare.

La cultura è ciò che rimane quando si sono dimenticati tutti i concetti ”.

Marco – Rete Locale di Torino & Dintorni

La vera cultura è mettere radici e sradicarsi. Mettere radici nel più profondo della terra natia.
Nella sua eredità spirituale. Ma è anche sradicarsi e cioè aprirsi alla pioggia e al sole, ai fecondi rapporti delle civiltà straniere
Léopold Sédar Senghor

L’incontro con l’Africa Nera è, per me, sempre un incontro con la Vita.
Dal lato misterioso. Quello più corposo ed oscuro. In qualche modo temibile ….
Tutte quelle esistenze perennemente in movimento che scorrono in una realtà fluida. Circolare.
Senza soluzioni di continuità tra Vita&Morte.

Con la mia lanterna della ragione, osservo e misuro.
Un centimetro da sarta steso sull’onda di un flusso liquido.
Ci sarà un senso logico. Penso.

Sono necessarie dense emozioni e sentimenti forti. E … una buona dose di pazienza africana.

Dieci giorni di quotidianità condivisa, nel rispetto delle differenze, con una famiglia che Ti aspetta da anni. Uno scarno sepolcro musulmano. Le lacrime di Fatou, sorella di Mar, che Ti riconosce fratello solo per come Lui ti ha raccontato.

Recupero, nel sottoscala della ragione, qualcosa di ancestrale, sepolto da un oblio di efficientismo.

Allora, con il cuore, colgo davvero il significato delle parole di Senghor:
il reale diventa realtà spezzando il rigido involucro della ragione …….. e ancora ………….
gli oggetti non significano solo ciò che rappresentano ma ciò che suggeriscono o creano.

Pier – Rete Locale di Celle Ligure – Varazze

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