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CIRCOLARE NAZIONALE SETTEMBRE 2021

Scrivo queste righe prima di tutto per me, per mettere ordine ai pensieri, su un tema che mi interroga da tempo; ma spero che questa piccola riflessione possa essere utile anche ad altri.

Lo faccio, sulla spinta di due eventi: la lettura di un libro (“Quello che non ti dicono”, di Mario Calabresi) ed una chiacchierata con Pier Pertino, sui fatti del G8 di Genova: con Simona lo abbiamo, infatti, pregato di narrare ai nostri figli gli episodi a cui ha assistito.

Calabresi racconta la vicenda di Carlo Saronio, rampollo di una ricchissima famiglia milanese e ricercatore presso l’Istituto Mario Negri, entrato a far parte di Potere Operaio, rapito per ottenere un riscatto ed accidentalmente ucciso, dai suoi stessi compagni. Il libro è anche un’occasione per ri-costruire “dall’interno” il contesto che ha dato origine al terrorismo di sinistra.

Mentre leggo, non posso fare a meno di pensare che si tratta, per forza di cose, un racconto di parte. Come è noto, Antonio Calabresi è figlio di Luigi, Commissario dell’Ufficio Politico della Questura di Milano, ucciso il 17 maggio 1972, (almeno a quanto ha stabilito il processo) da una cellula di Lotta Continua. E non posso fare a meno di pensare all’anarchico Giuseppe Pinelli, volato fuori dalla sua stanza della Questura di Milano, nella notte tra il 15 ed il 16 dicembre 1969. Un suicidio, secondo la versione ufficiale, anche se non risulta che avesse motivi per togliersi la vita ed era trattenuto illegalmente in Questura, scaduto ampiamente il termine di quarantotto ore, allora previsto per il fermo di polizia.

Mi disturba, quindi, vedere la Polizia assiomaticamente collocata tra buoni: ne conosco bene i metodi di oggi e di ieri (Scuola Diaz, Bolzaneto) e non faccio fatica ad immaginare quelli dell’altro ieri.

Ciò malgrado, Calabresi offre un interessate spaccato di quegli anni e di quegli eventi. Eventi a cui non ho partecipato (ero un bambino) e che conosco solo per la vulgata ufficiale e per qualche racconto di chi c’era. Del resto, non c’ero nemmeno nel luglio 2001: mentre i manifestanti venivano massacrati e Carlo Giuliani era ucciso a Piazza Alimonda, io e Simona, sposati da poco, stavamo iniziando ad organizzare il nostro primo viaggio in Sud America, in visita ai suoi parenti uruguaiani, che avremmo fatto l’inverno successivo

Ma anche questo mi collega al libro, perché le tecniche di lotta armata utilizzate dai sequestratori erano mutuate da quelle di guerriglia urbana dei Tupamaros, che si opponevano alla dittatura fascista allora al potere proprio in Uruguay. Dittatura che i parenti di Simona (notai e piccoli proprietari terrieri) definivano, nei loro racconti, “non particolarmente sanguinaria”. Ero, come dire, dalla parte sbagliata anche quella volta.

Ma i collegamenti non finiscono qui: una delle principali fonti del libro, certamente la più citata, è Gianni Tognoni, allora amico intimo di Carlo Saronio, poi fondatore del Tribunale Permanente per i Diritti dei Popoli ed interlocutore delle Rete per moltissimi anni.

Insomma, la Rete nasce nel brodo di coltura descritto nel libro. Non solo: in quel contesto, chi aderisce alla Rete fa, per quello che posso capire, una scelta profondamente controcorrente: non la lotta armata, non lo scontro tra rigidi schieramenti ideologici, ma un lavoro di analisi che va alle radici del sistema, un’opera di controinformazione che privilegia la testimonianza diretta dal sud del mondo, l’opzione definitiva per piccoli progetti a favore di chi non ha voce.

Credo sia per questo che un’organizzazione che nasce da ideali tipicamente novecenteschi, si sia insinuata così profondamente nel nuovo millennio

Ora, chi si illudeva di cambiare il mondo con la scorciatoia della violenza, ha certamente fallito. E noi?

Abbiamo attraversato il vento della Storia, ma la nostra incidenza su di essa è stata assolutamente marginale. Non abbiamo neppure intaccato il Sistema che, anzi, si è consolidato ed evoluto in direzione opposta alle nostre speranze. Quello che tentavamo di contrastare nel sud del mondo, ora lo abbiamo alle porte. Il cappio si stringe anche attorno al collo delle nostre nuove generazioni.

Certamente, siamo stati parte di moltissime storie e ne portiamo la memoria, i legami, i doni e le ferite.

Oggi, però, mi (ci?) assale una sensazione di impotenza e di inadeguatezza. I numeri calano, le forze diminuiscono, è forte la sensazione che nessuno ci ascolti o, forse, ci capisca. Il nostro sistema di valori, così chiaro nel mondo di cinquant’anni fa, basato su contrapposizioni nette, sembra perdersi nell’orizzonte liquido di oggi. Forse, non abbiamo l’età, gli strumenti e neppure la voglia di con-frontarci con i nuovi mezzi di comunicazione. Ma – diciamocelo una volta per tutte – è davvero possibile fare un’analisi profonda della realtà su Whatsapp o raccontare un nostro viaggio di cono-scenza su Istagram? Forse le nostre circolari, che sanno di ciclostile ed affrancature postali, sono ancora lo strumento più adatto per un messaggio che non sia superficiale ed imprigionato in ottanta battute.

Anche i nostri strumenti abituali mal si adattano alla realtà: è ancora possibile, ad esempio, proporre l’autotassazione a chi non ha un lavoro stabile o invitare ad un coordinamento chi non ha orari e lavora anche il sabato e la domenica? Eppure, siamo ancora qui ad operare e ad interrogarci sul senso e sui modi della solidarietà oggi. Eppure, il nostro esserci ancora è un sassolino nell’ingranaggio del Sistema. Non dobbiamo avere la presunzione di essere i soli, ma neppure perdere di vista il senso ed il peso della nostra testimonianza.

Chi ci ha preceduto, ha mostrato, anche in momenti difficili e di fronte alle peggiori sconfitte, una fede ed una forza che ancora mi (ci?) interrogano: saremo capaci di fare altrettanto?

E allora, che fare?

Io non ho ricette. Dico solo che, ancora una volta come più di cinquant’anni fa, la scelta giusta sarà quella che ci porterà controcorrente, fuori dagli schemi piatti e banali della nostra epoca stanca. Ag-giungo che, di nuovo, dovremo essere creativi, pensare a qualcosa che non è stato ancora pensato. E mi pare che la nostra attuale Segreteria condivisa si stia muovendo proprio in questa direzione.

Se poi, tra cent’anni, la Rete dovesse finire, non dovremo addolorarci: tutte le cose umane sono a termine e gli infiniti semi che avremo gettato nel tempo, germoglieranno, anche se in modo diverso da come ci saremmo attesi.

Marco Rete di Varese

RIFLESSIONI PER L’ESTATE 2021.

Carissime e Carissimi,
alcune riflessioni in preparazione del nostro prossimo seminario/congresso del 13 e 14 novembre a Rimini.
Il tono è umile, immaginate visi sorridenti ed attenti all’ascolto e, soprattutto, persone che si stanno interrogando e chiedono di condividere il percorso.
E’ trascorso un anno da quando la Rete Radiè Resch si è ritrovata a non avere “una segreteria”.
Il “laboratorio”, composto da alcune persone, ha dato vita ad una fase sperimentale ed ha cercato di svolgere al meglio e nei limiti della contingenza i cosiddetti “compiti della segreteria”.
Dopo il difficile coordinamento in presenza di settembre 2020 la discussione sulle motivazioni di questa “sede vacante” non è più stata ripresa; la difficoltà del momento e nell’uso di internet ha molto limitato gli spazi dei coordinamenti in remoto, che sono stati forzatamente tecnici.
Oltre a quelle -terribili- legate alle malattie ed ai lutti, durante questo anno sono emerse molte
difficoltà all’interno della nostra associazione che, comprensibilmente, sono state condivise con telefonate private, scambi personali o tra pochi, non essendoci lo spazio fisico per farlo
diversamente.
Uno dei motivi dell’assenza di UNA tradizionale segreteria forse risiede nel fatto che la Rete non è più UNA, le organizzazioni interne, le esigenze, il modo di gestire i bilanci all’interno delle Reti si sono andati via via sempre più differenziando così come la visione delle operazioni e del modo di condurle.
Lo stesso vale per l’aspetto politico, sostanziale e fondamentale nel nostro agire e sul quale ci si sofferma sempre meno, stesso dicasi per i legami con i territori.
Tutto questo, rende difficile formulare un ordine del giorno per i coordinamenti
perché qualcuno rimane sempre scontento o frustrato.
Ci sono Reti che sentiamo nominare di cui difficilmente vediamo i volti anche se la possibilità di collegarsi in remoto paradossalmente in questo avrebbe potuto aiutare: si sentono “rete” o satelliti di altre reti? Ci sono ancora?
Da marzo 2020 a causa della pandemia contemporaneamente ci è stato tolto tempo e ci è stato dato tempo.
Tempo per fermarsi, valutare e sognare.
Nel nostro ultimo coordinamento a distanza abbiamo avuto occasione di cominciare a stimolare un po’ alcuni di questi temi ed è emerso che molti sentono il bisogno di una riflessione in tal senso e per questo abbiamo deciso di trasformare il coordinamento di novembre in un seminario/congresso.
Non abbiamo potuto realizzarlo a settembre per motivi logistici e di costi verificati con l’hotel di Rimini, dove avevamo preso impegno con una caparra per la realizzazione del convegno 2020.

Per il seminario/congresso ci sentiamo comunque di proporre ad ogni Rete un piccolo compito delle vacanze… e ci piacerebbe che fosse scritto così da essere messo in comune con le altre Reti.
La proposta audace ed inedita di scrivere e condividere le proprie riflessioni vorrebbe avere l’obiettivo di far sentire ogni voce, anche la più sommessa.
Le stesse intenzioni erano alla base del “viaggio tra le Reti e con le Reti”, più volte promosso sia in forma “fisica” che in forma “virtuale” e che, ad oggi, non pare essere parte delle priorità.

Seguono gli spunti di riflessione.
NUOVI SCENARI UMANI, POLITICI ED ECONOMICI DENTRO E FUORI LA RETE, COSA SAREBBE NECESSARIO CAMBIARE? COME RIATTIVARE L’IMPEGNO POLITICO DELLA RETE?

