Rete Radié Resch

Pulizia etnica nel Darfur e guerra per procura degli Emirati Arabi

«E’ una ecatombe che va avanti da 18 mesi: ce lo aspettavamo, i segnali che l’assedio sarebbe continuato fino alla presa della città di el-Fasher c’erano tutti». Eppure nessuno è intervenuto prima.

«Il mondo intero sapeva dei civili intrappolati nella città assediata, ma gli appelli sono stati ignorati: i sudanesi si sentono cittadini di terz’ordine. Siamo tutti sconvolti da questa violenza».

A parlare sono due fonti interne al Sudan, testimoni che vivono in zone distanti dal Darfur, ma dentro il Paese in balia della guerra tra generali ed eserciti rivali.

Raccontano il pregresso della mattanza da parte delle Rapid Support Forces, entrate il 26 ottobre scorso nella città di el-Fasher, nel nord Darfur.

«Stanno compiendo violenze di ogni tipo – dicono –  stupri sulle donne, massacri arbitrari sui civili. Chi conosce le RSF sa che questa è la loro modalità: lo fanno da sempre in Darfur».

E si accaniscono preferibilmente «sulle persone dal colore della pelle più scuro: si tratta di una pulizia etnica a tutti gli effetti, su popolazioni sempre musulmane, ma dal colore della pelle più nero».

L’assedio di el-Fasher è durato oltre 18 mesi: la città è rimasta chiusa nei propri confini, con la popolazione sofferente e affamata stretta tra militari asserragliati nel perimetro interno, e paramilitari all’esterno, a forzare il muro.

Per i civili era impossibile fuggire altrove e lasciare la città.

Poi lo scorso 26 ottobre le RSF hanno assaltato il quartier generale dei militari sudanesi e da lì in poi non c’è stato un freno alla mattanza: negli ultimi quattro giorni hanno ucciso almeno 1500 persone.

Mamme e bambini in fuga presi di mira, popolazione stremata da mesi di fame e stenti, uccisa nei modi più disumani.

A denunciarlo è anche il Sudan Doctors Network, la rete di medici del Sudan che parla di «un vero e proprio genocidio».

«I massacri cui il mondo assiste oggi, sono una estensione di ciò che è successo ad el-Fasher nel corso di oltre un anno e mezzo di guerra, quando 14mila civili sono stati uccisi tramite bombardamenti, fame ed esecuzioni extragiudiziarie», dicono i medici.

Chi alimenta militarmente tutto questo?

«Gli Emirati Arabi continuano a fornire armi alle Rapid Support Forces: questa è una guerra per procura», ci spiega una delle nostre fonti.

Secondo questa interpretazione molto accreditata, gli Emirati Arabi in cambio delle armi (e della guerra che essi stessi sponsorizzano) ottengono l’oro delle miniere del Darfur. 

Il Paese è ricchissimo di giacimenti auriferi che da anni sono saccheggiati.

«Gli emiri sostengono un gruppo terrorista che uccide indiscriminatamente le persone, e mostra le violenze tramite i social per aumentare la dinamica dell’orrore». Gli Emirati sono uno dei Paesi “intoccabili” del Medio Oriente.

Il timore adesso è che i guerriglieri, sostenuti da truppe di 400 mercenari che arrivano dalla Colombia, possano proseguire andando ad attaccare la città di El Obeid.

Cosa si poteva fare e non si è fatto in questi mesi?

«Si poteva insistere per far tornare le due parti al tavolo negoziale: le forze armate del Sudan guidate dal generale al-Burhan e i paramilitari del generale Dagalo.

A Washington c’erano stati dei colloqui indiretti – dice una delle fonti –

Si doveva spingere per un intervento americano, che per quanto imperfetto, per il momento è il meglio che abbiamo».

E’ pur vero che nel corso di due anni il conflitto si è sempre più sfilacciato, e da guerra tra due eserciti e due generali è diventato sempre più un conflitto alimentato da diversi centri di potere e combattuto da mercenari pagati da Paesi terzi.

Le armi utilizzate sono «sofisticate e si è intensificato l’uso di droni».