1. LA RELAZIONE
ALL’INTERNO DELLA RETE.
La pandemia ci sta tenendo lontani da un po’ e stiamo tutti realizzando che l’incontro fisico alimenta meglio la relazione ed il confronto. D’altra parte gli incontri a distanza permettono anche ad altri di partecipare ai coordinamenti.
Domanda: sarebbe opportuno attrezzarci per incontri in forma mista senza correre il rischio che la comodità ci impigrisca e ci faccia trascurare l’incontro fisico dove non ci sono altri impedimenti a praticarlo?
Prima della pandemia, però, già molti gruppi e/o persone frequentavano meno, alcuni dei più giovani partecipanti non li conoscono nemmeno.
Domande: Come ritessere questi rapporti? Come far sentire alle persone e ai gruppi in difficoltà la vicinanza e l’amicizia della Rete? Senza, naturalmente, nessuna pretesa di ripresa di impegno, ma gratuitamente?
Da tempo proponiamo un viaggio tra le Reti, questo stenta a decollare solo per la pandemia o ci sono delle perplessità? Ci piacerebbe conoscerle ed avere il modo di darvi una risposta.

CON L’ESTERNO: I PROGETTI
La pandemia ha aggravato alcune difficoltà di comunicazione con i referenti di alcuni progetti ed ha impedito a chi riusciva a farlo di raggiungere queste comunità con dei viaggi, inoltre non abbiamo potuto svolgere il nostro convegno al quale alcuni testimoni partecipavano e giravano un po’ l’Italia, dandoci la possibilità di un ascolto diretto e condiviso con altri.
Domanda: Negli ultimi coordinamenti abbiamo sperimentato collegamenti on line con alcuni referenti, che ne dite di passare dall’esperimento alla prassi?

CON L’ESTERNO: I NOSTRI TERRITORI
I nostri gruppi territoriali sono ormai formati da pochi membri ma condividiamo tutti il nostro percorso con altre realtà dei territori.
Domanda: In questa relazione che vi chiediamo di scriverci, ci raccontate le realtà con cui camminate e in che tipo di percorsi?

2. I PROGETTI.
Tra i criteri principali che la Rete aveva dato per la scelta dei progetti ci sono: la relazione, l’accompagnamento all’autonomia, la brevità e le piccole dimensioni. Alcuni di questi non riusciamo più a rispettarli perché purtroppo le situazioni e le scelte politiche stanno aggravando le situazioni di queste comunità.
Domande: anche alla luce della diminuzione delle nostre entrate economiche, come rivedere i progetti e il loro finanziamento? Diventano il nostro unico impegno per cui studiamo come reperire ulteriori fondi? O li riduciamo, attrezzandoci, invece, per rivitalizzare l’impegno politico e di informazione che la Rete si era assunta?
Altre riflessioni riguardo il finanziamento dei progetti. Come detto in premessa, queste non sono solo nostre riflessioni ma sono anche frutto di scambi telefonici o tra pochi.
Ci sono due sensazioni che emergono particolarmente: una è di essere diventati una sorta di bancomat, sia per alcune comunità, sia per altre realtà con le quali percorriamo insieme da un po’ il nostro percorso. La seconda è che al nostro interno si stiano verificando casi in cui si è molto concentrati sulla tenuta e finanziamento del proprio progetto proposto e seguito, senza condividere le difficoltà che tutta la Rete sta vivendo e senza tener conto che non tutte le Reti territoriali hanno le stesse possibilità sia economiche che di impegno.
Domanda: Che senso ha allora versare le nostre restituzioni in una cassa comune e discutere in un coordinamento nazionale l’opportunità del prosieguo o meno di un progetto?

3. LA POLITICA
Le riflessioni precedenti, un sistema economico finanziario che condiziona la politica ed aggrava la povertà esistente creandone anche altra: le migrazioni, i cambiamenti climatici… Dovremmo, forse, rammentare le parole del nostro ispiratore Poul Gautier: “Le vostre preghiere e le vostre donazioni non serviranno a nulla se non cercherete di incidere sulle scelte politiche dell’occidente”…scelte che ormai stanno ferendo profondamente anche l’occidente e da tempo ormai i sud non sono più geografici.
Domanda: come dicevamo all’inizio, come rivitalizzare l’impegno politico della Rete? A livello territoriale sicuramente ogni gruppo in rete con altre realtà lo fa, ma come impegnarci anche come Rete Nazionale? Un tempo c’erano le cartoline! Oggi sono state sostituite da strumenti tecnologici. Raccolta firme, mail bombing…li condividiamo? Crediamo siano utili?
Ci viene spesso chiesto di aderire a delle campagne, lo facciamo, ma molto frequentemente il nostro impegno si ferma proprio all’adesione. Se, invece, ne prendessimo in considerazione una per tutte e ci dedicassimo ad essa in modo organico e costante? Una campagna contro gli armamenti, ad esempio? Toccando così tanti problemi e tanti valori. Una campagna da sostenere sia mediante le azioni proposte dall’iniziativa nazionale ma anche nella formazione e nell’informazione?

4. L’eredità della Rete
L’età anagrafica ci affatica e ci rendiamo conto del tesoro che la Rete ha accumulato; un tesoro fatto di relazioni e amicizie, di valori ed esperienze, di militanza politica e cittadinanza attiva.
Domande: Quale ci immaginiamo possa essere la nostra eredità come Rete? Chi vorremmo che la accogliesse?
Durante gli scorsi coordinamenti è stato riaffrontato il discorso della creazione di un “Fondo giovani”. Ci siamo potuti rendere conto di come questo punto abbia creato un dibattito molto partecipato. La proposta di mettere da parte un gruzzoletto(?) per i ragazzi era già stata approvata ma ci sono state vivaci discussioni in merito, prendendo anche in considerazione la diminuzione dei fondi economici. Il progetto giovani è stato pensato per permettere alle nuove generazioni di conoscere e in qualche modo, ereditare la rete di amicizie che sono state strette negli anni. Con questo progetto volevamo esprimere la volontà di dare l’opportunità a giovani ragazzi di agire nel qui e nel la: di viaggiare per conoscere le realtà nelle quali abbiamo creato solidi legami affinché i ragazzi del la possano venire nel qui e viceversa. Abbiamo pensato a questo, non come ad una vacanza ma una possibilità arricchente che dia spazio a restituzioni e riflessioni gioiose; di agire localmente per alimentare la coscienza e conoscenza politica territoriale.
Domande: Pensiamo che questo sia importante per la Rete? Quali sono le perplessità? Ci sono altre proposte o alternative in merito?

I vostri scritti ci permetteranno un ampio ascolto e saranno la base della preparazione del seminario/congresso di novembre, pertanto vi esortiamo ad inviarceli entro la prima metà di settembre.
Sperando di non affaticarvi ma anzi di favorire incontri gioiosi, semmai da estendere anche alle realtà territoriali con cui siete in cammino, vi auguriamo una serena estate e ci auguriamo di abbracciarci tutti molto presto.

La segreteria laboratorio

CIRCOLARE NAZIONALE GIUGNO 2021 – a cura della Rete trentina

La mia convivenza con Mady

Care amiche e cari amici della Rete Radié Resch,

pensiamo possa essere utile condividere con voi l’esperienza vissuta da Paolo Rosà della Rete di Trento e Rovereto, che per sei mesi ha ospitato a casa sua uno dei ragazzi africani del nostro progetto profughi, Mady Camara, rimasto senza alloggio dopo la conclusione del periodo di accoglienza in una struttura per senza tetto a Rovereto. La vita in comune è durata sei mesi, da fine ottobre 2020 a inizio maggio 2021. La storia di questa convivenza, molto coinvolgente, è raccontata da Paolo Rosà in un testo di una ventina di pagine. Chi fosse interessato, può richiederlo direttamente a lui (paolo.rosa1948@gmail.com). Qui ne riportiamo alcuni stralci:

Ho deciso di raccontare la mia esperienza, pensando che potesse anche essere utile per altre persone sensibili, ma titubanti ed incerte come lo sono stato io all’inizio”, scrive Paolo. “Arrivare a questa decisione non è stato facile, forse anche perché non sapevo fino a quando sarebbe durata. Essa è stata frutto di un percorso che è partito da lontano, una esperienza di convivenza molto diversa da quelle che avevo sperimentato fino a quel momento. Mi sono reso conto che le motivazioni di questa scelta non trovano tanto la loro matrice in un sentimento pietistico, o di ‘buonismo’, e forse nemmeno in un sentimento di amore cristiano verso il prossimo, ma siano radicate più in un forte senso di giustizia”.

Avvicinandosi l’inverno 2020-21 si erano moltiplicati gli appelli affinché le famiglie trentine mettessero a disposizione eventuali stanze non utilizzate per ospitare qualcuno che non aveva riparo dal freddo. Questo invito mi ha interpellato, in quanto dopo la morte di mia moglie Francesca … io ero rimasto solo nel mio grande appartamento; perciò in qualche occasione già mi ero chiesto se avrei potuto ospitare qualche persona rifugiata che si fosse trovata nel bisogno … Dovevo però valutare bene quali cambiamenti tale scelta avrebbe provocato nella mia vita quotidiana. Ad esempio non avrei potuto ospitare più i miei nipoti e neppure eventuali pernottamenti di altri possibili visitatori … Avrei dovuto modificare la gestione della cucina, i menù, le mie abitudini alimentari, adeguandomi a quelle del mio ospite. Ho valutato che la persona che avrei ospitato, consegnandogli le chiavi di casa e la gestione della sua camera, doveva essere una persona di cui potermi fidare. Un ulteriore timore era l’aumento del rischio di contagio Covid-19. Su tutte queste perplessità, timori e sicuri disagi sono prevalse le motivazioni etiche, della solidarietà umana; la sicurezza che Francesca avrebbe approvato questa scelta e non ultimo la mia fiducia che il signore Dio mi avrebbe sostenuto e protetto. Alla fine, a farmi decidere per l’accoglienza è stato il cambiamento del punto di vista: invece di mettere al centro i cambiamenti nella mia vita, mi sono chiesto cosa ne sarebbe stato di quella persona se non l’avessi accolta in casa”.

Io e Francesca avevamo incontrato Mady nel 2014 quando la Rete RR aveva deciso di avviare l’operazione profughi nel Trentino. Di lui sapevo poco: che aveva 22 anni, che era scappato dal Mali perché gruppi armati avevano ucciso il suo papà; che aveva vissuto e lavorato prima in Algeria e poi in Libia fino allo scoppio della guerra contro Gheddafi nel 2011; che poi era approdato fortunosamente in Sicilia. Sapevo che aveva lavorato nella raccolta di frutta a Saluzzo (Cuneo), dove nel settembre 2014 era stato investito da un’auto mentre andava al lavoro in bicicletta, ed aveva riportato gravi traumi, di cui porta tuttora serie conseguenze. La mia conoscenza diretta è iniziata nel 2014, quando lui ha cominciato a frequentare il Centro per la pace. Mi era parso un ragazzo molto taciturno, chiuso in sé stesso, però educato, molto discreto e disponibile a svolgere qualsiasi lavoro …”

Con il cambiamento politico in Trentino del 2018 e l’arrivo al potere della Lega, anche lui come tanti altri immigrati ha perso la possibilità di essere ospitato in alloggi gestiti da associazioni. Per qualche periodo è stato accolto nella residenza per i senza tetto al Portico di Rovereto. Sapevo anche che la Caritas, attraverso la persona di Ignazio, aveva a cuore la sua situazione, trovandogli un luogo dove alloggiare, qualche lavoro e assistendolo nelle questioni relative alla sua salute…

Ma con settembre finiva per lui la possibilità di essere ospitato al Portico. Così ho deciso di ospitarlo a casa mia, in attesa della possibilità di altre soluzioni …

Il 26 ottobre sono andato al Portico a prendere Mady e le borse con i suoi effetti personali … D’accordo con la Caritas e con l’assistente sociale, si è deciso che nei mesi invernali Mady avrebbe frequentato il corso di italiano e il corso ARAS per acquisire le competenze necessarie per cercare lavoro. Per responsabilizzarlo, abbiamo concordato che lui avrebbe contribuito alle spese per l’ospitalità che io offrivo, usando una parte dell’assegno di disoccupazione che percepiva [in realtà, alla fine Paolo ha deciso, d’accordo con Mady, di usare quei soldi per altri progetti di solidarietà] … Tra fine ottobre e novembre, Mady ha continuato a lavorare al progetto Ortinbosco: si alzava alle ore 7,30 e rientrava a casa alle 19 … A nulla è servito il mio invito a tornare a casa una volta finito il lavoro, in modo da poter stare nella sua camera al caldo e leggere o svolgere le cose che desiderava.

Mi sono offerto di fare con lui qualche conversazione in italiano per migliorare la sua lingua, che era molto povera, imprecisa e a volte incomprensibile … ma non si mostrava molto interessato. Alle mie domande su dove e cosa avesse mangiato, le risposte erano generiche ed evasive, pertanto non ho più insistito … A giorni alterni portava dei cavoli cappucci prodotti in quantità nell’orto, insieme ad altri prodotti. Per quanto riguarda l’alimentazione, io non ho modificato la mia abitudine di pranzare a mezzogiorno e cenare alle ore 19, e Mady, dopo che ha smesso di lavorare in Ortinbosco, ha cominciato a pranzare e cenare con me e a condividere quello che avevo preparato. Ho eliminato dal mio menù il mio già scarso consumo di salumi e prodotti contenenti carne di maiale e ho cercato di preparare i cibi che più gradiva… Ho cercato di instaurare con lui un rapporto confidenziale, raccontandogli della mia vita, dei miei impegni e attività: l’ho portato nel mio orto e nell’uliveto e a casa dei miei genitori; gli ho parlato delle attività che svolgo: del coro parrocchiale, del gruppo famiglie, del Commercio equo e solidale… L’ho invitato a fare passeggiate nei dintorni di Rovereto, approfittando per raccontargli un po’ di storia locale e fargli notare i cambiamenti avvenuti negli ultimi 50 anni. L’ho portato al lago di Tovel nelle Dolomiti e sull’altipiano di Folgaria a camminare nella neve … ma lui preferiva passeggiare in città. O andare al bar per poter seguire il calcio in tv (ha un grande interesse per il calcio in generale e segue tutti i campionati anche internazionali) … Durante il secondo lockdown si sono interrotti i corsi in presenza e lui seguiva la didattica a distanza con il cellulare. Ma non ha mai accolto la mia disponibilità ad aiutarlo. Come altri giovani africani, anche Mady era imbarazzato a parlarmi guardandomi in faccia. Mi ha confermato che nella loro cultura tale comportamento non è rispettoso verso gli anziani, di cui si deve riconoscere l’autorevolezza e non era educato mettersi sullo stesso piano … Io invece cercavo sempre di dimostrargli fiducia e comunicargli qualche confidenza, pensando che potesse facilitare anche da parte sua la comunicazione…

Solo con l’inizio del Ramadan ho cercato di comprendere la dimensione spirituale di Mady… Il primo giorno di Ramadan è arrivato a casa in anticipo ed ha preparato la cena con prodotti per me insoliti… Ma quella cena l’avrebbe consumato il giorno successivo all’alba, prima delle ore 4,05 del mattino. Aveva un foglio con segnate le ore e i minuti del mattino e della sera in cui, giorno per giorno, doveva rimanere a digiuno … Quel primo giorno di Radaman, puntualmente all’ora prevista, ha voluto che assaggiassi la sua cena … Al primo boccone mi è parso di svenire e mi sono venute le lacrime per la quantità di peperoncino che ci aveva messo. Lui si è scusato dicendo che durante il digiuno non poteva assaggiare mentre preparava il piatto e che aveva esagerato con le spezie… Durante il mese di Ramadan è possibile ‘pranzare’ solo quando è notte, mentre prima dell’alba viene consumata quella che i musulmani considerano la cena”.

Per sintetizzare e arrivare alla conclusione del lungo racconto di Paolo Rosà, il periodo di convivenza si è concluso ai primi di maggio. Mady avrebbe potuto riprendere il lavoro part time ad Ortinbosco (un progetto pubblico-privato per dare lavoro a persone in difficoltà), ricevere uno stipendio e un assegno integrativo provinciale, che gli avrebbe consentito di trovare anche un alloggio. Purtroppo però Mady ha rifiutato la nuova impostazione del servizio sociale, che prevede che lui versi questi redditi in un fondo personale, garantito da un amministratore di sostegno. Per lui è troppo importante poter mandare dei soldi a sua madre che vive sola in Mali. Nonostante le rassicurazioni sulla possibilità di continuare a inviare denaro alla mamma, ha deciso di non riprendere il lavoro ad Ortinbosco. La sua idea è quella di lasciare il Trentino e tornare in Piemonte, dove spera di trovare lavoro nella raccolta di frutta. Sia Paolo sia Ignazio della Caritas, che gli è sempre stato molto amico, stanno provando a convincerlo a restare, a valutare i pro e i contro di una simile scelta, soprattutto il rischio di diventare clandestino.

Il lungo racconto di Paolo Rosà finisce così:

Lunedì 3 maggio si è conclusa in modo per me inatteso la convivenza con Mady: verso le ore 9, mentre ero in cucina, si è presentato già vestito per uscire, con lo zaino in spalla; mi ha consegnato le chiavi di casa, mi ha ringraziato ed è uscito. Dopo averlo accompagnato all’uscita ed esserci salutati, sono tornato in soggiorno e mi sono accorto che sul divano aveva lasciato un foglio scritto in francese che iniziava così: ‘Mon cher Paolo’”.

Un caro saluto a tutte e tutti

Fulvio Gardumi

MediciControlaTortura:

La Rete di Roma, a nome di tutti noi, da sempre mantiene contatti con l’associazione MediciControlaTortura, che aveva nello psichiatra Ettore Zerbino un amico-referente importante.
Angelo Ciprari ci dà, in allegato, un resoconto sull’operazione.
Da parte mia (Gianni P), ho avuto una lunga telefonata col dr Taviani, nostro ospite al convegno di Trevi 2016 e attuale responsabile del servizio. Mi diceva che volentieri mettono a disposizione la loro esperienza specifica, compresi gli aspetti legali e di assistenza sociale. In questo senso, già da tempo collaborano col NAGA di Milano e il CIAC di Parma. Concordavamo che l’ideale sarebbe avere scambi interpersonali con incontri diretti, e speriamo che ciò sia possibile in futuro. Per quanto riguarda l’impegno economico, gli ho anticipato le nostre crescenti difficoltà, di cui lui si rende perfettamente conto. Specificava che la richiesta per un maggiore contributo era motivata anche dal fatto che la loro esperienza resta quella di un’accoglienza allargata alle necessità delle singole persone e che queste necessità, nei mesi di pandemia, sono diventate più numerose e più drammatiche.

Al Sisi: usato a Km 0

Dino propone di estendere a tutta la rete alcune considerazioni fatte per la rete di Verona
Nel 1990 l’Italia si dotava di una legge (la 185) per il controllo sulla vendita di sistemi d’arma. Non era per la forza dei movimenti pacifisti, ma era la conseguenza di alcuni scandali bancari sul commercio di armi. Il più eclatante riguardava una filiale dell’allora BNL negli Usa, ad Atlanta, che era stata tramite di vendita illegale di armi all’Iraq di Saddam Hussein, durante la prima guerra del Golfo. La legge tra le altre cose, impedisce che armi italiane vengano vendute a Paesi in guerra o che violano i diritti umani.
Ma, come scriveva Marta Rizzo su Repubblica, lo scorso luglio, nel trentennale della legge, dopo un paio di decenni di applicazione abbastanza rigorosa, i Governi italiani hanno iniziato ad avere come obiettivo il sostegno all’export militare e non il suo controllo. Nel 2015 (governo Renzi) c’è stato un boom dell’export di armi e il trend si è mantenuto al punto che in 4 anni (fino al 2019), le autorizzazioni sono state superiori a quelle totali dei quindici anni precedenti.
Adesso emergono chiaramente anche gli affari che intrecciamo con l’Egitto del dittatore-torturatore Al Sisi.
In particolare, ad Al-Sisi sono state vendute da Fincantieri due fregate di ultima generazione, destinate, in teoria, alla Marina italiana ( vedi Chiara Rossi https://www.startmag.it/smartcity/fincantieri-non-tace-piu-sulle-due-fremm-egitto/ ). L’inghippo è abbastanza semplice: le fregate sono state costruite e sono entrate in bilancio per la Marina Italiana, ma, prima del varo, la Marina le ha cedute all’Egitto. Formalmente, quindi, non è una vendita diretta di Fincantieri. Come viene spiegato nell’articolo di Chiara Rossi, non è nemmeno un ottimo affare. Le fregate erano attrezzate con tutta la nanotecnologia e l’ingegneria informatica, che le rendeva operative all’interno della NATO. Tutte queste apparecchiature sono state smontate prima della consegna all’Egitto, buttando via milioni di euro.

Solidarity Watch

Cinque anni fa abbiamo contribuito a finanziare la nascita di Solidarity Watch, un gruppo di ricercatrici italo francesi che si interessano di immigrazione in Europa e, in particolare, di come la giurisprudenza possa usare le leggi per criminalizzare i migranti e chi pratica la solidarietà. Su scala europea, è un tema vastissimo e, per prima cosa, le ricercatrici di S. W. hanno creato un questionario per permettere che i dati raccolti fossero confrontabili, consultabili e utilizzabili. Questo le ha portate ad una sinergia sempre più stretta con l’ Osservatorio delle Frontiere MIGREUROP (vedi il loro sito, con parecchi articoli tradotti anche in italiano). E’ un importante centro studi francese, che lavora a livello europeo. S.W., inoltre, ha partecipato a una conferenza internazionale tenutasi a Firenze nel 2019, sulla criminalizzazione della solidarietà. A partire dalla relazione che S.W. ha presentato in quella sede, è nata una stretta collaborazione con la ricercatrice Annalisa Lendaro, del Centre National de la Recherche Scientifique di Tolosa. Insieme hanno scritto una pubblicazione che uscirà prossimamente. Si tratta di uno studio riguardante i procedimenti penali aperti contro i migranti, e contro chi li aiuta, alla frontiera franco-italiana (in sintesi, è il “reato di solidarietà”). Di queste vicende processuali e della difesa degli imputati si stanno valutando anche le valenze politiche (da chi dice “è lo stato che deve assumersi le sue responsabilità” a chi dice “ lo stato non fa nulIa e, quindi, dobbiamo agire noi”).
Nostra figlia Chiara, che fa parte di S.W., resta volentieri a disposizione per ogni chiarimento e ogni contatto. Potete scriverle a chiara.pettenella@gmail.com

Guatemala

Dino e Silvana vi hanno già scritto dei dieci martiri guatemaltechi proclamati beati il 23 aprile.
Aggiungiamo qualche breve notizia data da Aldo Corradi, che partecipa alla vita della Rete RR di Verona ed è sempre strettamente in contatto con padre Peneleu, nostro referente in Guatemala.
Care amiche e amici,
– Maria, sorella di Nicolasa (una delle referenti dei nostri progetti in Guatemala) si è laureata in scienze giuridiche e sociali presso l’università Mariano Galvez di Città del Guatemala. Ora collabora molto con p. Clemente e con p. Santos, un altro prete, sempre nella diocesi del Quiché. Sono molto contenti perché è un servizio molto utile nel contesto in cui operano i nostri amici. Nicolasa invierà presto una relazione sui progetti in corso.
– Segnalo un articolo molto interessante sulla grande influenza (negativa) delle potenti famiglie che hanno condizionato e tuttora condizionano l’economia e la politica del Centroamerica e del Guatemala in modo particolare. https://www.internazionale.it/notizie/2021/04/09/america-centrale-famiglie-potere
Tutto questo a conferma delle difficoltà che devono affrontare i promotori dei diritti umani e dell’autentico progresso sociale e civile.
Buona primavera, stagione del risveglio e della speranza. Ciao. Aldo Corradi

Apartheid in Israele

Anche secondo l’importante ong statunitense Human Rights Watch, l’attuale governo di Israele è responsabile di crimini contro l’umanità per apartheid e persecuzione verso i palestinesi. E’ la seconda grave denuncia internazionale, dopo il rapporto, di qualche mese fa, diffuso da B’Tselem, ong israeliana che aveva fatto la stessa accusa.
(vedi Michele Giorgio https://ilmanifesto.it/hrw-israele-va-perseguito-per-apartheid/)

Sem Terra

Nel secondo allegato, trovate quanto ha scritto Angelo Ciprari sui nostri attuali contatti col movimento SemTerra. Chiede che il coordinamento decida anche sul futuro di questa operazione.
Un saluto e un abbraccio. Buon primo maggio. (intendevate una cosa di questo tipo per circolare aperta?)

Gianni e Maria P

ALLEGATI:

ll progetto Medici contro la tortura è nato con l’amico della RRR di Roma, Ettore Zerbino, Andrea Taviani e Carlo Bracci nel 1997, ancor prima della fondazione della Associazione umanitaria M.C.T.(Medicicontrolatortura) nel 1999 con l’incoraggiamento della Rete Radiè Resch.
E’ intitolato al rifugiato Dario Canale, italo-brasiliano, che si trasferì a Berlino Est dove, per il peggiorare delle sue condizioni psicologiche, si suicidò in quanto «non riuscì mai ad uscire dalla violenza subita».
Un’altra amica cilena, Gina Gatti, è stata seguita all’epoca da Ettore Zerbino ed aiutata da Lucia Coppola Cerulli e dal marito Emidio Cerulli: inviata a casa loro come domestica, la famiglia Cerulli la incaricò di un lavoro intellettualmente adeguato alla grande cultura di Gina, bi- laureata, aiutandola a recuperare una vita normale.
La famiglia di Gina Gatti abitava a Cinecittà e la figlia frequentava la scuola elementare di Luca e Lorenza Ciprari. Gina si trasferì poi a Modena, seguendo il marito medico, che andò là a lavorare.
Questi sono piccoli grandi esempi dell’impegno svolto da M.C.T. con persone a noi vicine, ma centinaia e centinaia di persone, direi migliaia in questi duri anni, sono stati assistiti dai medici perché, se da un lato finivano le torture di massa in America Latina, in tanti altri paesi esplodevano le violenze, che non sono più finite, e purtroppo dispero che ci sia un miglioramento nei comportamenti dei violenti.
Attualmente, la RRR interviene con un aiuto di euro 13.000,00.
Nel 2020 M.C.T. ha ottenuto un buon contratto di affitto dalla società che gestisce il patrimonio della Banca d’Italia e questo consente, non dovendo più dividere gli ambienti con altre associazioni, un maggiore servizio riservato ai richiedenti aiuto.
Per la situazione di generale peggioramento legata al Covid e per le aumentate richieste di sostegno economico, M.C.T. chiede alla RRR se sia possibile aumentare il nostro contributo fino ad euro 30 000,00 annuali.

Il progetto Movimento Sem Terra-Scuola Nazionale Florestan Fernadez è nato nel 2006 e venne seguito, fino alla sua tragica morte, da Serena Romagnoli. Era lei che intratteneva profondi rapporti con il Movimento in Brasile, traducendo tutte le informazioni che arrivavano: si è trattato di una fonte veramente importante per chi voleva conoscere e scrivere sul Brasile ed i problemi dell’agricoltura, della politica brasiliana, dei movimenti sociali e del mantenimento della Madre terra.
Con la morte di Serena sono venuti a mancare tutti i rapporti. Noi inviamo il bonifico alla Associazione Amigos MST- ITALIA e nulla più.
La RRR. di Roma non reputa più gestibile questa operazione e invita il Coordinamento a decidere nel merito sulla prosecuzione o meno del progetto.
Aprile 2021
Angelo Ciprari rete RR di Roma

CIRCOLARE NAZIONALE – RETE DI GENOVA – APRILE 2021

RELAZIONI INDIGENE

Scrivo queste righe su quel poco che (tutto sommato …) ciascuno di noi sta cercando di fare per accendere nel mondo un po’ di luce.

Concepisco e vedo personalmente il mondo come una grande comunità. Ma chi sta dall’altra parte nel nostro caso? chi sono coloro con cui cerchiamo di interloquire? come ci relazioniamo con loro? Lascio a ciascuno di Voi che leggete, la risposta, ognuno se la può dare personalmente.

– Da parte mia è da un po’ di tempo che mi pongo la domanda, intravedendone l’importanza, se cioè sono capace di “incontrare”, e di entrare in una comunicazione “vitale”, verace, con chi sta “dall’altra parte” dei ns progetti. Mi domando se ho desiderio di “entrare ” in questo rapporto e “presentarmi così come sono”, uomo del “nord”, senza sensi di colpa e senza supponenza. Se ho desiderio di provare umilmente ma anche autenticamente a aprirmi a una relazione diretta, sincera, con desiderio (magari reciproco) di condivisione, di scambio, di confronto.

Desiderio di confronto anche sulla passione che anima le mie azioni, sulle spinte che si dibattono dentro di me.

Perché i soldi forse sono anche un po’un optional, (provoco), ma la relazione no.

Vorrei cercare di conoscere meglio chi sta di fronte a me, sapere se anche Lui condivide e crede in quello che credo io, desidererei che magari anche Lui si incuriosisse un po’ anche a me, alla mia vita, di sapere cosa fa, come si muove in concreto nella Sua vita. Mi piacerebbe conoscere se anche Lui ha desiderio di liberazione e evoluzione per il mondo. Dico la verità ne sarei contento. Vorrei condividere, lo dico sinceramente, vorrei condividere un po’ anche con loro, non solo con chi sta da questa parte dell’Oceano.

Vorrei conoscere qualcosa delle sue giornate, della sua famiglia, dei suoi sentimenti. Dei suoi desideri, magari che non ha mai comunicato perché ritiene che siano impossibili a realizzarsi.

Vorrei insomma trovarmi di fronte a una persona, che conosco, che ricordo nelle mie giornate, non ad un estraneo.

Se farò, se faremo questo passo, che renderà il ns rapporto più autentico, si instaurerà una dinamica positiva, orizzontale, cioè fraterna, in cui vive la dimensione dello scambio e non il gioco delle parti. Ecco mi sembra che questo passo lo si debba fare, si debba coltivarlo e si debba anche perderci un po’ di tempo, anche perché non è scontato che arrivi da solo.

Questo passo vale la pena di farlo per scendere un po’ più in profondità, per poter dire di camminare insieme. Per conoscere non solo il volto dell’Altro ma anche la Sua Anima.

Sergio Ferrera, Rete di Genova

Circolare circolante Marzo 2021: più vicini agli Ultimi.

Carissime Persone,

così come è stato per il mese di Dicembre 2020 vi proponiamo una lettera circolare da scrivere a molte mani.

Il tema di Natale fu la gratitudine per le “buone giovani novelle” da cui eravamo stati raggiunti nonostante il momento storico di sofferenza.

Per questo Marzo 2021, il Marzo di “un anno dopo”, vorremmo condividere con voi un taglio che ci appartiene:la vicinanza con gli Ultimi che si va facendo sempre più concreta.

Vi chiediamo di unirvi a queste righe con i vostri pensieri e le vostre esperienze senza remore di “intasare la mail” o di inadeguatezza, invitiamo in particolare Te, sì, proprio Tu che solitamente leggi e rimani silenzioso e ti chiediamo di aiutarci con il dono delle tue parole.

Mi sono sentita più vicina agli Ultimi perché è mancata una persona cara e non ho potuto abbracciarla, salutarla, accompagnarla, penso ai Profughi morti in mare…”

Mi sono sentito più vicino agli Ultimi perché un mio caro stava morendo e non c’erano i farmaci per curarlo, penso ai milioni di ospedali del mondo impoverito…”

Mi sono sentita più vicino agli Ultimi perché esiste un vaccino ma a me non arriva, penso ai popoli che da sempre non hanno accesso a questo servizio…”

Ho perso il lavoro e non lo riavrò sono entrato a far parte dei milioni di persone minate nella loro dignità…”

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Rete di Alessandria:

Ieri ho saputo che compagni e compagne fattorini dei cobas, sono stati arrestati, altri

Picchiati dalla polizia per le loro battaglie. Mi sono vergognata per l’ingiustizia e la violenza da loro subita. Erano gli Ultimi che ho conosciuto da vicino, molti stranieri.

Ora dico basta, sarò come sempre al loro fianco in lotta.”

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Rete di Cagliari:

Contributo alla circolare:

“OTTO MARZO 2021, a Cagliari, MADRI CONTRO LA REPRESSIONE– CONTRO L’OPERAZIONE LINCE ,

Siamo madri  degli accusati.

Uno Stato che non si costituisce parte civile per la strage di Viareggio, che non si costituisce parte civile per il disastro di Quirra, trova invece opportuno costituirsi parte civile contro 45 giovani colpevoli solo di opporsi alla presenza delle basi militari in Sardegna, alcuni di loro rinviati a giudizio con l’accusa gravissima di associazione a delinquere con finalità terroristiche. Quei quarantacinque giovani, individuati  proprio perché giovani e pensanti,  non devono avere futuro,  deve essere impedito loro di avere progetti e sogni!

Tra migliaia di manifestanti che già da prima del 2014 portano avanti una resistenza ed una lotta contro lo stupro della Sardegna ad opera delle basi militari Nato e delle esercitazioni militari, stupro documentato dall’inquinamento irreversibile del territorio di Teulada e di Quirra, c’è un popolo e ci sono delle madri che urlano:

Giù le mani dalle  nostre figlie e dai nostri figli”.

Da qualche settimana un gruppo di madri dei/delle giovani rinviati a giudizio con l’accusa di terrorismo, si incontrano a Cagliari davanti al Palazzo di Giustizia. A 20 anni dal G8 di Genova, mentre il dissenso si è andato affievolendosi, la repressione è aumentata duramente, basti pensare alle militanti NoTav incarcerate, e alle persone indagate per aver manifestato contro le basi militari, l’occupazione militare della nostra terra.

CIRCOLARE NAZIONALE FEBBRAIO 2021
PANDEMIA E SOLIDARIETA’
In questi giorni, la pandemia da COVID-19 “compie un anno”: i primi allarmi sulla diffusione del
virus in Europa risalgono, infatti, a fine gennaio 2020. Solo molto più tardi, avremmo appreso che il
virus era già tra noi, almeno dall’autunno precedente.
Dell’impatto sanitario, economico e sociale della pandemia in Europa, sappiamo pressoché tutto.
Molto meno, di cosa sia accaduto nel sud del mondo.
Un’interessante chiave di lettura può essere fornita dai contatti telefonici che la Rete di Varese ha
avuto, durante tutta la pandemia, con Darìa Tacachiri, infermiera laureata, referente locale del pro-
getto socio-sanitario in corso a Cochabamba (Bolivia). Sede dell’operazione è il Barrio I° de Mayo,
un quartiere periferico di 15.000 – 20.000 abitanti, nato spontaneamente alcuni anni fa, a causa del-
l’inurbamento di famiglie di campesinos e minatori e formato da baracche in lamiera e mattoni crudi,
spesso con pavimento in terra battuta, sparse sulle pendici della montagna che sovrasta la città.
Il progetto si struttura in gruppi organizzati di donne, che si incontrano regolarmente in 2-3 piccole
sedi, prese in affitto. Nelle riunioni, si affrontano i temi dell’igiene domestica e della prevenzione
delle malattie infettive, dell’igiene sessuale, del ruolo sociale della donna, dell’educazione dei figli.
Sono attivi percorsi di alfabetizzazione, una scuola di cucito ed una di cucina.
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In Bolivia non esiste una sanità pubblica, per cui i dati forniti sulla diffusione del contagio e sul nume-
ro delle vittime nel Paese, non possono considerarsi attendibili. Infatti, solo i ricchi hanno avuto ac-
cesso alle cure, sia domiciliari che ospedaliere, e sono stati censiti. La popolazione del Barrio, invece,
si è ammalata, si è curata e, in alcuni casi, è morta nelle proprie case, senza ricevere alcuna assistenza.
Nessuno sa, quindi, esattamente quanti siano stati i contagiati e quanti i decessi. Quando, ad aprile, a
Cochabamba si contavano ufficialmente 50 nuovi casi al giorno, avrebbero potuto tranquillamente
essere 500 o 5.000.
E’ quasi ovvio, perciò, osservare che uno dei principali effetti della pandemia nel sud del mondo sia
stato quello di acuire le disparità sociali. Anche in Paesi, come la Bolivia, in cui il Governo non ha
negato l’evidenza del contagio, a pagarne principalmente il prezzo sono state le fasce più deboli della
popolazione.
Ci si potrebbe, forse, spingere oltre, affermando che tale situazione ha inciso sulla stessa visibilità dei
ceti disagiati. Come, in passato, essi non erano neppure censiti dall’anagrafe, oggi non entrano nem-
meno a far parte delle statistiche. Dato – questo – particolarmente preoccupante nel Paese andino, in
cui uno dei tratti più significativi della presidenza di Evo Morales (comunque la si voglia giudicare)
è stato proprio quello di risvegliare la consapevolezza e l’autostima nelle popolazioni indigene.
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Verso la metà dello scorso mese di gennaio, Darìa ci ha riferito di essere in isolamento domiciliare,
perché forse contagiata: aveva manifestato sintomi piuttosto lievi, per cui non si era sottoposta a tam-
pone, a causa del costo. A distanza di una settimana, ci ha “tranquillizzato”: non si trattava di COVID
ma, probabilmente, di dengue.
Ciò marca un’altra notevole differenza, rispetto alla situazione europea: qui il Coronavirus è “il”
problema sanitario, che ha polarizzato l’attenzione di medici, politici e mass-media; là, per quanto
grave, solo uno dei tanti, assieme alla dengue, alla malaria, alla febbre gialla, alla malnutrizione …
Anche le conseguenze sociali delle misure di contenimento hanno avuto risvolti per noi difficilmente
immaginabili. Nel Barrio, infatti, quasi nessuno ha un impiego regolare: tutti gli abitanti, quando la-                                                                                                vorano, svolgono lavori saltuari, a cadenza giornaliera; con quello che giornalmente guadagnano, ac-
quistano cibo ed altri beni di prima necessità. La quarantena ha, perciò, interrotto tale circuito econo-
mico portando, in poche settimane, le famiglie alla fame.
Dopo avere vissuto mesi di angoscia per la tenuta del “nostro” sistema economico, dobbiamo, quindi,
prendere atto che la fragilità del “loro”, non ha saputo (e forse neppure voluto) reggere l’urto della
pandemia, con conseguenti drammatici costi per la popolazione.
Inutile dire che in Bolivia non esistono ammortizzatori sociali.
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Di fronte a tale situazione, anche la nostra solidarietà (la Rete è l’unica associazione ad operare nel
Barrio) si è dovuta adattare. Le scuole di cucito e di cucina hanno sospeso la propria attività e gli
incontri settimanali delle donne sono stati interrotti, per evitare che gli assembramenti in locali angusti
fossero veicolo di diffusione del virus.
Darìa ha, quindi, chiesto il permesso di utilizzare gran parte del contributo ricevuto nel 2020 per l’ac-
quisto di derrate alimentari, che sono state messe a disposizione delle donne del Barrio, per la prepa-
razione di pane ed altri alimenti, destinati sia al consumo domestico, che alla piccola vendita. Ciò ha
contributo a riavviare un piccolo circuito di economia di sussistenza.
L’emergenza sanitaria ha, quindi, segnato un arretramento negli obbiettivi dell’operazione, che ha
dovuto abbandonare le attività di promozione sociale, a favore di quelle di mera assistenza. Arretra-
mento, probabilmente, inevitabile: è oggettivamente difficile svolgere attività di formazione e co-
scientizzazione, dove manca il cibo.
Unica eccezione, l’alfabetizzazione: non potendo più organizzare riunioni o incontri, essa è stata pro-
seguita casa per casa, fornendo alle madri le conoscenze di base necessarie per consentire ai figli di
connettersi ai programmi scolastici di didattica a distanza, attivi anche in Bolivia. E’, perciò, inte-
ressante notare come, anche in una situazione drammatica, di crisi alimentare, la domanda di istru-
zione non si sia affatto esaurita e siano stati sperimentati nuovi percorsi per soddisfarla.
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Difficile, infine, fornire il quadro, speculare, della situazione nel nostro Paese.
L’alta incidenza del contagio in Lombardia e, dall’autunno, nella Provincia di Varese, permette forse
di prendere a campione la nostra realtà locale, per qualche considerazione.
In una prima fase, hanno sicuramente prevalso il ritorno al privato e la paura dell’altro, come poten-
ziale untore. Tensione, sospetto e la tentazione di “mettersi al sicuro”, anche a discapito dei vicini,
hanno caratterizzato i rapporti interpersonali. Nulla di diverso, in fondo, da quanto sta ora accaden-
do, su altra scala, ad esempio nel mercato dei vaccini.
Tutto ciò non ha, però, fermato tutti i percorsi di solidarietà. Da un lato, infatti, domande e bisogni si
sono moltiplicati; dall’altro, molte persone, di varia estrazione, hanno tentato di farvi fronte.
Nel lungo periodo, invece, si è verificato un rimbalzo: prendendo ad esempio la realtà parrocchiale
che, da tempo, collabora con la Rete di Varese (lo scorso luglio era stato organizzato un viaggio per
giovani in Bolivia, purtroppo saltato), si è assistito ad una ventata di generosità, sia in termini di of-
ferte economiche o di beni materiali, sia in termini di disponibilità la lasciarsi coinvolgere personal-
mente in iniziative concrete.
Solo la fine della pandemia dirà se tutto ciò sia dovuto alla semplice mancanza di alternative sul piano
relazionale o possa sfociare in nuove forme di impegno e solidarietà.
Rete di Varese

Verona, 8 gennaio 2021

Il 6 gennaio, a Washington, c’è stato l’assalto al Campidoglio con morti e feriti.
Dalla rassegna stampa di Internazionale riportiamo un breve brano del The Guardian
…L’autoritarismo è sempre un’ideologia della disuguaglianza: io faccio le regole, tu le segui, io le cambio a piacimento e punisco chi non obbedisce, o chi mi pare, perché posso farlo.
Frank Wilhoit (politologo americano) una volta disse: “Il conservatorismo consiste semplicemente in una proposizione … Ci devono essere gruppi interni che la legge protegge, ma non vincola, accanto a gruppi esterni che la legge vincola, ma non protegge”. Gli episodi odierni stanno dimostrando che i dimostranti non rispettano alcunché, ma si aspettano di avere quello che vogliono. Il diritto è una parola troppo riduttiva per parlare di quanto sta accedendo… (Rebecca Solnit – Call it what it was: a coup attempt The Guardian 7 gennaio 2021)
Questo è invece il comunicato stampa di Johnny Zokovitch, portavoce e direttore esecutivo di Pax Christi USA:
Siamo chiari. Gli eventi che si sono svolti oggi al Campidoglio sono il risultato della demagogia del presidente Trump e del fallimento di tutti coloro – politici, media, famiglia e altri – che hanno scusato, trascurato, o altrimenti incoraggiato l’odio e le divisioni… Coloro che avrebbero potuto e dovuto ritenere responsabile questo presidente hanno fatto esattamente l’opposto negli ultimi quattro anni… e gli incidenti orribili e vergognosi di oggi al Campidoglio degli Stati Uniti sono stati il ​​triste e prevedibile risultato di questa abdicazione di responsabilità.
Nel libro del profeta Osea, Dio avverte ‘Quando semineranno il vento, raccoglieranno il turbine’. Per quei membri del Congresso che hanno sostenuto questo presidente in ogni occasione, le tardive richieste di pace, gli appelli al rispetto e gli ammonimenti contro la violenza che arrivano ora quando si sentono direttamente minacciati suonano vuoti e sono vuoti… (www.paxchristiusa.org )
Aggiungiamo solo qualche nota: ci sono profonde analogie con il modo in cui la Lega e tutta la destra italiana si sono fatte paladine, portavoce e rappresentanti di una parte di popolazione frustrata e preoccupata per il proprio futuro.
Diciamo anche, ricordando il nostro ultimo seminario nazionale sul potere dei social, che ci sono modi di narrare e di rappresentare la realtà che sono costruiti ad arte, vengono professati quasi come una nuova fede e che diventano funzionali al potere, indipendentemente da ciò che c’è di vero e di oggettivo o da quelle che sono le cosiddette regole democratiche.
D’altro canto, condividiamo, l’amaro commento di Pax Christi: non ci sentiamo del tutto assolti rispetto a chi ha…scusato, trascurato o in qualche modo incoraggiato l’odio e le divisioni. Che cosa potevamo fare di meglio per arginare queste derive?
Di quanto sta accadendo non potremo non tener conto e, in futuro, avremo senz’altro modo di confrontarci anche per quanto concerne la nostra associazione. Siamo “datati”, è vero, ma non “scaduti”. Ci siamo sempre detti che la politica, nel suo significato più pieno e originale, deve stare alla base del nostro essere e del nostro agire.
Per questo riteniamo che ci sia ancora molto lavoro da fare e sempre più è necessario ascoltare voci nuove (cara Nadia, ti sei presa una bella gatta da pelare…).
Per dare concretezza ai nostri discorsi abbiamo pensato che sia giusto anche dar conto di ciò che stiamo vivendo come gruppo locale di Verona.
Come ormai si temeva si è arenato, forse definitivamente, il progetto sulla concessione in comodato gratuito di un appartamento dell’Ente Regionale per l’Edilizia Residenziale (ATER). Grazie a un congruo finanziamento, messo insieme da un gruppo di persone della comunità di s. Nicolò, che per anni si sono auto tassate, sarebbe stato possibile mettere a norma un appartamento di proprietà dell’ATER. In cambio, l’ATER ce l’avrebbe concesso in comodato gratuito per una quindicina di anni. Avevamo messo a punto un progetto ben articolato, in collaborazione con altre associazioni, e avevamo avuto la disponibilità di due persone, adeguatamente preparate, per la gestione. L’appartamento poteva ospitare quattro, cinque persone. Pensavamo in particolare agli stranieri. Qui a Verona, infatti, per le persone straniere, anche se con i documenti in regola e con un lavoro stabile, resta quasi insormontabile la possibilità di trovare un alloggio.
Non abbiamo desistito del tutto, ma in questi enti pubblici il potere della Lega e i giochi di partito hanno un peso devastante. Forse hanno capito bene chi siamo e hanno ostacolato l’iter della pratica in tutti i modi possibili, pur dopo l’approvazione della ristrutturazione e della messa a norma, da parte del loro Ufficio Tecnico. Sono arrivati alla scadenza elettorale e al cambio dei vertici aziendali, senza più dare alcuna disponibilità ad ascoltarci.
Venendo ai due progetti che seguiamo come rete locale, chi legge la nostra circolare interna ha già saputo della difficile situazione in Guatemala. Lo scorso mese avevamo scritto:
… Padre Clemente ci racconta di una situazione veramente difficile nelle comunità che lui segue. La pandemia ha provocato situazioni di estrema povertà per cui è stato necessario distribuire cibo a molte famiglie, ridotte letteralmente alla fame.
Comunque, i soldi del progetto inviati dalla Rete sono bastati a p. Clemente per fare partire un progetto di microcredito a favore delle famiglie più bisognose del territorio.
Infine, ci sembra importante allegare il testo della lettera ricevuta dalla nostra referente ad Adjumako, in Ghana.
Gli stimoli alla speranza vengono da lontano, ma sono concreti ed efficaci più delle nostre paure.
Un abbraccio e un augurio affettuoso di buon anno da tutta la Rete di Verona.

Maria e Gianni

Adjumaco, dicembre 2020

Il Maame Adjeibah Educational Project (MAEP) sta bene ed opera nonostante la perdurante pandemia da Covid-19 abbia bloccato e rallentato le nostre attività.

18 ragazze in tutto hanno completato con successo la scuola superiore (SHS). …Il nostro progetto è di aiutare le diplomate a trovare un lavoro adeguato che possa permettere loro di soddisfare le loro necessità. Continuiamo ad incoraggiarle, motivarle e guidarle verso percorsi lavorativi significativi.
Putroppo, però, il progetto è stato bloccato per buona parte dell’anno a causa della pandemia; alcune di loro, comunque, hanno trovato lavori provvisori mentre altre aiutano le famiglie nelle loro attività private. Stiamo tutti attendendo la riapertura delle scuole per compiere passi ulteriori.
Abbiamo ricevuto 4.000 € dalla RRR di Verona. Così abbiamo pagato le tasse scolastiche per le ragazze frequentanti la scuola media (Junior High School). Abbiamo coperto anche le spese per le tasse scolastiche delle ragazze alla scuola superiore fino alla chiusura delle scuole, a marzo 2020. Abbiamo inoltre pagato le spese di mantenimento per le ragazze del primo anno.
Vogliamo sottolineare che l’eccitazione generata dalla visita ad Adjumako degli amici della Rete di Verona (autunno 2017) è ancora vivo. Questa visita ha lasciato nella comunità un’eredità che perdura. L’entusiasmo non è venuto meno. Attualmente gli anziani della comunità di Adjumako hanno coinvolto la gente, specialmente i giovani, in varie attività a favore dello sviluppo della comunità stessa. Hanno programmato una serie di piani per lo sviluppo. Al momento la comunità è impegnata in opere di tubazione e di drenaggio fognario nel villaggio. Muratori, carpentieri e altre maestranze sono coinvolti nei progetti. Cittadini di Adjumako residenti in Europa, in America e in altre zone del Ghana stanno contribuendo volontariamente ai progetti con donazioni in denaro, sacchi di cemento, ecc. Grazie a voi, amici della Rete di Verona.
Inoltre, una delle nostre ragazze di Adjumako dopo aver completato la scuola superiore (SHS) si è iscritta ad una scuola di comunicazione ad Accra e sta studiando per un diploma in giornalismo. Recentemente è comparsa in una trasmissione della televisione nazionale e l’hanno vista in molti ad Adjumako e nei paesi intorno. Questo ha provocato grande eccitazione e ha suscitato un sentimento di orgoglio nella gente. Tutto grazie all’incoraggiamento ricevuto dal gruppo Rete Radie Resch di Verona. Ed è solo l’inizio. Realizzeremo ancora molte di queste trasformazioni perché intendiamo continuare a occuparci del futuro delle giovani generazioni di Adjumako.
Dio è il nostro aiuto.
Emma e il comitato scolastico di Adjumako

Dicembre 2020.
Lettera circolare della Rete Radiè Resch scritta da Tutte e Tutti.

Il 2020 è stato un anno illumiato dallo Spirito con tanti piccoli segni concreti e freschi che rischiano di essere tacitati dall’impeto del dolore.
Questa lettera breve e semplice vuole iniziare una “raccolta” di buone notizie.
Finirà con puntini aperti con lo scopo di invitare Tutte e Tutti ad aggiungere una testimonianza con- creta di speranza e bellezza e, seguendo l’invito di Ghandi, provare a“diventare il cambiamento che vogliamo vedere“.
La dedichiamo alle molte, troppe Persone che in questo momento si trovano nel lutto e nella soffe-renza sperando ne traggano un po’di forza e conforto.
Nel mese di Giugno il primo coordinamento in remoto della RRR si concluse con l’assenza di una nuova segreteria e l’inizio di una discussione tutt’ora in corso; nel mese di Settembre, il successivo coordinamento a Sezano si concluse con il consenso di dare inizio ad una “segreteria laboratorio” e l’avvio di un percorso di cambiamento che è in corso con l’impegno concreto di gruppi di lavoro.
Una grande spinta è arrivata da esperienze sul territorio condivise da tante Reti locali.
Spesso abbiamo immaginato la RRR come un albero, mantenendo questa immagine possiamo vede-
re i giovani come germoglio o innesto a cui deve arrivare linfa e da cui possono arrivare nuove forme di crescita.
Ascoltiamoli.
Da Torino
Abbiamo ricevuto in dono l’impegno di Nadia a spendersi attivamente nel progetto di “segreteria laboratorio“, il suo contributo è prezioso per la sua giovanissima età e le sue capacità organizzative e di sintesi, ed è consapevole in quanto neolaureata con tesi sulla RRR.
Da Varese
Il gruppo giovani che avrebbe dovuto partire lo scorso mese di Luglio per il viaggio in Bolivia organizzato dalla rete locale, visitando anche il progetto socio-sanitario di Cochabamba, mantiene vivo il suo progetto posticipato forzatamente dalla contingenza sanitaria. La rete di Varese è stata tra le prime ad accogliere l’idea di un “viaggio tra le Reti con le Reti” proponendo una cena condivisa con queste ragazze e questi ragazzi. L’intento della segreteria laboratorio di compiere questo viag-
gio sul territorio sarà proprio quello di spezzare il pane ed abbracciarci (ricordiamo che non avrà costi per le reti locali).
Da Cagliari e Verona
Sono arrivati i graditissimi inviti per il suddetto viaggio che dimostrano una fiduciosa voglia di guardare oltre la situazione contingente che chiude e blocca gli incontri.
Da Celle Ludovica e Martina hanno deciso di lanciarsi in un’esperienza alternativa. Alla chiamata di aiuto da parte della Caritas le due ragazze hanno scelto di partecipare ad un’attività pelle a pelle con i senzatetto assistendoli durante il servizio docce.“Troppo spesso diamo per scontato ciò che la vita ci offre nel male e nel bene. La cosa più importante è sapere di esserci per chi non è considerato degno di far parte della nostra escludente società. A volte basta poco, qualche sorriso e alcune parole per sentirsi il cuore colmo degli infiniti ringraziamenti di chi solo quelli può donarti“.
Le famiglie sono coinvolte nella ricerca di mutande nuove per i ricambi.
Da Alessandria le giovani donne coraggiose e combattenti della Casa delle donne -occupata da un collettivo di NonUnaDiMeno-, portano avanti iniziative di cura, ricerca e studio, creatività, mostre ed incontri sul clima, educazione e storia del ‘900. Hanno organizzato presìdi a sostegno di migranti e donne lavoratrici sfruttate. Ogni giorno una lotta in una città leghista ora non più dormiente.
Da Quiliano.
In Repubblica Centrafricana a fine mese si terranno le elezioni politiche e legislative, in merito potremmo scrivere pagine e pagine di angoscia per il concreto rischio di colpo di stato accogliamo invece il caldo invito a visitare il sito www.zoukpana.it per gli aggiornamenti in materia. Il sito è curato dai ragazzi del collettivo SE che pubblicano il materiale ricevuto dai ragazzi del collettivo Zoukpana di Bangui.Con consenso espresso nel coordinamento di Rimini gennaio 2020, la Rete Radiè Resch ha concesso un “prestito d’onore“ al collettivo SE per finanziare le borse di studio agli studenti universitari del collettivo Zoukpana. A Bangui si sono appena laureati Bienvenu e Georges.
Da Salerno.
Lucia è stata contatta da un gruppo di giovani che sta dando vita ad un movimento di politica dal basso; in questo momento così deprimente, osano avere Coraggio (il movimento si chiama Coraggio Salerno) per sognare e progettare, insieme agli altri concittadini che pian piano stanno aderendo, una città altra, una città-comunità. Un gruppo di giovani che da tempo condivide con la RRR l’impegno per l’acqua pubblica, per l’accoglienza dei migranti e dei senza dimora, per promuovere cultura e arte, sempre con uno sguardo oltre. Con loro abbiamo incontrato il Chapas con il caffè Tatawelo, I mapuche con Josè Nain, l’Amazzonia con Salete e naturalmente la Palestina. Il bello c’è dobbiamo solo allenarci a farlo venir fuori…
Da Padova.
Anche noi vogliamo contribuire alla scrittura della lettera circolare della Rete Radiè Resch scritta da Tutte e Tutti di dicembre.
Era scritto infatti che la lettera “finirà con puntini aperti con lo scopo di invitare Tutte e Tutti ad aggiungere una testimonianza con- creta di speranza e bellezza e, seguendo l’invito di Ghandi, provare a“diventare il cambiamento che vogliamo vedere“.
Inviamo allora la lettera che Nicoletta e Riccardo, membri della Rete di padova, che da anni hanno intrapreso con coraggio un percorso di ritorno alla campagna fondando un’azienda che hanno voluto intitolare Dofiné per sottolineare il legame con Haiti. Ogni anno si svolge una vendemmia solidale a favore delle scuole della FDDPA.
Nicoletta e Riccardo hanno scritto una lettera ai nostri amici ad Haiti, Jean e Martine, responsabili della FDDPA.
La condividiamo con tutti voi.
Un augurio per un anno nuovo di cambiamento
Due Carrare, 20/12/2020
Carissimi Martine, Jean e membri delle varie Comunità,
siamo arrivati alla fine di un anno sicuramente indimenticabile, volevamo ricordarlo per l’incontro con la vostra visita in Italia e purtroppo lo ricordiamo per un virus che sta accumunando tutto il mondo con ansie e incertezze per il futuro. Noi non possiamo comunque lamentarci, nonostante tutto, il lavoro non è mancato, i nostri figli che vivono fuori casa (i due maschi a Londra e la ragazza vicino a Firenze) stanno bene e sono riusciti anche loro a continuare a lavorare mantenendosi autonomi.
La nostra azienda agricola ha avuto un anno burrascoso, le condizioni climatiche e una forte grandinata ci hanno fatto perdere il 60% del raccolto, ma sono eventi che in agricoltura vanno sempre messi nel calcolo del rischio, la sofferenza maggiore è stata l’impossibilità di fare momenti di incontro ed aggregazione sul tema del vino continuando un percorso iniziato un paio di anni fa, per questo dobbiamo ancora confidare in tempi liberi da Covid 19.
Siamo comunque riusciti a fare la tradizionale vendemmia a settembre con gli amici anche se c’erano meno persone per il covid 19, ma c’era anche meno uva per cui abbiamo comunque svolto il lavoro senza problemi. Sappiamo che Marianita vi ha già mandato le foto…
Qui stiamo lavorando per fare una ristrutturazione dell’azienda agricola e farla diventare un agriturismo specializzato nella presentazione del mondo del vino, storia del nostro territorio, tecniche di coltivazione della vite, tecniche di vinificazione e corretto abbinamento dei diversi tipi di vino con il cibo. Sono argomenti che interessano molto, attirano giovani e adulti che vogliono riscoprire antichi sapori del mondo contadino. Per poter arrivare all’apertura ufficiale però dovremo fare diversi lavori per adeguare gli ambienti alle norme e regolamenti del settore, quindi ancora per un anno saremo sovraccarichi di cose da fare.
Purtroppo Covid19 ha interrotto anche una attività chiamata “Aggiungi un posto a tavola” che portavamo avanti con un gruppo di amici con i quali ci dedicavamo all’accoglienza, una domenica di ogni mese con un pranzo condiviso in famiglia e un pomeriggio di conoscenza del territorio, di ragazzi immigrati (quasi tutti avevano l’età dei nostri figli dai 20 ai 30 anni). Ascoltare le storie e le speranze di questi ragazzi prevalentemente provenienti dall’Africa, praticamente tutti arrivati con viaggi al limite della sopravvivenza attraversando deserti e il mare su gommoni sovraccarichi di uomini e donne in cerca di un destino migliore, ci ha fatto aprire gli occhi su tante realtà e ci faceva sentire meno la nostalgia dei nostri figli (anche loro emigrati per un futuro migliore).
Insomma, mentre attendiamo in silenzio che questo virus venga definitivamente debellato per poter riprendere la vita nella sua dimensione normale, proviamo a pensare in positivo sperando che usciremo da questo tunnel con un a nuova visione del mondo, sicuramente più convinti che mai che la vera felicità sta nelle cose semplici, nel lavoro umile e nella capacità di fare sinergia e rete con tanti amici che quotidianamente si rendono protagonisti per essere artefici di un mondo migliore.
Con questo spirito, ci sentiamo vicini a voi, abbiamo letto le vostre lettere scritte a Marianita e sappiamo delle vostre sofferenze, delle difficoltà che avete superato e di quelle che ancora vi angustiano, ma sappiamo anche della tenacia e determinazione che non vi abbandonano e della forza e coraggio che ogni giorno sapere trovare per credere che un mondo migliore ancora è possibile.
Sogniamo di poterci incontrare in una vostra visita qui da noi, siamo sicuri che è un sogno che si avvererà, speriamo anche un giorno di poterci noi mettere in viaggio per venirvi a trovare, oggi sembra cosa impossibile ma se Dio vuole ci riusciremo.
Questo Natale lo vivremo lontano da sfarzi e consumismo, così come piace a noi, purtroppo sarà lontano dai nostri figli e nostri cari, cercheremo di avere un contatto virtuale con qualche videochiamata.
Quando e come potete mandateci vostre notizie, qualche foto, sarà un modo per condividere un pezzo di strada insieme.
Le persone che frequentano la nostra azienda sempre ci chiedono perché ci chiamiamo Dofinè, ci piace raccontare di voi, del nostro incontro e di come tutti insieme possiamo contribuire per darci una mano.
Mancano pochi giorni a Natale, siamo certi che anche quest’anno una luce brillerà in cielo per ricordarci che non siamo soli nonostante tutte le avversità e che Dio che si fa uomo, ancora una volta sotto le spoglie di un bimbo fragile, ha bisogno delle cure e collaborazione di tutti per realizzare il suo sogno.
Auguri che a Natale possiate essere circondati dalle persone care , che abbiate tanta salute e che il nuovo anno 2021 porti vita nuova.
Un abbraccio a tutti con affetto.
Nicoletta e Riccardo
Da Cagliari
Il nostro contributo alla scrittura collettiva della circolare nazionale è il documento “Il nostro dono di Natale” del gruppo Società della Cura – Sardegna” del quale facciamo parte come Rete RR di Cagliari. Verrà consegnato questo pomeriggio insieme al documento nazionale e ad altri documenti locali.
Auguri a tutti per le festività, con la speranza di poter accogliere un tempo nuovo, un tempo di cura per il corpo e per l’anima in una società che non lasci indietro nessuno.
Società della Cura – Sardegna
IL NOSTRO DONO DI NATALE
175 miliardi disponibili subito
Nessuno può essere lasciato indietro
Aderendo all’appello nazionale della Società della Cura “Il nostro dono di Natale”, vogliamo
esprimere alcune considerazioni e proposte a partire dalla nostra specificità come realtà che operano
nel campo della nonviolenza, della solidarietà interna e internazionale.
Curare non significa solo prescrivere delle terapie o dei farmaci. Curare vuol dire anche e
soprattutto prevenire. “Bisogna uscire dall’economia del profitto e costruire un altro modello
sociale, partendo dal paradigma del prendersi cura di sè, dell’altr*, del vivente, del pianeta e delle
future generazioni, e assumendo compiutamente l’idea che nessun* si salva da sol* e nessun* può
essere lasciat* indietro.
La Sardegna detiene il primato nazionale delle servitù militari utilizzate per una economia di
guerra e dove si sono sperimentate armi all’uranio impoverito creando danni ambientali e di
carattere sanitario alle popolazioni. La narrazione dei posti di lavoro creati, in realtà nasconde quelli
che si potrebbero creare convertendo i territori occupati ad uso civile: agricoltura e pastorizia,
ambiente e turismo responsabile.
La nostra Isola si trova al centro del Mediterraneo, quasi un ponte tra l’Africa e l’Europa.
Purtroppo è stata trasformata in una terra dove si costruiscono bombe e si prepara la guerra.
Proponiamo un cambiamento di rotta:
1. utilizzare le risorse economiche sottratte alle attività militari per ripopolare i piccoli centri,
favorire l’occupazione giovanile in modo da limitare la necessità di emigrare per procurarsi
lavoro e dignità;
2. aprire i porti aperti all’accoglienza di profughi e migranti a causa di guerre fame e economie
di rapina; i porti siano chiusi al commercio delle armi. Chiude il CPR di Macomer, vero
lager nel quale nessuno ha accesso per verificare il rispetto dei diritti umani;aprire centri di
accoglienza che rispettino la dignità di ogni essere umano e preparino il terreno per
l’inclusione; porre fine al sequestro amministrativo delle navi impegnate nel soccorso ai
naufraghi;
3. rafforzare gli scambi di idee, progetti e solidarietà del popolo sardo con i popoli originari del
pianeta per eliminare o ridurre l’impatto dell’estrattivismo (l’aggressione alle risorse naturali
per mero profitto), salvaguardando le terre coltivabili del territorio sardo dalla speculazione
delle multinazionali sulle nuove fonti energetiche (gas, fotovoltaico, eolico);
4. promuovere progetti di formazione alla mondialità, alla nonviolenza e alla pace nelle scuole
di ogni ordine e grado;
5. incentivare le misure alternative al carcere per minori e adulti in modo che si compia il
dettato costituzionale relativo alla riabilitazione delle persone superando la visione della
pena come mera punizione.
I soldi ci sono: ecco dove prenderli
Basterebbe ridurre drasticamente le spese militari (10,8 miliardi/anno) mettendo in
atto alcune misure come:
a) il blocco di tutti i nuovi programmi di riarmo. Il risparmio previsto è di 6 miliardi;
b) la fine di tutte le missioni militari all’estero, nonché di o isparmio previsto è di 3.8 miliardi.
Il dono di Natale più bello per noi abitanti della Sardegna sarebbe la chiusura dei poligoni mi-
litari e la destinazione delle risorse finanziarie per la bonifica dei territori e la loro riconversione ad
uso civile; la riconversione della fabbrica di bombe RWM di Domusnovas – Iglesias in fabbrica di
strumenti per la vita e non per la morte.
Da Noto
Carissimi,
anche noi ci uniamo con piacere ed interesse a questo scambio di doni epistolari in occasione del Santo Natale.
Ricorderemo questo Natale, a conclusione di un anno triste, per molti tragico, un tempo che ancora non da segni di superamento.
I poteri della parte del mondo di cui facciamo parte sembrano impegnati in un ritorno ad una” normalità” essa stessa causa di quel disastro che sta davanti i nostri occhi, sotto i nostri piedi, nell’aria che respiriamo, nei cibi di cui ci nutriamo, nel rapporto tra popoli e viventi e sempre più dentro le menti.
Una parte, sempre più minoritaria, che si prepara a farci tornare alla “normalità” nello stesso modo di quando ci si risveglia da un brutto sogno per poi continuare tutto come prima. Poco da cambiare solo qualche ritocco.
Fa fatica, non passa, l’urgente esigenza di un mondo regolato da maggior giustizia , equità e rispetto ecologico.
Questo Natale però ci offre l’occasione e forse ci impone l’obbligo, oltre che della mascherina e del giusto distanziamento, di una più decisa restituzione, prima verso il Padre ed il Figlio, per aver profittato del loro Amore e, poi, con il Loro aiuto, verso quegli ultimi e verso i più deboli che silenziosamente stanno aspettando che si pareggino i conti.
I nostri percorsi si incontrano in vista di questo orizzonte e i virus non saranno certo un’ ostacolo sul cammino della R.R.R.
Nell’anno che sta per concludersi il gruppo R.R.R. di Noto-Avola-Modica ha incontrato, gli operatori dell’Operazione Colomba (Corpo Non violento di Pace dell’Ass. Comunità Papa Giovanni XXIII) e i Ricostruttori Nella Preghiera di Modica, decidendo, insieme, di dar vita ad un progetto di accoglienza di profughi-migranti Siriani provenienti dai campi profughi in Libano o dall’infernale campo profughi di Moria nell’isola di Lesbo (dove sono presenti quelli dell’Operazione Colomba).
I primi mesi del nuovo anno ci vedranno allora impegnati concretamente nell’offerta di una dignitosa soluzione d’accoglienza ad una famiglia che arriverà in Italia attraverso corridoi umanitari .
Questa opportunità che ci viene offerta ci induce a delle riflessioni:
I corridoi umanitari come soluzione al fenomeno della migrazione:
forse non la sola, ma in Italia il Ministero competente concede solo 2000 visti; troppo pochi per una soluzione d’accoglienza e d’integrazione accettabile e dignitosa.
Il coinvolgimento diretto di associazioni e cittadini ne diventerebbe garanzia .
La necessità di fare reti:
considerato il tipo e la quantità di impegno che questo tipo di progetto impone si rende necessario lavorare alla costruzioni di reti territoriali di supporto a vari livelli: associazioni e cittadini impegnati, prima, alla soluzione di problemi organizzativi e burocratici che permettano l’arrivo in sicurezza dei profughi e/o migranti, poi, alla soddisfazione delle necessità della vita quotidiana dell’accoglienza e dell’integrazione.
Il nostro Augurio a tutti voi, in questo nuovo Anno che sta venendo alla luce, è di continuare ad essere “artigiani di pace”, condividendo il nostro cammino, le nostre fatiche e le nostre gioie, con le piccole comunità a noi vicine, per noi, in particolare, con gli amici della Mesa Campesina, e con tutte le altre piccole comunità sparse in ogni angolo della terra, perché, come dice il nostro caro Papa Francesco[1], insieme ad esse possiamo “colorare i processi di memoria collettiva” per una Terra dove abitino la Pace, la Giustizia, la Fraternità e la Bellezza …

Rete di Torino & dintorni – Lettera di novembre 2020
Cari amici,
il ritorno della pandemia ha fatto riemergere con forza alcuni tratti ormai familiari e peculiari dello stato in cui versa la politica nostrana.
Da una parte assistiamo alla spinta sempre più marcata verso il dettaglio tecnico,pratico,sostenuto da direttive sanitarie stringenti,precetti e ammonimenti che poco hanno a che fare con il pensiero “alto” ma si preoccupano con cura pedagogica quasi maniacale di entrare persino nelle sfere più intime della vita privata dei cittadini (vedasi le ultime indicazioni per veglioni,cenoni etc). Dall’altra assistiamo al solito teatrino delle accuse reciproche tra Stato e Regioni di negligenza di fronte alla seconda ondata di questo terribile virus. In mezzo ci siamo tutti noi,cittadini trattati come infanti impegnati a destreggiarci tra il groviglio di regole,spesso mutevoli e  ansiogene.
Ma il punto è capire se la politica deve essere questo oppure se deve piuttosto amplificare con toni pacati il senso di responsabilità comune,il senso di comunità,il senso di diritto di libertà individuale che non può prescindere dalla libertà collettiva.La libertà stessa del pensiero politico da tanti anni ormai è svilita ed avviluppata nel risolvere questioni quotidiane,pratiche,dettagliate,non sostenendo più una visione collettiva,di integrazione culturale,responsabilizzante per tutti.
La pandemia in atto non è cosa da poco,i numeri e lo sconcerto di tanta virulenza non si possono sottovalutare ma alcune cose erano chiare fin da questa estate,quando ci ripetevano che sarebbe arrivata una seconda ondata di contagi. Eppure  la Sanità non è stata dotata di strumenti e personale adeguato ad affrontare tutto questo portandoci nuovamente alle chiusure che tutti conosciamo.Non è solo italiana questa situazione,non è solo dei governanti la colpa del contagio ma anche dei comportamenti sbagliati ed incuranti di alcuni cittadini,è vero,ma forse meno tagli alla Sanità (in nome dell’efficienza economica) in questi ultimi 10 anni ci avrebbero consentito di affrontare meglio questa crisi.Ma la visione miope della politica non chiude il discorso su se stessa.
I risvolti a livello sociale non sono trascurabili.
La perdita dei contatti sociali atrofizza la capacità di ragionamento collettivo, alimenta il senso di solitudine e di fragilità, amplifica l’egocentrismo individuale.Il continuo bombardamento mediatico sulle cifre della pandemia impedisce spesso di rimanere attenti e attivi alle difesa dei diritti,alla giustizia;si offuscano i temi della migrazione,del caporalato,della violenza domestica e della perdita del lavoro.Le guerre (che continuano purtroppo) non sono quasi più percepite con sgomento ma come un evento in mezzo ad altri,dopo i dati sui contagi giornalieri e il possibile divorzio di Trump.Tutto è clamore e si genera una confusione di priorità. L’emergenza sanitaria pur grave rischia di farci perdere il contatto con il territorio,con le persone in difficoltà,emarginate e disperate,con le conseguenze della chiusura dei negozi e delle piccole realtà artigianali,con tutti coloro che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese.Queste persone diventano facile bersaglio delle nuove mafie che agiscono con soldi contanti e garantiscono una boccata di ossigeno a chi domani diventerà un loro protetto,ma diventeranno parte anche della spietata  concorrenza di chi cerca un lavoro,con conseguente perdita delle tutela dei lavoratori disposti a tutto.
Questi meccanismi sociali saranno nei prossimi mesi sotto gli occhi di tutti.
Questo periodo è stato percepito da ciascuno di noi in maniera differente,ci ha messo di fronte ad una situazione che non si può controllare ,ciò che sembra giusto al medico può apparire ingiusto al familiare del malato e cosi via per ogni ambito. Non ci sono più sicurezze e limiti conosciuti,sono saltati molti parametri della nostra “confort-zone”.
Ma l’emergenza non può e non deve “normalizzare” il nostro pensiero,il nostro modo di agire. Il fine non giustifica i mezzi perciò dobbiamo rimanere vigili con il nostro contributo personale,attraverso la condivisione delle idee restituendo dignità al nostro prossimo.La capacità di rimanere distanti dalla furia delle notizie,di guardare con tenerezza e accoglienza il vissuto di ciascuno,senza giudicare, può predisporci forse in questo periodo di Avvento ad un clima più corretto.
La ricerca del silenzio,del distanziamento dalla pressione mediatica ci darà forse un domani la forza per riconoscere i valori reali e rinascere ad una nuova umanità.
Un abbraccio a tutti
 

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